Così, vinte le primarie, Bersani e D’Alema contavano di far decollare l’alleanza con l’UDC, una vera mossa diabolica che avrebbe scompaginato il centro-destra. Peccato che all’UDC siano tutte vecchie volpi della politica e che sappiano meglio di D’Alema destreggiarsi nel “mare grosso” delle contrattazioni pre-elettorali.
Lui, D’Alema, non batte ciglio. Lascia che sia Bersani a sbrogliare i guai che egli stesso provoca. Oggi, il segretario ha dovuto ribadire che per il sindaco di Bari, Michele Emiliano, non verranno approvate leggi ad personam, “niente leggi salva-Emiliano”. La questione del doppio incarico (sindaco-presidente di regione) gli costa la candidatura (e forse anche una bella fetta di credibilità – che serietà ha un sindaco di una città, eletto da non più di due anni, che smania di essere candidato alle regionali?) e oggi pare essere intenzionato a lasciare per un terzo nome, che potrebbe essere lo stesso Sergio Blasi, segretario regionale PD eletto a Ottobre con le primarie.
Insomma, un discreto caos che è destinato a creare non pochi danni in termini elettorali – dopo le primarie il PD era riuscito a risalire su quota 30% nei sondaggi, dato che potrebbe ora volgere nuovamente verso il basso.
In Lazio, intanto si è accesa una polemica in seguito alle dichiarazioni del dalemiano Ugo Sposetti:
«Il candidato alla presidenza della Regione sarà Nicola Zingaretti, che resta il primo della lista se non l’unico e sarà sostenuto anche dall’Udc». E ha aggiunto: «Nel quadro della nuova alleanza a livello regionale, alla presidenza della Provincia di Viterbo andrà un udc». Falso, dunque, secondo Sposetti, che l’Udc si sia già alleata con Renata Polverini (fonte Corsera).
Come avete potuto vedere, di altro non si parla. Del destino della sanità pubblica, per esempio, il cui controllo della spesa è nelle mani dei governatori, nemmeno mezza parola (in Piemonte, Mercedes Bresso, per poter inglobare l’UDC nella coalizione che la sostiene, ha dovuto svendere un assessorato alla sanità a Casini). Chiamatele alleanze pro-tempore. Poiché presumibilmente dureranno all’indomani del voto. E poi si farà un bel rimpasto. E dire che abbiamo messo il partito nelle mani di “professionisti” della politica. Questa non è politica, è una forma collettiva di autolesionismo.
Ricorderete tutti questa immagine. Era il 30 Novembre 2007, circa due anni fa. Solo due anni fa.
Allora Berlusconi non era ancora al governo. Forse anche grazie a quella stagione veltroniana della “distensione” lo divenne facilmente a inizio 2008. Così scrivevano all’epoca dell’incontro fra l’allora sindaco di Roma e Mr b:
Veltroni: «Mai come oggi è di fronte a noi la possibilità di dare a questo Paese, nei prossimi dodici mesi, riforme certe e nuove». Berlusconi: «Ci può essere accordo sulla legge elettorale proporzionale con sbarramento». […] al di là delle differenze sui tempi, il dialogo si è messo in moto, e con una evidente sintonia tra i due interlocutori che fa dire a Veltroni: «E’ finita la stagione dell’ odio e della contrapposizione ideologica. Ci possono essere contrasti anche duri, ma nel rispetto reciproco» (fonte Intesa Veltroni-Berlusconi La riforma è possibile – Repubblica.it » Ricerca).
All’epoca, le “riforme” tanto auspicate riguardavano, secondo Veltroni, legge elettorale, forma di governo, assetto parlamentare; secondo Berlusconi, la sola legge elettorale. Insomma, c’era un interesse comune, convergente, sulle regole della disputa fra il segretario del partito Democratico, e il leader principale dell’opposizione. L’inciucio, nell’ottica di Veltorni, era un mezzo allo scopo per vincere le elezioni. Oggi, invece, “se ne vedono di tutti i colori”. Il Signor Ondivago non saprebbe far di meglio. Quell’incontro, insieme alla fine della politica dell’odio, della politica del “nemico Berlusconi” al fine del superamento di quindici anni di immobilismo, sono diventati i principali capi d’accusa contro Veltroni pochi mesi dopo aver perso le elezioni. Franceschini volse poi la rotta verso toni più duri, verso una politica tenace, sebbene poco fruttuosa. E’ stato Bersani, durante il dibattito precedente alle primarie a tagliare corto dicendo “no all’antiberlusconismo sciocco”. Ovvero no all’IDV. Rinuncia a una vera opposizione contro “il Tiranno” in favore della politica dell’appeasement. Non c’è da sorprendersi, oggi. L’avevano detto, più o meno apertamente, durante le primarie. E usano ora le stesse parole di Veltorni 2007 version: no alla politica dell’odio.
Certo, l’odio. Questo carburante nobile. Senza “odio”, l’inciucio si fa utile:
Massimo D’Alema, nel pieno della polemica seguita alle sue dichiarazioni sulla utilità degli “inciuci”, torna a chiedere l’apertura di un dialogo con la maggioranza sul tema delle riforme. Lo fa rispondendo, dai microfoni del Tg2, all’offerta del ministro Tremonti dalle colonne del Corriere della Sera di avviare una fase costituente per fare riforme insieme: “Con la bicamerale o in altro modo – dice il ministro – ma il dialogo va aperto” (fonte: Riforme, D’Alema apre a Tremonti “L’opposizione si metta in gioco” – Politica – Repubblica.it).
E credete davvero che sia una prova di forza all’interno del PD (Si scrive “inciucio”, si legge “cedimento”. « ilNichilista)? Credete che ci sia in gioco davvero la Grosse Koalition con l’UDC? Stasera anche Niki Vendola, la cui ricandidatura in Puglia è in forte bilico, si è pronunciato in favore di una coalizione delle forze democratiche e antiberlusconiane (Tg1, ore 20). Tentativo maldestro di restare in sella. L’UDC non ha nulla di antiberlusconiano: un suo deputato (Vietti) ha preparato il testo ponte che garantisce – se approvato – al (finto) premier di scansare i processi, almeno sino al futuro Lodo Alfano 2.0, “constitutional version”. L’alleanza con l’UDC, la Santa Alleanza, non è affatto in discussione. E’ già una realtà. In discussione c’è solo l’estensione di questa nuova coalizione ulivista: metter dentro Sinistra e Libertà, Socialisti Verdi Radicali e IDV, oppure fare da soli. Tutto dipende dalla scelta di Mr b: elezioni subito oppure no.
No, la risposta è un’altra. La risposta possibile è che all’improvviso, ma non troppo, si sono trovati per strada “interessi comuni”. Inderogabili. Per questo parlano di “pace”. Potrebbero avere a che fare con le inchieste di Palermo, Caltanissetta, Firenze? Potrebbero. E’ una chiave di lettura. Di difficile praticabilità. Nel baillame di dichiarazioni e indiscrezioni ricorse in questi mesi a partire da Luglio, quando Ciancimino jr. ha iniziato a fornire documentazione relativa agli affari del padre ai magistrati, ricorrono alcuni nomi. Fra di essi, nomi di esponenti attuali del PD, solo in parte defilati dalle posizioni di comando. Che all’epoca dei fatti – 1992 – avevano invece responsabilità di governo e di opposizione. Uno era Ministro dell’Interno; l’altro era presidente della Commissione Antimafia. Uno era Nicola Mancino, oggi vicepresidente del CSM; l’altro è Luciano Violante, ancor’oggi politico attivo del PD, sostenitore di Bersani alle primarie. Se venisse alla luce uno scenario di generale benedizione della trattativa Stato-Mafia, sia da parte del Viminale che da parte dell’Antimafia del 1992, allora buona parte della storia di quegli anni andrebbe riscritta. Violante, “lo scorso 23 luglio 2009, sentito dai magistrati di Palermo, ha confermato le dichiarazioni di Massimo Ciancimino circa la proposta di incontrare “in modo riservato, a quattr’occhi” Vito Ciancimino, avanzata da Mario Mori nel settembre del 1992 quando Violante era ancora Presidente della Commissione parlamentare Antimafia. L’incontro avrebbe dovuto inserirsi nell’ambito della “garanzie politiche” richieste da Ciancimino per portare avanti la trattativa fra Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni durante la stagione delle stragi del 1992. In passato Violante non aveva mai fatto cenno a tale richiesta” (fonte Wikipedia). Insomma, su parte del PD, sulla parte attualmente maggioritaria all’interno del partito, potrebbe pendere questa spada di Damocle. E quindi l’inciucio utile in questo caso sarebbe volto alla riforma castiga-magistratura. Blindare per sempre quella verità per lasciarla ai posteri, quando oramai sarà troppo tardi anche solo per chiedere giustizia. Non saprei dire se questa ricostruzione corrisponda al vero, però è una delle possibili opzioni, dei possibili intrecci che si celano dietro la scena. Sentite Violante parlare alla Camera, qualche anno fa:
Non è questo il PD che vogliamo. Ma non per questa ragione è giusto stracciare delle tessere. La lotta per il cambiamento del PD non può essere fatta abbandonandolo alla corrente degli “inciucisti”. Per cambiare il PD, bisogna occupare il PD. Proprio come un’aula di scuola che vogliamo autogestire; proprio come una fabbrica che vogliamo salvare. Occupare il PD, svuotarlo da dentro. C’è persino un popolo viola già pronto. Un popolo viola molto numeroso. Perchè desistere?
Non si può accettare il principio del male minore, nè avallare la teoria dell’inciucio positivo. Non ci sono inciuci positivi e non siamo disponibili ad accettare alcuna deroga. Non siamo disponibili ad accettare di sminuire il valore di uno dei capisaldi della nostra democrazia: la legge è uguale per tutti.
Ribadiamo il nostro NO a qualunque legge ad personam, senza alcun compromesso: chiunque è accusato di un reato ha il dovere di presentarsi davanti al giudice e di difendersi nel processo, mai dal processo.
C’è poi un altro nodo da affrontare con chiarezza e tempestività e riguarda le alleanze in vista delle elezioni regionali. Ho già detto che non ho nulla di personale contro l’UDC, ma sono convinto che non potremo vincere se ci presenteremo deboli e confusi, alleati ad un partito che non condivide i nostri valori e le nostre proposte, dal nucleare alle unioni civili al testamento biologico. Anche Casini, d’altra parte, chiede che il PD faccia chiarezza su questi temi scottanti. Quale è la posizione del PD? Vogliamo ricominciare con le ambiguità rispetto al principio dei diritti uguali per tutti?
La mia posizione è netta:
no ad alleanze basate sul tatticismo
si ad alleanze sulla base di principi e programmi condivisi per il governo delle regioni
no alla conferma di gruppi dirigenti regionali che non abbiano raggiunto risultati positivi
si al rinnovamento in regioni come la Campania e la Calabria
si alle primarie nelle regioni, come la Puglia, dove ci sono state esperienze di governo positive.
Questi sono alcuni dei principi che voglio ribadire con chiarezza e che ripeterò con voce forte e chiara in Parlamento e in ogni altra occasione di discussione e di confronto. Per evitare che tanti si allontanino dal PD, come già qualcuno purtroppo ha fatto.
Facciamoci sentire, facciamo contare le nostre idee, rendiamo forte il PD.”
Il 23 luglio 2009, sentito dai magistrati di Palermo, ha confermato le dichiarazioni di Massimo Ciancimino circa la proposta di incontrare “in modo riservato, a quattr’occhi” Vito Ciancimino, avanzata da Mario Mori nel settembre del 1992 quando Violante era ancora Presidente della Commissione parlamentare Antimafia. L’incontro avrebbe dovuto inserirsi nell’ambito della “garanzie politiche” richieste da Ciancimino per portare avanti la trattativa fra Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni durante la stagione delle stragi del 1992. In passato Violante non aveva mai fatto cenno a tale richiesta.
Di Legittimo Impedimento se ene era già parlato qui. Ora la notizia è che D’Alema avrebbe dato l’assenso a trattare sul testo proposto, che introduce una sorta di moratoria esplicita ai processi che coinvolgono il (finto) premier nell’attesa di approvare un lodo Alfano bis con legge costituzionale. Secondo D’Alema:
«I comunisti italiani hanno sempre dovuto difendersi dall’accusa di “inciucio”. C’era sempre qualcuno più a sinistra. Io penso però che alcuni “inciuci” come l’articolo 7 della Costituzione che è il più grande degli “inciuci” sono stati molto importanti per la convivenza nel nostro Paese».
Il riferimento all’articolo che regola i rapporti fra Stato e Chiesa serve a D’alema per far passare l’idea che, talvolta, gli accordi sono necessari e salutari. Per D’alema, collaborare con la maggioranza su leggine ad personam che salvaguardino Mr b dalla Giustizia, è “importante per la convivenza nel nostro paese”. L’apertura di D’Alema riguarda le bozze di documenti presentate in Parlamento sul tema del Legittimo Impedimento, in special modo il testo Vietti. L’articolo 1 recita così:
al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei ministri il sereno svolgimento delle funzioni attribuitegli dalla Costituzione e dalla legge, costituisce suo legittimo impedimento, ai sensi dell’articolo 420-ter del codice di procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali quale imputato […]
di fatto si vuole condonare la posizione di Mr b diciamo “pro tempore”. La ragione? Dobbiamo fare la legge costituzionale. E per fare la legge costituzionale ci vuole tempo, e soprattutto voti, che oggi non si hanno ma che l’improvvisa ondata di buonismo istituzionale potrebbe rendere concreti. Dico potrebbe perché i veltroniani, per bocca di Franceschini, novello capogruppo alla Camera del PD, si è pronunciato oggi contro ogni dispositivo di legge che assolva il (finto) premier dai suoi impegni giudiziari. Ovvero, metà PD, quello uscito sconfitto dalle primarie, è contro un mini lodo che estenda il legittimo impedimento alle attività istituzionali del presidente del Consiglio, e pure contro la disciplina del processo breve. L’altra parte, quella dalemiana, invece, intende dare il consenso all’iniziativa del deputato dell’UDC. Insomma, la strategia è la solita: politica dell’appeasement per favorire un’intesa con l’UDC a partire dalle Regionali; contemporaneo isolamento e criminalizzazione dell’IDV di Di Pietro. Tutto ciò al fine di scongiurare le elezioni politiche anticipate, invise tanto al PD che all’UDC, che Berlusconi potrebbe brandire come un coltello all’indomani del ritorno alla battaglia politica dopo il restauro chirurgo-plastico in Svizzera. In caso contrario, apertura all’IDV per una corazzata anti-Silvio.
La politica del PD però è ben lungi dall’essere coerente con il ruolo che il partito stesso aspira ad avere, vale a dire quello dell'”alternativa”. Il PD mostra di non avere superato le ambiguità insite nella sua genesi. Il partito continua a essere un partito doppio: da un lato Letta e la “gaffe” del diritto berlusconiano a difendersi “dal processo” e non solo “nel processo”; dall’altro, la Presidente Rosy Bindi che va al No B Day e smentisce l’improvvido Letta; ora D’Alema e la sua apertura al testo Vietti e l’opposizione interna di Franceschini. Il PD a due teste è destinato a cadere in rovina, a essere sempre meno democratico, e soprattutto a non avere carettere alternativo, bensì “sostitutivo” al PdL.
In serata, Bersani ha fatto marcia indietro sulle parole di D’Alema, ma i problemi restano e rischiano di aggravarsi se non si sceglie definitivamente il metodo democratico e si lascia dipendere da esso la decisione sulla linea politica.
L’ultimo pasticcio ad personam, ieri in Parlamento, era annunciato dalle parole di Massimo D’Alema al Corriere della Sera: “Se per evitare il processo di Berlusconi devono liberare centinaia di imputati di gravi reati è quasi meglio che facciano una leggina ad personam per limitare il danno all’ordinamento e alla sicurezza del cittadini”.
Perché ieri era così importante Vietti? E’ l’uomo che ha tirato fuori dal cilindro la “propostina” di legge in due articoli su cui – con qualche intervento del pidiellino Enrico Costa di cui parleremo poi – che l’aula discuterà
La soluzione l’ha trovata il deputato piemontese: “In fondo è un uovo di colombo. Un testo-ponte, per l’appunto, che dichiarandolo apertamente, costruisce una moratoria di 18 mesi che permetta al premier di svolgere serenamente le sue funzioni, e al Parlamento di fare, nel frattempo, una legge costituzionale”. E come si fa? “Con il legittimo impedimento a comparire davanti a un tribunale”
Ricordi a Vietti che qualcuno, come Onida, ha detto che sarebbe incostizionale. Vietti sospira: “Penso di no. Ma in ogni caso, la soluzione politica ci sarebbe comunque. Perché prima che il testo possa essere bocciato dalla Corte, si avrebbe in ogni caso il tempo di fare una legge costituzionale”
Ecco la vecchia politica del PD, quella che ha vinto le primarie e ora cerca di essere egemone. D’Alema vuole che Vendola si faccia da parte per poter mettere in piedi a livello locale il futuro progetto di alleanza con l’UDC di Casini alle politiche del 2012 (salvo scioglimenti anticipati). Naturalmente il prezzo da pagare, almeno in PUglia, è il sacrificio della sinistra radicale, pur già compromessa di suo con l’affossamento di Sinistra e Libertà, e dei rapporti con l’IDV di Di Pietro. Neanche un accenno ai contenuti politici dell’alleanza che dovrebbe costituirsi in un rinnovato centro-sinistra con il trattino. Neanche una virgola a proposito di politiche sanitarie, di gestione del bilancio della sanità regionale, nessun cenno alla questione morale e al caso Tedesco, nessun riferimento alle politiche energetiche o alla gestione del servizio idrico nel passaggio alla nuova disciplina del decreto Ronchi. L’unico scopo è il mantenimento del potere. Il PD lavora in Puglia non per costruire una piattaforma politica che abbia in vista l’interesse generale dei cittadini e degli individui, ma piuttosto per vincere le elezioni e mantenere la Regione sotto la propria egida. Tutto il resto è secondario. L’obiettivo è strappare alla destra il governo regionale per altri quattro anni. Che miseria e che visione ristretta. Questo è il nuovo corso di Bersani e D’Alema: una riproposizione delle dinamiche uliviste in ottica antiberlusconiana con il bypassaggio della reisstenza interna, che pure si fa sentire, e di quella della sinistra radicale, sempre più divisa e allo sbando. Uno scenario povero di idee e contenuti che rende preferibile la sconfitta elettorale.
Il Pd prende tempo: sulla candidatura per le prossime elezioni regionali, bisognerà trovare un candidato che coaguli una coalizione più ampia di quella ora al governo. E’ il risultato dell’assemblea regionale chiusa da Massimo D’Alema.
Una chiusura alla ricandidatura di Nichi Vendola e un raffredamento sul nome di Michele Emiliano come possibile sfidante del governatore nelle primarie del centrosinistra.
spaccatura anche all’interno del Pd. Non sono stati pochi infatti a sostenere la necessità di non interrompere l’esperienza con Vendola e quindi la sua ricandidatura. Ma altrettanto vasto è il fronte dei "realisti", di quelli che vogliono portare dentro la nuova alleanza Udc e Idv, considerati indispensabili per la vittoria. Una divisione profonda e difficilemente sanabile
”La situazione è resa difficile non dalle nostre trame ma dalla decisione di Vendola” di candidarsi ”nella convinzione che di fronte al fatto compiuto i partiti si sarebbero accodati”. Lo ha detto Massimo D’Alema
”Noi – ha detto D’Alema – avevamo chiesto a lui di prendere l’iniziativa di chiamare le forze politiche attorno a un tavolo e verificare la possibilita’ di portare l’alleanza per il Mezzogiorno al governo della regione’
”Noi – ha continuato D’Alema – siamo stati messi di fronte a questa situazione, noi non abbiamo mai posto il problema di scegliere tra Vendola e Udc perche’ in questi termini si tratta di decidere come perdere le elezioni e, scusatemi, anche per la mia storia preferirei perderle avvolto nella bandiera rossa”
dopo la decisione di Vendola, secondo D’Alema, ”noi possiamo accodarci ma verremmo meno alla nostra responsabilita’ di fronte a un partito che non puo’ pensare di farsi eterodirigere”
”Dobbiamo cioe’ fare noi – ha concluso D’Alema – quello che avrebbe dovuto fare Vendola e non ha fatto: chiamare le forze politiche a discutere programmi e prospettive senza fare veti e pregiudiziali”
‘Vi prego di rispettare le alleanze con l’Udc che abbiamo gia’ fatto, altrimenti rischiamo di perdere non solo la Regione Puglia alle prossime elezioni ma le giunte cha abbiamo gia’ conquistato alle scorse amministrative
"Vogliono candidare qualcuno altro contro di me? Prego, si accomodino. A patto pero’ che l’eventuale mio concorrente accetti le primarie. E vedremo chi avra’ piu’ consenso popolare".
Lo ha detto a La Stampa
Niki Vendola, attuale Governatore della Puglia, affrontando il tema della candidatura alle regionali, dove si profila quella alternativa di Emiliano, attuale Sindaco di Bari.
"A D’Alema voglio solo ricordare – ha aggiunto Vendola – che anche cinque anni fa lui diceva che non avrei potuto vincere perche’ ci voleva un candidato piu’ moderato, pure nel look: uno come me comunista e con l’orecchino, come poteva pensare di sconfiggere la destra in una regione di destra? E invece l’ho sconfitta".
Doveva essere l’assemblea che sgomberava il campo dai tentennamenti delle ultime settimane. Invece, ciò che è accaduto in casa Pd – e soprattutto le ultime parole pronunciate dal palco da Massimo D’Alema – hanno avuto l’effetto di compattare l’ala sinistra del centrosinistra
da oggi Socialisti, Verdi, Rifondazione comunista e Sinistra e Libertà non forniscono più alcun alibi: «Il nostro candidato è Nichi Vendola»
«Non solo vado avanti malgrado tutto e tutti ma vado avanti perchè tutto e tutti mi spingono ad andare avanti. È vero, c’è il pericolo di riconsegnare la Puglia alla destra e questo pericolo è strettamente connesso al tentativo di rimozione del significato profondo che la Primavera pugliese ha avuto nel 2005 e ha avuto nel corso della stagione di governo. È il significato di un cambiamento non fittizio, non costruito sulla rincorsa di un moderatismo che uccide in nuce la prospettiva del cambiamento. Immaginare oggi, dopo cinque anni, di annullare politicamente questo punto di forza del centrosinistra – ha concluso Vendola – mi pare davvero un gravissimo rischio»
segretario regionale di Sinistra e Libertà, Nicola Fratoianni: «Non è il Pd che sostiene Vendola a essere eterodiretto, mi pare piuttosto che sia il Pd di D’Alema a farsi eterodirigere dall’Udc e da altre forze che propongono veti su Vendola»
D’Alema che accusa Vendola di non aver messo d’accordo forze politiche esterne al centrosinistra per allargare la coalizione
ha ricevuto veti sulla sua persona e non sulla sua proposta politica
Vendola non molla: «Rifletta bene il segretario del Pd, Blasi. Io continuo a sperare di essere il candidato di una coalizione larga. Comunque io sarò candidato. Se ci fosse la possibilità di mettere in pista l’esperienza delle primarie potrebbe essere il punto maturo di soluzione dei nostri problemi.
senza primarie non c’è nessun sortilegio che possa far sparire dalla Puglia la mia candidatura e la mia vicenda politica
un coro di voci a suo favore. «Noi sosteniamo Nichi Vendola», annuncia il presidente dei Verdi di Puglia, Magda Terrevoli
Ancora stasera La Repubblica scrive che le primarie in realtà a giocarsele sono Bersani e Franceschini. Contro la miopia di questi giornalisti dobbiamo alzare la voce. Bersani e Franceschini sono una scelta al ribasso. Non sono il nuovo. Rappresentano il fallimento del partito, il fallimento dell’opposizione. del passato di questi ultimi quindici anni. Diciamo basta. È ora di riprenderci la politica e il 25 Ottobre queste persone avranno finalmente occasione di sapere cosa pensiamo del loro modo di fare politica. Ammetto che la critica di D’alema a Franceschini è fondata: come può attaccare Bersani per la mancata opposizione? Chi è stato segretario del partito sinora? E vice-segretario? Il suo principale sostenitore, Veltroni, ha persino stretto la mano al principale esponente dello schieramento a lui avverso, lo stesso uomo che ha messo a pregiudizio la stabilità costituzionale del paese. È credibile uno che attacca a testa bassa, che si dichiara indignato per le assenze dei deputati al voto sullo scudo fiscale? Lui stesso assente! E i suoi sostenitori lo hanno applaudito, calorosamente. Oggi scrivono anche di trattative fra franceschiniani e terzo-mozionisti. Si parla di un incontro fra Franceschini e Goffredo Bettini: a che titolo Bettini è andato a parlare al segretario? Marino non si vende. Lo ha detto lui stesso. Franceschini, se vuole i voti dei sottomarini, si iscriva alla mozione terza. Non è oltremodo sopportabile che corsa al massacro. Che linea politica può emergere dalla lotta fratricida dei bersaniani e dei franceschiniani? Votare Marino il 25 Ottobre è un dovere civico per ogni elettore del PD. Salviamo il PD dall’autodistruzione. Riprendiamoci la politica.
A giocarsela, in realtà, sono Bersani e Franceschini. Il primo forte della consacrazione degli iscritto, il secondo galvanizzato dagli applausi ricevuti alla convention
Mentre le voci di accordi sotterranei si rincorrono. Così come gli attacchi. Oggi è la volta di Massimo D’Alema che di scaglia contro Franceschini. "E’ curioso che il segretario del mio partito, per andare sui giornali, debba attaccare me. Forse è una delle regioni per cui bisogna cambiare il segretario"
definendo "un comizio" il discorso del segretario. "Ha detto che ci vuole più opposizione. Chi gliel’ha impedito? Con chi ce l’ha? Non si fa così". Insiste D’Alema: "Non abbiamo fatto abbastanza opposizione? ci spieghi perché, non è che viene lì a protestare.
"Questi dirigenti saranno spazzati via dalla storia perché il mondo è cambiato, non è più quello del secolo passato. E credo quindi che sarebbe molto più utile che tutti se ne facessero una ragione e cercassero di favorire il nuovo". Ignazio Marino, intervistato dal Gr1, attacca così gli altri due sfidanti.
Il chirurgo prestato alla politica, non rinuncia a punzecchiare Bersani e Franceschini. Riconoscendosi il merito di averli "contagiati sui temi della laicità". Anche se, per Marino, Franceschini si è espresso più che altro per "slogan" e Bersani "attraverso ragionamenti un po’ antichi", in particolare con schemi "del secolo passato" su economia e lavoro.
Quello che è certo è che Marino resta in campo. A dispetto delle voci che parlavano di un lavoro sotterraneo di Franceschini per il ritiro della candidatura di Marino. "E’ vero che mi sono incontrato con il segretario – dice Goffredo Bettini, uno dei principali sostenitori del chirurgo – ma non mi ha mai chiesto di fare pressioni su Marino".
Il Foglio si schiera con Bersani. In un editoriale in prima pagina il giornale di Giuliano Ferrara prende posizione sulla corsa alla segreteria del Pd."E’ una persona seria, non ha inclinazioni lunatiche e non gli verrebbe mai in mente – si legge – di andare a giurare sulla Costituzione dalle mani di suo padre su un marciapiede (ciò che ha fatto, preso da entusiasmo, il suo rivale)"
Stamane Corradino Mineo, direttore di Rainews24, ha offerto lo spazio in tv affinché abbia luogo il tanto atteso confronto fra i tre candidati alla segreteria PD. Anche dalle pagine di l’Unità.it ci si chiede perché. Il problema è: o qui si fa il PD, si fa il Partito Democratico per eccellenza, che pratica la democrazia come metodo, e lo fa sempre, oppure si perde di credibilità, si rinuncia all’identità che già il nome suggerisce. Che paura possono avere Franceschini e Bersani? Il confronto è fondamentale, è il pane della democrazia. Lo chiamino allora Partito delle Alleanze: risparmierebbero del tempo.
Corradino Mineo, direttore di Rainews 24, ha raccolto stamane, nel corso della trasmissione “Il Caffè”, la proposta avanzata da Ignazio, presente questa mattina in studio, di organizzare un faccia a faccia con gli altri candidati alla segreteria del Pd.
Corradino Mineo ha già spedito una lettera a Pier Luigi Bersani, Dario Franceschini e Ignazio Marino offrendo la propria disponibilità a moderare l’incontro da mandare in onda in diretta su Rainews 24.
Questo il testo della lettera: “Nell’ipotesi che tu possa essere interessato al faccia a faccia tra i candidati alla segreteria del Pd, proposto da Ignazio Marino, Rainews 24 si offre come luogo dell’incontro e io, come conduttore. Se tale proposta dovesse interessarti, ti prego di indicarmi la persona o le persone del tuo staff con cui concordare le modalità, il piano, le regole del dibattito. Cordiali saluti. Corradino Mineo”.
Roma, 15 set – ”Al di la’ delle differenti posizioni politiche faccio moltissimi auguri a Ignazio Marino, ma penso che poi tornera’ ai suoi impegni”. Cosi’ Massimo D’Alema durante la presentazione del Festival della Salute, che si terra’ a Viareggio dal 24 al 27 settembre, ha commentato la candidatura alla segreteria del Pd di Ignazio Marino, che sara’ anche a capo del Comitato Scientifico del Festival, di cui, ha sottolineato D’Alema, ”sara’ il grande protagonista”.
Pare che gli incontri pubblici dei tre candidati alla guida del Pd stiano andando bene ovunque.
un errore pensare che il percorso verso la nuova leadership ia sereno come l’orizzonte del socialismo
il regolamento appare almeno un po’ tortuoso
bisogna sottolineare che alcune vicende politiche come, per esempio, il «Vedremo…» di Rutelli davanti alla prospettiva del grande centro o la ripresa del confronto parlamentare sul testamento biologico favoriscono lo sviluppo di una dialettica che, per la forza degli argomenti, potrebbe rivelarsi particolarmente vivace
non si capisce come mai una formazione nuova, come il Pd, che utilizza strumenti di selezione e di elezione tipici della cultura politica americana, come le primarie, non possa garantire ai suoi iscritti ed elettori di assistere a un confronto diretto, pubblico, trasparente tra i candidati alla segreteria.
Hillary Clinton e Barack Obama pare si siano confrontati pubblicamente 26 o 27 volte, dandosi anche delle belle legnate. Adesso, finita la battaglia, lavorano insieme nell’amministrazione Usa.
se ci fosse un confronto diretto e pubblico prima della fine dei congressi si potrebbero sciogliere dubbi e incertezze, dimostrando anche la piena lealtà tra concorrenti ma solidali con lo stesso progetto
Invece, niente. Sembra che, al momento, nessuna di queste iniziative si possa realizzare. Il candidato che sulla carta è il più debole dei tre, cioè Ignazio Marino (nemmeno citato nella lenzuolata domenicale di Eugenio Scalfari su Repubblica, «Si ricorderà di me dopo il congresso…» assicura il chirurgo), è particolarmente ansioso di avere un confronto pubblico.
Una richiesta ripetuta, poi, in un’affollata assemblea alla festa democratica. Visto che non lo ascoltano, pare che Ignazio Marino stia preparando un’iniziativa clamorosa, magari ricorrendo alla sua lunga esperienza americana.
Mentre Mr b avanza le sue truppe in Spagna a caccia del rebelde El Pais, per costruirsi una nuova dominanza in Europa tramite i media spagnoli e esercitare una pressione a News Corp. di Murdoch con la penetrazione in sudamerica; mentre Mr b attua la sua strategia anti-Ottobre Rosso anestetizzando tutte le bocche critiche che ancor si affacciano nel mare nostrum dell’editoria e delle tv; mentre gli spalloni di Mr b fanno da contrabbasso ai titoli de Il Giornale, ispirati al veleno del feltri-cattivismo, la pratica di rovistare nella spazzatura e negli armadi degli oppositori per ostentarne gli scheletri e indi bastonare il moralista che c’è in loro; mentre Mr b sguinzaglia il talento giuridico di tal Ghedini, avvocato ma anche parlamentare ma anche dipendente di Mr b medesimo, contro le famose dieci domande messe al mondo dalla Repubblica di Ezio Mauro, e ivi rimaste vivendo esse di vita propria e legittimate dalla domanda di verità, cosa fanno a "sinistra"? Quella sinistra, sì, la stessa, che Bersani si gloria di poter ancora pronunciare? Dallo stratega D’Alema e dal suo delfino Bersani non giunge alcun riscontro sulla questione nomine Raitre. Anzi, i due sembrano proni all’idea di una "normalizzazione" della rete, nella linea editoriale e nella pratica di spesa, troppo parca, troppo virtuosa. I dalemiani non si dispiacciono delle querele a La Repubblica, probabilmente. Avrebbero fatto lo stesso. A Red Tv, per esempio, hanno fatto un repulisti. Via questo, dentro quello. Obiettivo: una linea editoriale più consona. A L’Unità stanno facendo pressione a Concita De Gregorio. Il cdr sembra, si dice, essere in difficoltà relazionale con la direzione del giornale. Il D’alema, mirandosi nello specchio, immagina forse d’essere un novello tycoon dell’editoria italiana, immagina per sé il medesimo potere di fuoco di Mr b. Forse aspira alla successione. Forse ne invidia l’armamento. E nel suo piccolo si comporta alla medesima maniera.
Comprare. Se i giornalisti stranieri sono ostili, se le minacce le intimidazioni i ricatti a cui gli editori italiani sono abituati non sono sufficienti allora la soluzione è comprare. Berlusconi punta sulla Spagna: El Paìs e il gruppo di cui fa parte.
Certo c’è in gioco anche l’enorme mercato pubblicitario liberato dall’iniziativa di Zapatero di eliminare gli spot dalla tv pubblica.
l’ingresso di Telecinco, la tv spagnola controllata da Mediaset, nell’azionariato di Prisa avrebbe come conseguenza il controllo di fatto del primo quotidiano di Spagna, El Paìs, la cui penetrazione in Sudamerica è potentissima e il cui prestigio indiscusso.
Negli ambienti della politica e dell’editoria spagnola l’assalto di Berlusconi è dato per imminente: ottobre, forse già settembre. In un seminario del settore che si è svolto nei giorni scorsi sui Pirenei si è parlato apertamente di «italianizzazione» del sistema mediatico.
Gli spagnoli usano il termine italianizzazione come noi usiamo «balcanizzazione»: intendono indebolimento dei controlli e delle regole, guerre sanguinose, potere del più forte sul più debole e, sullo sfondo, corruzione.
È noto che El Paìs ha svolto negli ultimi mesi un lavoro capillare di informazione sulle inchieste che coinvolgono il presidente del Consiglio italiano. Il 1 giugno scorso è stato, insieme a l’Unità che portava la foto in copertina, il solo altro quotidiano europeo a mostrare l’immagine del musicista Apicella sull’aereo di Stato.
ha potuto pubblicare le immagini di Villa La Certosa
L’audience del sito internet del Paìs ha raggiunto in quei giorni tre milioni di contatti. L’informazione che il giornale spagnolo ha continuato a dare, a dispetto delle pressioni diplomatiche, è stata amplissima nei mesi successivi.
Il gruppo Prisa, a due anni dalla morte del suo potentissimo fondatore Jesus de Polanco (detto “Gesù dal Gran Potere”), si trova indebitato per circa 5mila milioni di euro.
errata operazione di fusione tra il comparto della carta stampata (il Pais in testa, primo quotidiano di Spagna per vendite, in buona salute economica) e tutto il settore televisivo di cui fanno parte la tv privata Cuatro, diverse radio e tv locali, un potente settore multimediale: il debito accumulato dalle tv ricade sulla carta stampata.
Il principale concorrente nel settore privato di Prisa è il gruppo Mediapro che fa capo a Jaume Roures, proprietario della Sexta (un’altra importante tv privata) del quotidiano in ascesa Publico e di molti altri media minori
La battaglia per i diritti del calcio ha visto il gruppo Mediapro prevalere su Prisa
Dal punto di vista politico Mediapro è oggi più vicino a Zapatero di quanto non lo sia El Paìs, le cui relazioni col governo socialista si sono andate raffreddando. Tra la Cuatro e la Sexta c’è Telecinco, di proprietà di Berlusconi
Del resto Berlusconi ha sempre sostenuto che il suo ideale sia una tv pubblica senza pubblicità. Di fatto, l’esempio americano insegna, la tv pubblica senza pubblicità tende a marginalizzarsi in favore dei colossi privati. La stessa Bbc, che sempre si chiama ad esempio per sostenere il contrario, sta rivedendo la sua strategia storica.
La situazione generale è dunque favorevolissima al rafforzamento di Berlusconi nel mercato spagnolo. Appoggiato naturalmente dal Partito popolare e non ostacolato da Zapatero, che – scrivono gli editorialisti – ha immaginato un sistema che limitasse lo strapotere di Prisa (non più docile col suo governo quanto era stata filosocialista in passato), sistema che potrebbe infine ritorcerglisi contro.
Berlusconi editore della Cuatro e del Paìs cambierebbe molto il quadro politico anche interno, con il Psoe in calo di gradimento.
Dal punto di vista del Cavaliere, in grandi ostilità con Murdoch, si tratterebbe invece di un notevole rafforzamento negli equilibri del panorama delle telecomunicazioni non solo europee. Gli interessi di Prisa nelle due Americhe sono, si è detto, notevoli. Avrebbe inoltre il controllo su una delle più autorevoli voci libere nel panorama della stampa europea.
I dirigenti di Rai3 trovano doveroso esprimere tutto il loro stupore ed il loro sconcerto per il persistere di notizie relative alla sostituzione del direttore della rete, Paolo Ruffini.
Questa ipotesi non solo non è legata ad una scadenza del mandato ma è priva di qualsiasi motivazione editoriale o professionale e avrebbe effetti fortemente negativi sull’immagine e la credibilità del servizio pubblico mettendo di fatto in discussione la continuità di una linea editoriale vincente
è doveroso sottolineare che questi risultati sono stati resi possibili da una direzione che ne ha costantemente fatto il primo obiettivo da raggiungere, fondandolo sul rispetto del telespettatore e sulla difesa della libertà di manifestazione del pensiero, salvaguardando l’autonomia di ogni dirigente e l’identità delle visioni culturali di ciascuno, e garantendo un’offerta ineguagliata nel campo delle inchieste, della cultura, della satira, della televisione intelligente.
i sottoscritti ribadiscono il loro profondo sconcerto di fronte ad ipotesi che, apparendo prive di logiche aziendali, si prestano ad essere interpretate come un indebolimento di quel pluralismo che è stato giustamente definito dal presidente Garimberti come “il tratto distintivo dell’identità di servizio pubblico”
*Luigi Bizzarri, Mussi Bollini, Annamaria Catricalà, Francesco Di Pace, Maria Vittoria Fenu, Enrico Ghezzi, Stefano Marroni,, Fernando Masullo, Loris Mazzetti, Rosanna Pastore, Lucia Restivo, Lucia Riva, Anna Scalfati, Sara Scalia, Andrea Valentini
La crisi del Partito Democratico si riflette sui media di riferimento del centrosinistra ingarbugliando una matassa capace di legittimare i piani di lottizzazione della Rai “orditi” a palazzo Grazioli.
Difficoltà, quelle della sinistra, capaci dimettere in difficoltà pure l’Unità in mano a Conchita De Gregorio e gettare dubbi tra i giornalisti di Red Tv, dopo il cambio ai vertici deciso alla fine di giugno.
il Cavaliere avrebbe un appoggio da parte dell’ala dalemiana del Pd
L’attivismo di D’Alema, però, non si avverte solo in viale Mazzini.
a Red Tv, ex Nessuno Tv, dove il direttore responsabile Claudio Caprara è stato sostituito da Francesco Cundari, 31enne ex firma del Riformista e del Foglio.
si discute sulle possibilità di Enrico Mentana di diventare direttore del Tg3 ( si parla anche di La7) al posto di Antonio Di Bella o quelle di Gianni Minoli a Rai Tre in sostituzione di Ruffini
Masi deve sbrigare altre richieste di palazzo Grazioli. Tra i corridoi della tv pubblica circolano voci inquietanti. «La Buttiglione non sta usando il lanciafiamme come dovrebbe», oppure «Tanto Sandro Curzi è morto, a Rainews 24 si potrebbe ricavare un altro posto da spartire».
Al posto della Buttiglione dovrebbero arrivare Alberto Maccari, in quota An, con un condirettore di casa leghista, Alessandro Casarin.
Poi toccherà alle redazioni dei tg regionali
Sul posto di Corradino Mineo, arrivato con Curzi, ci si sta ragionando sopra. Su Rai International, invece, diminuiscono di giorno in giorno le quotazioni di Piero Badaloni. An, che tiene molto ai rapporti con gli italiani all’Estero, avrebbe chiesto la sua testa. Possibile anche la sostituzione di Maurizio Braccialarghe, amministratore delegato della Sipra, la cassaforte della Rai. Il nome che circola è quello di Antonio Martusciello, che ha avuto già un passato in Sipra ed ha lavorato pure in Publitalia
Infine Del Noce, non più gradito come una volta a Rai Fiction, che potrebbe cedere lo sgabello a Carlo Rossella o a Clemente Mimum.
Red Tv
Il 22 giugno è stata data notizia dell’arrivo di Cundari al posto di Caprara. L’ordine diventerà operativo dal primo settembre.
L’arrivo di Cundari, deciso nel Cda, grazie al peso di Matteo Orfini, spin doctor di Massimo D’Alema, rischia infatti secondo alcuni redattori di far diventare «questa Radio Radicale televisiva» un nuovo «ufficio stampa dei dalemiani».
In redazione si scherza sulla nuova “D’Alema Tv”, che ha 4,1 milioni di euro di contributo pubblico.
Mario Adinolfi, vicedirettore ci ragiona sopra, ma non troppo: «La trasparenza di solito è un’arma vincente» scrive sul suo blog smentendo la notizia che la decisione dell’avvicendamento sia stata presa di notte. La sensazione che circola a palazzo Grazioli è che «D’Alema abbia giocato come al solito in sordina per tutti questi mesi».
Poi si sia deciso a dare la zampata, forse anche in chiave del congresso del 25 ottobre.
L’Unità
L’arrivo delle risorse della Cgil nel quotidiano fondato da Gramsci, stanno iniziando a creare non pochi problemi nella redazione di via Benaglia. Si parla diffusamente di «scazzi» e «sfuriate».
Il vicedirettore Giovanni Maria Bellu, scelto dalla De Gregorio come condirettore, è stato bocciato dai redattori. La direttrice voleva sostituire all’Economia Rinaldo Gianola, ma la Cgil l’ha dissuasa. «La sensazione è che la nave corra senza timoniere»
la De Gregorio non è stata neppure invitata alla Festa democratica di Genova
Bisogna ricordare. Poiché dimenticare da dove si è partiti può essere un danno molto grave. Ricordarsi allora della scalata UNIPOL e del "facci sognare", ricordarsi dell’autorizzazione a procedere nei confronti del Sen. Latorre negata dal Senato per una questione procedurale e di interpretazione (la mancata iscrizione nel registro degli indagati, in conseguenza della richiesta di autorizzazione di utilizzazione delle intercettazioni, è perno della relazione D’Alia). Ricordare è quello che non fanno sia la Bindi che la Serracchiani, che si scannano nel vuoto discorsivo. Loro, in quanto donne, dovrebbero inserirsi a piè pari nel dibattito sulle mozioni e riportare in luce e criticare la dimensione mercificatoria che la destra e Mr b fanno del corpo femminile; dovrebbero confrontarsi sui temi della RU486 e ribadire la centralità del diritto individuale; dovrebbero alzarsi e pretendere per il partito una nuova moralità politica.
il caso Unipol che fine ha fatto?”, Massimo D’Alema e i suoi fedelissimi ritengono che la gente ormai se lo sia dimenticato e conseguentemente si stanno riprendendo il partito, si accingono a riprendersi il partito, mandando avanti Pierluigi Bersani.
In realtà questo processo riaccenderà, si spera, i riflettori su uno scandalo che non è stato affatto archiviato, perché c’era stato raccontato che, a differenza della scalata di Fiorani e della Popolare di Lodi all’Antonveneta, invece la scalata della Unipol alla Banca Nazionale del Lavoro era tutta regolare
La Procura di Milano, in un’udienza preliminare che sta durando da più di un anno, vuole che venga processato e conseguentemente rinviato a giudizio un bel po’ dei processati inizialmente ipotizzati
concorso nell’aggiotaggio, che avrebbe commesso Consorte, ossia nella turbativa del mercato nel momento in cui Consorte intestava occultamente a prestanomi suoi le quote della Banca Nazionale del Lavoro
Sapete che i politici coinvolti in quella scalata erano almeno tre: erano Piero Fassino, segretario dei DS, Massimo D’Alema, sostegno forte a Giovanni Consorte e poi Nicola Latorre, l’uomo di mano di D’Alema per queste e altre vicende, quello del pizzino, quello che è solito passare pizzini a esponenti del centrodestra in televisione
questo terzetto di dirigenti dei DS fu beccato al telefono con Giovanni Consorte nei giorni caldi della scalata, a scambiare informazioni anche riservate, illegali secondo i Pubblici Ministeri, almeno nel caso di D’Alema e di Latorre
Fassino ha una posizione diversa, perché Fassino fu avvertito a cose fatte, era un po’ l’ultimo a sapere poveretto, era il segretario del partito e non gli dicevano mai niente. Quindi, secondo la Procura, non solo Fassino non ha commesso reati, ma anche nelle telefonate con Fassino Giovanni Consorte non ha commesso reati e conseguentemente, per quelle telefonate, va prosciolto
scrivono i giudici che il tenore delle telefonate di Consorte a Fassino o tra Consorte e Fassino ha un contenuto informativo assai povero, al di sotto di quanto Fassino stesso avrebbe potuto leggere sui giornali: non gli dicevano niente, gli dicevano poco e glielo dicevano anche tardi, dopo che era uscito sui giornali
ci sono le telefonate di Consorte con Latorre e con D’Alema e spesso era Latorre a passare il telefono a D’Alema, che parlava con Consorte sul cellulare di Latorre
Qui le cose cambiano: scrivono i magistrati, proponendo che Consorte venga processato anche per insider trading
Consorte in quelle telefonate non è così vago: anzi, il 6 e 7 luglio offre a Latorre informazioni che non stanno sui giornali e il 15 luglio – siamo nel 2005 – ribadisce di avere già il 51, 5% della Banca Nazionale Del Lavoro”, notizia che effettivamente non era pubblica, anche perché sopra il 30% avrebbe dovuto lanciare l’Opa e qui aveva già il 51% e l’Opa pare che non l’avesse ancora lanciata
Conseguentemente la notizia non solo non era pubblica, ma era la notizia di un reato che si stava commettendo
perché non ci sono, insieme a Consorte, gli ipotetici concorrenti nel reato di insider trading? Cioè perché non ci sono Latorre e D’Alema?
la Procura di Milano aveva intenzione di indagare anche loro per concorso nel reato commesso da Consorte: aveva chiesto alla Forleo, la quale aveva inoltrato al Parlamento quelle telefonate, per avere l’autorizzazione a utilizzarle in base alla legge Boato
Il Parlamento aveva fatto il pesce in barile per un bel po’, aveva massacrato di botte la Forleo, la quale è stata poi cacciata da Milano da un Consiglio Superiore supino e obbediente agli ordini politici
la Procura di Milano ha reiterato, attraverso un altro G.I.P., al Parlamento la richiesta dell’utilizzo delle telefonate di Latorre e il Senato ha risposto picche per la seconda volta
Intanto D’Alema se l’era svignata, sostenendo che all’epoca delle telefonate lui non era parlamentare italiano, ma era parlamentare europeo e che quindi la richiesta di autorizzazione all’utilizzo delle telefonate andasse inoltrata al Parlamento europeo. Anche lì il Parlamento europeo, con il contributo fattivo dei Deputati italiani di centrodestra e di centrosinistra, compreso Bonsignore, che ha votato per salvare D’Alema, il Parlamento europeo ha deciso che non bisognava autorizzare l’utilizzo di quelle telefonate e conseguentemente, senza la prova contenuta in quelle telefonate, non si possono processare, ovviamente, i due politici
rimane l’aspetto politico, ovvero rimane l’aspetto di una scalata bancaria per la quale stanno per essere rinviate a giudizio una ventina di persone, banche, banchieri, dirigenti, affaristi, finanzieri etc. etc., ritenuta illegale, ritenuta viziata da reati di aggiotaggio e insider trading, alla quale contribuivano addirittura, in telefonate che costituiscono reato a carico di Consorte, perché nei suoi confronti quelle telefonate possono essere utilizzate, due dirigenti dell’attuale Partito Democratico, che praticamente se, come pare, Bersani vincerà il congresso, saranno i veri azionisti di maggioranza del Partito Democratico, visto che Bersani è uomo di D’Alema, appoggiato ventre a terra da Massimo D’Alema e dal suo entourage, Latorre in primis.
Versione senatore Latorre: – è fumus persecutionis; – GIP ha formulato ipotesi accusatorie; – motivazione ultra petita, posizione colpevolista del GIP; – sede non appropriata alla valutazione colpevolezza imputato; – in virtù dell’art. 184 TU DL 58/98, che "vieta di acquistare, vendere o compiere altre operazioni su strumenti finanziari utilizzando informazioni privilegiate", le sue dichiarazioni risultano assolutamente "neutrali", quindi non in grado di alterare il prezzo di mercato; – solo "scambio di notizie; – il titolo BNL non subì variazioni; – il GIP decide per la trascrizione delle intercettazioni prima dell’udienza preliminare (art. 268 c. 6, CPP); – fatti ampiamente noti; – interesse della politica per l’operazione; – i magistrati milanesi hanno ammesso che, al di fuori delle intercettazioni, non è emerso nulla a carico del parlamentare; – hanno indagato senza averlo iscritto nel registro degli indagati;
Versione Relazione D’alia:- punto di vista procedurale: (rif. norm.: art. 3 c. 6 L. 140/2003 e sentenza 390/2007)
D’Alia: prima iscrizione registro indagati, poi richiesta uso intercettazioni;
PM: la mancanza dell’autorizzazione, prevista dall’articolo 6 della legge n. 140 del 2003, impedisca di utilizzare le intercettazioni ai fini dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato dell’interessato e renda pertanto impossibile procedere a tale iscrizione qualora gli elementi a carico del parlamentare emergano solo dalle intercettazioni medesime;
D’Alia: in CPP, la nozione di utilizzazione è tecnicamente riferita al piano probatorio; il divieto di utilizzabilità in mancanza dell’autorizzazione non impedisce l’impiego degli "elementi di conoscenza" come fonte di innesco di una investigazione;
– lesione diritto difesa del parlamentare interessato: sua mancata registrazione gli impedisce di partecipare all’udienza stralcio (art. 268, c. 6, CPP); – mancata interlocuzione del parlamentare può privare il Senato di elementi di conoscenza utili; soluzione interpretativa fatta propria dall’autorita giudiziaria richiedente appaia altresı quella meno compatibile con il principio di leale collaborazione fra i poteri dello Stato, implicando la possibilità che la Camera competente debba effettuare le sue valutazioni sulla base di un materiale incompleto e, quindi, astrattamente fuorviante.
«Sarà un congresso vero, non lacerante», secondo Rosy Bindi, che sostiene Pier Luigi Bersani per la segreteria Pd. Intanto il clima è rovente. Come dimostrato ieri durante un faccia a faccia a Cortina tra la vicepresidente della Camera e Debora Serracchiani, che sostiene Dario Franceschini.
«La candidatura di Franceschini è una contraddizione, non è credibile – dice Bindi – che chi ha sostenuto il programma di Veltroni oggi predichi per un partito completamente diverso. Quella di Veltroni è stata una linea politica fallimentare e Franceschini ha le sue responsabilità.
«Il problema è trasversale – ha risposto Serrachiani – perché gli altri non sono stati in ferie per anni. Ti ricordo che siamo nelle stesso partito non serve litigare. Il segretario che abbiamo avuto aveva il consenso popolare ma non della dirigenza. Il partito è stato gestito da tutti ma solo uno se n’è assunto la responsabilità».
Dunque diciamolo: è morta la dimensione collettiva. Il “noi” che rafforzava i tanti “io” di cui era composto, latita. Era onnipresente, la prima persona plurale. Ora è scomparsa. Non è mai stata facile da declinare: includere l’Ego degli altri, sistemarlo accanto al proprio, non è mai naturale, tocca smussare angoli, reprimere individualismi, concedere generalizzazioni, perdere qualcosa di sè. Però si può fare, anzi: si deve.
Soltanto una massa di “io” ordinati in un “noi”, che li sovrasta e li protegge e li rappresenta, nel corso della storia, ha saputo abolire lo schiavismo, difendere il lavoro, conquistare diritti uguali per tutti, combattere il fascismo. L’individuo, da solo, può regalare all’umanità soltanto il godimento dell’arte. È necessaria, l’arte, ma non è sufficiente. Non oggi e non qui, in Italia.
È tragico usare la paura e la fragilità psichica dei cittadini
Poco meno di metà degli italiani ha cercato, votando il centrosinistra, di segnalare il proprio “no”
Si tratta di milioni di donne e di uomini, dispersi e quindi condannati alla dimensione privata del dissenso: il lamento. Per le donne è una sorta di revival: ve la ricordate la rivolta “da camera” delle nostre madri?
Si lamentavano. Opponevano un fiero cattivo umore ad un destino che vivevano come immutabile. Era il canto della loro sconfitta, il lamento.
Ci dava ai nervi. Giurammo che noi no, noi non ci saremmo sacrificate. Giurammo che avremmo imposto nuove regole, saremmo state parte attiva, a letto, al lavoro, in casa, in piazza. Lì per lì ci illudemmo di aver vinto. Non era così. La rivoluzione delle donne non è stata né vinta né persa. È stata interrotta.
Tutte noi, noi poche, abbiamo, in questi anni, parlato. Sole davanti allo schermo dei nostri computer, come si usa oggi. Abbiamo confezionato tristi arringhe, abbiamo segnalato, puntuali come Cassandre, rischi e degenerazioni. Non è successo niente. Le parole delle donne non pesano un grammo. Per questo bisogna ricominciare daccapo. Portare i nostri corpi in piazza, occupare spazio, farci vedere, farci sentire. Contarci, per ricominciare a contare.
Attenzione: domani Panorama esce con lo scoop! In Puglia D’Alema accusato di aver ricevuto una tangente di 20 milioni. Sì, ma di lire. Panorama non sa che scrivere e allora ripesca negli archivi il proprio scoop del lontano 1985! Quand D’Alema era segretario regionale in Puglia. Oppure legge Wikipedia. E stasera Affari Italiani riporta le notizie fresche avanzando un’ipotesi terribile: lo scandalo che coinvolge la giunta Vendola avrebbe un precedente! Stiamo scemando nel ridicolo. E Panorama farebbe a chiudere per ferie.
Secondo un’inchiesta di Panorama, nel 1985 Massimo D’Alema, allora segretario regionale del P.C.I. in Puglia avrebbe intascato 20 milioni di lire per il partito da parte di Francesco Cavallari, imprenditore barese, "re" delle case di cura riunite. L’episodio sarebbe stato ammesso anche da D’Alema in sede processuale, ed infatti stando a quanto riportato da Panorama il giudice Russi nel decreto di archiviazione del caso avrebbe aggiunto le seguenti considerazioni: "Uno degli episodi di illecito finanziario, e cioè la corresponsione di un contributo di 20 milioni in favore del Pci, ha trovato sostanziale conferma, pur nella diversità di alcuni elementi marginali, nella leale dichiarazione dell’onorevole D’Alema (…)".L’inchiesta sottolinea inoltre come all’epoca dei fatti la vicenda non avesse trovato spazio sulla stampa.
Il presunto intreccio tra politica e affari nella sanità pugliese, sulla quale sta indagando la Procura di Bari, avrebbe un precedente che risale a 15 anni fa.
Lo sostiene nel prossimo numero di Panorama, in edicola venerdì 14 agosto, Francesco Cavallari, ex re delle cliniche private baresi, arrestato nel 1994, che nel giugno 1995 patteggiò la pena di 22 mesi per associazione mafiosa e alcuni episodi di corruzione.
Tra le dazioni di danaro a cui fa cenno Cavallari, ce n’è una di 20 milioni di lire che l’ex re delle cliniche private dice di aver fatto a Massimo D’Alema, ma i pm baresi chiesero e ottennero l’archiviazione dell’accusa per finanziamento illecito ai partiti. Cavallari ricorda: "Io consegnai personalmente a D’Alema 20 milioni in contanti in una busta bianca durante una cena a casa mia.
In altre due occasioni gli diedi due finanziamenti da 15 milioni che gli portai al consiglio regionale. Successivamente gli feci avere altre due tranche sempre da 15: in tutto 80 milioni di lire
I rapporti fra Cavallari e l’ex premier iniziano a metà degli anni Ottanta e durano diversi mesi. "Fu Antonio Ricco, commercialista e direttore generale delle mie cliniche, oggi consulente personale del sindaco Emiliano (Ricco è indagato per corruzione in un’inchiesta sulla costruzione del centro direzionale San Paolo, ndr), a presentarmelo: andava in giro a chiedere soldi per conto del Partito comunista
Cavallari incontrò il funzionario più volte: "Io, nel chiarire la mia posizione a Maritati, spiegai che D’Alema mi era stato molto utile nei rapporti con la Cgil. Dal momento in cui sono iniziate le dazioni di danaro io non sono più stato attaccato violentemente dal sindacato, il rapporto è diventato più collaborativo e garbato
Insomma, il caso del sen. Tedesco lascia esterrefatti: diventa senatore quando ormai tutti sanno i suoi guai con la giustizia. Tedesco è immerso fino al collo in un bel conflitto d’interesse, eppure continuano a spalleggiarlo, con tanto di dispiegamento di forze (D’Alema, Latorre) – solo Italia dei Valori ne denunciò il caso già nel 2007, ma fu zittita. Vendola scarica il barile, finge di non sapere, di essere all’oscuro, ma i suoi assessori, i suoi amministratori erano già corrotti, già portatori del germe dell’illegalità. Tedesco viene candidato al Senato grazie alla buona dote di voti che è in grado di rastrellare in Puglia, grazie alla sua rete clientelare, e questo in Segreteria al PD lo sanno bene e ne accettano la candidatura nel 2008. E’ solo convenienza di numeri, nessuno si preoccupa del suo valore politico-morale. Di questo bisognerà render conto alla attuale segreteria, alla attuale direzione del PD, una volta giunti a Congresso. Marino in Commissione parlamentare d’Inchiesta sul SSN ha avviato per tramite dei sen. Biancone e Cosentino un indagine sui fenomeni di corruzione che interessano il SSN stesso. Il programma dell’inchiesta è stato discusso lo scorso 31 Luglio in seduta segreta: per ora si conosce solo il fatto che l’esame del programma è stato svolto e il programma è stato approvato. Con lo svolgersi delle audizioni capiremo cosa questa Commissione sarà in grado di accertare rispetto a quanto già si sa e a quanto emergerà dall’inchiesta giudiziaria. Certamente si troveranno a parlare di corruzione diffusa e di traversalità politica. Fatto che ripropone per il PD la centralità della questione morale.
una domanda tutta politica: il governatore poteva non rendersi conto di quanto gli accadeva intorno?
L’inchiesta della Digeronimo parte da una serie di minacce e attentati subiti da un giornalista di una radio privata, Alessio Dipalo, che dai microfoni di Radio Regio metteva alla berlina i potentati del paese e muoveva contro la Tradeco accuse di ogni tipo.
Dipalo prima è stato blandito dagli uomini di Colummella con offerte di lavoro. Poi si è incontrato con lui, dopo le pressanti richieste di un boss dei clan locali, e ha visto il cognato dell’imprenditore dei rifiuti, un maggiorente del Pd di Altamura, fare pressioni perché l’emittente cessasse la sua campagna.
nel luglio 2006, subito dopo aver denunciato con un collega, Cosimo Forina, come la Tradeco stesse per aprire una nuova discarica proprio accanto a un sito archeologico, è stato prima pestato a sangue da due malavitosi (uno dei quali oggi pentito) e poi, una mattina, ha ritrovato la propria auto distrutta dalle fiamme.
Dipalo si è trasformato in testimone. Ha raccontato al pm Digeronimo come, secondo lui, funzionava e funziona il sistema Tradeco.
Colummella da semplice meccanico fosse divenuto milionario, fino ad arrivare a lavorare al fianco della Cogeam del presidente di Confidustria Emma Marcegaglia nella costruzione di termovalorizzatori.
l’offerta di una consulenza da 20 mila euro come addetto stampa fattagli, dopo una dura polemica radiofonica sull’inquinamento del suolo, dall’ex direttore della Asl di Bari, Lea Cosentino
La manager costretta in luglio alle dimissioni da Vendola dopo che il suo nome era comparso in un’indagine sugli ospedali pugliesi.
Il giornalista parla anche degli appoggi garantiti al big boss della Tradeco da Alberto Tedesco, l’ex assessore alla Sanità della giunta Vendola
Per Dipalo, che spiega come un pezzo importante dello staff del governatore – dalla sua segretaria particolare al suo portavoce – sia originario di Altamura, è impossibile che Vendola non sapesse con chi aveva a che fare.
"Parlo dal punto di vista politico", dice, "da quello penale, nemmeno mi interessa.
Ed è proprio seguendo la traccia dei rifiuti che s’imbatte nel filone della malasanità. Mette sotto controllo i telefoni e scopre i retroscena dell’assessorato. Gli appalti, le nomine dei primari, gli uomini chiave: tutto, o quasi, appare suddiviso secondo logiche politiche tra destra e sinistra. Il sistema, insomma, è trasversale.
la Svim service, una società d’informatica che nel gennaio del 2008 si è aggiudicata una commessa da 49 milioni di euro: la riprogettazione del sistema informativo sanitario pugliese che la Svim già aveva in gestione.
L’amministratore delegato dell’azienda di servizi è Giancarlo Di Paola, il fratello di un manager già coinvolto nelle inchieste sull’ex governatore di centrodestra e attuale ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto.
Direttore generale, fino a qualche anno fa, era invece Francesco Saponaro, l’assessore al Bilancio della prima giunta Vendola
la Svim tra il 2004 e il 2005, a ridosso delle elezioni regionali, ha finanziato sia i partiti di destra che quelli di sinistra. Qualche esempio: alla Puglia prima di tutto di Fitto vanno 10 mila euro. Altri 15 mila finiscono invece nelle casse della lista dei Socialisti autonomisti del futuro assessore e oggi parlamentare del Pd, Tedesco.
Cinquemila euro vengono poi versati a favore di un candidato di An e 10 mila vengono addirittura spesi per Officina metropolitana, un’associazione legata al Comitato per Vendola presidente.
Tutto è regolare, tutto è registrato. Ma la vicenda è un altro indizio della trasversalità con cui in Puglia vengono conclusi gli affari con la pubblica amministrazione.
Bisogna capire se appalti e finanziamenti nascondano uno scambio di favori.
il caso Tedesco. Nel 2005, quando l’ex socialista era stato imposto come assessore alla Sanità dai dalemiani, Vendola non si era scandalizzato per il suo conflitto d’interessi: i familiari che allora gestivano quattro società fornitrici di protesi agli ospedali.
E quando l’Italia dei Valori aveva denunciato il rischio commistione tra i suoi affari privati e quelli pubblici, Vendola si era schierato dalla sua parte.
Peggio aveva poi fatto il Pd. Quando l’indagine sull’assessore era ormai pubblica, al Parlamento europeo era stato candidato Paolo De Castro che, una volta eletto, avrebbe lasciato la sua poltrona di senatore proprio a Tedesco, garantendogli di fatto l’immunità da un eventuale arresto.
Infatti Tedesco diventa a tutti gli effetti Senatore il 14 Luglio 2009, a scandalo già scoppiato. In quota dalemiana, Tedesco era stato ingraziato alla segreteria veltroniana PD dal sindaco di Bari Emiliano come garanzia di successo nel suo collegio, e figura fra i fondatori del PD in Puglia. – post by cubicamente
Il Sen. Alberto Tedesco sarebbe a capo di una organizzazione criminale in Puglia. Questa la sua carriera politica:
dal 06/05/2005 al 07/02/2008 : Assessore Politiche per la salute Regione Puglia (Partito: SOC.SOCIALDEM-PRI)
dal 18/05/2005 al 21/07/2009 : Consigliere Regione Puglia (Lista di elezione: SOC.SOCIALDEM-PRI)
dal 14/07/2009 : Senatore (Gruppo: PD) – Eletto nella circoscrizione Puglia – Subentrato in sostituzione di Paolo DE CASTRO, dimessosi per incompatibilità (eletto al parlamento europeo) il 14 luglio 2009.
Nel 2008 è diventato senatore per il PD ma è rimasto consigliere regionale in Regione Puglia fino al 14 Luglio scorso quando è subentrato a De Castro. Era già nelle liste PD alle elezioni dell’Aprile 2008. Ma chi lo ha scelto? E sulla base di quale criterio?
Risposta: i criteri
il suo “valore” elettorale – non merito, non capacità concrete, bensì solo perché possiede un nome in grado di attrarre i voti della propria clientela;
scopo: far scattare il premio di maggiornza;
Chi lo ha proposto:
è andato a Roma accompagnato dal sindaco di Bari Emiliano;
faceva parte della corrente veltroniana, essendo stato uno dei fondatori – in Puglia – del PD.
Ora, a voler essere garantisti fino in fondo, bisognerebbe dire “attendiamo l’esito delle indagini e dello svolgersi dell’iter processuale”, ecc. ecc. In ogni caso, adesso, ci troviamo in parlamento un altro inquisito, e per reati odiosi poiché relativi a un settore pubblico, quello della sanità, che ha a che fare con i diritti sociali degli individui, diritti costituzionali, sia chiaro. Questa persona, se vere sono le accuse, ha smerciato coi nostri diritti. Ed era stato candidato dall’allora segreteria del PD per la mera capacità attrattiva di voti. Non so se è chiaro.
Forse è necessario chiedersi se sia giusto sostenere come candidato alla segreteria regionale in Puglia tale Michele Emiliano.
ha buone possibilità di spuntare la candidatura tra gli “eleggibili” del partito democratico nella lista per il Senato.
«Ho partecipato alle primarie per la fondazione del partito democratico in Puglia – afferma – e la componente di cui ero candidato ha ottenuto il 20 per cento, deve pur significare qualcosa»
una candidatura di Tedesco – questo il ragionamento che sta prevalendo – potrebbe richiamare alle urne la componente socialista sulla lista bloccata del Pd. La “dote elettorale” dell’ assessore alle Politiche della salute, del resto, è sperimentata.
Il suo valore elettorale e politico e la circostanza che sarebbe in grado di catalizzare il consenso dell’ area socialista necessaria per far scattare il premio di maggioranza al Senato, sono le uniche ragioni che lo porterrebbero al Parlamento», dicono nel partito democratico per mettere subito a tacere le indiscrezioni sul tormentone del conflitto d’ interessi
«Questo congresso non sarà una rissa sanguinosa, ma un confronto civile, un dialogo tra candidati». Poi, a nome «di tutti i democratici della Puglia» ribadisce il «grande rispetto per la magistratura», ma all’opinione pubblica ricorda , nel mezzo di un lungo applauso,«che questo partito non è un’asociazione a delinquere e non ha nulla a che fare con la criminalità organizzata»
L’incontro, nel corso del quale è stato presentato il candidato dell’area Bersani alla segreteria pugliese, Sergio Blasi, non può che essere l’occasione anche per affrontare quello che qui rischia di diventare uno scontro al calorbianco: la candidatura del super sindaco Michele Emiliano, uomo dal carattere forte, appena uscito vincitore dalle amministrative. «Emiliano ha detto che la sua vuole essere una candidatura unitaria, ma non c’è unità», dice.
Quanto alla campagna congressuale D’Alema scalda la platea ragionando sull’idea di partito che si dovrà costruire. «Bersani ha detto che il Pd è l’erede di 150 anni di storia, che inizia ben prima dei Ds e Dl. È la storia del mondo laico, cattolico e democratico del paese.
«Un partito è fatto anche dei suoi iscritti. E se decidiamo di fare le primarie, allora prendiamo esempio da chi le ha inventate». L’America. Dove ti prendono «per matto» quando gli racconti che qui «da noi vota chiunque».
«i partiti diventano scalabili ed esposti a Opa ostili e invece noi dobbiamo essere esposti a chi ci vuole bene»
avrebbe avuto un “ruolo di vertice” in “un’organizzazione criminale, radicatasi all’interno della pubblica amministrazione, tendente a condizionare le scelte della stessa allo scopo di perseguire i progetti illeciti del sodalizio in esame, che spaziano dallo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, alle forniture dei beni e servizi alle Asl, agli appalti nelle aziende ospedaliere pugliesi
parte del danaro confluito nelle casse di alcune imprese vincitrici di appalti sia poi tornato, almeno in parte, ai partiti o agli stessi politici. E dietro tutto anche l’ombra dei clan.