78% puro Apparato

L’articolo del Corriere di stamane, a firma di Maria Teresa Meli, contiene in sé un dato allarmante, per i cosiddetti “renziani della prima ora”: i sondaggi di De Bortoli e co. spiegano che il sindaco, ancora ufficialmente non candidato, prenderebbe il 78% dei consensi (non si sa bene di chi, se del partito, degli elettori, dei militanti, degli esperti di salamelle). In ogni caso, anche a voler prendere per buono quel dato, ciò significherebbe che una fetta consistente del bacino dei voti di Novembre 2012 si è spostata dalla parte di Renzi, fatto probabile ma difficilmente verificabile poiché la base elettorale di una competizione primaria è altamente volatile, variabile per numero ed età; per provenienza geografica.

Detto questo, gli spostamenti effettivi che si sono verificati, che sono, per così dire, agli atti delle cronache, sono quelli di Fioroni e di Franceschini, truppe comprese. L’allineamento franceschiniano-renziano-fioroniano – capita solo una volta nel calendario Maya, stessa fonte della Meli – di fatto sancisce la fine dell’ esperimento rottamatorio: Matteo, per dirla come Giovanna Cosenza, non può più usare la ‘clava’ verbosa che ha dispiegato sin da Novembre. Non può nemmeno più raccontarci che cancellerà le correnti: ammettendo il sostegno di Franceschini (l’ha rifiutato? no, non ancora) di fatto accetta una seconda lista a sostegno della sua candidatura, prodromo del correntismo renziano nel futuro Partito Democratico. Vedete, la persistenza di liste duplici o triplici è la base per innestare il correntismo. Ogni lista chiederà adeguata rappresentanza in segreteria e, a cascata, per tutti i circoli, dalla sede romana, fino a quelle più recondite, che nemmeno hanno più gli uffici.

Facile a dirsi, “non tratto sulle poltrone”: le poltrone intorno a Renzi sono già tutte occupate. Ma d’altronde, basta aggiungere un posto a tavola che c’è un amico in più.

Sfiducia Alfano: Napolitano ordina, Epifani esegue, Franceschini si frega le mani

Sì, è un fotomontaggio

Sì, è un fotomontaggio

Oggi lo possiamo dire con un certo grado di sicurezza: i famosi 101 hanno un padre ispiratore, un ideatore occulto che si è inventato letteralmente il secondo mandato e ha costruito il governo delle ‘Larghe Intese’. Sì, Giorgio Napolitano.

Napolitano, oggi, si è palesato con alcune dichiarazioni fin troppo limpide: 1) non è possibile nemmeno far vacillare il governissimo; 2) chi lo fa si prende la colpa e non potrà contare sul Presidente per la formazione di un nuovo governo (ergo, se cade Letta si dimette?); 3) l’alternativa è che non c’è nessuna alternativa, pena la gogna finanziaria internazionale. Il governo del cambiamento è stato negato fin dalle origini dal Quirinale. Il Quirinale ha accolto il pavido Bersani, incapace di dire pubblicamente che il governo con il PdL era già nei programmi il giorno dopo le elezioni. Il Quirinale ha accettato una nuova candidatura per un mandato bis talmente irrituale da essere ai confini della costituzionalità. Il Quirinale è la garanzia vivente per la sopravvivenza di Letta quale presidente del consiglio del Governissimo.

La mina del Kazakhstan, esplosa con colpevole e consapevole ritardo (tutto era noto, persino che si trattava dei familiari di un dissidente – poiché così recitò l’Ansa del 31 Maggio), ha finito per rivelare o l’incapacità della gestione Alfano, oppure la sua correità con la deportazione di Alma e Aula Shalabayeva. In ogni caso, sarebbe un ministro da dimissionare. Letta, invece, ha dapprima negato il caso (ed era il 5 Luglio, “non ho letto i giornali”, rispose al cronista de Il Fatto), poi ha emesso, tramite il Consiglio dei Ministri, un comunicato in cui assicurava la correttezza delle procedure seguite dai poliziotti; infine, dopo la lettura dell’informativa ‘urgente’ alle Camere, ha sposato in pieno la linea del ‘non c’ero, non sapevo’ del suo ministro. Di fatto, a questo punto della vicenda, diventata a pieno titolo uno scandalo internazionale, né Alfano né Letta potrebbero rimanere al proprio posto indenni. Ma al tempo delle larghe intese, questo prezzo lo pagheranno altri (tipo, per esempio, gli elettori del PD – e le anime belle).

Napolitano ha stigmatizzato anche lui il caso Shalabayeva. Parla di ‘imbarazzo’ e ‘discredito’ per il paese, ma non di grave violazione dei diritti umani.

Occorre sgombrare il campo egualmente da gravi motivi di imbarazzo e di discredito per lo Stato e dunque per il Paese, come quelli provocati dall’inaudita storia della precipitosa espulsione dall’Italia della madre Kazaka, della sua bambina, sulla base di una sedicente e distorsiva rappresentazione del caso (Il Sole 24 Ore).

“È indispensabile”, ha altresì detto, “proseguire nella realizzazione degli impegni del governo Letta, sul piano della politica economica, finanziaria, sociale, dell’iniziativa europea, e insieme del cronoprogramma di 18 mesi per le riforme istituzionali”. Ecco cos’è il governo Letta: il governo del Presidentissimo, con un programma di riforme pensate e ideate dal Quirinale. Come scrive Civati, “una riforma costituzionale l’abbiamo già fatta. Il presidenzialismo”.

Il rischio Alfano si è quindi trasferito in toto sulle spalle deboli della maggioranza di governo: quelle del PD. Già, perché dinanzi ad una sacrosanta mozione di sfiducia delle opposizioni, la segreteria, su evidente imbeccatura del Quirinale (e pronta adesione dei 101…), ha stabilito tramite il capogruppo Zanda la linea dura: “non ci saranno voti in dissenso” per cui pare evidente che, se anche ben ci saranno, il momento dopo in cui verranno espressi, quei voti non saranno più del PD, ma del gruppo Misto. L’ombra dell’espulsione è solo paventata, ma è evidente, sottotraccia, come un bastone che balena dietro le schiene di energumeni picchiatori. Franceschini, ministro per i rapporti con il Parlamento (che sembra più che altro un ministro per i rapporti del PdL con il PD) afferma:

“È ora di smetterla che quelli che non si allineano alle decisioni del partito fanno la figura delle anime belle mentre gli altri, quelli che ci mettono la faccia, sono i cattivi. Questo non è più tollerabile”.

Non è più tollerabile significa una cosa sola. C’è bisogno di spiegarlo? Il gruppo PD al Senato ha votato quasi all’unanimità per il no alla sfiducia individuale. Si sono distinti in sette, fra cui l’unico superstite fra i renziani, Marcucci (hanno resistito dietro la linea Maginot dell’astensione i soli senatori Ricchiuti, Tocci, Collina, Puppato, Marcucci, Cociancich). La linea dura di Zanda è stata rafforzata con questo passaggio logico: non è un voto di coscienza, è un voto politico (come se la coscienza fosse impolitica). Detto ciò, ha detto tutto: la politica del PD è proseguire il disegno quirinalizio delle riforme in diciotto mesi, mantenendosi al potere con e per il tramite della pletora berlusconiana. Se il governo consegna nelle mani di un dittatore la moglie e la figlia di sei anni (ripeto, sei anni!) di un dissidente, niente importa, vengon prima le miracolose riforme costituzionali.

Ci rimangono Franceschini e il suo volto duro da Sceriffo.

[Dis]Fare il PD

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Ho visto D’Alema balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia

In questi mesi, ha detto oggi Dario Franceschini, ministro del governissimo, siamo passati a riconoscerci non più come ex margherita ed ex ds, siamo passati a riconoscerci addirittura come comunisti e democristiani. E’ pericoloso, avverte. Non possiamo metterci per quattro o cinque mesi in un clima di lacerazioni. Tradotto significa che non possiamo permetterci un Congresso vero, bensì è meglio, per il cheto vivere del governo Letta, un Congresso addormentato e addormentante. Deve prevalere, dice Franceschini, uno spirito “basato su due punti”, il primo dei quali è “difendere il mescolamento che è l’antidoto a quel rischio, se non vogliamo essere ipocriti” (fonte Huffingtonpost.it).

Mescolamento? La neolingua di Franceschini ci mostra la vera linea politica, peraltro espressa limpidamente dal governissimo: il mescolamento. Non siamo ipocriti, dice Franceschini. E in una frase ha legittimato, senza accorgesene (ed è un dramma, per lui in primis), tutti i discorsi di Beppe Grillo sul PD meno L eccetera.

A questa riunione dei ‘big’ (definizione del TG3) del partito, ha esposto il proprio pensiero anche l’ex segretario Pierluigi Bersani. Basta chiacchiericcio, ha detto. Ci facciamo compatire. Di cosa avrebbe paura, Bersani? Il chiacchiericcio è altresì detto dialettica. Senza una libera dialettica, un partito si suddivide in un comitato di affezionati e in una lista di espulsi. “Il percorso verso il congresso”, ha spiegato alla folta platea, “deve essere un luogo [detto per inciso, un percorso è un percorso e un luogo è un’altra cosa, generalmente i percorsi conducono ai luoghi, ma per Bersani non è così] dove ci si confronta senza tirar su bandierine e tutti quanti cerchiamo di dirci, ciascuno con le sue idee, di che cosa dobbiamo discutere”. Ecco, questo è il dilemma: di cosa dobbiamo discutere quando dobbiamo discutere? Per esempio, io suggerirei, di strategie per uscire dalla crisi, di soluzioni al caso degli F-35, di una sacrosanta riforma della legge elettorale. Eppure, grazie anche alla politica del mescolamento, i ‘big’ del PD sono più preoccupati a mandarsi messaggi trasversali e sibillini poiché di questo dobbiamo discutere: del nulla. Per tutto il resto,  se ne discute al caldo dei caminetti e magari in accordo – accordissimo – con pitonesse e capigruppo di bassa statura.

Ho scelto un posto a caso, lo scranno del Segretario

@civati: Ho scelto un posto a caso e dietro di me si sono seduti Bersani e Franceschini. Mi dovrò comportare bene… #opencamera

Comincia così la diciassettesima, pardon, XVII Legislatura. Qualcosa che si annuncia indimenticabile. Nell’arco di due file trovi nientemeno che il primo vice-segretario nonché secondo segretario del Partito Democratico, Dario Franceschini, capogruppo uscente, se così si può dire. Di fianco a lui l’attuale segretario del PD, Pierluigi Bersani, il cui mandato arriverà a naturale scadenza entro breve, brevissimo, ahi lui.
Pensi forse che le cose non siano affatto cambiate, quaggiù, a parte ‘quelli del loggione’, i 5 Stelle, confinati nelle file estreme, in postazioni che ricordano quelle dei Radicali (per dire che non hanno alcun futuro, i cosiddetti pontieri).

Il nuovo. Dov’è il nuovo? A insidiare i ritratti – e le strategie? – dei segretarissimi (il barbuto è anche in pole per una elezione a presidente della Camera), due ragazzi, due passisti scalatori, tanto per usare una ciclistica. Antonio Decaro e Giuseppe Civati. Oramai è chiaro, i due fanno squadra (e spogliatoio).

@orfini @civati @ivanscalfarotto nn perdete dignità no inciuci votate per vs giovani nuovi.Farlo x il futuro sto giro è andata.Disobbedite.

Qualcuno suggerisce soluzioni ‘a sorpresa’.

@civati per spezzare con gli ultimi 60 anni consiglio #Andreotti #opencamera Fri, Mar 15 2013 12:33:21
Domani il mantra ‘bianca, bianca, bianca, Fico, bianca’ sarà finalmente finito. Non per lui, ovviamente.

Roberto Fico alla buvette. I colleghi lo sfottono: “presidente, quanto zucchero?” #opencamera Fri, Mar 15 2013 03:38:12

#Agcom e Pd, la farsa delle primarie interne

Emergono ulteriori e sconcertanti dettagli sul tanto sbandierato metodo democratico scelto dal Pd, e pubblicizzato con grande vanto dai presidenti dei gruppi di Camera e Senato, Franceschini e Finocchiaro, per la scelta dei propri candidati a componente del Garante per la protezione dei dati personali, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e al Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa.

Salvatore Vassallo, sul suo blog, racconta come si è svolta l’assemblea congiunta dei gruppi di Camera e Senato del Pd di martedì mattina. Franceschini ha esordito affermando che era necessario distinguersi da quanto avrebbe fatto il Pdl, che si è accaparrato entrambi i membri che era in grado di eleggere. Il Pd avrebbe proposto un nome, il secondo sarebbe stato “concordato” con l’UDC. Qualcuno (Paolo Gentiloni) ha ricordato al capogruppo il rischio di una Agcom sbilanciata in favore di Berlusconi, con ben due membri in quota Pdl e un terzo perlomeno ambiguo. Franceschini non ha fornito risposte. Nemmeno ora si pregia di rispondere alle domande che gli sono state rivolte via Twitter.

Si è quindi svolta la votazione: le cosiddette “primarie”. Eravamo stati avvisati giorni prima che sarebbe stato possibile mandare i CV di eventuali candidati entro lunedì sera. Gli stessi CV sono stati tenuti riservati fino al mattino successivo, quando sono stati resi disponibili in un’unica copia cartacea, presso il tavolo della presidenza, ma naturalmente nessuno li ha sfiorati. Sono stati solo letti i nomi dei candidati. I prescelti sono con tutta evidenza frutto di un accordo tra due componenti interne al PD, come chiunque intende. Il risultato della votazione non è stato reso pubblico. Sono stati riportati solo i nomi dei prescelti, in base ad un principio di riservatezza che potrebbe forse essere oggetto di una valutazione giuridica da parte del nuovo Garante della tutela dei dati personali (Salvatore Vassallo).

Questo metodo delle primarie interne è stato orientato al massimo grado di democrazia interna al partito ma al minimo di trasparenza. Eppure proprio Dario Franceschini sosteneva l’esatto contrario, vendendolo come “il metodo più trasparente possibile”:

“Nella scelta dei candidati abbiamo seguito il metodo più trasparente possibile facendo votare i parlamentari”, ha tenuto a sottolineare Franceschini.

Chiediamo a @dariofrance di essere più trasparente possibile e di pubblicare l’esito della votazione di martedì. Scrivete sul suo account twitter e sulla sua pagina facebook: https://www.facebook.com/paginaDarioFranceschini

 

La leggina di Franceschini per azzoppare i referendum – il testo

Si fa presto a gridare allo scandalo. All’inciucio. Sarà il caso che approfondiamo i discorsi, una volta tanto. Dario Franceschini ha presentato una proposta di  Legge “in materia di soggetti competenti all’autenticazione delle firme per la presentazione di liste elettorali e candidature e per la richiesta di referendum”. Sempre più spesso – scrive Franceschini – “in occasione di elezioni, si verificano gravi irregolarità legate alle sottoscrizioni false per la presentazione delle liste elettorali e delle candidature nonché delle richieste di referendum”, il che è vero, verissimo, direi quasi sacrosanto. Ma bisognerebbe anche specificare meglio e dire perché si vuole sottoporre alla medesima disciplina la raccolta firme per i referendum. I referendum sono già sottoposti a una verifica ben più rigorosa da parte della Cassazione, rispetto invece alle liste elettorali, per le quali i controlli da parte della Commissione Elettorale Circondariale risultano un po’ superficiali, come dimostrano i casi ‘Firmigoni’ e delle sotto-liste pro-Cota in Piemonte.

Il problema delle «firme false» ha assunto una dimensione che non è più accettabile. La gravità della questione si riscontra soprattutto nel fatto che la partecipazione di una lista «non legittimata» alla competizione elettorale rischia di alterare il giusto risultato e quindi di comprimere la volontà popolare posta alla base della nostra democrazia rappresentativa. La gravità di tali condotte non si riduce, quindi, a mere questioni burocratiche: esse, al contrario, minano «dal basso» la trasparenza e la legalità del procedimento elettorale. Il caos che ogni volta ne deriva suscita profonda sfiducia nell’elettorato circa la possibilità di uno svolgimento corretto delle competizioni elettorali, gettando discredito sul sistema politico stesso.

Ora non sbraitate, il problema delle firme false ‘esiste’. Non gridiamo al golpe anche questa volta. Franceschini è mosso da una volontà riparatrice nei confronti di un comportamento illegittimo che deturpa la democrazia poiché colpisce la libertà di scelta dell’elettore. Quindi l’intento del capogruppo PD è sensato, la formulazione del testo può essere corretta. Risulta infatti poco approfondita la spiegazione sul perché far rientrare i referendum nello stesso calderone. Ipotizzare due percorsi diversi per l’accertamento dell’autenticazione delle firme non è blasfemo. Diamo a Franceschini il tempo di precisare meglio la sua proposta.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. L’articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«Art. 14. – 1. Sono competenti ad eseguire le autenticazioni che non siano attribuite esclusivamente ai notai e che siano previste dal testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, dal testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, dalla legge 8 marzo 1951, n. 122, dal testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108, dal decreto-legge 3 maggio 1976, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 1976, n. 240, dalla legge 24 gennaio 1979, n. 18, e dalla legge 25 maggio 1970, n. 352, i notai, i cancellieri dei tribunali e i cancellieri delle corti di appello, i segretari comunali e provinciali, i sindaci e i funzionari comunali appositamente delegati dal sindaco.
2. L’autenticazione di cui al comma 1 del presente articolo deve essere compiuta con le modalità stabilite dall’articolo 1, comma 1, lettera i), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445». (Atto Camera n. 4294).

Molise, l’ovvia colpa di Grillo e le circonlocuzioni di Bersani

Bersani sul Molise fa un passo di danza e una capriola, smarcandosi da Franceschini che stamane figurava come il principale – e frettoloso e superficiale – commentatore del risultato delle elezioni regionali. Se Franceschini sostiene che la sconfitta in Molise è tutta “colpa di Grillo” che avrebbe sottratto – rubato? – i voti al centrosinistra nella configurazione a tre inaugurata a Vasto (che novità!). Per il segretario, invece, “si può sempre intercettare meglio ma basta guardare i dati, abbiamo rimontato di venti punti, un risultato che avrei preferito fosse migliore, certo, ma francamente non se me l’aspettavo, insomma ci siamo andati vicino”.

Eh, quel ci siamo andati vicino sa proprio di beffa, non è vero? Il vicino che intende Bersani è vero solo in termini percentuali, poiché in termini assoluti il centrosinistra, rispetto alle precedenti elezioni regionali svoltesi nel 2006, è passato dai 95.010 voti agli 87.637, che significa -8% (stesso discorso vale per il PdL – non festeggiare troppo, Alfano – che passa dai 112.152 voti del 2006 agli 89.142 di quest’anno, -20%).

“Un risultato”, continua Bersani, “che è stato compromesso dalla dispersione, di questo bisogna prendere atto e farcene carico”. La dispersione è, nel favoloso mondo di Bersani, il voto andato al Movimento 5 Stelle: 10.650 elettori che, anziché scegliere l’astensione, hanno deciso di far valere il proprio voto al di fuori della dicotomia candidato PdL e candidato ex PdL. E la profonda analisi del segretario continua con questo formidabile pensiero:

“I grillini hanno pescato da tutti i lati, ribadisco che quel movimento ha elementi di cui vogliamo tenere conto. Sono importanti sia le ragioni che di chi vota, sia di chi non vota e anche chi per disaffezione disperde il proprio voto. Io voglio confrontarmi con tutti ma dico anche, a chi ha voce in capitolo, che c’è Cota in Piemonte e Iorio in Molise non mi sembra un gran risultato per questo movimento”.

Segretario, Cota in Piemonte e Iorio in Molise sono il risultato della stessa medesima coazione a ripetere: quando il PD rimane chiuso in sé stesso, non fa le primarie, non s’apre alla discussione pubblica, non incontra la domanda di partecipazione dei cittadini, allora il PD perde. Guarda caso il M5S ha successo in Emilia-Romagna, dove il PD è egemone nelle istituzioni politiche ed economiche da quarant’anni; in Piemonte, dove la presidente uscente Bresso esprimeva una politica vecchia e incapace di farsi carico della domanda di partecipazione alla deliberazione che proviene dalla Val Susa e dai cancelli di Mirafiori; e in Molise, dove il centrosinistra ha organizzato delle elezioni Primarie per scegliere un ex PdL.

Proprio così: Paolo Di Laura Frattura, imprenditore, attuale presidente di Unioncamere, è stato candidato nelle liste di Forza Italia, al fianco di Iorio, prima nel 2000 e poi nel 2005. Se poi pensiamo che in Molise l’Idv di Di Pietro ha candidato il figliol prodigo dell’ex magistrato di Mani Pulite, Cristiano, allora vien da chiedersi se il problema non sia più generale e non investi tutto l’asse della coalizione molisana di centrosinistra, troppo simile nella pratica politica a quella del centrodestra per potersi distinguere e farsi riconoscere.

 

 

 

 

 

Cittadinanza, la Camera discute il DDL del Governo. Verso la “cittadinanza a ostacoli”.

Acquisizione Cittadinanza

La seduta odierna alla Camera ha visto la discussione dei DDL relativi alla modifica della legge 91/1992 che disciplina l’acquisizione della cittadinanza. In Commissione è stato approvato a maggioranza un testo unificato dei vari progetti presentati, che di fatto non piace né al PD, né ai finiani, fra i quali spicca il deputato Granata, autore insieme a Andrea Sarubbi del PD del testo della cosidertta “cittadinanza breve”, più volte teorizzata da Gianfranco Fini nei suoi interventi in pubblico e invece invisa alla Lega. Le modalità di acquisizione della cittadinanza dividono lo schieramento parlamentare: secondo la relatrice Isabella Bertolini (PdL), il testo elaborato in Commissione è un tentativo

“di adeguare le esigenze che sono emerse nel corso di questi anni, sulla base del principio che tra tutte le proposte di legge in esame, che sono ben quindici, è rilevabile che la cittadinanza non debba più essere un acquisto automatico a seguito della permanenza sul territorio italiano per un determinato numero di anni, ma debba costituire il riconoscimento di un’effettiva integrazione, una cittadinanza quindi basata non su un fatto quantitativo, bensì su un fatto qualitativo (fonte: stenografico assemblea Camera);

di fatto però chi ha elaborato il DDL della maggioranza intende il percorso di integrazione come qualcosa che precede l’acquisizione della cittadinanza e non si capisce come possa una persona integrarsi sul territorio italiano rimanendo per anni “straniero” pur avendo lavoro, famiglia, casa, pur conoscendo la lingua e la cultura. Viceversa, l’approccio del testo Sarubbi-Granata è diametralmente opposto e prefigura l’acquisizione della cittadinanza come propedeutica all’integrazione.
Di fatto, in mancanza di politiche concrete volte a favorire l’integrazione, l’acquisto della cittadinanza si trasforma in un percorso a ostacoli in cui nemmeno più vi è la garanzia della scadenza temporale: infatti, passati i dieci anni di residenza continuativa in Italia, non vi sarà alcun meccanismo automatico di conferimento della cittadinanza, ma ciò sarà dipendente dallo svolgimento di un “percorso di cittadinanza”. Lo straniero dovrà addirittura frequentare un corso della durata di un anno, al termine del quale otterrà la patente di “italiano”, per così dire. Addirittura, gli verrà chiesto di giurare sulla Costituzione, come fanno i ministri quando entrano in carica, e in conseguenza di questo riceveranno in omaggio la Costituzione.
Per Italo Bocchino (PdL), il testo della relatrice Bertolini è “un ottimo testo di partenza” ma naturalmente “bisogna essere pronti al dialogo e alla discussione […] dobbiamo essere attenti attenti a non politicizzare questa riforma, altrimenti non la facciamo […] siamo convinti di trovare una convergenza con gli altri gruppi parlamentari” (fonte: stenografico assemblea Camera). Casini (UDC) invece sembra aver aperto spiragli per il testo Sarubbi-Granata, ma continua a prefigurare l’acquiizione della cittadinanza come un aspetto terminale di un percorso integrativo:

è questo, dunque, il momento di andare oltre, potenziando il meccanismo dello ius soli che attribuisce la cittadinanza a colui che nasce nel territorio dello Stato indipendentemente da quella dei genitori. Oltre a ciò, è l’intero orizzonte politico e culturale a suggerire una radicale capacità di adeguamento degli istituti, anche giuridici, della vecchia statualità nazionale, alle nuove sollecitazioni dell’epoca attuale. Occorre, inoltre, partire dal concetto che la cittadinanza non è di per sé un fattore di integrazione, bensì l’arrivo di un percorso di integrazione culturale. Essa, infatti, non costituisce soltanto un riconoscimento di una lista di diritti, ma rappresenta qualcosa di più strettamente connesso con i principi fondamentali e con i valori fondanti della nazione (fonte: stenografico assemblea Camera).

Invece Dario Franceschini è stato polemico con la proposta PdL di rimandare il tutto al dopo-elezioni regionali e dice con fermezza di cominciare da questa discussione a verificare “se c’è una corrispondenza tra le parole, anche importanti, pronunciate da molti esponenti e leader della destra di fare un passo avanti sul tema della cittadinanza”.

Trovo assolutamente sgradevole, sbagliata e da respingere l’affermazione – che prima correva nei corridoi, adesso è stata pronunciata in Assemblea – secondo la quale dovremmo rinviare l’approvazione della legge sulla cittadinanza a dopo le elezioni regionali. Io debbo chiedere: che cosa c’entrano le elezioni regionali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)? Se una norma è giusta e va incontro ad un principio costituzionale, si può pensare di approvarla o meno prima o dopo le elezioni regionali perché questo potrebbe spostare in termini di consenso e di voto? Ma chiedo, che rispetto è degli elettori questo: «La facciamo dopo perché così avete già votato!» (fonte: stenografico assemblea Camera).

Già E’ forse ora che la fronda dei finiani si faccia finalmente vedere in Parlamento e voti secondo quello che va affermando.

  • Testo unificato della Commissione
    • Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza.
    • Art. 1. – (Condizioni per l’acquisto della cittadinanza).
    • 1. Il comma 2 dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:«2. Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni sino al raggiungimento della maggiore età e che abbia frequentato con profitto scuole riconosciute dallo Stato italiano almeno sino all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione diviene cittadino se dichiara, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, di voler acquisire la cittadinanza italiana».

    • Art. 2.  – (Condizioni per la concessione della cittadinanza).

    • 1. La lettera f) del comma 1 dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

      «f) allo straniero che risiede legalmente e stabilmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, previo svolgimento del percorso di cittadinanza di cui all’articolo 9-ter».

    • Art. 3. –  (Percorso di cittadinanza).

    • 1. Dopo l’articolo 9-bis della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è inserito il seguente:

      «Art. 9-ter. – 1. L’acquisizione della cittadinanza italiana nell’ipotesi di cui all’articolo 9, comma 1, lettera f), è subordinata:

    • al possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo
    • alla frequenza di un corso, della durata di un anno, finalizzato all’approfondimento della conoscenza della storia e della cultura italiana ed europea, dell’educazione civica e dei princìpi della Costituzione italiana, propedeutico alla verifica del percorso di cittadinanza;
    • ad un effettivo grado di integrazione sociale e al rispetto, anche in ambito familiare, delle leggi dello Stato e dei princìpi fondamentali della Costituzione;
    • al rispetto degli obblighi fiscali;
    • al mantenimento dei requisiti di reddito, alloggio e assenza di carichi pendenti necessari per ottenere il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, di cui all’articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
    • L’accesso al corso di cui al comma 1, lettera b), è consentito allo straniero che risiede nel territorio della Repubblica da almeno otto anni, su sua richiesta.
    • Il procedimento amministrativo relativo al percorso di cittadinanza deve concludersi entro e non oltre due anni dalla data di presentazione della richiesta di iscrizione al corso e comunque non prima del compimento del decimo anno di residenza legale nel territorio della Repubblica
    • Il decreto di acquisizione o di concessione della cittadinanza acquista efficacia con la prestazione del giuramento, che avviene nella sede della prefettura-ufficio territoriale del Governo competente per territorio in base alla residenza
    • L’interessato presta giuramento pronunciando la seguente formula: «Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi, riconoscendo la pari dignità sociale di tutte le persone»

Posted from Diigo. The rest of my favorite links are here.

Legittimo Impedimento, il testo Vietti divide il PD.

Di Legittimo Impedimento se ene era già parlato qui. Ora la notizia è che D’Alema avrebbe dato l’assenso a trattare sul testo proposto, che introduce una sorta di moratoria esplicita ai processi che coinvolgono il (finto) premier nell’attesa di approvare un lodo Alfano bis con legge costituzionale. Secondo D’Alema:

«I comunisti italiani hanno sempre dovuto difendersi dall’accusa di “inciucio”. C’era sempre qualcuno più a sinistra. Io penso però che alcuni “inciuci” come l’articolo 7 della Costituzione che è il più grande degli “inciuci” sono stati molto importanti per la convivenza nel nostro Paese».

Il riferimento all’articolo che regola i rapporti fra Stato e Chiesa serve a D’alema per far passare l’idea che, talvolta, gli accordi sono necessari e salutari. Per D’alema, collaborare con la maggioranza su leggine ad personam che salvaguardino Mr b dalla Giustizia, è “importante per la convivenza nel nostro paese”. L’apertura di D’Alema riguarda le bozze di documenti presentate in Parlamento sul tema del Legittimo Impedimento, in special modo il testo Vietti. L’articolo 1 recita così:

al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei ministri il sereno svolgimento delle funzioni attribuitegli dalla Costituzione e dalla legge, costituisce suo legittimo impedimento, ai sensi dell’articolo 420-ter del codice di procedura penale, a comparire nelle udienze dei procedimenti penali quale imputato […]

di fatto si vuole condonare la posizione di Mr b diciamo “pro tempore”. La ragione? Dobbiamo fare la legge costituzionale. E per fare la legge costituzionale ci vuole tempo, e soprattutto voti, che oggi non si hanno ma che l’improvvisa ondata di buonismo istituzionale potrebbe rendere concreti. Dico potrebbe perché i veltroniani, per bocca di Franceschini, novello capogruppo alla Camera del PD, si è pronunciato oggi contro ogni dispositivo di legge che assolva il (finto) premier dai suoi impegni giudiziari. Ovvero, metà PD, quello uscito sconfitto dalle primarie, è contro un mini lodo che estenda il legittimo impedimento alle attività istituzionali del presidente del Consiglio, e pure contro la disciplina del processo breve. L’altra parte, quella dalemiana, invece, intende dare il consenso all’iniziativa del deputato dell’UDC. Insomma, la strategia è la solita: politica dell’appeasement per favorire un’intesa con l’UDC a partire dalle Regionali; contemporaneo isolamento e criminalizzazione dell’IDV di Di Pietro. Tutto ciò al fine di scongiurare le elezioni politiche anticipate, invise tanto al PD che all’UDC, che Berlusconi potrebbe brandire come un coltello all’indomani del ritorno alla battaglia politica dopo il restauro chirurgo-plastico in Svizzera. In caso contrario, apertura all’IDV per una corazzata anti-Silvio.

La politica del PD però è ben lungi dall’essere coerente con il ruolo che il partito stesso aspira ad avere, vale a dire quello dell'”alternativa”. Il PD mostra di non avere superato le ambiguità insite nella sua genesi. Il partito continua a essere un partito doppio: da un lato Letta e la “gaffe” del diritto berlusconiano a difendersi “dal processo” e non solo “nel processo”; dall’altro, la Presidente Rosy Bindi che va al No B Day e smentisce l’improvvido Letta; ora D’Alema e la sua apertura al testo Vietti e l’opposizione interna di Franceschini. Il PD a due teste è destinato a cadere in rovina, a essere sempre meno democratico, e soprattutto a non avere carettere alternativo, bensì “sostitutivo” al PdL.

In serata, Bersani ha fatto marcia indietro sulle parole di D’Alema, ma i problemi restano e rischiano di aggravarsi se non si sceglie definitivamente il metodo democratico e si lascia dipendere da esso la decisione sulla linea politica.

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    • L’ultimo pasticcio ad personam, ieri in Parlamento, era annunciato dalle parole di Massimo D’Alema al Corriere della Sera: “Se per evitare il processo di Berlusconi devono liberare centinaia di imputati di gravi reati è quasi meglio che facciano una leggina ad personam per limitare il danno all’ordinamento e alla sicurezza del cittadini”.
    • Perché ieri era così importante Vietti? E’ l’uomo che ha tirato fuori dal cilindro la “propostina” di legge in due articoli su cui – con qualche intervento del pidiellino Enrico Costa di cui parleremo poi – che l’aula discuterà
    • La soluzione l’ha trovata il deputato piemontese: “In fondo è un uovo di colombo. Un testo-ponte, per l’appunto, che dichiarandolo apertamente, costruisce una moratoria di 18 mesi che permetta al premier di svolgere serenamente le sue funzioni, e al Parlamento di fare, nel frattempo, una legge costituzionale”. E come si fa? “Con il legittimo impedimento a comparire davanti a un tribunale”
    • Ricordi a Vietti che qualcuno, come Onida, ha detto che sarebbe incostizionale. Vietti sospira: “Penso di no. Ma in ogni caso, la soluzione politica ci sarebbe comunque. Perché prima che il testo possa essere bocciato dalla Corte, si avrebbe in ogni caso il tempo di fare una legge costituzionale”

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Bersani segretario, Bindi presidente. Il PD che non cambia.

C’è posto per tutti, sembra rassicurare Bersani. Fioroni? Rimanga dov’è. Bindi, meglio lei come presidente. Franceschini? Già capogruppo alla Camera. La strategia inclusivista di Bersani è basata sulla dispersione di cariche di partito a pioggia, così, per accontentare tutti. Se Rutelli avesse pazientato, forse gli sarebbe scappato un posticino nel Direttivo, magari la presidenza stessa, ora ceduta alla Pasionaria per controbilanciare la svolta a sinistra emersa col voto delle primarie. Neanche minimamente si discute di temi a carattere politico o sociale che sia. Chi si chiede come opererà Bersani come presidente del consiglio, può trovare la risposta ai propri dubbi osservando come il neo segretario sta gestendo il partito: il suo inclusivismo non è altro che una versione minore del futuro ulivismo, l’accozzaglia partitica, litigiosa, che viene mantenuta a colpi di sottosegretariato. Che miseria.
L’unica incognita la possono rappresentare i 130 delegati appartenenti alla mozione Marino. Accetteranno di sottomettersi al gioco delle regalie di cariche partitiche messo in moto da Bersani? Accetterà Rosa Villecco Calipari la vicepresidenza del gruppo alla Camera?

  • Ignazio Marino, il comunicato:

Domani l’assemblea nazionale eletta il 25 ottobre si riunisce per confermare la nomina di Pierluigi Bersani a segretario del Partito Democratico. Ci aspetta un percorso ancora appassionante di proposte, discussioni, sfide dedicate al futuro del PD e dell’Italia.

Non vi ringrazierò mai abbastanza per il risultato che abbiamo raggiunto, per il coraggio che mi avete trasmesso, ogni volta che ho incontrato lo sguardo di qualcuno di voi o ogni volta che vi ho incrociato sul web.

Sono orgoglioso, ora che lo stupore di questa avventura lascia spazio ad emozioni più riflessive, di aver suscitato speranza, di aver acceso in voi la convinzione di poter cambiare le cose, di aver trovato tantissimi pronti ad accettare e rilanciare la sfida per un’Italia migliore.

378.211 persone hanno sostenuto e votato per me e per la mozione: un numero incredibile per chi solo pochi mesi fa era un semplice e poco esperto senatore.

Ancora grazie. Oggi sento la forza e la responsabilità di questo risultato, so che abbiamo davanti a noi ancora molta strada da fare e che nessuna energia va sprecata.

Continueremo a lavorare sulle idee che hanno unito la mozione, continueremo a spenderci per un Partito democratico più aperto, laico, attento alle persone. Continueremo a fare di tutto per cambiare le cose che in Italia non funzionano.

Non smettete di far sentire la vostra opinione, scriveteci i vostri suggerimenti: stiamo raccogliendo le idee per rilanciare la nostra sfida, per individuare nuovi spazi e nuovi modi per far pesare la nostra voce. So che siamo in tanti, ascolto i vostri messaggi e vi dico che sì, andremo avanti.

Sorprendiamo l’Italia, abbiamo detto. Ora abbiamo molto da fare.

    • «Non esiste incompatibilità. All’Assemblea nazionale sarà uno ilnome che verrà proposto per la presidenza del partito». E quel nome è Rosy Bindi

       

    • Il segretario Pierluigi Bersani anche ieri ha sentito al telefono la vicepresidente della Camera e le ha ribadito che sull’incariconon ha cambiato idea.

       

    • Gestione plurale, la linea, perché «non possiamo mica ragionare “abbiamo vinto e ora alla conquista”», ha risposto a chi gli rimproverava un’eccessiva apertura alla minoranza. In questa direzione «inclusiva », anche l’incontro di ieri con Piero Fassino

       

    • è probabile anche che Beppe Fioroni continui ad occuparsi di Scuola e Formazione e Gentiloni di Comunicazione

       

    • E forse è in questa ottica che Rosa Villecco Calipari o Sandro Gozi (mozione Marino) saranno nominati per una delle due vicepresidenze del gruppo alla Camera

       

    • Mancano 24 ore all’assemblea dei mille che lo investirà ufficialmente come segretario del Pd e Pier Luigi Bersani stringe i tempi e tira le somme di questi primi dieci giorni da leader del Partito democratico

       

    • Ha aperto un dialogo sulle riforme istituzionali specie con Gianfranco Fini e Renato Schifani, dicendosi disponibile a collaborare su legge elettorale, regolamenti parlamentari, Senato federale

       

    • sta lavorando a una difficile impresa: coinvolgere quanto più possibile le minoranze del partito nella nuova gestione, contenendo le perdite conseguenti al suo insediamento e al ritorno alla strategia ulivista di inclusione delle sinistre

       

    • Dopo l’uscita di Francesco Rutelli e il ritiro dalla politica di Massimo Cacciari ieri si è aggiunto l’annuncio di Massimo Calearo – ex presidente di Federmeccanica e uno dei fiori all’occhiello delle candidature veltroniane – che ha comunicato di non riconoscersi in una svolta a sinistra come quella che si sta consumando nel Pd

       

    • A Dario Franceschini, ad esempio, è stata proposta la guida del gruppo alla Camera, e, sia alla sua componente che a quella di Ignazio Marino, verrà chiesto di assumersi la responsabilità di qualche dipartimento nell’esecutivo del Pd, mentre Piero Fassino potrebbe essere confermato nel suo ruolo di responsabile Esteri.

       

    • Per la presidenza del partito c’è da sciogliere il nodo collegato al nome di Rosy Bindi

       

    • ha il problema della doppia carica, essendo anche vicepresidente della Camera. Il Codice Etico del Pd prevede all’articolo 3 l’incompatibilità tra cariche istituzionali e di partito. C’è, però, chi vorrebbe procedere a colpi di deroghe come fa ad esempio Livia Turco

       

    • Quanto alle regionali, la prima posizione in discussione, un po’ a sorpresa, è quella di Mercedes Bresso in Piemonte. Il rutelliano Lorenzo Dellai preferirebbe puntare sul nome di Sergio Chiamparino

       

    • gli ex Popolari dopo l’uscita di Francesco Rutelli dal Pd saranno al centro di un “conclave” in vista dell’assembela di domani al quale sono attesi anche esponenti del mondo associativo e sindacale. Alla riunione parteciperà l’ex ministro Giuseppe Fioroni

       

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Bersani nuovo segretario PD. Marino non ce la fa. Franceschini al 34%.

Risultati quasi definitivi… Scrutinio più laborioso che in Afghanistan.

Pier Luigi Bersani 1.389.68 voti, pari al 52,95%; Dario Franceschini 899.683 voti, pari al 34,28%; Ignazio Marino 335.155, pari al 12,77%. Per un totale di 2.667.939 voti espressi. E’ il risultato delle primarie per l’elezione del segretario del Pd relativo a 8.971 seggi scrutinati, pari al 91%, reso noto dalla commissione per il congresso.

La partecipazione complessiva alle primarie, secondo una proiezione lineare, prosegue la nota della commissione, è di 2.926.971. “Si tratta di dati sostanzialmente completi dei seggi che, sino a questo momento, sono stati imputati nel sistema operativo di conteggio dei voti – si legge nella nota – Sono al 100% dei seggi di Basilicata, Bolzano, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Piemonte, Sardegna, Toscana, Trento, Valle d’Aosta, Veneto”.

“E’ già cominciata nelle commissioni regionali del congresso, che stanno certificando i risultati dei 171 collegi in cui è diviso il territorio nazionale, la certificazione del risultato e sulla base di questo anche l’attribuzione dei seggi all’Assemblea nazionale. Per la sua complessità – conclude la nota – l’operazione impiegherà ancora qualche giorno”.

Aggiornamento al 27/10: e i dati definitivi? Siamo fermi a ieri alle ore 18.47. Non c’è nemmeno il dato finale dell’affluenza. Il numero detto ieri in conferenza stampa da Migliavacca, 2.826.114 persone, è una stima. Lo scrutinio è fermo al 73%. E i segretari regionali? Ci sono solo le agenzie di stampa. Il sito del PD non aggiorna.

Attenderemo.

Bersani Franceschini Marino schede bianche e nulle
regione seggi % assoluto % assoluto % assoluto % assoluto %
ABRUZZO 216 69,00% 24973 51,50% 17157 35,40% 6360 13,10% 533 1,10%
BASILICATA 188 100,00% 35828 56,30% 22664 35,60% 5141 8,10% 2543 3,80%
ALTO ADIGE 20 100,00% 3000 52,60% 1687 29,60% 1020 17,90% 79 1,40%
CALABRIA 236 53,00% 39516 77,20% 9650 18,90% 1989 3,90% 994 1,90%
CAMPANIA 644 83,00% 154622 61,80% 79606 31,80% 16090 6,40% 8467 3,30%
EMILIA-ROMAGNA 998 96,00% 196926 53,80% 124426 34,00% 44468 12,20% 4539 1,20%
FRIULI VENEZIA GIULIA 205 100,00% 23057 45,30% 19834 39,00% 7975 15,70% 678 1,30%
LAZIO 414 56,00% 75821 46,90% 63313 39,10% 22686 14,00% 1906 1,20%
LIGURIA 299 100,00% 44813 51,40% 28345 32,50% 14097 16,20% 979 1,10%
LOMBARDIA 625 45,00% 60844 54,80% 32597 29,40% 17595 15,80% 1018 0,90%
MARCHE 219 59,00% 18515 53,30% 11241 32,30% 5012 14,40% 507 1,40%
MOLISE 38 37,00% 3429 78,20% 955 21,80% 0 0,00% 166 3,60%
PIEMONTE 531 100,00% 83208 53,60% 45220 29,10% 26784 17,30% 2384 1,50%
PUGLIA 128 37,00% 22535 53,10% 17355 40,90% 2527 6,00% 892 2,10%
SARDEGNA 451 100,00% 41837 58,30% 20475 28,50% 9482 13,20% 1521 2,10%
SICILIA 164 33,00% 27704 43,40% 32903 51,50% 3299 5,20% 1536 2,30%
TOSCANA 988 98,00% 121881 46,40% 104912 39,90% 35903 13,70% 2766 1,00%
TRENTINO 74 100,00% 11003 55,00% 6283 31,40% 2704 13,50% 701 3,40%
UMBRIA 90 24,00% 9910 52,10% 6776 35,60% 2332 12,30% 267 1,40%
VALLE D’AOSTA 36 100,00% 1140 49,00% 796 34,20% 391 16,80% 18 0,80%
VENETO 612 100,00% 80970 51,80% 51564 33,00% 23929 15,30% 1313 0,80%
TOTALI 7176 73,00% 1081532 53,30% 697759 34,40% 249784 12,30% 33807 1,60%

Aggiornamento ore 18.30: sezioni 7176 su 10000 (72%)

Candidati
Voti
%
PIERLUIGI BERSANI
1.081.532 53,3
DARIO FRANCESCHINI
697.759 34,4
IGNAZIO MARINO
249.784 12,3

Pierluigi Bersani è il nuovo segretario del PD. Vince con il 52% dei voti. Non avrà bisogno del ballottaggio. Marino si ferma a un modesto 13.8%. Non sfonda al Nord, dove si attesta a percentuali simili a quelle del voto nei circoli. Al Sud è un plebiscito pro Bersani – Campania 75%. Risultato migliore di Marino: Piemonte 18%, Lazio 18%.

Seguirà analisi del voto.

Marino a colpi di bisturi. Anche Il Sole 24 Ore riconosce la sua vittoria nel confronto.

Ancora oggi l’onda lunga del confronto fra i tre candidati alla segreteria del PD che corre sottotraccia alle altre notizie: Marino ribadisce che la laicità è un metodo da praticare non solo a parole, riferendosi esplicitamente alla mozione Franceschini e alla sua improvvisa conversione, che occorre fare un secondo incontro a tre – non nella versione delle interviste separate, ma uno scontro puro, leale, faccia a faccia sugli argomenti. “Da oggi è evidente che è una corsa a tre”, titola un lancio di agenzia che racconta di un Marino alla carica anche verso Repubblica, ancor ieri prudentemente ancorata al concetto del duello fra i due principali candidati solo ora appena infastiditi dal cosiddetto terzo incomodo.E’ dura a morire questa impostazione giornalistica che ha messo fin dall’inizio il senatore in disparte, collocato in una zona d’ombra dalla quale ha fatto emersione nel tempo stesso del palesarsi delle contraddizioni del PD e del suo segretario. Ora il voto dei non iscritti è fondamentale, deciderà il match, e Franceschini arranca su per la salita.

Paola Concia in una intervista a il Corsera ha detto che la Binetti non deve essere cacciata, è il PD che deve dire con chiarezza quali sono i suoi valori fondanti e identitari, e solo allora la Binetti chiederà a se stessa se è il caso di rimanere in un partito che non la contempla nel quadro dei riferimenti valoriali. E poi ha attaccato Franceschini, definendolo Sor Tentenna, rivelando di aver meglio lavorato sui temi dell’omosessualità e dell’omofobia con Gianfranco Fini che con lui. E’ evidente che Franceschini non abbia mai espresso una posizione chiara in merito e anche qualora lo facesse, sarebbe solamente guidato da un principio di opportunità politica e non già da precise ed esplicite convinzioni. Franceschini non crede a nulla, se non alla legge della convenienza.

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    • ”Per ‘La Repubblica’ il confronto si e’ concluso alla pari? Non male per chi fino a poco tempo fa veniva considerato come uno sconosciuto o quasi”. Per il Comitato nazionale a sostegno della candidatura di Ignazio Marino per la segreteria del Pd , le considerazioni da fare al termine del confronto con Pierluigi Bersani e Dario Franceschini svoltosi oggi all’Acquario di Roma, debbono essere improntate all’ottimismo.
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    • “Sarebbe un’esagerazione fare 25 confronti come Obama e Hillary ma un altro sarebbe giusto farlo. Poi dobbiamo sapere che dal 26 ottobre dobbiamo essere tutti uniti”. Lo dichiara Ignazio Marino a margine del faccia a faccia televisivo su YouDem Tv tra i tre candidati alla segreteria del Pd, da poco terminato all’Acquario romano di piazza Fanti.
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    • “Nel Pd i problemi sono grossi, ci sono molti sostenitori di Franceschini che voterebbero come la Binetti sul testamento biologico. Devo fare i nomi: Fioroni, Bianchi, Bosone…E’ facile dire laicita’ e riempirsi la bocca a parole. Bisogna praticare la laicita’”. Lo ha detto Ignazio Marino nel faccia a faccia tra aspiranti segretari del Pd.
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    • In America o in qualunque paese europeo la notizia del dibattito tra i 3 candidati alla segreteria del più grande partito di opposizione avrebbe aperto i giornali.
    • invece, da noi, il confronto corre solo sul web ed è già un miracolo che sia stato fatto
    • Curioso, un partito che ha sempre chiesto a gran voce un confronto pubblico in tv con Berlusconi oggi si mostra reticente nell’offrire ai suoi stessi elettori un vero dibattito democratico
    • Il giudizio dei presenti a sentire il dibattito dal vivo a Roma è che Ignazio Marino sia andato molto bene, molto meglio degli altri 2. Oggi sui giornali questo commento a caldo, condiviso da quasi tutti i presenti ieri, si legge meno ma emerge comunque (Goffredo De Marchis su Repubblica, Zoro su Il riformista).
    • Il chirurgo, invece, ha dato il meglio di sè, soddisfatto di esserci per la prima volta. Marino si è seduto al centro del tavolo e si è divertito. Ha gestito bene i temi. Ad ogni domanda lo stesso schema che funziona: dati, visione del mondo, proposta concreta. Chiaro e puntuale.

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Confronto PD, le reazioni. Record di contatti sul web.

Alla fine tante reazioni, chi parla di pareggio e chi di vittoria, vedi Filippo Penati, secondo il quale Bersani ha stravinto il confronto e non c’è bisogno di un secondo round. A me invece Bersani annoia. Mortalmente. Anche in questa occasione. Sto smettendo di credere che sia colpa mia.
Marino ha mantenuto la fermezza che gli è propria, ha inciso con il suo bisturi e il solo a reagire è stato Franceschini, che come già detto ha ribattuto scatto su scatto diventando anche un po’ scuro in volto. Dicono che i tre nemmeno si sono parlati, prima del match. Che non si siano detti altro che un saluto, breve e asciutto.
Di seguito, l’intervista a Marino dopo l’incontro a tre.

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    • L’ex ministro fuori dallo studio allestito nell’Acquario romano ha detto «è andata bene» ma ha anche chiarito il suo punto di vista su un eventuale bis: «Un partito è una cosa seria, non facciamo di noi oggetto di spettacolo»
    • Disponibili invece sia Franceschini che Marino a ripetere il confronto su qualsiasi rete televisiva, pubblica o privata
    • più di una volta l’attuale segretario ha battibeccato con il senatore chirurgo, quasi la dimostrazione plastica di quanto la sfida delle primarie si giochi, per Franceschini, sul consenso che potrebbe sottrargli proprio Marino
    • Marino, che ha detto no al lodo Scalfari, (questo uno degli argomenti di polemica tra i due) e che potrebbe diventare con i suoi delegati all’Assemblea nazionale, l’ago della bilancia per decidere chi diventerà segretario.
    • Nel backstage prima dell’inizio del faccia a faccia, i tre candidati si sono a malapena salutati, non sembravano emozionati, tutti e tre hanno chiacchierato un pò con i cronisti presenti
    • A fine giornata l’ufficio stampa del Pd ha anche resto noto il boom di contatti sul web, più di 500mila

    • La presenza di una giornalista donna è stata chiesta da Marino, che però aveva pensato alla direttrice dell’Unità, Concita De Gregorio, ma la sua presenza avrebbe provocato una richiesta anche da parte dell’altro quotidiano del Pd, Europa, e così la scelta è caduta sulla Ferrario
    • Marino ha portato con sè una cartellina piena di fogli, «ho bisogno di documentarmi» ha spiegato ai cronisti prima della diretta
    • Mentre Franceschini prendeva appunti su un blocco e Bersani beveva ripetutamente acqua da una bottiglietta nascosta sotto il tavolo
    • L’applausometro ancora una volta sembra premiare Franceschini sull’antiberlusconismo e Marino sulla laicità, ma anche Bersani ha raccolto consensi soprattuto quando ha invocato l’unità del partito
    • Ai giovani spettatori del Pd è piaciuto il senatore chirurgo che ha detto esplicitamente che Paola Binetti andrebbe cacciata dal partito dopo il voto sull’omofobia
    • Le distinzioni si sono registrate prevalentemente sulle questioni interne, come il rinnovamento della classe dirigente, quando Franceschini e Marino hanno criticato la candidatura di Bassolino capolista alla primarie e Bersani ha risposto piccato: «però andava bene quando sostenevano un segretario…»
    • Ma l’unico vero botta e risposta fuori dal regolamento (che prevedeva un rigido ordine di intervento fra i tre) è andato in scena sul conflitto di interessi quando Franceschini ha rimproverato Marino: «Se ti candidi segretario devi usare il noi, io mi sono fatto carico della responsabilità di non aver fatto quella legge anche se non ero in Parlamento»
    • Se ci sarà un bis a questo punto è difficile dirlo, ma le parole di Filippo Penati, l’unico dei coordinatori delle mozioni presente all’Acquario, fugano ogni dubbio: «Bersani è stato il più convincente, non abbiamo bisogno della rivincita»
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    • Sul web vince Marino. Un plebiscito digitale, un’acclamazione in codice binario
    • Durante il confronto su YouDem la galassia dei web-democratici si schiera per il chirurgo di Genova
    • Tribune online aperte ovunque, dal sito ufficiale del Pd a quelli dei tre candidati. Da Facebook e Twitter a quello di Repubblica.it, che durante il confronto raccoglie quasi 1.500 commenti.
    • Il confronto inizia con una domanda sulla sanità. Marino chiede alla platea: “E’ più importante un Pronto soccorso efficiente o il ponte sullo stretto di Messina”
    • E su internet si scatenano: “Bersani è l’alter ego di D’Alema, il responsabile dei più grandi inciuci con Berlusconi”; “Bersani è un fedellissimo di D’Alema, ma anche Franceschini è seguace di Veltroni. A casa tutti e due, rappresentano il Giurassik Park della politica”
    • Alla domanda sull’omofobia e sul correlato caso Binetti i server vanno in tilt. Commenti di pancia: “Fuori la Binetti”; e indicazioni organizzative: “Lei e altri non dovranno essere ricandidati nel PD”, “quando si vota il partito dovrà essere unito”
    • Agli applausi che il chirurgo di Genova raccoglie all’Acquario di Roma fanno eco quelli online. Poi la domanda che tutti si aspettano: quella su Berlusconi. C’è chi non ne può più (“basta con Berlusconi, pensiamo ai programmi”) e chi non vede l’ora di avere “finalmente un opposizione”. Poi i disillusi: “Magari ci fosse un vero antiberlusconiano”. I commentatori criticano soprattutto Bersani e Franceschini, rei di “non aver fatto la legge sul conflitto d’interesse quando era possibile”.
    • “Franceschini si sta innvervosendo, però Marino gli ha fatto tirare fuori che non sarà favorevole al nucleare”
    • Poi la questione alleanze. “Finalmente, qui capiremo qualcosa sul Pd”. Sul web si è aperti a tutte le soluzioni. “Non mollate Di Pietro, altrimenti non vi voto”, “l’Udc vuol dire Cuffaro”
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    • Secondo Ignazio Marino, al di la’ di alcuni “toni esagerati e quindi deprecabili”, l’Italia dei Valori e’ “alleato naturale del Pd”. Il senatore, al dibattito tra i candidati alla segreteria, aggiunge che sulle alleanze occorre guardare a sinistra, oltre che all’Idv: “Dobbiamo attrarre verso di noi le forze della sinistra, che si sono allontanate. Intanto riportiamo a casa quei 4 milioni di voti che si sono persi. Guardiamo alla forze socialista, ambientaliste, radicali”.
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    • Dopo il ‘lodo Scalfari’, Dario Franceschini torna a ‘punzecchiare’ Ignazio Marino durante il confronto tra di candidati alla segretaria del Pd. Le reazioni al Caso Englaro sono la nuova arma polemica di Franceschini nei confronto del senatore del Pd a cui rimprovera, di aver usato in quell’occasione, la vicenda “per marcare una posizione politica” con argomentazione “fatte non per unire ma per dividere”.

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Confronto PD: Marino convince, siti web travolti.

Anche se non l’ho visto – il confronto è andato in onda alle ore 15.00, orario fatto apposta affinché non lo guardasse nessuno – vi racconto il racconto del confronto fra Marino, Bersani, Franceschini.
Franceschini a me pare sia stato quello che ha patito maggiormente gli argomenti di Marino, la sua dialettica al cherosene, il rigore delle posizioni, l’assenza di ambiguità propria che mette in luce l’ambiguità degli altri. Bersani pare anzi voler accogliere con benevolenza alcune delle argomentazioni di Marino, specie le idee in fatto di approccio economico e cambio di paradigma (dal combustibile fossile all’energia pulita), mentre è ben più rigido in fatto di diritti civili e temi etici, direi all’antica. Bersani ha recitato la solita omelia, convicendo forse solo quando espone la sua ricetta di politica economica e di gestione della crisi.
Invece Marino ha gioco facile in fatto di sanità, diritti civili, immigrazione, conflitto d’interesse e alleanze. Aspetti cruciali su cui il senatore mostra d’essere una spanna sopra gli altri, preparato e agguerrito. Di fatto a Franceschini non restava che buttarla in rissa, cosa che peraltro ha cercato di fare ribattendo con frasi piccate quali: “La proposta di Marino, datata 5 ottobre. Dice che le primarie vanno rispettate” (provocatorio sul lodo Scalfari); “Il tuo modello è mandare fuori dal partito tutti quelli che votano come te?” (polemico sulla questione correnti e caso Binetti); “Prova a mettere in campo le tue idee senza dirle da un piedistallo” (in ritardo e sbilanciato sulla questione economia verde e nucleare non gli resta che sbottare così); “Se vuoi fare il segretario comincia a usare il noi e non il voi, io in parlamento dal ’96 al 2001 non c’ero ma mi assumo la responsabilità per il fatto che noi non abbiamo fatto la legge sul conflitto d’interesse” (indignato sull’attacco di Marino per la mancata legge sul conflitto d’interesse). In sostanza, Franceschini ha nuovamente mostrato che, quando è messo in difficoltà, si inacidisce e alza il tono della voce, aumentando negli altri la sensazione di vederlo messo alle corde e a corto di argomenti.
Poi c’è la questione della reazione del web, già pro-Marino nei risultati dei volumi di ricerca dell’undici di Ottobre, giorno della Convenzione. Pare che sul sito de L’Espresso, alla domanda “chi vi ha convinto di più?”, vi sia stato un plebiscito in favore del senatore.

Questo l’aggiornamento dell’indice dei volumi di ricerca che mostra per Marino un nuovo picco:

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  • Abbiamo vinto il confronto! – Ignazio Marino
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    • Marino: “Le cose che non funzionano si possono cambiare, con il voto di tanti italiani possiamo costruire un partito laico, unito, che decide, capace di allontanare questa destra sciatta, illusionista, che non ha il senso del governo. Andiamo in milioni a votare, stupiamo l’Italia”.
    • Marino, parco con le cravatte, oggi ne sfoggia una molto fantasiosa. Rappresenta la favola di Esopo della lepre e della tartaruga. Lui – confessa – si sente la tartaruga: “Che è quella che alla fine vince”
    • Si comincia con una domanda sulla sanità. Tocca a Marino rispondere. Va all’attacco: “La politica deve uscire dal controllo della sanità pubblica. Deve smettere di nominare i primari. Le persone devono sapere che il primario non è quello che è più amico del segretario di partito ma il più bravo”.
    • Bersani parla più generalmente della necessità di “un rinnovamento a partire dal Mezzogiorno ma non solo”
    • Franceschini ripete le stesse parole di Marino: Ma per non esser generici spiega la sua proposta: “Gli assessori regionali non devono nominare i direttori delle Asl che poi nominano i primari, si può fare per legge o con un atto unilaterale nelle regioni in cui governiamo, come propongo io”
    • La seconda domanda è sulle primarie e le regole che le governano. Bersani ammette: “Qualche barocchismo c’è”. E però: “Le regole ci sono, ma poi c’è anche la politica”
    • Franceschini ripropone nettamente il lodo Scalfari: “Chi il 25 ottobre prende un voto più degli altri dovrà diventare segretario, questo è il modo di riconoscere il ruolo dei nostri elettori”. “Su questo mi aspetto risposte chiare”. E tira fuori la prima carta: “La proposta di Marino, datata 5 ottobre”. Dice che le primarie vanno rispettate
    • Marino spiega che prima ancora c’è un principio basilare: “Le regole vanno rispettate”. “Così mi hanno risposto quando ho proposta di allungare di dieci giorno il tesseramento”
    • Terza domanda: caso Binetti, bocciatura della legge contro l’omofobia. “Imparare a far convivere le diversità, rispettarle, ma fare una sintesi”, scandisce Franeschini
    • “Qui si trattava di una norma sacrosanta, la lotta a ogni discriminazione”. Marino risponde spiegando a Franceschini che la Binetti non è il solo caso. E cita Dorina Bianchi, d’accordo con la destra nel chiedere una indagine del senato sulla Ru486. Ricetta: “Quelli che non si sentono laici dentro il cuore, a questo giro perché non li lasciamo a casa”
    • Bersani la vede così: “Non lo ordina il dottore di fare il parlamentare, se sei lì non puoi ragionare solo con la tua coscienza ma devi accettare una disciplina, vale il vincolo di maggioranza salvo deroghe che devono essere stabilite da un organo statutario”
    • Sulla quarta domanda Marino strappa l’applauso. Si parla di diritti civili. Marino espone la sua posizione, ben nota: civil partnership, adozioni ai single. E poi il testamento biologico, battaglia di cui rivendica la partenità. Ma aggiunge anche una novità: “Sono aperto anche sulla liberalizzazione delle droghe leggere”
    • Franceschini prende le distanze. E spiega che i bambini hanno diritto a una “famiglia naturale”.
    • “La sintesi si crea attraverso la laicità, non dicendo io ho ragione tu hai torto”, lo interrompe Marino
    • Quinta domanda: università, ricerca, scuola. “Fermate i carri un attimo, discutiamo per un impegno parlamentare assistito dalle migliori intelligenze che abbiamo in questo paese per una riforma formativa del nostro sistema”, dice Bersani
    • Marino su questi argomenti gioca in casa. Ricorda che da presidente della commissione Sanità del Senato aveva affidato i finanziamenti per i giovani ricercatori a una commissione di cinque ricercatori italiani e cinque stranieri: “La Gelmini ha cancellando tutto, consegnando la scelta ai burocrati del ministero”
    • mette al centro la questione del merito: “Valutazione dei prof in base al merito e quelli che non vogliono, mandiamoli in pensione e sostituiamoli con giovani che accettano di essere valutati”, scandisce
    • “La cultura del merito porta alla libertà individuale”. Merito sì
    • Però Franceschini mette l’accento su un’altra parola: uguaglianza. “Il figlio dell’operaio e quello del notaio devono avere le stesse opportunità”
    • La sesta domanda è una di quelle che divide: Berlusconi, la crisi istituzionale
    • “Del ritornello del dialogo non ne posso più, c’è il parlamento”, attacca subito Franceschini: “Non c’è spazio per dialogo con chi calpesta le regole
    • “Mii metterò di traverso a pacche sulle spalle sorrisi e inciuci che dodici anni fa hanno impedito di fare la legge sul conflitto di interesse”, dice tra gli applausi.
    • “Questa legislatura la abbiamo iniziata chiacchierando con Berlusconi”, fa notare Bersani, che contrappone il dialogo al “mutismo sui problemi sociali” e sulla necessità di dare al paese una giustizia efficiente.
    • Marino bacchetta tutti e due: “Voi facevate parte della maggioranza di governo dal ’96 al 2001, io ero negli Usa”. Quanto a Berlusconi: “Non si chiedono le dimissioni in seguito a una decisione della Consulta, ma èuò restare a fare il presidente del Consiglio quando mostra tale disprezzo per la Corte e per il presidente della Repubblica, è lui che si mette fuori dalle regole?
    • Battibecco sul partito tra Franceschini e Marino. Bersani risponde a Chiamparino: “E’ la decima intervista che fa su quanto è scontento del Pd
    • Franceschini lo attacca ricordandogli che dopo le dimissioni di Veltroni “nessuno si è fatto avanti, io mi sono candidato”
    • Dice che bisogna fare i conti con gli errori. A proposito: “Non avrei mai accettato Bassolino nelle mie liste”
    • Marino spiega che il problema del partito si chiama: “Correnti”. E non solo: “Binetti, Dorina Bianchi, Bosone”, li elenca tutti uno per uno. Franceschini lo interrompe: “Il tuo modello è mandare fuori dal partito tutti quelli che votano come te?”. “No, è tenere fede alla decisione a maggioranza”.
    • La crisi e le politiche economiche. La ricetta di Marino è investire nell’economia verde. Parola chiave, a cui anche gli altri due dicono sì, un po’ seccati. “Marino, abbi pazienza, ho fatto il ministro dell’energia, non ci penso proprio a fare il nucleare”, gli dice Bersani. Franceschini: “Prova a mettere in campo le tue idee senza dirle da un piedistallo”.
    • Il duello a tre si sposta sul campo delle alleanze
    • Marino la vede così: “Dobbiamo riportare a casa quei quattro milioni che si sono allontanati dal Pd: socialisti, ambientalisti, radicali. E poi occupiamoci delle alleanze”. Con l’Idv? “Certo, un alleato naturale, anche per me non devono essere eleggibili i condannati con sentenza definitiva”. “Ma come facciamo ad allearci con l’Udc se non si riconosce nel principio di uguaglianza tra le persone e vota contro le norme sull’omofobia”
    • Franceschini attacca l’idea del centro “che magari dopo la sconfitta di Berlusconi si allea a destra e noi rimaniamo all’opposizione per trent’anni”. E quella di una riforma elettorale sul modello tedesco. “Nessuno però ha mai pensato che vocazione maggioritaria fosse vincere con il 51%. Alleanze sì, ma non il calderone di tutti quelli che ci stanno”
    • Bersani: “Dobbiamo riaprire il cantiere dell’Ulivo”. “Alleanza con le forze che sono in parlamento”, scandisce Bersani: Udc, Di Pietro, “tutti, naturalmente vedendo i problemi che ci sono”. Rifondazione? “Il problema non si pone”
    • sicurezza e immigrazione. La posizione Bersani si riassume così: “Sì agli immigrati, senza immigrazione questo paese non può avere futuro. No al burqua, la mia integrazione è guardarsi negli occhi”
    • Marino sull’argomento si è preparato. E tira fuori le carte. Le dichiarazioni di Franceschini, quelle di Bindi, D’Alema sui respingimenti: una in contraddizione con l’altra. Ricetta: “Cittadinanza a chi nasce sul suolo italiano”
    • Franceschini: “I respingimenti vanno fatti rispettando la legge, quando li ha fatti il centrosinistra non c’è stata protesta da parte dell’Ue o dell’Onu”
    • Mannoni prova a chiedere qualcosa di più sulla libertà di informazione. Un passo indietro unilaterale sulla Rai
    • Franceschini è il primo a rispondere. Riconosce le responsabilità della politica in generale, non solo del centrodestra (“loro poi esagerano”)
    • “Bisogna che le nomine di un solo amministratore delegato non vengano fatte dal parlamento, perché se sono fatte dai partiti politici sono inevitabili i condizionamenti”
    • Bersani sulla tv cita Marino prima ancora che parli. La sua ricetta: “Norme liberali che tutelino il diritto del cittadino ad avere una informazione plurale”
    • Marino, che per settimane ha portato al braccio il nastro rosso per la libertà di stampa. “Dario e Pier Luigi avevano un ruolo nel secolo passato e allora una legge sul conflitto d’interesse si poteva fare”
    • internet gratuito su tutto il territorio nazionale. “Mia figlia di 17 anni il tg non lo guarda mai, dobbiamo proteggere la rete”. E’ quella la prossima frontiera. Alfano l’ha già capito: “Vuole omologare i bloggers alla carta stampata limitando la possibilità di scambio”
    • Franceschini: “Se vuoi fare il segretario comincia a usare il noi e non il voi, io in parlamento dal ’96 al 2001 non c’ero ma mi assumo la responsabilità per il fatto che noi non abbiamo fatto la legge sul conflitto d’interesse”.
    • Ultima domanda sul confronto. Ce ne saranno altri? Dove? “In Rai”, dice Marino, Franceschini, touché, gli riconosce di aver per primo sottolineato l’esigenza di un confronto. Va bene a un bis, dunque: “Su qualsiasi tv”. Bersani continua ad essere recalcitrante: “Dopo questo gliene serve un altro? “Un partito è una cosa seria, no a chi vuole fare spettacolo con noi”

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Volemose bene, storia di una mutazione bersani-franceschini-centrica.

Fatto due più due, nel segno del fair play istituzionale che già fu accordato a Berlusconi, Bersani e Franceschini rinunciano a darsele sul grugno per un salomonico volemose bene. Vinca il migliore, ma non il "terzo", sia chiaro.
D’alema deve essersi allarmato. Ha visto che il chirurgo, che dovrebbe a suo avviso tornare presto a quel mestiere ché il "politico" non gli addice – siamo meglio noi che lo facciamo da trent’anni, questo (sporco) lavoro – sta invece raccogliendo consensi oltre le più rosee previsioni. E non solo sul web. Si sa, la gente parla, non scrive solo su FB. I giornali non li legge nessuno. L’elettorato di sinistra-centro è per molta parte un elettorato che le notizie se le va a cercare. E questo maledetto terzo è dappertutto, è andato anche fra gli operai, dove noialtri non ci facciamo vedere da anni. E’ andato a Casale Monferrato dove – nel silenzio generale – ancora si muore per il mesotelioma, il tumore da amianto. E’ andato a Genova da Don Gallo. E’ simpatico al mondo dell’università e dei ricercatori, che li incarna perfettamente (è addirittura venuto alla Convenzione vestito da ricercatore, con la camicia spiegazzata e la penna a sfera nel taschino). E sta anche dalla parte degli insegnanti.
Insomma, sta erodendo l’elettorato tradizionale del vecchio PDS che avrebbe potuto vedere Bersani come un ritorno alle origini, alla purezza delle origini. Macché. Chi gli può credere ora che viene appoggiato anche dalla Binetti? La Binetti è come un’ombra lunga che gli si è posata sopra. E lui non fa nulla per spostarsi.
La mutazione bersani-franceschini-centrica è proprio tutta qui: chiudere con la bagarre interna e mettere i sottomarini in minoranza, così imparano a scegliere il metodo democratico, qui la democrazia l’hanno sempre fatta nel chiuso delle loro stanze, e gli va ancora bene così.

NB: il secondo articolo citato è a firma di Marco Pannella e stupisce per la lucidità dell’analisi. Da leggere.

  • l’Unità – Dare senso alla partita – Concita Di Gregorio

    • Dario Franceschini e Pierluigi Bersani avevano amichevolmente accettato la proposta avanzata da Eugenio Scalfari: stringere un accordo in deroga allo statuto per nominare segretario del partito il candidato che avrà la maggioranza dei voti espressi alle primarie

    • Maggioranza relativa e non assoluta: non occorre arrivare al 51 per cento, si eviterà così di tornare all’Assemblea costituente

    • Accordo fatto, quand’ecco che Ignazio Marino scrive che il patto non gli pare niente affatto amichevole, non nei suoi riguardi per lo meno

    • le regole non si cambiano in corsa

    • Le ragioni: Marino punta a vincere, se si dovesse giudicare dal popolo del web bisognerebbe prenderlo molto sul serio

    • Ma siccome tutti sanno, lui per primo, che oltre ai blogger e agli internauti esiste un mondo che non frequenta il web è possibile che ottenga un eccellente risultato ma non il migliore

    • In questo caso l’unico strumento a sua disposizione per fare pesare gli argomenti del suo programma sul vincitore sarebbe quello di offrirgli sostegno in cambio di un vincolo a rispettare certi punti

    • Notizia due. Paola Binetti, protagonista del voto contrario alla legge anti-omofobia, annuncia che sosterrà Bersani (il quale alla notizia non deve aver festeggiato) e non più Franceschini perché avvilita dalle parole del segretario: «Non può restare nel Pd»

    • La ragione per cui ogni due per tre il dibattito politico a sinistra debba essere paralizzato dalle dichiarazioni di una parlamentare cattolica variante Opus Dei attiene all’autolesionismo della compagine

    • La proposta, infine. Viene da Paola Gaiotti de Biase, Lidia Ravera, Nadia Urbinati: proviamo a trasformare l’indignazione che ci coglie ogni volta che le donne vengono insultate («Non sono a sua disposizione», dice la Piccoletta di Beatrice Alemagna) in un’azione politica. Il voto delle donne sposta i risultati, accade sempre. Se tutte/i coloro che non sono a sua disposizione si trovassero in fila il 25 questa storia tornerebbe ad essere la loro.

    • Da diversi giorni Massimo D’Alema lancia deliberatissime provocazioni politiche, che nessuno mostra di raccogliere, men che mai dall’interno del Pd (dove Ignazio Marino è silenziato), dal Partito degli editori in fallimento, e assai comprensibilmente dai resti delle cosiddette "Sinistre Radicali".

    • D’Alema, in meno di una decina di giorni, dichiara: 1) di essere «per una politica laica, non di tradizione comunista ma democristiana»; 2) che l’obiettivo del Pd deve essere quello – un po’ ultradipietrista – di unire "tutte le opposizioni" attuali al Governo Berlusconi, dall’Udc all’Italia dei valori e a Sinistra e Libertà (non nomina, beninteso, al solito i Radicali; e, ora… i Verdi?)

    • 3) che «Nichi Vendola, cui riconosco una leadership indiscussa» dovrebbe chiamare per le elezioni regionali e discutere e lanciare nuove alleanze con «Udc e il Sud di Adriana Poli Bortone; con i quali Vendola dovrà eventualmente discutere la scelta del candidato presidente alla Regione, se non dovesse esserlo lui»

    • Bersani completa e precisa questo "progetto" insistendo sulle due radici del suo Pd (quella del cattolicesimo – democratico – e quella del socialismo – riformista) e sulla scelta di una legge elettorale proporzionale, con preferenza "tedesca" cioè Casiniana. Intanto il Pd resta il coautore, con Berlusconi, di leggi elettorali che hanno di fatto, ormai sempre più dal 2005, tolto i diritti politici e civili ai cittadini italiani che non siano acquisiti al selvaggio monopartitismo ("bipolare!") e alle sue due componenti del Regime antidemocratico, populista e antipopolare

    • quel che ci appare ancor più grave e chiaro è il non detto dalemian-bersaniano; che riguarda la politica estera e quella comunitaria di piena loro coincidenza "strategica" con le tappe del quotidiano rotolare, per mera forza di gravità, nella totale subalternità al "G1" berlusconiano

    • Così «la Libia è strategica» e si fa da anni a gomitate con il Silvio nazionale nella tenda di Gheddafi, si vota "unanimi" e bipolari gli accordi con lui; non si fa una piega sulla politica fraterna con il democraticissimo Putin e i suoi gasdotti; con la sua politica caucasica, non ci si occupa troppo di tibetani, uiuguri, laotiani, delle minoranze vietnamite, cambogiane, mongole e dintorni; di federalismo spinelliano nemmeno più l’ombra, continua ad imperversare la linea dalemian-berlusconiana inaugurata al tempo della "pericolo Bonino"

    • In Rai si fa fuori Corradino Mineo colpevole solo di aver quadruplicato gli ascolti; e si ottiene – senza mostrare di accorgersene – che nel periodo che va dal primo settembre a oggi i Radicali non siano andati nemmeno un secondo in voce nei principali tg

    • l’osservazione più grave: D’Alema conosce benissimo l’origine del "successo" del sanguinario Dittatore libico. Fu quando, nel marzo 2003, operò, letteralmente, come killer del presidente Bush per tentare di impedire la liberazione pacifica dell’Iraq con l’esilio ormai accettato di Saddam Hussein

    • Quella guerra fu scatenata da Bush, con la collaborazione essenziale di Blair e di Berlusconi, per impedire la liberazione dell’Iraq con la pace, ormai praticamente assicurata. La democrazia e la suprema legge degli Usa, del Regno Unito, della Repubblica italiana furono in quella occasione – e a lungo – letteralmente tradite. Crimine massimo in qualsiasi Paese civile

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