L’ombra. L’ombra del Comico oscura l’Uomo Qualsiasi, il Pizzarotti sindaco che nessuno ipotizzava potesse vincere il ballottaggio di domenica scorsa. Succede che il reietto Valentino Tavolazzi, il deus ex machina degli Scissionisti riminensi, colpevole del gran tradimento dei precetti del Non-Statuto (comandamento n. 1: non organizzare un bel niente, mentre lui si preoccupava di dare forma e operatività alla democrazia interna del M5S), radiato vita natural durante a mezzo blog dal movimento medesimo, si sia candidato a direttore generale del comune della città (lui smentisce, ma non è escluso che a volergli dare questo ruolo ci stia pensando lo stesso Pizzarotti). Qui sta il bello perché Tavolazzi possiede le competenze per ricoprire quel ruolo e la sua designazione potrebbe definirsi effettivamente “meritocratica”.
Invece. La nuova fatwa grillina è arrivata non appena nel Movimento sono cominciate a palesarsi alcune diatribe interne. Prime fra tutte le lunghe interminabili (e inutili) discussioni sui forum sulle dichiarazioni post voto del medesimo Pizzarotti – io ho vinto! No, replicano le truppe di digitatori di commenti: non tu, ma il Movimento. Allora Grillo ha pensato bene di mettere i puntini sulle i (di Pizzarotti) e ha intimato il no expedit alla candidatura del Tavolazzi.
“A Tavolazzi – scrive il blogger – è stato inibito l’uso congiunto del suo simbolo con quello del Movimento 5 Stelle qualche mese fa”. La sua nomina “è una scelta impossibile, incompatibile e ingestibile politicamente. Mi meraviglio che Tavolazzi si ripresenti ancora sulla scena per spaccare il Movimento 5 Stelle e che trovi pure il consenso di un consigliere dell’Emilia Romagna” (F. Mello, Il Fatto Quotidiano).
Inibito. Tavolazzi è inibito. E quel consigliere (regionale) dell’Emilia-Romagna chi sarebbe? Favia? De Franceschi? Perché Grillo non fa i nomi? Di cosa sarebbero colpevoli costoro? Di pensare con il proprio cervello? Ora che sono state trovate nuove e inedite teste pensanti per il mondo obsoleto della politica, che facciamo? Pretendiamo che essi non pensino. Certo, è il capo a pensare per loro. Loro sono uomini qualsiasi, perfettamente sostituibili l’un l’altro.
Grillo invita “chiunque fosse interessato alla posizione” ad inviare “il suo curriculum a questa mail”. Il link porta ad un form per a segnalazioni su BeppeGrillo.it. Vi sembra normale? Vi sarebbe sembrato normale se appena eletto Luigi De Magistris sindaco di Napoli, Antonio Di Pietro avesse chiesto a chi era interessato ad un assessorato nella giunta del capoluogo partenopeo, di mandare il suo curriculum alla sua mail personale? (F. Mello, cit.).
No, rispondo io. Se l’avesse fatto di Pietro, l’avremmo sommerso di improperi. Avremmo scritto interi papiri di commenti sull’anacronismo del partito personale. Basta leader, avremmo detto. E invece eccoci qui ad assistere impotenti – o quasi –alla distruzione dell’unica opportunità di non precipitare definitivamente nello schifo della politica corrotta e collusa. Ai confini del “tafazzismo”.
Come ho già più volte scritto, è ora che il M5S accantoni Grillo e applichi veramente l’unico precetto possibile del suo statuto non scritto: uno vale uno, ovvero nessuno è indispensabile e l’unico dogma che orienta l’azione politica del movimento è l’interesse generale. Stop. Non aggiungo altre parole.
Questa storia del post di Grillo contestato dai grillini sul suo stesso blog mi sembra una non notizia. La vera distrazione di massa l’ha messa in opera lui, riuscendo a far parlare di sé e non del problema della cittadinanza, delle presunte divisioni del Movimento 5 Stelle piuttosto che dei limiti impliciti del metodo da loro operato, così rigido verso il programma e a prassi di consultazione degli iscritti anche per decidere delle sciocchezze, come per esempio votare per aderire o meno a una manifestazione come quella de L’Italia sono anch’io.
In verità vi parlo di questa vicenda per due ordini di ragioni:
non è vero che il web – ah, il popolo del web! – abbia reagito in maniera univoca contro la superficialità di Grillo;
Punto primo: nei commenti al post si possono leggere, a giustificazione delle parole di Grillo (lui trova sempre dei volontari che lo interpretano e lo giustificano), argomentazioni tipiche del più becero leghismo, segno che la ‘base’ non è così omogenea come si vorrebbe far intendere. Anzi, l’assenza di una qualsivoglia analisi del problema della cittadinanza ai figli degli immigrati, il voler paventare a tutti i costi e in tutti gli ambiti l’idea del complotto, della manovra ad arte per distrarre le menti del popolo, ha avuto la funzione di detonatore mediatico. E’ la classica strategia del trollismo:
Un Troll è quell’individuo che interagisce con la comunità tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente stupidi, allo scopo di disturbare gli scambi normali e appropriati. Spesso l’obiettivo specifico di un troll è causare una catena di insulti dettaflame war; una tecnica comune consiste nel prendere posizione in modo plateale, superficiale e arrogante su una questione già lungamente dibattuta, specie laddove la questione sia già tale da suscitare facilmente tensioni sociali (cfr. Il fenomeno del trollismo).
Forse non sarà la definizione più esaustiva di trollismo, ma aiuta a capire come agisce Grillo con il blog e la rete. In questo senso è un maestro e si sta caratterizzando sempre più nel verso di un trollismo antagonista e prettamente contrario alle idee liberali e progressiste. La sua ricetta è sempre la stessa: la politica è merda e deve essere abolita. Tutto è male e il complotto è sempre in agguato. Ma ‘l’odio è un carburante nobile’, l’odio alimenta un sentimento che è di volta in volta anti-giornalisti, anti-casta, anti-governo, anti-maggioranza e anti-opposizione, anti-banchieri, anti-immigrati, anti-stranieri, anti tutto:
Bene, così arriveranno barconi di donne gravide solo per far aver la cittadinanza ai loro figli. Mi spiace, ma questo non mi va bene!
Chissà perchè non arrivano mai norvegesi, danesi, australiani, ecc a chiedere la cittadinanza italiana, ma sempre quelli con le pezze al culo da mantenere. Svegliatevi!!!
La cittadinanza senza criteri seri è la fine della democrazia, nulla ha a che fare con i diritti degli immigrati. Vogliono solo riempire il territorio, Italiano o di qualunque altra nazione, di SCHIAVI da sfruttare e schiavizzare noi.
Il motivo in punto di diritto è semplicissimo: NOI NON VOTIAMO IN EGITTO O IN PERU’, non possiamo subire le scelte dei dittatori del terzo mondo (tratto dai commenti al blog di Grillo).
Punto secondo: sulla questione dell’adesione alla manifestazione L’Italia sono anch’io sono stati chiamati ad esprimersi in primis i consiglieri regionali e comunali in quota M5S di Piemonte ed Emilia-Romagna. Hanno in entrambi i casi scelto di votare a favore dell’iniziativa, pur con la precisazione che la cittadinanza è questione da dibattere a livello nazionale e non regionale o tantomeno comunale. Bertola in Piemonte ha addirittura ricevuto dalla base degli iscritti l’assenso all’adesione. Insomma, gli eletti lavorano all’interno delle istituzioni un po’ secondo coscienza e un po’ seguendo il metodo difficilissimo della condivisione delle decisioni. Poi, come una mannaia, cala il giudizio del capo: e come la scorsa volta con il caso della difesa dei giornalisti de l’Unità, vengono scritte sul blog quattro righe per sconfessare e delegittimare gli eletti e il loro operato nelle istituzioni. Perché?
Difficile dare una risposta. Forse il leader soffre la personalità del duo bolognese. Forse un M5S al 7% al livello nazionale è una “cosa” troppo grande e che può sfuggire di mano. Meglio allora sabotarla da dentro, farla collassare. Prima che si emancipi dal padre.
Sono bastati un articolo su L’Unità e un paio di post su alcuni blog per far emergere altre fratture nel Movimento 5 Stelle. Al punto da paventare una nuova e inaspettata scomunica da parte di Beppe Grillo.
Da una parte si trova la redazione bolognese de l’Unità, sempre in procinto di esser chiusa e da almeno due anni in bilico in attesa della decisione dell’editore Soru, il quale però versa in altri, e alquanto pessimi, guai (evasione fiscale); dall’altra l’interesse – legittimo – dei grillini bolognesi per la sorte dei lavoratori della redazione locale del giornale. Si dà il caso che i grillini e Grillo hanno da sempre sostenuto la necessità di abolire il finanziamento pubblico dei giornali che, detto per inciso, mantiene in vita l’Unità, giornale che ha visto dimezzare le copie vendute in poco più di due anni, almeno dalla dipartita di Travaglio e Padellaro.
Andrea De Franceschi, noto per esser divenuto consigliere regionale grazie alle contestatissime ‘secondarie’ (vedi 1, 2), ha avuto l’ardire di fare una interpellanza al consiglio regionale dell’Emilia-Romagna chiedendo a Errani di aprire un tavolo di trattative con l’editore: “Il quotidiano l’Unità rischia davvero di sparire questa volta e, se dovesse essere così, non sarebbe una buona notizia per nessuno. Per i lavoratori e per la pluralità d’informazione, prima di tutto” (l’Unità).
Intento onorevole, quello di De Franceschi, che però ha subito incontrato la minaccia di una Fatwa da parte di Grillo: il nuovo anno, scrive quest’ultimo, vedrà la fine del finanziamento pubblico dei giornali, fatto che viene presentato come una benedizione divina. Grillo non fa mai su questo argomento alcuna menzione sul difetto di sistema insito nell’informazione nostrana, che prende il nome di monopolio del mercato pubblicitario nelle mani di uno solo (sì, ancora Berlusconi). Non mi dilungo sugli effetti perversi dell’aiuto di Stato per l’editoria – quasi sempre – di partito, né sulla necessità di un dispositivo correttivo della concentrazione monopolistica nel settore pubblicitario. Mi soffermo invece su queste frasi di Grillo: “Tra le testate che attaccò (sì ha usato il verbo al singolare…) l’iniziativa [del Vday 2008], prima, dopo e durante, spiccò l’Unità”, “Ora è in crisi, si metta sul mercato, si faccia pagare dai lettori come il Fatto Quotidiano e, se non vende, chiuda i battenti”, “Se qualche esponente del MoVimento 5 Stelle la pensa diversamente non è un problema. Il Pdmenoelle lo accoglierà subito tra le sue braccia. Beppe Grillo“. Quindi, se ne deduce:
l’Unità ha la ‘colpa’ di aver criticato l’iniziativa di Grillo del 2008;
la giusta punizione per quella colpa è la chiusura;
chi la pensa diversamente (De Franceschi) si faccia da parte.
Giglioli, su Piovono Rane, ha così titolato un suo post: “Kim Jong-Grill”. Grillo diventa una sorta di deposta che censura e epura tutti quelli che non si allineano alle sue direttive. Vittorio Bertola, uno dei ‘Magnifici 4’ del M5S s’affretta a organizzare, nei commenti al post di Giglioli, una difesa d’ufficio in cui l’argomento principale è “Grillo non sta imponendo a Defranceschi una sua posizione politica personale su un argomento mai discusso prima, gli sta imponendo di rispettare il contratto che ha firmato con gli elettori quando ha chiesto i voti!”. Bertola affibia a Grillo la patente di controllore dell’operato degli eletti. E’ la questione annosa del mandato imperativo che i grillini dicono di voler applicare per poter licenziare quegli eletti che non rispettano il programma presentato in campagna elettorale. Un potere che dovrebbe risiedere in capo agli stessi elettori e che invece loro mettono, di volta in volta, nelle mani o di una assemblea degli iscritti o addirittura – questa la versione di Bertola – nelle mani dello stesso Grillo, “uno che in teoria (come mi ripetete sempre voi) non conta più degli altri, non comanda, non impone” (A. Giglioli, cit.).
La confusione regna sovrana. De Franceschi ha dovuto pubblicare un post in cui parla della vicenda senza mai citare Grillo, l’autore dell’unica critica:
Qualcuno non è d’accordo nella tutela dei diritti dei lavoratori? Cosa c’entrano i finanziamenti pubblici all’editoria con le famiglie e le persone che rischiano? Forse dovremmo chiedere di togliere i rimborsi fiscali sulle accise della benzina e del gasolio per le imprese di autotrasporto, così poi vedremmo finire sul lastrico gli autotrasportatori che il camion lo guidano solo? (Sulla pluralità dell’informazione – Movimento Cinque Stelle Emilia-Romagna).
De Franceschi articola la sua risposta a Grillo affermando che “l’informazione “libera” su internet che molto spesso troviamo copiata e riadattata su migliaia di blog altro non è che il rimpasto del lavoro fatto a monte da un qualche giornalista, da qualche parte nel mondo, PAGATO da una qualche testata che gli ha anche messo a disposizione i mezzi per la diffusione”. De Franceschi è realista: “l’idea che su internet si faccia informazione a costo zero è molto romantica ma non veritiera“. Forse non è proprio vero che tutto quanto si scrive in rete è una ‘ribattuta’ dei lanci di agenzia o degli articoli della carta stampata. Ma bisogna dare adito a De Franceschi di aver centrato il problema: il giornalismo classico non è in crisi per la compresenza delle fonti di informazione su internet, né internet può essere la salvezza per i giornali in crisi; il giornalismo e l’editoria sono in crisi a causa del problema storico della concentrazione di potere nel mercato della pubblicità.
Mettere il bavaglio a De Franceschi con l’accusa di non rispettare il mandato elettorale è assurdo. Secondo Bertola, Grillo “non sta agendo da capo, ma da garante verso gli elettori, che quando hanno votato si sono fidati di lui (Defranceschi manco sapevano che faccia avesse)”. Questa frase è come un sasso lanciato dal cavalcavia: De Franceschi prese meno voti di Sandra Poppi del collegio modenese (poco più di trecento contro i settecento voti della Poppi), ma quella maledetta assemblea delle secondarie votò il binomio Favia-De Franceschi. Dire oggi che gli elettori “manco conoscevano la faccia di De Franceschi” vuol dire delegittimare tutto il processo di formazione del M5S. Di fatto, significa farne a pezzi la storia.
Peggio di così il Movimento 5 Stelle non poteva cominciare la propria avventura in Consiglio Regionale. Ancor prima di metterci piede, i grillini in Emilia-Romagna hanno aperto una faida interna che subodora di vecchia politica (guai a dirglielo) e Beppe Grillo ci mette del suo prendendo la parte di Bologna, di Favia (l’acchiappavoti Favia) e De Franceschi, contro il modenese Vittorio Ballestrazzi, consigliere comunale, uomo discusso, non privo di un passato da attivista ambientalista (WWF), tacciato di essere eccessivamente litigioso eppure dall’azione politica estremamente efficace (ha imposto al PD la diretta web dei consigli comunali di Modena).
Ebbene, il riottoso Ballestrazzi, colpevole di essersi espresso criticamente nei confronti di Favia e del Mov per la decisione di eleggere De Franceschi come secondo consigliere regionale, decisione presa a maggioranza di quaranta delegati (“i 40 canditati al Consiglio regionale, quindi le persone scelte da ogni Provincia quali migliori rappresentanti, persone scelte dalla base di ogni Provincia”, specifica tale Bugani dalle pagine del blog di Grillo) a dispetto delle oltre 700 preferenze raccolte dalla modenese Sandra Poppi (contro le 371 di De Franceschi in circoscrizione Bologna), quindi del voto degli elettori (se ne parla ampiamente qui, nei commenti, e soprattutto qui, con video di replica di Ballestrazzi), è stato diffidato a mezzo blog – tre righe non firmate, sottolinea lui – dall’impiegare il logo del 5 Stelle, nonché di proferire alcuna parola a nome del Movimento, tutto ciò “a seguito delle iniziative intraprese contro il MoVimento 5 Stelle in Emilia Romagna”.
I grillini fedeli a Favia (di cui Bugani, l’autore del post sul blog di Grillo, è probabile portavoce) sostengono che Ballestrazzi è “molto mal visto da una parte dei grillini”. A Modena, dice Bugani, ci sono due fazioni. Di più non viene dato a sapere. Si poteva specificare, per esempio, perché e come si è giunti a questa situazione dopo poco più di un anno di attività del Movimento. Va da sé che questo genere di ricostruzioni provvisorie, impedisce al lettore di capire ed eventualmente anche di prendere posizione. Forse a Bugani ciò non interessava. Dopodiché, il portavoce ritorna sulle ragioni che hanno spinto alle cosidette “secondarie” per votare il secondo consigliere: i voti di Bologna sono incomparabili a quelli di Modena.
Nella Provincia di Bologna i 9 candidati al Consiglio regionale non hanno fatto minimamente campagna elettorale per sé stessi, ciascuno di loro ha lavorato per portare più preferenze possibili a Giovanni Favia, questo perché? Il nostro obiettivo era quello di dimostrare alle male lingue che ci circondano, che il voto dato al MoVimento 5 Stelle non sarebbe stato un voto di protesta, ma sarebbe stato un voto ben medicato, mirato, dato a persone stimate […] A Modena invece i nostri amici del MoVimento 5 stelle modenese hanno scelto di fare una campagna elettorale personale, ovvero ciascun candidato si è prodigato con manifesti, pubblicità sulla rete e quant’altro a fare pubblicità per sé stesso, per la propria candidatura, questo cosa vuole dire che le preferenze sulla Provincia di Modena e sulla Provincia di Bologna, lo capite da soli, non sono minimamente paragonabili, quindi non si possono raffrontare, paragonare le 717 preferenze ottenute a Modena da Sandra Poppi con le 371 preferenze di Andrea De Franceschi ottenute a Bologna (Blog di Beppe Grillo – MoVimento 5 Stelle Emilia Romagna: il punto dopo le elezioni).
Ecco la ‘colpa’ di Modena: i personalismi. Favia era capolista in entrambe le circoscrizioni, campeggiava sui manifestini, era candidato governatore: la sua era l’unica personalità tollerata. Unica, perciò non discutibile. A Modena, i candidati si sono fatti conoscere agli elettori, hanno raccontato del loro background culturale e delle loro attività di volontariato. Sandra Poppi ha raccolto 700 preferenze perché gli elettori la conoscevano e sapevano del suo valore. Settecento elettori hanno voluto metterla alla prova. Un consiglio di 40 delegati glielo ha negato. I commenti al post di Bugani sono ferocissimi: che abbia avuto più peso nella decisione il passato nei Verdi di Poppi? Se hai fatto parte della ‘sinistra’, in qualche modo hai preso le stigma e devi esser messo da parte. De Franceschi? La sua scelta di muoversi nell’ombra di Favia è migliore o peggiore della scelta di autopromozione della Poppi? E poi che senso ha impiegare queste affermazioni come giustificativo per la “porcata” del voto dei quaranta? Si vuol far passare un’idea folle, e cioè che il voto degli elettori può non valere tutto allo stesso modo. Lo dice lo stesso Ballestrazzi, a mio modesto avviso una giusta critica, la sua:
Come è andata a Modena: Favia, nel più puro stile da vecchia politica si è messo capolista nelle tre province dove poteva scattare un seggio [Favia sostiene che l’idea di esser capolista nelle tre province è del Movimento, che lo ha deciso con il voto, ndr]. In questo modo ha potuto scegliere lui per quale seggio optare e soprattutto chi mettere come secondo consigliere. Quindi il movimento è andato contro i suoi principi: UNO CONTA UNO e il rispetto delle PREFERENZE [… ] Il metodo scelto non è stato altro che una farsa perché erano d’accordo prima tutti e proprio lo stesso risultato schiacciante ne è la dimostrazione in quanto tra i due non c’era quella differenza nell’esporre le loro opinioni. Anzi. […] i dati di fatto sono: due uomini al posto di un uomo e di una donna (alla faccia delle quote rosa sbandierate da Favia in campagna elettorale) […] tutti e due di Bologna alla faccia della rappresentatività territoriale […] l’archiviazione del principio delle preferenze accampando un nuovo metodo di legge elettorale di derivazione Mediobanca: “le preferenze si pesano e non si contano” chi non capisce lo chieda a Grillo che di banche se ne intende (Sito della lista civica modena5stelle-beppegrillo.it).
Ballestrazzi poi va giù pesante: ricorda le vicende della candidatura di Favia, imposta a mezzo blog dallo stesso Grillo (per un sunto, se ne era parlato a Gennaio su questo blog, leggi i tre post: 1, 2, 3); ricorda che ora Grillo sta ricadendo nel medesimo errore, annunciando la sua defenestrazione con tre righe sul blog prima che il suo allontanamento, per attività contrarie al Movimento medesimo, sia presa da un organo proprio del 5 Stelle. La riunione ci sarà oggi, sabato 24 aprile, e il suo esito è quantomeno scontato. A Ballestrazzi verranno elencati i capi d’accusa, poi qualcuno tirerà fuori dal capello la prova provata della sua ambivalenza, del suo arrivismo, della sua fame di poltrone (ha poco da dire che lui “non ha mai neanche pensato di andare a lavorare in regione”, che “vive del suo e ha da fare il padre di famiglia, il consigliere comunale etc.”, gli conteggeranno gli scontrini della spesa, oggi ); qualcuno – ma lo hanno già fatto – tirerà fuori una storia del passato di Ballestrazzi, di quando era nel WWF, di una certa richiesta di tessere. Il link al video proviene dai commenti al post di Bugani. Aspettatevi il peggio:
Sempre Ballestrazzi che scrive: “Dico anche che ho chiesto più volte il cell.re di Grillo a Favia perché volevo sapere cosa ne pensava e Favia non me l’ha mai dato. Me l’ha dato qualcuno che è stato epurato da lui a Bologna perché lui ha l’epurazione facile”.
Come chiedere a un prete il numero di telefono di Dio.
La Comune di Parigi, 1870: l'ideale utopico della democrazia diretta
Affrancarsi dalla politica facendo politica: l’antitesi su cui si regge l’intero Movimento 5 Stelle, ovvero quella dell’antipolitica – noi non siamo un partito – giace sul supposto valoriale che ‘noi siamo meglio di loro’, noi siamo diversi poiché applichiamo un altro metodo, noi siamo democratici e loro no.
Di queste dicotomie ne è piena la storia, a cominciare dalle prime teorie della democrazia liberale, che ben presto però si scontrarono con il problema del numero e dell’organizzazione. Gli elitisti (Mosca, Pareto, Michels) diffidavano dei concetti della democrazia diretta applicati alla società, massificata o non massificata. Esiste sempre una elité di persone, un numero limitato di governanti che governano sui più, sulla massa. E’ un fatto storico, ineludibile. Per Michels, ovunque vi sia organizzazione, vi è elitismo e oligarchie (per una summa sbrigativa sull’elitismo: http://it.wikipedia.org/wiki/Elitismo).
Ora, naturalmente, ci verrebbe incontro la tecnologia, la rete, il web, i social network. La e-domocracy realizzerebbe l’ideale utopistico della democrazia diretta, della partecipazione attiva, consapevole, perpetua del netizen, immerso a tempo pieno nel suo ruolo di cittadino e politico senza soluzione di continuità. A questo vorrebbe assurgere il Movimento 5 Stelle? Le società di massa si sono sempre basate sul concetto economico della differenziazione dei ruoli e delle funzioni: settore produttivo e settore decisionale sono ambiti separati seppur connessi, sistema politico e sistema economico si influenzano e si scambiano risorse fra di loro, ma restano pur sempre due campi distinti della specialistica competenza. La politica di professione sarebbe forse al tramonto?
Il Movimento che fa capo al mentore Beppe Grillo non ha ancora un sistema di e-democracy funzionante: il portale a cui iscriversi non è ancora pronto. E allora, i grillini, si trovano a dover a che fare con la solita domanda di sempre: chi decide?
Giovanni Favia ha raccolto numerosissimi consensi. E’ stato il più votato nelle liste circoscrizionali di Modena e Bologna. Ma per il Movimento 5 Stelle spettano due consiglieri regionali e la legge elettorale specifica che debba esser il capolista a decidere. Favia ha scelto un metodo partecipato. Ha chiamato a raccolta i suoi, dai MeetUp ai circoli provinciali. Sono stati selezionati quaranta grandi elettori che hanno votato durante la riunione di Giovedì scorso. Ha vinto De Franceschi, 31 a 40 sulla candidata Sandra Poppi del collegio modenese, che pure però aveva raccolto più preferenze al voto del 28-29 Marzo. In sostanza, l’enclave dei delegati ha avuto la meglio sull’elettorato. Certo, difficile comparare i voti presi da De Franceschi in quel di Bologna, con un maggior numero di avversari e con Favia che ha spopolato, a quelli di Poppi a Modena. Ci sono voti che pesano di più, altri meno. Non sempre una testa vale un voto. Quindi ecco l’eterno dilemma del chi decide: e il voto dei ‘direttivi’ ha avuto la preminenza sul voto delle urne. Si parla di democrazia diretta, poi quando la si pratica con il voto alle urne, si scopre – complice una legge elettorale sclerotica – che a decidere è meglio esser in pochi, delegati certo dal voto degli organismi locali, ma pur sempre pochi. E’ lo spettro della democrazia partecipativa che ritorna a dispetto di quella diretta. E’ sempre la questione del numero, dell’organizzazione. Organizzazione vuol dire oligarchia. A prescindere dall’essere un partito o meno. Ma tranquilli, un giorno la tecnologia farà il suo ingresso.
Ho scelto di condividere questa responsabilità con la base. Se avessi scelto avrei fatto come tutti gli altri politici… Invece io io mi asterrò dal voto e non darò nessuna indicazione.
Ho chiesto ai referenti provinciali della raccolta firme di iniziare a porre la questione agli attivisti del loro territorio; contemporaneamente abbiamo fatto girare il curriculum dei due potenziali consiglieri
Le persone hanno così iniziato il dibattito via mailing list e forum, poi i gruppi locali hanno espresso dei rappresentanti provinciali in base alla loro popolazione, quelli che noi chiamiamo i 40 grandi elettori, più o meno sono uno ogni 100.000 abitanti seguendo la ripartizione del numero di candidati per ogni collegio provinciale
Ieri sera c’è stato infine l’incontro regionale nella sala del quartiere Savena a Bologna per votare e scegliere il nostro secondo consigliere regionale
in futuro lavoreremo per far iscrivere tutti i nostri simpatizzanti ad un portale regionale tramite password, cosicchè tutti possano direttamente e senza filtri partecipare alle scelte politiche del MoVimento. All’oggi non siamo ancora pronti
Se Andrea e Sandra fossero arrivati primi come numero di preferenze nei loro due collegi, nessuno gli avrebbe chiesto di farsi da parte per una “secondaria”. Il fatto centrale è che gli elettori non hanno scelto loro, hanno votato me in entrambi i collegi ed ora ci troviamo in una situazione dove entrambe le persone hanno il medesimo e legittimo diritto di diventare consigliere regionale. Gli elettori mi hanno dato una grande responsabilità, ed io responsabilmente ho deciso di seguire un percorso partecipato.
Per quanto riguarda le preferenze non è possibile compararle e farne un criterio assoluto perchè sono maturate in due collegi distinti, con un numero differente di candidati in gara e con una situazione ambientale molto diversa. Io a Bologna ad esempio ho calamitato tutte le preferenze di lista ed i candidati non hanno fatto campagna per se stessi ma tutti per il gruppo. Bellissimo no?! Abbiamo una certa etica. In altre province, legittimamente, hanno fatto un’altra scelta.
Nel nostro MoVimento si può discutere e litigare per qualsiasi cosa, ma non per delle poltrone. La poltrona non deve essere l’obiettivo di nessuno dei nostri. Se ci accorgiamo del contrario, ed a volte è accaduto, provvediamo senza esitazione ad allontanare chi è fuori dai binari. Il MoVimento ha sempre le porte aperte ed essendo l’animo umano insondabile non possiamo mai permetterci di abbassare la guardia. Sicuramente poi c’è chi in assoluta buona fede non è d’accordo con la scelta fatta, però “democrazia” significa anche accettare, quando capita, di essere minoranza, non è possibile raggiungere sempre l’unanimità, bisogna sapere adeguarsi ed andare avanti se si crede in un progetto di più ampia prospettiva.
Per dovere di completezza, la versione di Modena 5 Stelle: