Previsioni OCSE, Italia ai margini della ripresa

Il grafico qui sopra illustra l’andamento del PIL secondo i dati OCSE: per i trimestri 2010-q3 e 2010-q4, trattasi di proiezioni. L’Italia? Parlano di crescita zero. Ma tutte le curve sono in discesa. La ripresa non parte. E’ un dato di fatto. La stima OCSE per l’Italia per il 3° trimestre, pari a -0.3%, potrebbe essere corretta al rialzo o al ribasso di un 1.5%. Se il dato ufficiale dovesse volgere al posizito anche di uno zero virgola, non ci sarebbe comunque da gioire: l’economia è al palo.

Questo ulteriore grafico illustra l’andamento del commercio mondiale, attraverso l’Indice degli Ordini nel settore Manifatturiero: dopo il crollo nel 2008, la repentina ripresa del 2009 e ora la curva sembra testare una nuova discesa. I grafici evidenziano sempre più come la crisi sia del tipo M: crollo-ripresa-nuovo crollo. Non bastano i tassi di sconto a zero. La liquidità messa in circolo non è sufficiente. Il piano di Obama di un Nuovo New Deal appare poca cosa.

Qui invece vedete la serie storica delle curve del rapporto deficit/PIl 1995-2009: l’Italia è in buona compagnia. Ma se in Germania l’aumento del deficit è pur servito a smuovere l’economia, in Italia è denaro che cade “nel vuoto”. E’ indirizzato cioè male, non viene veicolato nella maniera corretta al fine di stimolare la domanda aggregata di beni e servizi. Possiamo dire con certezza che quel denaro si perde nei gangli della corruzione.

Relativamente al rapporto debito/PIL, l’Islanda, in un anno, ha quasi raggiunto le vette insondabili del debito/PIl italiano. Notate anche l’impennata del debito/PIL dell’Islanda e anche quella di USA e UK (nel grafico GBR). Le colonne del grafico, salvo rimedi magici, sono destinate a crescere, a cominciare dalla nostra. Certo, se non sarà governo tecnico, il successore del Berlusconi IV dovrà inventarne di nuove per frenare questa escalation.

Siamo tutti sulla stessa barca, la barca chiamata ‘debito’

Qualcuno può pensare che è il momento di fare le valigie. Lo pensa Beppe Grillo, per l’intera classe politica. Il dramma che ci colpirà, secondo il blogger economista, è costituito dal fatto che:

dal 29 aprile 2010 al 31 dicembre 2012″ dovremo “rimborsare 611,9 miliardi di euro di titoli in scadenza (fonte Der Spiegel). 251,5 miliardi entro l’anno, 192,2 nel 2011, 168,2 nel 2012. Una cifra colossale. Una tempesta perfetta costruita nel tempo dai governi Craxi e Berlusconi (Italia in scadenza – Blog di Beppe Grillo).

Il grafico pubblicato da Der Spiegel sul debito italiano

Perciò, secondo Grillo, il paese sarà venduto ai suoi creditori, i quali pretenderanno un cambio di governo. Sarà un governo tecnico: “chi comprerà i titoli in scadenza diventerà il nostro padrone e chiederà contropartite e rassicurazioni. La cessione di una parte della nostra sovranità nazionale e un uomo di garanzia e con una forte reputazione internazionale a capo del prossimo governo tecnico”.

Occorre dire che le cifre colossali sbandierate da Der Spiegel, riprese da Wall Street Italia e quindi adottate da Grillo senza far di conto, sono note da anni. Non a caso abbiamo uno dei debiti più alti del mondo – ma inferiore per esempio a quello del Giappone. In secondo luogo, le cifre da rimborsare non verranno effettivamente sborsate dallo Stato, ma il governo effettuerà una operazione che si chiama ‘rifinanziamento’ del credito, ovvero emetterà bonds o cct per onorare i prestiti pregressi. Niente di diverso da ciò che si è fatto in passato, passato recente che però non viene rappresentato nel grafico di Der Spiegel.

Certo, il debito in scadenza ammonta a circa il 3% del pil. Eppure questa coincidenza della scadenza del debito non è la vera ragione della manovra. Ne parla giustamente Der Spiegel: il rapporto deficit/pil italiano è uno dei migliori dell’area euro, non dissimile da quello tedesco (IT: 5.3%; GER: 5%); la disoccupazione – il dato ufficiale, che non tiene conto della cassa integrazione – è circa del 9%, contro il 20% della Spagna, dove il lavoro lo hanno perso soprattutto i precari, i lavoratori senza tutela, in special modo del settore edilizio; lo spread fra bond italiani e tedeschi rimane stabile – intorno all’1% – nonostante la ‘scossa’ della crisi greca. No, la manovra si è imposta come necessaria il giorno successivo alla revisione da parte del governo del rapporto debito/pil per l’anno 2010, che secondo le stime del governo passerebbe dal 116.9 al 118.4 – una previsione che ha fatto per l’appunto crollare la borsa di Milano il 6 Maggio scorso, evento che i media italiani hanno correlato soltanto all’andamento dei mercati internazionali, mentendo alla pubblica opinione.

La manovra si deve confrontare anche con una previsione di crescita assolutamente incerta: lo 0.8% preventivato dal governo potrebbe essere un dato ‘sovrastimato’. La crisi vera, non quella finanziaria, bensì quella che colpisce le aziende e i lavoratori, sta arrivando al suo apice proprio in questi mesi.

Berlusconi, dinanzi alla platea di Confindustria, disse non senza un certo tetro divertimento, “siamo tutti sulla stessa barca”: spiace dirlo, ma stavolta ha ragione. Tutti, intendendo proprio tutti, a cominciare dai partner europei dell’euro, siamo sulla stessa barca, la barca del debito pubblico. Sempre su Der Spiegel potete trovare questo interessante grafico che spiega l’andamento del debito tedesco comprensivo della previsione per il 2011. Ebbene, il rapporto deb/pil della Germania galoppa verso il 79%, con tassi di crescita molto più alti di quello italiano. Per i tedeschi questa è una emergenza nazionale.


Il governo, per bocca di Tremonti, afferma che la stretta alle finanze pubbliche è ‘necessaria per salvare l’euro’. La crisi dell’euro è stata descritta sinora con toni grotteschi. Solo un paio di anni prima si auspicava un riallineamento del cambio euro-dollaro. Le esportazioni franco-tedesche erano in difficoltà, il made in Italy anche. Il cambio attuale, di 1.227 sul dollaro, non è il livello più basso sinora raggiunto. Ad Ottobre 2000, qualche mese dopo il suo debutto sui mercati monetari, scese otto lo 0.85; a Dicembre 2005,scese sotto quota 1.20 dopo un anno di discesa continua; e che dire della crisi dell’euro del 2008? Fra Luglio e Ottobre passò da 1.60 e 1.25, un crollo ben più veloce di quello attuale:

Conclusione: basta drammi. Da anni “viviamo” a debito, abbiamo costruito il boom degli anni ’80 a debito. Lo abbiamo in parte pagato con le lacrime e il sangue del governo Prodi, con quindici anni di stagnazione e di precariato. Risolvere il problema del debito dovrebbe essere la principale occupazione del Parlamento e del governo, i quali invece discettano di privacy e intercettazioni. La criminalità è quel gorgo muto in cui sono precipitati tutti o parte di quei soldi. Là, e soltanto là, dovrebbe esser cercata la chiave di volta. Perché preoccuparsi di eventuali limitazioni della sovranità? Sono contemplate dalla Costituzione nel sempiterno articolo 11, secondo comma, purché siano alla luce del sole, frutto di accordi internazionali. L’Europa lo è. Più che di sovranità nazionale, ci si dovrebbe preoccupare di dotare l’Europa di istituzioni democratiche, rappresentative dei popoli europei. Grillo non lo fa, e in questo rivela tutta la sua miopia politica.

Crisi UE: Il debito che non ti aspetti

Venerdì, il blog di Beppe Grillo pubblicava questo post, Il Debito dei Maiali (e oggi ci riprova con ‘La crisi piovuta dal cielo’), in cui con tanto di video si evidenziavano i rapporti di debito fra i paesi europei e i cinque cosiddetti P.I.I.G.S., i maiali d’Europa, appunto, che prosperano accumulando debito. Si dà il caso che il grafico impiegato e l’impianto argomentativo fossero ripresi da un articolo del The New York Times:

Il grafico naturalmente viene impiegato dal sito di Grillo per riaffermare la tesi secondo cui ‘adesso tocca alla Grecia, ma i veri maiali siamo noi italiani e prima o poi subiremo la stessa sorte’, cavallo di battaglia del Grillo economista. Ma l’analisi di Nelson D. Schwartz, il vero autore, difetta di ‘americanocentrismo’ poiché nel quadro così delineato si è ben guardato da includere le “bolle” del debito a stelle e strisce, nonché quella britannica, certamente non così piccola come si potrebbe immaginare:

Il debito pubblico degli Stati Uniti, nel 2009, rappresentava il 70% del Pil [il nostro nel 2009 è salito a 122.9%] mentre il deficit di bilancio ha toccato la stratosferica cifra di 1.400 miliardi di dollari che, secondo il budget della Casa Bianca, nell’esercizio in corso diventeranno 1.556 miliardi: cioè, il 10,6% del Prodotto interno lordo [il nostro è circa il 6% nel 2009]; il rapporto debito/Pil dell’Inghilterra si è attestato, nel 2009, a quota 68,5 per cento. E le stime sono per una veloce crescita: il 79,5% nel 2010 e l’88,5% per il 2011. (I debiti di Usa e UK non sono puniti dai mercati. Ecco perchè, Vittorio Carlini).
I conti degli inglesi sono migliori dei nostri? Si direbbe, ancora per poco. Per esempio, un’agenzia di rating che dovesse valutare il debito inglese dovrebbe certamente considerare il fatto che le stime per gli anni a seguire sono di crescita. In seguito a questa semplice constatazione, dovrebbe esprimersi con un giudizio previsionale, il cosddetto outlook, negativo o parzialmente negativo; almeno dovrebbe esprimere dei rilievi al governo inglese. Rispetto agli USA, un’agenzia di rating ne avrebbe già declassato i titoli di Stato. Si consideri anche che la condizione finanziaria dei singoli stati della federazione statunitense non è migliore di quella della Grecia (caso della California, sull’orlo del default da circa un anno e mezzo). Perché ciò non avviene? Perché i vari Moody’s e S&P si ostinano a assegnare la tripla A con outlook stabile ai bond “Tresaury” USA?
Qualcuno (non Grillo) ha avanzato alcune ipotesi:
  1. “le solite big investment bank di Wall Street usano i soldi prestati dalla Fed per acquistare i Treasury, alzando così i prezzi e tenendo schiacciati i rendimenti” [rendimenti bassi garantiscono rating ottimi] quegli stessi Treasury che poi, attraverso il quantitative easing [l’alleggerimento quantitativo], la Banca centrale americana si ricompra”;
  2. “Se si applicassero i criteri dei paesi emergenti – articola maggiormente Luca Mezzomo, responsabile dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo – la tripla “A” non ci sarebbe già da un pezzo […] non può dimenticarsi un altro aspetto importantissimo». Vale a dire? «Con la loro moneta fanno signoraggio. Le banche centrali acquistano enormi quantità di asset in dollari, usando il bliglietto verde come attività di riserva” (I debiti di Usa e UK non sono puniti dai mercati. Ecco perchè, Vittorio Carlini).

I banksters, ancora loro, che tramano nell’ombra: prima fanno quasi fallire il sistema bancario statunitense, poi ricevono gli aiuti dal Tesoro di Washington e con questi denari freschi tornano sul mercato e fanno incetta di Treasury, facendone così alzare il valore. Al resto ci pensa la Federal Reserve, che stampa carta moneta e con questa ratrella i titoli USA. Capito? Sì, si tratta del signoraggio, quel particolare benefit che riceve chi è investito del diritto di stampare carta moneta. Negli USA, la Fed; in Unione Europea, la BCE. Qui sta l’inghippo:

Nei paesi dell’area euro, il reddito da signoraggio viene incassato dai paesi membri per il conio delle monete metalliche, e dalla Banca centrale europea (BCE) per la stampa delle banconote, che emette in condizioni di monopolio. Tali redditi sono poi ridistribuiti dalla BCE alle banche centrali nazionali in ragione della rispettiva quota partecipazione (per la Banca d’Italia ad esempio il 12,5% […] i singoli stati nazionali provvedono in seguito a prelevare gran parte di tali redditi dalle banche centrali tramite il prelievo fiscale. In taluni casi, come per la Bank of England, essendo la banca centrale completamente di proprietà statale, il reddito derivato dall’emissione delle banconote viene indirettamente incamerato interamente dallo stato (Signoraggio – Wikipedia).
Va da sé che il reddito di signoraggio per produzione delle monete – a carico del singolo stato nazionale – è parecchio modesto per l’alto costo della ‘materia prima’ (metallo). Secondo aspetto: con le monetine non si possono acquistare i titoli del proprio debito (pensate al costo di stampare miliardi di euro in monete da due euro). Ne consegue che gli USA, pur essendo in condizioni debitorie non dissimili dalla Grecia, mantengono inalterata la propria sovranità e possono così spingere la Fed a intervenire sul mercato dei Treasury quando ve ne è la necessità, con l’effetto opposto di aumentare il capitale circolante e svalutare la moneta. La Grecia? Non può stampare carta moneta. Non può recuperare i propri titoli di debito attraverso il quantative easing. Lo può fare la BCE, ma la BCE non risponde ad alcun governo nazionale. Risponde solo a sé medesima. Questo è il problema.
Alcuni governi hanno fatto pressing per superare le ritrosie della Bce ad acquistare titoli di Stato dei paesi in difficoltà (Quattro mosse a difesa dell’Euro – CorSera).
Il vertice di ieri del Consiglio Europeo, presideuto dall’uomo ombra Van Rompuy, non è servito a chiarire se e come la BCE interverrà con il quantitative easing. Non è chiaro cioè se la BCE interverrà sui mercati in difesa dei paesi dell’Eurogruppo qualora uno di questi avesse difficoltà con il quantitativo debitorio in circolo. La BCE non ha alcuna guida politica, né pertanto potrebbe allo stato delle cose, senza una precisa presa di posizione dei governi europei, operare in tal senso. Di fatto la Grecia è sull’orlo del default non solo perché attua politiche finanziarie poco rigorose ed ha una spesa pubblica fuori controllo. Non ha potuto far leva sulla moneta, ed è ricorsa giocoforza al credito bancario, finendo nella spirale debitoria in cui si trova ora. Una politica di riduzione del debito non è sufficiente senza una copertura strategica da parte della BCE.
Che le vie del debito siano incrociate è quanto di più ovvio si potesse scrivere. Se il debito dell’Italia è in mano francese, è pur vero che quello americano è in gran parte in mano cinese. E se un debito può voler significare un certo grado di controllo di un paese sull’altro, è pur vero che il paese creditore dipende dalle scelte finanziarie del paese debitore poiché scelte sbagliate potrebbero metter a pregiudizio il proprio “investimento”.
La questione del debito incrociato non risolve la domanda ‘perché i titoli USA hanno la tripla A con outlook stabile?’
[Secondo] Joel Naroff, noto economista Usa indipendente – [Una revisione del giudizio di outlook stabile] vorrebbe dire, giocoforza, che si pensa ad una revisione del rating. Cui potrebbe seguire l’ipotesi che gli Stati Uniti, seppur in un’ipotesi lontanissina, potrebbero diventare insolventi sul qualche emissione. Un vero e proprio non sense. In realtà – dice Naroff – gli Stati Uniti sono un caso a parte, e come tale devono essere valutati.
Gli USA sono, per le agenzie di rating, un “caso a parte”. E’ implicito in questa affermazione una valutazione di tipo patriottistico. Tant’è vero che i PIIGS d’Europa sono i paesi ‘meridionali’ più gli irlandesi. Forse che le valutazioni di Moody’s del debito inglese siano diverse? Si dice che per la revisione del rating attendano l’esito delle elezioni, che guarda caso non hanno avuto esito certo. Un calcolo molto semplice però può aiutare a capire che la mancata revisione del giudizio di outlook è stato per USA e UK un aiutino concreto. Guardiamo ai dati. Questo il rapporto debito/pil di Italia, USA, UK, Francia e Germania, anni 2005-2010 proiezione (dati OECD). La seconda tabella ci mostra gli incrementi relativi. Va da sé che il rapporto debito/pil del biennio riflette il cattivo andamento economico, però di fatto si può così comprendere che la prestazione peggiore non l’ha avuta l’Italia, ma UK nell’anno 2009; quindi a seguire USA, Francia, Germania e Italia, pur avendo avuto subito quest’ultima decrementi significativi del PIL. Infatti, gli USA, a fronte di un incremento del rapporto debito/pil del 22.93%, mantengono nel 2009 un tasso di crescita del 1%: significa che il debito a stelle e strisce è esploso. Medesimo discorso per UK che nel 2009 cresce dello 0.7%. Senza sottovalutare che il rapporto deficit/pil – l’altra croce di Maastricht – degli USA salirà quest’anno al 12%, lo stesso della Grecia; che il forte indebitamento privato fa salire il rapporto debito/pil al 300%. Chi è più PIIGS?
Nessuno crederà mai ad un paese in cui i cittadini vivono a credito, disse Uriel. Tranne se possiedi una agenzia di rating.
2005 2006 2007 2008 2009 2010
Italy 119,9 117,2 112,5 114,5 122,9 127,3
US 62,3 61,7 62,9 71,1 87,4 97,5
UK 46,1 46,0 46,9 57,0 75,3 89,3
Germany 71,1 69,4 65,5 69,0 78,2 84,1
France 75,7 70,9 69,9 76,1 86,4 94,2
Eurozone 75,10 75,90 77,00 74,50 71,20 73,40
2006 2007 2008 2009 2010
Italy −2,25% −4,01% 1,78% 7,34% 3,58%
US −0,96% 1,94% 13,04% 22,93% 11,56%
UK −0,22% 1,96% 21,54% 32,11% 18,59%
Germany −2,39% −5,62% 5,34% 13,33% 7,54%
France −6,34% −1,41% 8,87% 13,53% 9,03%
Eurozone 1,07% 1,45% −3,25% −4,43% 3,09%

Incrementi rapporto debito/pil anni 2006-2010 (fonte OECD)

Conclusione? Non è tutto debito quel che fanno i maiali. E forse una lettura più attenta dei numeri sarebbe necessaria. La verità è che il copia-incolla non insegna nulla.

Per approfondire: Gli USA stanno peggio della Grecia http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=32189

Gli unici incontestabili giudici sulla qualità del debito continuano a essere tre società inaffidabili. Detengono un potere enorme, ingiustificato. Agiscono in una zona grigia, senza contrappesi, senza concorrenza. E in queste ore contribuiscono in modo decisivo a indebolire l’euro, moltiplicare i dubbi sulla sua tenuta, e dunque rivalutare miracolosamente l’indebitatissima America. Di fronte a un’Europa che potrebbe esplodere, molti investitori sono indotti a pensare che tutto sommato siano meglio i Treasury bonds Usa.