E’ la discussa riforma a mezzo decreto di Tremonti. Abolisce i consigli comunali per quei centri abitati sotto i mille abitanti e crea delle unioni municipali, sorta di miniparlamenti per aggregati di comuni.
3. L’unione municipale è costituita dai comuni contermini con popolazione pari o inferiore a 1.000 abitanti al fine dell’esercizio in forma asso ciata di tutte le funzioni amministrative e dei servizi pubblici di spettanza comunale. La complessiva popolazione residente nel territorio dell’unione municipale è pari almeno a 5 .000 abitanti, salvo diverso limite demografico individuato con delibera della Giunta regionale (tratto dal Decreto del 12/08/11).
I comuni sotto i mille abitanti non smetteranno di eleggere i propri sindaci, che però saranno organi monocratici, senza giunta, senza consiglio. Il risparmio per le casse pubbliche, si intuisce, dovrebbe generarsi dalla suddetta abolizione degli organi elettivi. Ne consegue, meno soldi pubblici, meno democrazia.
E’ già grave che si stabilisca per decreto che i piccoli comuni non debbano esistere, negando pertanto il principio federalista della sussidiarietà nonché quello democratico della autodeterminazione della rappresentanza politica. Togliere alle piccole comunità il diritto di autogestirsi in nome del risparmio pubblico è una eresia. Che idea di democrazia ha il legislatore che produce una simile porcata?
Non fraintendetemi: il principio del contenimento della spesa pubblica, nonché quello della riduzione del debito, sono sacrosanti. E’ la prassi della buona amministrazione pubblica, quella di avere i bilanci a posto. Ma eliminare per decreto delle istituzioni democratiche sulla base dell’idea che sono inutili, è sbagliato. Tanto più se si sostituiscono organismi democratici con le citate unioni municipali. Esse non sono nient’altro che dei parlamentini dei sindaci dei comuni associati. Fare ciò nel paese del campanilismo è un errore gravissimo.
Naturalmente queste assemblee dovranno formare una giunta e avere un presidente di giunta che sussume in sé i poteri del sindaco. Il presidente di giunta è eletto dall’assemblea: nel decreto non è specificato se si debba raggiungere un qualche quorum. In ogni caso, ci sarà una maggioranza di sindaci che voteranno per quel presidente, e una minoranza che non lo farà. Il presidente di giunta forma quindi la sua giunta mediante la quale governerà il territorio municipale. Egli sarà certamente portato a selezionare i suoi “ministri” fra coloro che l’hanno votato. I suoi assessori sono i sindaci solo di una parte dei piccoli comuni che formano l’unione municipale: è altrettanto naturale che essi facciano gli interessi dei loro comuni, a discapito degli altri, che hanno sindaci in minoranza e non potranno partecipare all’organizzazione delle attività del territorio municipale.
C’è un rischio molto grande in questa riforma – una riforma molto superficiale e controproducente nelle innovazioni che porta con sé. Il rischio di avere territori comunali con sindaci che non possono spendere un soldo per riparare una strada o salvaguardare i cani randagi piuttosto che spalare la neve d’inverno. Non già perché i soldi non ci sono, bensì perché la maggioranza li ha dirottati a suo piacimento verso i comuni di appartenenza.
Questo governo ha speso migliaia di parole per il federalismo comunale, ha invece partorito il dispotismo municipale.