Beppe Grillo, che tonfo! Errani e Formigoni sono ancora ineleggibili.

Ancora in merito al DDL Salva Effetti del DL Salva Liste: il blog di Grillo titola a grandi caratteri “Errani e Formigoni riverginati”. Oibò, che il DL Salva-Liste avesse effetti sulla legge 165/2004 art. 2, comma 1, lettera f, norma che introduce il divieto di terzo mandato come principio fondamentale delle leggi elettorali regionali nella elezione del Governatore, legge statale attualmente in vigore e mai emendata, è una novità. Ma leggiamo dal blog di Grillo, noto giurista:

Ieri, 15 aprile 2010, si è varcato il Rubicone della legalità. Alea iacta est. Il protagonista non è stato Giulio Cesare, ma più modestamente il duo Pdl-Pdmenoelle che si esibisce da quasi vent’anni nella distruzione della democrazia in Italia, riuscendovi peraltro benissimo. Il fiume non era il Rubicone, ma il Parlamento, la Cloaca Massima della politica italiana. La Camera ha approvato con 435 voti a favore, 21 contrari e 41 astensioni la legge salva Errani-Formigoni (Errani e Formigoni riverginati, blog di Beppe Grillo).

Sì, si riferisce proprio al disegnino di legge PD-PdL per mantenere salvi gli effetti del Decreto Salva-Liste, bocciato dall’aula solo lunedì scorso. Peccato che, come predetto, il contestatissimo decreto non intervenisse in alcun modo sulla legge 165. E come potrebbe? Dovrebbe contenere articoli che emendano la medesima 165/2004. E’ forse così? Il decreto conteneva altresì norme di interpretazione legittima per salvare il listino Formigoni in Lombardia e quelli del PdL e della Polverini nel Lazio. Chiaro? L’ineleggibilità è un’altra cosa, è una questione spinossissima e difficile da specificare anche con un decreto – infatti servirà certamente pronuncia del Consiglio di Stato, forse pure della Consulta. Ma Grillo insiste:

E’ una legge a posteriori per legittimare un comportamento fuori legge a priori. Il decreto salva liste è un’istigazione a leggi ex post fai da te. Hai evaso il fisco? Nessun problema, ti riunisci in salotto con i famigliari e fai un decretino ex post con uno scudo fiscale. Sei stato licenziato insieme ad altri precari? Convochi un’assemblea per approvare una legge per il reintegro immediato. Non riesci a pagare le bollette dell’acqua, della luce e del gas? Scrivi una legge ex post per un’autoriduzione del 100% e la spedisci a Equitalia con affrancatura a carico del destinatario (ibidem).

Ecco, forse l’attenzione stava paurosamente calando, e allora era necessario rinfocolare il sentimento anti PD. Infatti il post ha ricevuto commenti di fuoco contro il partito di Bersani. Ma almeno, visto che sono palesemente in errore, che si producano in una smentita con scuse. Loro, lo hanno pur detto, la rete non si lascia sfuggire nulla. E neppure Grillo è esente dal controllo, sia chiaro. Che sia il post fasullo una occasione per rimangiarsi la promessa di un ricorso contro Errani e Formigoni?

Bocciato il DL Salvaliste? Il PD si rimangia la parola: pronto il DL Salva-Effetti del Salva-Liste. Ormai è sclerosi.

Ricordate la vicenda del Decreto Salvaliste, che il governo approvò fra le proteste delle opposizioni, per sanare gli inghippi nella presentazione delle liste del PdL in Lombardia e Lazio? Bene, quel decreto è stato affossato dal PD lo scorso lunedì, durante la seduta di discussione sulla conversione in legge del decreto medesimo con un emendamento a sorpresa, approfittando delle pesanti assenze del PdL. E’ chiaro che la decadenza del decreto avrebbe aperto le porte ai ricorsi alle Corti d’Appello. Apriti cielo. Vorreste mica far tornare il PD alle urne? Siete ammattiti? Qualcuno ha dovuto sporcarsi le mani e in men che non si dica ha proposto un disegno di legge ‘salva-effetti’ in Commissione Affari Costituzionali, relatori on. Donato Bruno (PdL)e on. Luciano Dussin (Lega) lo stesso 13 Aprile e poi approvato in fretta e furia, anche con i voti del PD, il giorno successivo. Ieri il disegno di legge è approdato in aula alla Camera e, con una velocità a dir poco sorprendente, è stato approvato. Naturalmente dovrà subire la medesima sorte al Senato, salvo difficili modificazioni.

Ne parla oggi Travaglio su Il Fatto Quotidiano. Usa la parola ‘inciucio’, lui. Anche Civati è dubbioso sul perché si sia deciso di votare questo disegnino di legge.  IDV ha votato contro. Non sono mancati i battibecchi in aula. Il relatore On. Bruno ha mostrato una certa frettolosità nello sbrigare la pratica. Il rappresentante del Governo, il sottosegretario di Stato per gli Interni, Michelino Davico, si è dichiarato pienamente concorde con il relatore.

Le ragioni del disegno di legge possono però essere così riassunte: c’è un precedente, datato 4 aprile 1995 , giorno in cui si discusse il decreto-legge di proroga dei termini per la presentazione delle liste nelle elezioni regionali ed amministrative di quella primavera, dreceto che venne bocciato (si travvata del n. 90/1995); nonostante ciò si legiferò in modo da ritenere salvi gli effetti da questo prodotti; due, il PD proprio non resisterebbe al grave attacco che la maggioranza potrebbe portare alla giustizia in caso di mancata ratifica delle Corti d’Appello degli esiti del voto del 28-29 Marzo in virtù della decadenza del decreto salva-liste e/o dietro proposizione di ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato. Si verrebbe a creare una crisi istituzionale profondissima, che minerebbe del tutto il già delicato equilibrio fra politica e magistratura. Queste le ragioni, peraltro chiaramente espresse in aula dal deputato PD Gianclaudio Bressa:

Con il provvedimento di oggi entrano in gioco delle questioni rilevantissime sul piano della Costituzione e della democrazia; entrano in gioco l’articolo 1 e l’articolo 48 della Costituzione (il valore del voto, la sovranità appartiene al popolo, il voto è uguale, libero e segreto); entra in gioco un principio fondamentale che è alla base di ogni stato di diritto, il principio di tutela dell’affidamento.

L’articolo 77 della nostra Costituzione prevede la possibilità di fare salvi gli effetti di un decreto-legge che non viene convertito: si tratta di una espressione tipica del principio dello Stato di diritto. Questo articolo 77 è un caposaldo, un fondamento della regola dello Stato di diritto, della convivenza civile nel nostro Paese. Anche se per noi il decreto-legge era incostituzionale, ed anche se poi non convertito, il decreto-legge dopo la sua adozione era una norma valida ed efficace. L’eccezionalità della decadenza ex tunc, se è espressione di una estrema diffidenza della Costituzione rispetto allo strumento del decreto-legge e di una indicazione di prudenza circa il suo stesso utilizzo, è per la stessa Costituzione un’anomalia e pertanto la Costituzione prevede la possibilità per la Camera di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti.

È in gioco un principio fondamentale, quello dell’affidamento, della tutela dell’affidamento, in virtù del quale i cittadini e l’amministrazione hanno applicato norme valide ed efficaci.

Le stesse ragioni che inducono a considerare costituzionalmente scorretto l’uso del decreto-legge in materia elettorale (tanto più a competizione aperta, perché è in gioco il principio fondamentale della sovranità popolare), quelle stesse ragioni che abbiamo usato per far saltare il decreto, sono quelle che ci impongono di evitare un’anomalia ancora più grave: che un voto espresso in base alle norme vigenti possa essere travolto dall’irresponsabilità di chi ha voluto il decreto e non è stato capace di convertirlo. Non può un fatto grave, come ha ricordato adesso il collega della Lega, ma circoscritto, vanificare l’espressione della sovranità popolare. Non votare a favore di questo provvedimento, che salva il voto deliberatamente espresso il 28 e il 29 marzo, significa annullare la certezza del diritto. Senza certezza del diritto non vi è società, non c’è convivenza civile, non c’è democrazia (Resoconto Stenografico Seduta Camera del 15 Aprile 2010).

Perciò si conviene che le ragioni, da un punto di vista squisitamente costituzionale, ci sono e sono valide. Ma quelle politiche? Non stupisce tanto la reticenza del PD a scontrarsi sul terreno giuridico per le irregolarità delle liste PdL, quanto l’animosità dei parlamentari democratici nell’aiutare con tanta animosità la maggioranza. Perché votare un disegno di legge che avrebbe dovuto essere a carico di altri? Il voto favorevole del PD al DDL Salva-Effetti del Salva-Liste pare proprio un ‘risarcimento danni’, non per il popolo sovrano, bensì per la maggioranza. Più che parlare di inciucio, alla maniera di Travaglio, occorre parlare di sclerosi.

Manifestazione 13 Marzo 2010, Piazza del Popolo, Roma, contro il decreto salva liste. Dalle ore 14 la diretta streaming su Yes, political!

L’intervento di Nichi Vendola:

L’intervento di Emma Bonino:

La diretta è terminata.

Vodpod videos no longer available.

Dalle ore 14 la diretta streaming su Yes, political! della manifestazione congiunta PD, IDV, Popolo Viola, Radicali, Sinistre contro il decreto salva liste e la deriva anti democratica che il governo Berlusconi ha impresso alla politica italiana dopo il fattaccio della esclusione della lista PdL nella provincia di Roma.

A questo link, http://vids.myspace.com/index.cfm?fuseaction=vids.channel&vanity=vittoriocaratozzolo il video di una canzone che mette in musica l’art. 3 della Costituzione – articolo tanto bistrattato, e invece guarda che musicalità intrinseca, opera di Vittorio Caratozzolo, arrangiato e cantato da Maurizio Salvato, artista di Ravenna.

il popolo viola

Di seguito l’appello di Antonio di Pietro alla cittadinanza:

Carissimi,

è tempo di reagire. L’Italia, dal 5 marzo 2010, non è più una democrazia parlamentare. Il Governo Berlusconi ha cambiato la legge elettorale con un decreto legge per favorire il Pdl, il proprio partito, alle prossime elezioni regionali del 28 e 29 marzo 2010. Il Pdl è stato escluso per gravi irregolarità nel collegio elettorale di Roma, dove non aveva depositato le firme nei tempi fissati dalla legge. Il 5 marzo 2010 il Consiglio dei Ministri, presieduto dal Premier Silvio Berlusconi, ha emanato un decreto con cui ha cambiato la legge elettorale e violato la Costituzione, sostituendosi agli organi competenti giudiziari, proprio per ammettere il Pdl alle elezioni. Il presidente della Repubblica ha firmato il decreto e, secondo alcune fonti, questo sarebbe avvenuto sotto forti pressioni di Berlusconi il quale avrebbe minacciato di ricorrere alla piazza. Ma il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha confermato l’esclusione della lista Pdl per le gravi irregolarità nella presentazione della documentazione e perché la Regione Lazio ha proprie disposizioni in tema elettorale, pertanto la legge nazionale non ha competenze in materia.

Nessun governo in nessuna democrazia può cambiare le regole elettorali durante il periodo elettorale. Nessun governo in nessuna democrazia può “interpretare” le leggi al posto della magistratura. Invece, questo è ciò che è avvenuto in Italia.

Un Paese nel quale i media televisivi pubblici e privati sono sotto il totale controllo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. E’ tempo di chiamata alle armi. Pertanto, invito tutti i cittadini a partecipare alla manifestazione di sabato 13 marzo a Roma, alle ore 14,00, in piazza del Popolo.

Su tutto il territorio abbiamo predisposto dei pullman e altri mezzi di trasporto per raggiungere Roma. In caso di necessità o per ulteriori informazioni logistiche, prego rivolgervi alla sede Nazionale dell’Italia dei Valori: 06/95948119 – 06/95948120.

Antonio Di Pietro

Presidente dell’Italia dei Valori

MANIFESTAZIONE 13 MARZO 2010 ORE 14:00 PIAZZA DEL POPOLO – ROMA « «Italia dei Valori» Marino.

Se non ora, quando? Verso la manifestazione plurima del 13 Marzo. Popolo Viola, PD, IDV, Radicali, Sinistre.

“Se non ora, quando?”, titola oggi il sito de Il Popolo Viola. Dopo decreto ad listam e legittimo impedimento, la manifestazione del 13 Marzo mostrerà la vera piazza al (finto) premier. La piazza che si auto organizza, che si auto mobilita, che non ha “capo” ma un corpo di tantissime teste. Questo è il Popolo Viola. Scenderà per le vie di Roma insieme a PD, a Italia Dei Valori, Radicali e quel che resta della Sinistra. Sarà una novità, questo assemblarsi di opposizioni parlamentari e opposizioni movimentiste. Tanto che qualcuno mugugna.
Una intervista comparsa su Libero del non-rappresentante del Popolo Viola, Enrico Peones, protagonista – questo sì – del presidio a Montecitorio, ha provocato una intensa discussione sul web. A incendiarla ci hanno pensato quelli di Libero, attribuendo a Peones la carica di rappresentante del Popolo Viola – ma a quale titolo? è forse stato eletto?, queste alcune delle obiezioni – il quale si è espresso in maniera critica (e perché no? la critica è la pratica della ricerca della verità) verso le dichiarazioni strampalate di Antonio Di Pietro, il quale, l’indomani della firma del decreto salva liste, invocava l’impeachment, giuridicamente parlando, nel nostro ordinamento, una “fesseria”. Ma Di Pietro non è nuovo alle sparate, e Peones, nell’intervista, si è limitato ad osservare l’inopportunità di una simile dichiarazione:

“Non condividiamo la reazione di Di Pietro nel modo più assoluto. Il leader dell’Idv è stato molto violento nelle sue dichiarazioni e anche molto pericoloso.”
Perché pericoloso?

“Perché le sue dichiarazioni sono arrivate in un momento particolare. Dopo la firma di Napolitano i cittadini sono scesi in piazza, c’era gente che piangeva che sentiva il peso di questa forzatura antidemocratica e della situazione provocata da questo governo. Abbiamo ricevuto tante mail, telefonate e in quel momento le dichiarazioni di Di Pietro, che parlava di intervenire contro un golpe, è stata veramente irresponsabile. Il presidente deve essere difeso e, invece, si è fatto il gioco del premier dimenticando che il dittatore è lui. Di Pietro è caduto in una grossa contraddizione rispetto all’obiettivo delle critiche.”
Tra l’altro in Italia l’impeachment non esiste.
“Appunto, non è un istituto previsto dal nostro ordinamento. Si tratta solo di una parola conosciuta dopo scandalo Clinton negli Usa.” (fonte: Popolo viola contrario al decreto salva-liste ma pure a chi attacca il presidente: “Napolitano va difeso” | tiscali.notizie).

L’analisi di Peones è certamente condivisibile quando avverte che la dichiarazione di Di Pietro sposta l’attenzione da Berlusconi, l’autore del decreto dello scandalo, a Napolitano, mero firmatario con vocazione suggeritoria, avendo egli la sola intezione di evitare lo scontro istituzionale. Meno condivisibile è la supposta pretesa di Peones di parlare a nome di tutti: il “non condividiamo”, se realmente espresso, non può che essere riferito a sé stesso e a sé medesimo.
Quel che desta sorpresa è la reazione di certa parte del più ampio movimento: subito sono fiorite le pagine Facebook, come quella titolata “Enrico Peones non è il mio rappresentante viola”, poi chiusa. Quindi ci ha pensato Beppe Grillo:

    • Se il PDL fa il suo mestiere, il PDmenoelle fa la spalla. Totò e Macario, Gianni e Pinotto, Stanlio e Ollio, PDL e PDmenoelle. Napolitano non si tocca, è il padre di Bassolino, lo zio di D’Alema, il fratello gemello di Scalfari e dei suoi editoriali presidenzialisti, il nonno degli autoeletti rappresentanti del Popolo Viola
    • Enrico Peones a nome del Popolo Viola: ” Se il presidente lo ha firmato (il decreto, ndr) evidentemente lo è (costituzionale, ndr). Non condividiamo la reazione di Di Pietro nel modo più assoluto. Il leader dell’Idv è stato molto violento nelle sue dichiarazioni (nei confronti di Napolitano, ndr) e anche molto pericoloso

Ma quale pericolosità ha Enrico Peones e il suo “non condividiamo”? Verrebbe da titolare: “chi attacca Di Pietro muore (veramente)”. Nel Popolo Viola, tutte le opinioni hanno diritto di esistere, ma anche di essere criticate. Il Popolo viola rifiuta di darsi una organizzazione, quindi di strutturarsi gerarchicamente, per essere, fino in fondo, movimento “dal basso”:

Il Popolo Viola si disassembla e assembla ogni giorno, in merito a ciascuna delle battaglie che si portano avanti. Il Popolo Viola sceglie di essere indifeso dalla possibilità di essere frainteso perché non esserlo vorrebbe dire andare contro i principi che ci accomunano tutti, ovvero la libertà di espressione, la responsabilità delle proprie azioni ed il rispetto delle regole. Sono felice di avere opinioni in comune con molte persone del Popolo Viola, ma sono entusiasta quando ne ho altre in disaccordo (fonte: Il blog di Raffaele Pizzari: Discussione sulle dichiarazioni di Peones).
Perché questa pretesa di omogeneità di opinione? Bisogna essere antiberlusconiani senza macchia, quindi la logica prevede che l’antiberlusconiano sia un dipietrista convinto, che plaude all’ex pm, che odia il PD (PDmenoelle), che pende dalle labbra di Santoro e Travaglio. Naturalmente, tutto ciò che si allontana da questo quadro idilliaco, tutto ciò che contrasta con il manuale del perfetto antiberlusconista, deve essere annullato. Invece no. Peones ha tutto il diritto di esprimere la sua opinione, impiegando – al massimo – il plurale majestatis.

Intanto, per sabato 13, il Popolo Viola sta organizzando una rete di protesta che sconfina all’estero. Seguire sul sito!

    • Gli eventi di questi giorni dimostrano che siamo realmente in un momento di emergenza democratica. L’uso strumentale del decreto legge da parte del governo per tutelare gli interessi di parte o di pochi (non l’esercizio democratico del voto, altrimenti della sanatoria avrebbero beneficiato le altre liste escluse, come ad esempio i radicali) ha rappresentato un momento di grave lacerazione istituzionale per il nostro Paese.
    • L’approvazione del Legittimo Impedimento alla Camera ed il suo eventuale via libera al Senato nei prossimi giorni sono altri segnali di un governo che pensa di utilizzare le istituzioni democratiche legiferando per risolvere i problemi di una persona o delle sue liste elettorali.
    • Tutto ciò accade nel momento in cui vengono eliminati gli spazi di libera informazione, come dimostra la decisone del Cda Rai di mettere il bavaglio ai talk show di approfondimento politico, pur di non applicare ad essi le regole della par condicio.
    • Ci domandiamo se non ora quando sia il momento delle responsabilità, ciascuno nel suo rulo e funzione: noi cittadini indignati per l’attacco alle regole democratiche e la chiusura di spazi di informazione, i partiti come difensori nelle istituzioni di delle regole costituzionali.
      Se non ora quando dovremmo scendere in piazza, tutti insieme, per manifestare la necessità di difendere la nostra Costituzione e le istituzioni che essa rappresenta?
    • Per tutto questo invitiamo a continuare la mobilitazione permanente che il Popolo Viola ha inziato fin dal 4 febbraio con il Presidio Permanente a Montecitorio, proseguita il 27 gennaio con la bella manifestazione di Piazza del Popolo e con le iniziative ed i sit-in di questi giorni.
    • Il 13 marzo si può trasformare in una giornata di mobilitazione straordinaria con tanti NODI (che comunicheremo con specifica nota) rappresentati da iniziative e presidi in molte città italiane e quattro manifestazioni HUB, alcune delle quali promosse direttamente dal Popolo viola ed altre (di cui condividiamo le preoccupazioni e lo spirito) promosse da altre forze democratiche
    • Ribadiamo il nostro invito alla società civile tutta, cittadini, utenti in rete, associazioni e partiti, un impegno di responsabilità democratica, rimanendo uniti in questo difficile momento di emergenza democratica.

Lista PdL Roma, nuovo stop. Ancora ricorsi al Consiglio di Stato. Berlusconi vuole la Piazza il 20 Marzo. Legittimo Impedimento al voto di fiducia.

Il caso della lista PdL romana si aggroviglia su sé stesso. Il Tar del Lazio ha pubblicato oggi le motivazioni della prima esclusione: il decreto è inapplicabile nella fattispecie poiché il Lazio ha esercitato la propria competenza legislativa concorrente in materia di elezioni attribuitagli in forza dell’art. 122 della Costituzione con la legge 13 Gennaio 2005. Il decreto fa invece, giocoforza, riferimento alla vecchia legge elettorale statale 17 febbraio 1968, n. 108 e alla legge 23 febbraio 1995, n. 43. Molto probabilmente, l’Ufficio Centrale Elettorale della Corte d’Appello di Roma, nella sofferta decisione di oggi di respingere nuovamente la lista PdL ripresentata ieri ai sensi dell’art. 1 comma 4 del decreto salvaliste n. 29/2010, non ha potuto che constatare l’inapplicabilità della norma e respingere la richiesta di riammissione.
Ora tenteranno la via del Consiglio di Stato. Berlusconi preme per portare i propri sostenitori in piazza il 20 Marzo. Oggi l’iter in Senato del ddl sul Legittimo Impedimento, prima ingolfato dagli innumerevoli emendamenti ostruzionistici del PD e di IDV, ha subìto una accelerazione che passa però per due voti di fiducia, poi nella delibera finale del provvedimento. L’aula voterà domani a partire dalle ore 17. Il governo non teme imboscate da alcunché. I finiani stanno tutti in riga per la figuraccia romana.
Diverso il caso del listino Formigoni, riammesso dal Tar lombardo. Oggi sono state depositate le motivazioni:

“Nel merito – scrivono ancora i giudici amministrativi – i ricorsi sono stati ritenuti fondati ed accoglibili alla luce dell’articolo 10 della legge 17 febbraio 1968 n.108 e successive modifiche, che regola l’attività dell’Ufficio centrale elettorale presso la Corte d’appello”. Il Tar spiega che questa norma “regola altresì in modo preciso e puntuale i termini per gli eventuali ricorsi contro le sole eliminazioni di liste o candidati, che i delegati delle liste o dei candidati esclusi possono effettuare entro e non oltre le 24 ore (termine decadenziale)”.

“Consumati tali termini – spiegano ancora i giudici – anche l’Ufficio centrale non ha più alcun autonomo potere di procedere ad un riesame di profili già oggetto di verifica e non censurati dai soli soggetti legittimati (delegati di liste o di candidati eliminati)”. “Pertanto – sottolineano  – nel caso della lista ‘Per la Lombardia’, che era già stata ammessa alla competizione elettorale del 28 marzo del 2010, l’Ufficio centrale aveva ormai esaurito i suoi poteri di controllo e di decisione”.Elezioni, il Tar lombardo conferma riammissione della lista Formigoni | Milano la Repubblica.it

Il Tar non ha considerato il decreto salvaliste, ma ha rilevato che il ricorrente, nella fattispecie, era il delegato di una lista avversa al listino Formigoni che a sua volta contestava il ricevimento della lista medesima. In sostanza, il ricorso era irricevibile. Doveva essere presentato al Tar, immediatamente. L’art. 10 disciplina solo i casi di ricorso contro decisioni di esclusione. L’Ufficio Centrale Regionale non ha escluso la lista Formigoni, l’ha invece accolta in prima istanza. Era pertanto incompetente a giudicare sul ricorso dei Radicali, i quali, a loro volta dovevano ricorrere al Tar.
Il caso dimostra come la giustizia, pur con i suoi lunghi tempi, è autocorrettiva. E che il decreto salvaliste, almeno nel caso lombardo, era assolutamente superfluo.
Questo il testo dell’articolo:

Legge 17 febbraio 1968, n. 108

“Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale.”
TITOLO III – Procedimento elettorale
  • art. 10. Esame ed ammissione delle liste – Ricorsi contro l’eliminazione delle liste o di candidati.
    • Contro le decisioni di eliminazione di liste o di candidati, i delegati di lista possono, entro 24 ore dalla comunicazione, ricorrere all’Ufficio centrale regionale. Il ricorso deve essere depositato entro detto termine a pena di decadenza, nella cancelleria dell’Ufficio centrale circoscrizionale. Il predetto Ufficio, nella stessa giornata, trasmette, a mezzo di corriere speciale, all’Ufficio centrale regionale, il ricorso con le proprie deduzioni. L’Ufficio centrale regionale decide nei due giorni successivi. Le decisioni dell’Ufficio centrale regionale sono comunicate nelle 24 ore ai ricorrenti ed agli Uffici centrali circoscrizionali. (fonte: Legge 17 febbraio 1968, n. 108 “Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale.”).

Il decreto non salva la lista PdL a Roma. Polverini senza partito. Per Formigoni ancora aperta la questione ineleggibilità.

Il Tar del Lazio respinge il ricorso del PdL contro la sua esclusione per la mancata presentazione della lista nei termini temporali consentiti. Secondo il Tribunale Amministrativo, non c’è prova che l’incaricato per la presentazione delle liste PdL della Provincia di Roma avesse con sé la necessaria documentazione. Il decreto? Non è servito a nulla.

L’articolo 1, comma 1, infatti, reca scritto che “il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale”. Sempre al primo comma, si specifica che “la presenza entro il termine di legge nei locali del Tribunale dei delegati puo’ essere provata con ogni mezzo idoneo”. Si sono dimenticati della documentazione. Ovvero di fornire prove certe al Giudice Amministrativo che il delegato alla presentazione liste portasse con sé i documenti al momento in cui entrava nei locali del Tribunale.

Niente paura, però. L’art. 1 comma 4 lascia comunque aperta la possibilità per il PdL romano di presentare le proprie liste “dalle ore otto alle ore venti del primo giorno non festivo successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto”. Vale a dire entro domani. Questa norma equivale a una vera e propria riapertura dei termini. Ma qualche dubbio “interpretativo”, il comma 4 lo apre. Rivediamolo:

Per le medesime elezioni regionali i delegati che si siano trovati nelle condizioni di cui al comma 1 possono effettuare la presentazione delle liste dalle ore otto alle ore venti del primo giorno non festivo successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto.

Le condizioni del comma 1 quali sono? I delegati sono entrati negli uffici preposti con la necessaria documentazione. Ma la sentenza del Tar dice che non c’è prova. Domani l’Ufficio Elettorale Centrale che deve fare? Come deve considerare il delegato PdL che riporta la lista al suo cospetto? Rientra o no nel comma 1? Per il Tar no. Quindi la lista PdL è nuovamente impresentabile. Un bel pasticcio. Chi se ne è accorto è Maroni: “il decreto non serve a niente”, ha dichiarato oggi. C’è aria di posticipazione delle elezioni per far in modo che l’iter giudiziario si concluda con il giudizio definitivo al consiglio di Stato.

Intanto, in Lombardia, un certo stupore proviene dalla Corte d’Appello per le motivazioni del Tar sul ricorso Formigoni-PdL: l’ufficio elettorale che domenica scorsa aveva ritenute valide le firme del listino Pdl non poteva modificare la sua decisione. Di fatto, il Tar ha applicato il comma 3 del decreto salva-liste: “le decisioni di ammissione di liste di candidati o di singoli candidati da parte dell’Ufficio centrale regionale sono definitive, non revocabili o modificabili dallo stesso Ufficio”. Pazienza se finora si sia proceduto diversamente. Sono decine ogni anno le occasioni in cui le Corti d’Appello apllicano il cosiddetto principio di autotutela: “il principio di autotutela è chiarissimo: vuol dire che fino a quando l’ufficio elettorale non si spoglia della sua funzione, ha tutto il diritto di rivedere le proprie decisioni. E questo è successo, senza scandali, tantissime volte” (fonte: La Repubblica.it – Milano).

Savino Pezzotta, candidato Governatore in Lombardia per l’UDC, ricorda a tutti che Formigoni, ai sensi della legge 165/2004, art. 2, comma 1, lett. f, è ineleggibile. Il Tar deciderà sui ricorsi UDC e Radicali non in tempo per le elezioni. Formigoni verrà eletto sub judice. Ieri flash mob del Gruppo Facebook “No Formigoni Day”, coordinato da Fausto Renzi, ex Coordinatore Nazionale Popolo Viola e ora candidato consigliere regionale nella lista Italia dei Valori circoscrizione di Milano e Provincia, per le vie di Milano. L’evento ha trovato spazio persino sulla prima pagina di La Repubblica Milano.

Formigoni, Il Tar accoglie la sospensiva. Napolitano alla gogna.

Il Tar accoglie la sospensiva del provvedimento della Corte d’Appello di Milano che escludeva la Lista Formigoni dalle elezioni regionali per vizi formali. Insomma, Formigoni può partecipare alla campagna elettorale e alle elezioni. Capitolo chiuso?

No, perché la vicenda ha scavato un solco, ben più profondo di quel che si possa immaginare, fra il Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica. Napolitano è stato oggi accusato di correità con il “regime golpista”, Di Pietro ha parlato di impeachment. Dal Quirinale fanno sapere che Napolitano ha soltanto firmato un decreto secondo le prerogative costituzionali. Nulla di più. Fini è sulla medesima lunghezza d’onda, e parla di “male minore”.

Attenzione perché Napolitano è andato ben al di là della semplice firma. I contatti con Palazzo Chigi sono stati intensissimi, ieri sera. Napolitano ha portato il governo sulla strada del decreto “interpretativo”. Ha svolto una funzione mediatoria fra il testo, inaccettabile, del decreto formulato dal governo giovedì e qualcosa che potesse somigliare a una legge. Napolitano faceva quel giorno sapere che non c’era alcuna “soluzione politica”. Poi è successo qualcosa. Qualcosa che ha fatto temere al Capo dello Stato uno scontro istituzionale senza precedenti.

Un articolo de Il Messaggero ha parlato di minacce di Berlusconi a Napolitano. “Non ho bisogno della tua firma”, avrebbe detto il (finto) premier al Presidente. Gli avrebbe detto “ti scateno la piazza”, o qualcosa di simile.

Stasera, Napolitano ha risposto sul sito della Presidenza della Repubblica ad alcuni cittadini che hanno inviato proteste contro il decreto salva liste (il testo riporta, a onor del vero, un commento contro il decreto e uno per il rispetto del diritto di voto). Una parte della nota merita la nostra attenzione:

Diversamente dalla bozza di decreto prospettatami dal Governo in un teso incontro giovedì sera, il testo successivamente elaborato dal Ministero dell’interno e dalla Presidenza del consiglio dei ministri non ha presentato a mio avviso evidenti vizi di incostituzionalità. Né si è indicata da nessuna parte politica quale altra soluzione – comunque inevitabilmente legislativa – potesse essere ancora più esente da vizi e dubbi di quella natura. La vicenda è stata molto spinosa, fonte di gravi contrasti e divisioni, e ha messo in evidenza l’acuirsi non solo di tensioni politiche, ma di serie tensioni istituzionali. E’ bene che tutti se ne rendano conto. Io sono deciso a tenere ferma una linea di indipendente e imparziale svolgimento del ruolo, e di rigoroso esercizio delle prerogative, che la Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica, nei limiti segnati dalla stessa Carta e in spirito di leale cooperazione istituzionale. Un effettivo senso di responsabilità dovrebbe consigliare a tutti i soggetti politici e istituzionali di non rivolgersi al Capo dello Stato con aspettative e pretese improprie, e a chi governa di rispettarne costantemente le funzioni e i poteri (fonte: Presidenza della Repubblica).

L’incontro con Berlusconi di giovedì sera, sarebbe stato “teso” e la vicenda è stata “spinosa” e “fonte di gravi contrasti e divisioni; ha messo in evidenza l’acuirsi non solo di tensioni politiche, ma di serie tensioni istituzionali”. Tradotto: Berlusconi era pronto ad andare in Consiglio dei Ministri (che fra l’altro ieri si è riunito alla presenza di pochissimi ministri), approvando comunque il testo da lui voluto, fortemente emendativo della legge elettorale del 1978, causando la inevitabile collisione con la Presidenza della Repubblica, che avrebbe dovuto respingere il provvedimento. Berlusconi allora avrebbe agito con tutte le sue forze, agitando la pazza, e forse – ma questa è solo un’ipotesi – scatenando i suoi media contro Napolitano. Avrebbe magari dato mandato ai suoi fedeli corvi della macchina del fango di mettere in mostra vecchi scheletri nell’armadio del Presidente: rapporti con il KGB o con il PCUS, storie di rubli al Partito Comunista Italiano. Una vicenda che avrebbe dato alibi alla maggioranza di porre la questione dell’impeachment. Sì, proprio la stessa idea che ha avuto oggi Di Pietro, l’antiberlusconista per eccellenza (si sa, gli estremi tendono ad assomigliarsi).

Così forse Berlusconi tiene in mano “strumenti” d’eccezione per piegare il Capo dello Stato ai suoi voleri. Dalle semplici minacce politiche a vere e proprie “pressioni” alla sua persona. E Napolitano non può che scegliere il male minore: trattare. Evitare che il (finto) premier porti allo sfascio le istituzioni. Poiché questo è l’elemento più significativo della vicenda. La furia distruttiva di Mr b non trova alcun limite, piega la legge alle sue necessità. Come tale, essendosi già posto al di sopra della legge, si configura come il nuovo Sovrano Assoluto. Il Leviatano che tutto sussume e che tutto inghiotte.

Flash Mob Viola contro il de-cretino salva liste. Crisi della Democrazia e ritorno del Leviatano.

Ieri notte, una volta diffusasi la notizia della firma di Napolitano al decreto “interpretativo” salva liste PdL, sul web si è innescato il tam tam viola. Cento persone hanno organizzato un flash mob davanti al Quirinale, in segno di lutto per la morte della Democrazia. Stamane il sit-in si è spostato davanti al Parlamento.
Nessun riferimento all’accaduto, alle manifestazioni spontanee, sulle copie dei giornali nelle edicole: taluni nemmeno recavano la notizia della firma del Presidente della Repubblica. Internet è stato nettamente più veloce. Facebook, l’agorà virtuale in cui è partita la discussione.
Durante l’edizione delle 20 di ieri sera del TG1, la notizia del probabile decreto è stata corredata di un servizio sul presunto dibattito fra giuristi della scuola formalista e giuristi della scuola sostanzialista, rimestando nella eterna guerra fra formalismo giuridico e giusnaturalismo; secondo il TG1, la vicenda della esclusione delle liste PdL è un caso di formalismo giuridico, in cui la norma è applicata al di là del suo contenuto, al di là della considerazione etica giusto/ingiusto. La legge prevede l’applicazione della norma secondo la quale una lista elettorale debba essere esclusa se presentata oltre il termine stabilito. Una norma “ingiusta”, poiché limiterebbe il diritto di elettorato passivo, secondo il Governo, preminente rispetto alle norme della legge elettorale medesima.
I formalismi giuridici (e i formalisti), secondo questa interpretazione, costituirebbero un limite alla rappresentanza politica, quindi alla democrazia. Qualcosa da combattere, insomma.
Questa inversione di significati, l’ennesima, confligge con l’idea di democrazia che parte dalla legalità, dal concetto che la sovranità (popolare) non è assoluta, ma è esercitata “nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1, comma 2, Costituzione Italiana). La legge è quindi un limite per l’esercizio della sovranità. Non si capisce perché non lo debba essere per l’esercizio del diritto di elettorato passivo. La legge regola le modalità con cui il diritto di elettorato passivo debba esprimersi. Il decreto salva liste sospende la legge e trasforma questo diritto in un diritto assoluto, che trova applicazione nonostante la legge. Un vero attacco alla democrazia. Tanto più che il decreto viene varato quando sono in corso i dibattimenti al Tar sui ricorsi presentati dai candidati esclusi. In questo modo, la parola viene strappata ai giudici, non più liberi di decidere serenamente, non possono che obbedire alla rappresentanza del “popolo sovrano”, che governa per decreto abrogando ogni limite legale a sé stessa. Questo è un orrendo mostro che deve essere fermato: un mostro che – chi ha letto Thomas Hobbes ne sa qualcosa – ha le sembianze del Leviatano.