Alessandria nella notte nera del default

Il governo dispone lo sblocco di fondi per 420 milioni, ma nemmeno un euro per la città di Alessandria. Ognuno dei 420 milioni di euro sono finiti in Sicilia che il 28 Ottobre prossimo venturo andrà al voto.  La Sicilia di Lombardo, dei ventimila dipendenti pubblici, della pletorica guardia forestale. La Sicilia che sfora il patto di stabilità, e non appena ciò accade, Roma decide di tamponare le falle: erano fondi da usare per lo sviluppo, ma sono stati distribuiti anche a Comuni e imprese che lavorano nel campo dei rifiuti.

Ci sono pure 25 milioni per gli straordinari dei regionali. Nella busta paga di novembre, subito dopo le elezioni regionali, arriveranno somme comprese fra 150 e 600 euro, secondo la categoria cui il dipendente appartiene.  C’è un giallo per quel che riguarda il possibile finanziamento della cassa integrazione destinata a frenare l’emergenza rappresentata dalla Gesip, società partecipata dal Comune di Palermo, un carrozzone con 1.800 dipendenti, pronti a mettere sottosopra il capoluogo dell’Isola se rimarranno senza lavoro e soprattutto senza stipendio. Il sindaco, Leoluca Orlando, si era impegnato a far sbloccare la situazione fino a dicembre e sembrava quasi fatta, ma alla Regione, dove non amano molto il primo cittadino dipietrista, frenano (cfr. La Stampa, 16/10/2012).

Se la Sicilia è tecnicamente fallita senza che questo costituisca una colpa per nessuno, Alessandria è una città che è stata trascinata nel gorgo del default da una amministrazione fuori-legge. Il sindaco di centro-destra, Piercarlo Fabbio, insieme al ragioniere capo e all’assessore al bilancio, ha adottato provvedimenti illegittimi che hanno portato il Comune dinanzi al giudizio della Corte dei Conti. Giudizio che non poteva essere che di condanna visto che per ben due volte nel corso di novembre 2011 e di gennaio 2012, l’amministrazione comunale non aveva recepito le raccomandazione dei giudici. Il dissesto è divenuto un passo obbligatorio per la nuova amministrazione, guidata dal PD:

Diciannove virgola quattro milioni di euro di disavanzo, anticipo di cassa impiegato sistematicamente dal 2008, finanza creativa per mezzo di partecipate che dovevano vendere il patrimonio comunale e invece l’hanno svenduto, fallendo sistematicamente ogni obiettivo minimo, 0.95 centesimi di euro di disponibilità di cassa al 21 Giugno 2012. Dopo la pronuncia della Corte dei Conti che ha stabilito il dissesto del comune (è il primo caso dopo la riforma di settembre 2011), il consiglio comunale di Alessandria stasera vota la delibera, passaggio obbligato per evitare il commissariamento. La precedente amministrazione PdL-Lega ha distrutto uno dei comuni più facoltosi del nord d’Italia. Una associazione a delinquere che ha affossato tutto, cominciando dalle multiutility, avviate al medesimo destino fallimentare del comune, violando il patto di stabilità per due anni consecutivi e cercando di mascherarlo (Yes, political!, 12/07/2012).

Il sindaco Maria Rita Rossa ha cercato in più circostanze di ottenere visibilità e soprattutto denari per mantenere in piedi l’insieme delle partecipate del Comune che danno lavoro a 2500 persone. Si tratta di cooperative dei servizi e degli operatori socio-assistenziali, delle partecipate per la raccolta dei rifiuti, per il servizio di gestione dell’acqua e del gas. Questo mese resteranno senza stipendio. E nel mentre, la spending review del governo Monti ha imposto alla Provincia del medesimo capoluogo di ristrutturare la propria pianta organica, pertanto dal 31 Dicembre 2012 tutti i contratti a termine dei lavoratori precari che operano all’interno di essa non verranno rinnovati.

Il sindaco ha chiesto al governo non trasferimenti diretti bensì risposte pratiche, quali quella di ricevere l’intera percentuale dell’Imu, o l’anticipo dell’Irpef a novembre anziché a marzo. Il governo, rispondendo di no, e dando seguito agli stanziamenti diretti in Sicilia, ha così implicitamente legittimato la minaccia di rivolte anziché l’impegno politico di un sindaco che sta semplicemente cercando di acciuffare la propria città prima che sia troppo tardi.

Ieri, circa quattromila cittadini hanno sfilato per la città di Alessandria testimoniando il proprio dissenso contro la decisione del governo. Senza necessità di rivolte o di violenze.

Alessandria, a processo il sindaco del Default

E’ il primo Comune italiano a fare Default dopo la riforma “tremontiana” della normativa che ha messo i bilanci degli enti locali sotto il controllo della Corte dei Conti. Alessandria, capoluogo piemontese ricco ma discreto, mette a processo il suo ex sindaco, Piercarlo Fabbio (PdL, ora capo dell’opposizione di centro-destra dopo la vittoria della candidata del PD, Rita Rossa, lo scorso Maggio), il suo ex assessore alle Finanze, Luciano Vandone (soprannominato “Svendone” per aver dilapidato, svendendolo, il patrimonio comunale tramite due società partecipate) e il ragioniere capo Carlo Alberto Ravazzano, già arrestato lo scorso Dicembre con l’accusa di falso in bilancio, abuso d’ufficio e truffa ai danni dello Stato, gli stessi capi d’accusa che sono valsi ai tre il rinvio a giudizio. La prima udienza si terrà il 21 Novembre. Su di essi grava la relazione della Corte dei Conti che ha certificato la falsità del bilancio 2010 e le pesanti, ripetute irregolarità sui documenti di spesa relativi al 2011. Una azione scientifica e reiterata, volta a truccare sistematicamente i conti. “Il bilancio 2010 è palesemente falso”, ha detto il pm Ghio in tribunale, davanti al Gup Bertolotti.

In realtà il dissesto è iniziato dal 2007. Da quell’anno si sono ripetuti disavanzi di amministrazione in pratica per ogni anno successivo, sino al 2011. L’amministrazione era però vincolata al patto di stabilità interno: così, anziché tagliare le spese, ha truccato i conti. Ha finanziato la spesa corrente con i prestiti delle banche; ha impiegato in maniera “cronica” e non più eccezionale come dovrebbe essere, l’anticipazione di tesoreria. Nonostante questo, il governo Fabbio ha avuto le seguenti prestazioni:

Anno 2007: Disavanzo di amministrazione – 4.524.210

Anno 2008: Disavanzo di amministrazione  -2.399.828

Anno 2009: Disavanzo di amministrazione  -6.156.740

Anno 2010: Disavanzo di amministrazione -10.095.361

(Documento Corte dei Conti, 21 Marzo 2012).

Mentre tutto andava in malora, lui, Fabbio, il sindaco del fare, decideva di decorare la città con 100.000 rose dalla Moldavia. Si racconta che le rose quest’anno siano fiorite come non mai, gli spartitraffico erano colorati e vivaci ad Alessandria, città della bruma e delle stoppie di grano. Alessandria che non è abituata ai colori.

Ripercorrete la storia del default del Comune di Alessandria:

1 – Il Comune di Alessandria è fallito.

2 – Amministrative 2012: Alessandria, un comune diviso fra bilanci in rosso e ‘ndrine 

3 – Io, tu e le rose

Il comune di Alessandria è fallito

Diciannove virgola quattro milioni di euro di disavanzo, anticipo di cassa impiegato sistematicamente dal 2008, finanza creativa per mezzo di partecipate che dovevano vendere il patrimonio comunale e invece l’hanno svenduto, fallendo sistematicamente ogni obiettivo minimo, 0.95 centesimi di euro di disponibilità di cassa al 21 Giugno 2012. Dopo la pronuncia della Corte dei Conti che ha stabilito il dissesto del comune (è il primo caso dopo la riforma di settembre 2011), il consiglio comunale di Alessandria stasera vota la delibera, passaggio obbligato per evitare il commissariamento. La precedente amministrazione PdL-Lega ha distrutto uno dei comuni più facoltosi del nord d’Italia. Una associazione a delinquere che ha affossato tutto, cominciando dalle multiutility, avviate al medesimo destino fallimentare del comune, violando il patto di stabilità per due anni consecutivi e cercando di mascherarlo, con sospetti fondati di collusione con l’ndrangheta: ora la nuova amministrazione di centro-sinistra dovrà alzare al livello massimo tutte le imposte, per almeno 5 anni e pregare che il ciclo economico torni in positivo:

(http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1GYS73)

Stasera il sindaco Rita Rossa (PD) ha pronunciato, davanti al consiglio comunale, questo durissimo discorso:

Siamo arrivati al dunque. Ci apprestiamo a scrivere una pagina nera per questa città. Lo faccio con la pena nel cuore che questa fase comporta. Con la certezza e la coscienza che nostro malgrado dobbiamo scriverla. Dopo la liberazione per l’Italia democratica forse è il passaggio storico forse più memorabile per Alessandria. Perché è necessario deliberare il dissesto del Comune. La delibera della corte dei conti è un macigno per la città. Sugli sviluppo, sui suoi investimenti, sulla sua manutenzione. Cinque anni di malgoverno della giunta Fabbio. Il dissesto non si presta a opinioni. I numeri erano li e qualcuno li aveva denunciati per tempo. Il dissesto è nei fatti. E’ la conseguenza di atti di responsabilità che avrebbero dovuti essere compiuti giá nel settembre 2010. La mancata responsabilità per una gestione oculata che non è mai stata compiuta. Le 66 pagine di delibera sono un lungo elenco di atti dichiarati illegittimi. L’anticipo di tesoreria utilizzato per 365 giorni dal 2008 è il sintomo di una situazione non corretta per tempo. È il sintomo di una gestione dissennata. Si è scoperchiato il vaso di Pandora. Si sono costruiti enormi castelli di parola cui non corrispondeva nessun fatto. Abbiamo subito l’onta de taglio della luce e del telefono per morosità. Siamo arrivati ai tentativi pacchiani di finanza creativa. Qualcuno in questi giorni mi ha fermato e mi ha scritto: ‘perchè dobbiamo pagare noi?’ Alessandria è pronta a fare sacrifici, ma non di meno il senso di ingiustizia coglie in modo indistinto tutti. In un quadro giá compromesso per la crisi, gli alessandrini dovranno compiere altri sacrifici. Sacrifici imposti dalla scorsa giunta. Voglio provare a vedere oltre per scovare un po’ di ottimismo. E aprire una sfida di enorme complessità. Si potrà attuare se tutte le forze sapranno unirsi per trovare una soluzione. Nella vita non si puo tornare indietro. La rabbia è tanta ma ne usciremo insieme. Posso fare una promessa che rivolgo a questa città. Io, la giunta, il consiglio, lavoreremo giorno dopo giorno intensificando se è il caso le ore di lavoro per contenenere al massimo questa tragedia. Questo dissesto porta il nome di Piercarlo Fabbio [l’ex sindaco PdL] – Radio Gold News.

Rita Rossa ha messo in liquidazione le società partecipate usate per la svendita del patrimonio comunale, ha posto un tetto agli stipendi dei dirigenti comunali, ha deposto i vertici  responsabili del dissesto della multiutility acqua e gas AMAG. Un sindaco coraggioso, circondato di assessori schiettamente di sinistra, alle prese ora con una città annichilita.

Proposta Monti e la distorsione dell’ESFS: non ci resta che piangere

La proposta Monti è un asso nella manica che il giocatore di poker esperto sa di dover giocare per ultimo, solo quando ha capito che sta per perdere la partita. Impiegare i fondi dell’ESFS per rastrellare titoli di Stato sui mercati secondari e riprendere l’azione di alleggerimento che la BCE operava nei giorni della Tempesta di Novembre, senza per questo imporre alcuna politica restrittiva sulla spesa ai governi “alleggeriti”, è la mossa che nessuno si aspettava ma che Monti sa bene essere già l’estrema ratio per il nostro paese.

Ieri a sorpresa anche il Financial Times, in home page, propagandava questa soluzione. Usare il MES per comprare titoli di stato. Fare con il meccanismo salva-stati quel che la FED fa normalmente (il cosiddetto quantitative easing, di seguito QE) e che alla BCE è vietato dai Trattati. E’ subito apparso chiaro che alla base ci sono differenze di lettura: Monti non vorrebbe assoggettare il governo alla Troika (BCE, Commissione, FMI) ; il Financial Times non si pone il problema, volto com’è a considerare solo la fase dell’emergenza che probabilmente si presenterà dinanzi al nostro paese prima dell’autunno; Merkel si è dichiarata prima contraria poi probabilista, ma in definitiva accetterebbe un QE da parte dell’ESFS o del MES solo ed esclusivamente in cambio di politiche finanziarie restrittive.

Il punto è questo: Draghi ha abbandonato dall’inizio dell’anno gli acquisti diretti di PIIGS Bond per fronteggiare la crisi del debito sovrano con l’arma del LTRO, longer-term refinancing operation, ovvero i prestiti agevolati alle Banche europee (durata tre anni con tasso all’1%). Le Banche hanno preso questi soldi con uno scopo ben preciso: rastrellare titoli di stato dei paesi di appartenenza. Sono avvenuti due LTRO: Il 22 dicembre 2011, 523 banche hanno partecipato all’asta LTRO, richiedendo 489,191 miliardi di euro; il 29 febbraio 2012, 800 banche hanno partecipato all’asta LTRO, richiedendo 529,53 miliardi di euro (Lavoce.Info – Articoli – Finanza – Prestiti Della Bce E Deposit Facility). Quasi mille miliardi di euro iniettati nel sistema. Risultato? Ora le banche italiane hanno una esposizione sul debito pubblico italiano pari al 170% della loro capitalizzazione (Linkiesta). E lo Stato Italiano dovrà rifinanziare da qui alla fine dell’anno circa 347 miliardi di euro del debito pubblico. Si tratta di una cifra che supera la disponibilità dell’ESFS ed è circa la metà del futuro MES (che non è ancora operativo). Nel mezzo ci sono le banche spagnole, altrettanto malmesse e in procinto di capitolare se non verranno ricapitalizzate. I denari dell’ESFS finirebbero quasi tutti nel gorgo muto delle banche spagnole. Ergo, non ci sono soldi per aiutare l’Italia. Un rebus di difficile soluzione:

Due sono i suggerimenti per Mario Draghi: un abbassamento dei tassi di mezzo punto percentuale e un nuovo Ltro. Nemmeno quest’ultima ipotesi, tuttavia, sarebbe una panacea. È come un cane che si morde la coda: le banche hanno soltanto 185 miliardi di euro di asset utilizzabili come collaterale a garanzia in caso di nuove aste agevolate messe in campo da Eurotower. Coprendo l’80% delle emissioni, da qui a un anno, si ritroverebbero però in portafoglio ben 575 miliardi di euro in obbligazioni governative contro 185 miliardi “liberi”: una sproporzione non da poco in caso di peggioramento delle condizioni macroeconomiche. http://www.linkiesta.it/banche-italiane-non-comprano-debito-italiano#ixzz1ySQxjRqI

Titolo Unicredit, ultimo anno (Milanofinanza.it)

Insomma, questa è la nuda verità e spiega il perché delle difficoltà borsistiche degli istituti di credito italiani. Il titolo Unicredit vale il 20% di quel che valeva lo scorso anno: circa 2 euro. E dire che fino ad un anno fa ci vantavamo che “il sistema bancario italiano non ha avuto la necessità di ricevere aiuti pubblici mentre altre banche e sistemi sono stati sostenuti dalla droga dei debiti” (Giulio Tremonti, 23/05/2011). Sembra preistoria.

Profeti di sventura per l’Euro: Grecia fuori il 18 Giugno

La Grecia lascerà la zona euro il 18 giugno in seguito alle elezioni del paese del 17. E’ questa la (facile) previsione del Direttore della società finanziaria Integral Asset Management (IAM), Nick Dewhirst, intervistato oggi dalla CNBC.com, tv statunitense che si occupa di economia.

"La zona euro è un club e gli imbroglioni riescono a farla franca fino a quando qualcuno non lo scopre e, a quel punto, hai bisogno di rimuoverli altrimenti in caso contrario tutti potranno barare. E’ meglio per la Grecia uscire dalla zona euro", ha detto Dewhirst.

Secondo quest’uomo, la società greca è stata costruita sulla truffa e sugli intrighi, sulla base dell’idea che intanto "tutti lo fanno”. Perché, dice Dewhirst, un tedesco deve aumentare i propri anni di lavoro a 65-67 e poi deve anche pagare per i greci che vanno in pensione a 50? “Il 17 giugno è l’occasione perfetta per dire ‘ci si comporta secondo le regole’ oppure ‘noi andremo avanti barare,’ "ha detto. Dewhirst dimentica che i greci sono stati aiutati a barare. Che le banche d’affari JP Morgan, e Morgan&Stanley e Standard&Poor’s hanno certificato i conti truffa dei greci e, anzi, li hanno aiutati a investire in derivati e a condannarsi alla debacle finanziaria.

Dewhirst ha altresì detto che l’élite dell’Euro ha alzato troppo il livello di allarme per le complicazioni di un "Grexit", ma esso sarebbe cosa fattibile e anche “ordinata”. "E ‘un po’ il Millennium bug”, ovvero tanto rumore per nulla.

"Il sistema bancario greco potrebbe chiudere per una settimana e dopo ci sarà una nuova moneta”. Non sarà la dracma, ma idealmente potrebbe essere un “Geuros” (il nome dato ad un eventuale moneta greca), un euro greco fatto in modo da essere svalutato finché è necessario e quindi da fissarne il cambio agevole rispetto all’euro. Secondo Dewhirst, questo salto nel buio farà del bene alla Grecia e alla zona euro.

"I greci non sarebbero più in grado di permettersi auto tedesche ma i tedeschi sarebbero in grado di acquistare ville greche e quindi i giovani disoccupati in Grecia troverebbero lavoro per il boom del turismo”. Non ci sarà nessuna corsa agli sportelli. Il rischio di contagio è stato esagerato.

"Sì, le banche si ritroveranno prive di liquidità, ma si può fare, vi è molta più moneta elettronica di quanto non vi siano contanti”. E che sarà mai… Le banche chiuse una settimana, niente più contante… La Grecia si rifarà con il turismo. Il turismo è il futuro della Grecia. Industria, servizi, chi se ne importa. Sono greci. Hanno il sole, il mare. Che vendano il Partenone.

Grecia, sangue in piazza Syntagma

Capitani vigliacchi e marinai poco coraggiosi nel mar mosso del default

La strada sarebbe stata lunga. Sono lunghe tutte le strade che conducono a ciò che il cuore brama. Ma questa strada l’occhio della mia mente la poteva vedere su una carta, tracciata professionalmente, con tutte le complicazioni e difficoltà, eppure a suo modo sufficientemente semplice. O si è marinaio o non lo si è. E io di esserlo non avevo dubbi. (J. Conrad, La Linea d’ombra, Einaudi, p. 67).

O si è marinaio o non lo si è. O si è capitani o non lo si è. Di capitani coraggiosi questo mondo è assai povero. E non è un caso se nemmeno se ne trovano sulle navi, quelle vere. La vicenda del Capitano Schettino, l’uomo che dinanzi alla catastrofe non sa esser uomo e fugge da sé medesimo, dalla responsabilità, è una parabola triste di un sistema sociale, economico, finanziario, pieno di falle, con scogli conficcati nella pancia, nella stiva, con squarci ben più lunghi dei sette metri della Costa Concordia.

E se fino a qualche tempo fa il vascello senza guida, diretto nel baratro del default finanziario e politico, era il nostro paese per intero, guidato da un Capitano che non solo non era coraggioso ma era pure ingannatore, oggi la Nave da Crociera puntata verso il suo scoglio è nientemeno che l’Europa. Là, a Bruxelles, non c’è alcun capitano. La Nave non ha alcuna guida e nessuno aspira ad averla. E’ tutto un sottrarsi dalle responsabilità. Angela Merkel ignora l’appello di Mario Monti di oggi. L’Italia non deve essere aiutata dalla BCE. La Grecia? Parrebbe già affondata per metà, o tre quarti, inclinata di novanta gradi. E’ solo una questione di metri, pochissimi, poi il fondale è toccato. Fitch, una della triade del Rating, il triangolo della morte (o del paradiso, a seconda del loro personalissimo giudizio – “sono solo opinioni”, cfr. Inside job), si è accorta in queste ore che i greci sono affondabili, che la scialuppa di salvataggio dell’EFSF è peggio che una bagnarola e che l’inaffondabile Merkel non cambierà rotta.

Invece questo fallatissimo mondo ha bisogno di qualcuno con l’occhio del marinaio, con il cuore del marinaio. Qualcuno che sappia prendere il timone e virare a dritta. Senza il timore delle conseguenze. C’è bisogno di azione, subito e ora. Lo scoglio è vicinissimo. Troppo vicino. E’ passata la metà di Gennaio e l’Italia si finanzia ancora al 7%, centesimale più, centesimale meno. Il vero naufragio, questo sì che è roba grossa, ci potrebbe coinvolgere fra un mese, forse un mese e mezzo. Se l’Italia sarà in grado di finanziarsi ancora sui mercati, avremo superato la linea d’ombra, quella che divide i semplicemente vivi dai sopravvissuti.

Non saprei dire se Mario Monti è un vero marinaio. Non so se è il capitano giusto per la nave enorme che è questo paese, pieno di ciurmaglia, di sgherri al servizio dei loro padroni. Se dentro se stesso sente davvero di esserlo, allora la smetta con i tecnicismi e parli al cuore di noi mozzi e marinai.

Noi siamo Lord Jim, questo codardo che a un certo momento salta dalla nave e abbandona migliaia di pellegrini al loro destino. E poi comincia il grande rimorso, il senso di colpa. E tutti noi, un giorno, abbiamo «saltato»… (Ugo Mursia, cfr. Federica Almagioni, prefazione a Joseph Conrad, Lord Jim, traduzione di Alessandro Gallone, Alberto Peruzzo Editore, 1989).

Forse dovremo, prima di giudicare il pavido Schettino, giudicare noi stessi, poiché ognuno di noi dinanzi alle difficoltà ha la tentazione di scegliere per la via di fuga più vicina. Possiamo fuggire dalle nostre responsabilità verso il paese proprio ora che la nave deve affrontare la Tempesta perfetta? Possiamo permetterci di evocare la secessione, o la ribellione, dinanzi alla maggiore tassazione e alla riduzione della sfera dei diritti?

Quello che ci accomuna è il medesimo destino. Là, nel mare, non c’è scampo. Se si è da soli si è presto morti. E non giova a nessuno remare contro. Bisogna, per forza di cose, remare tutti nella medesima direzione. Che vuol dire esser tutti sottoposti alla clave delle liberalizzazioni e della riduzione dei privilegi. Tutti, ripeto, indistintamente. Perché se proprio i capitani non danno il buon esempio alla ciurma, allora c’è poco da sperare. Se questi capitani, che non sono nemmeno eletti ma nominati per mezzo di quella sporca legge del Porcellum, non mettono fine al gozzoviglio del denaro pubblico, allora non resta che l’ammutinamento. Proprio come sul Concordia, mentre i capitani fuggono, i paria, gli ultimi, dovranno sbrigarsela da soli.

Fuori dal Default, una proposta politica per non soccombere alla Fase Due di Monti

Questo è un concorso di idee: uscire dal giogo della stretta creditizia senza più parlare solo di crescita economica ma di crescita in senso lato. Prima di tutto, politica. Scrivete qui la vostra proposta per il rinnovamento.

Siamo passati nell’arco di un mese dalla politica pro domo sua alla fredda tecnica del governo degli esperti. Doveva essere il Tempo del Noi, ma ci hanno sottratto anche quello. Dove è finita la stagione di Maggio, di Milano, dei Referendum? Abbiamo già smesso di partecipare?
Allora no. Anche se la finanza presuppone un sapere scientifico che non è di tutti, spezziamo questo dominio elitario della guida degli Ottimati e facciamo sentire la nostra voce. L’idea è quella di raccogliere idee per uscire fuori dal default, un default che è soprattutto politico. Cosa bisogna cambiare nell’assetto politico? Quale legge elettorale? Come garantire il ricambio della classe dirigente? Siamo fuori dalla Videocrazia, o essa è soltanto rimandata?

Fate sapere la vostra idea. Qui.

Si chiamano Goldmanien, gli uomini di Goldman Sachs

Goldmanien è il termine utilizzato da Le Monde per definire gli uomini ‘ombra’ che costituiscono la rete di Goldman Sachs in Europa e nel mondo. Se ne è fatto un gran parlare in rete: Mario Draghi, Mario Monti, Lucas Papadémus, tutti uomini con un passato nella banca d’affari e con un piede o nella Trilaterale o nel Gruppo Bilderberg.

Certo, GS ha una rete di economisti sparsa per il globo, ma GS ricerca l’eccellenza e l’eccelenza in Italia è difficilmente riscontrabile nella classe politica che siede in parlamento. Si è dovuto pescare da fuori, e non a casa si è scelto un uomo – Mario Monti, e prima di lui Draghi (ricordate? prima di Draghi in Bankitalia c’era Fazio) – che già fu scelto da GS. E se hai la mano di GS sulla spalla, ce l’hai per sempre, sebbene i ‘goldmanien’ non siano mai gente che ‘cala la maschera’: pare che sia una sorta di tacito accordo fra gli stessi goldmanien e la banca. Mai dire che sei uno dei nostri.

Nella realtà, scrivono su Le Monde, la ‘rete’ ha perso la sua efficacia: troppi i passi falsi, troppo il coinvolgimento nell’avvio della più grande crisi finanziaria dopo il 1929. La politica non si fida degli uomini GS poiché sa che sono impopolari. Dietro il fallimnento greco, per esempio, c’è la mano di GS con l’incredibile truffa degli swap.

Sappiate però che la lista degli uomini GS non si ferma a Draghi, a Monti o a Papadémus. Pensate per esempio alla Grecia, fregata da GS e ora guidata dai ‘goldmanien’. Papadémus era presidente della Banca Nazionale Greca quando GS orchestrava la truffa dello swap; Papadémus ha oggi voluto un uomo come Petros Christodoulos capo dell’agenzia di gestione del debito greco. Christodoulos è un ‘goldmanien’: è stato un trader di GS.

Goldmanien è pure Otmar Issing, economista tedesco, membro del board della Deutsche Bundesbank dal 990 al 1998 e poi dell’Executive Board odella BCE fino al 2006. Oggi è un advisor di GS, un consigliere. Issing è un falco dell’euro, sostiene che l’Italia deve e può farcela da sola e che non servono aiuti. L’Italia deve fare le riforme e la BCE non può soccorrere i governo che hanno fallito. Tradotto: la BCE la smetta di comprare Btp. Divergenze di vedute, anche nella rete di GS.

Fra i goldmanien troviamo anche Jim O’Neill, l’inventore del termine BRICS, un visionario dell’economia (intuì l’ermegere di paesi come il Brasile già nel 2001): O’Neill è attualmente il presidente della Goldman Sachs Asset Management, tanto per dire.

E il presidente del comitato promotore dei giochi olimpici di Londra? Si chiama Paul Deighton. Goldmanien anche lui.

Voi che sostenete il teorema del New World Order, del Complotto Mondiale, ora avrete di che pensare.

Crisi del Debito Italia: diretta twitter

Segui la diretta twitter del nuovo Lunedì Nero dei Btp italiani:

link diretto: http://bit.ly/oJibP6

Senato USA blocca il piano anti default dei Democratici

Secondo la Reuters, il Senato USA avrebbe votato contro la proposta di accordo dei Democratici per l’innalzamento del tetto del debito USA. E’ una notizia arrivata ora:

The U.S. Senate defeated a Democratic proposal to raise the debt ceiling on Sunday as lawmakers closed in on a deal that would be acceptable to both parties. By a vote of 50 to 49, Senate Majority Leader Harry Reid’s plan fell short of the 60 votes needed to advance in the 100-member body. Elements of Reid’s plan are likely to surface in the bipartisan deal which could be completed this afternoon. The Senate is poised to move quickly once that deal is reached. “The arrangement that is being worked on with the Republican leader and the administration and others, is not there yet,” Reid said on the Senate floor after the vote. “We’re hopeful and confident it can be done.” Reid told lawmakers not to wander too far from the Capitol in case he calls another vote.

“I would not suggest a ballgame,” he said.  Under normal Senate rules, a final vote on any deal could be delayed until Wednesday, one day past the deadline set by the Treasury Department to ensure the United States does not default on its obligations. But any deal could include provisions to ensure that Congress acts before then, a Democratic aide said.

(France24).

Questo link vi racconta lo stato delle trattative: http://www.repubblica.it/economia/2011/07/31/news/usa_debito_slitta_voto-19834763/?ref=HREC1-1

Debito USA, Obama ha tre settimane per evitare il default

Il debito USA ha per legge un tetto massimo pari a 14.300 miliardi di dollari. Tetto che ha già superato. E’ ovvio che nessuno lo ha detto a Moody’s, tantomeno a Standard & Poor’s. Il governo USA ogni dannato mese deve finanziarsi rastrellando sul mercato 125 miliardi di dollari emettendo titoli di debito. Il 2 Agosto è la data discriminante: fino a quel giorno, infatti, il Governo ha liquidità sufficiente per rimborsare il debito in scadenza. Dopo il 2 Agosto, bye bye zio Sam. a meno che Obama non riesca nell’impresa di metter d’accordo Repubblicani e Democratici, divisi in congresso sulla scelta di aumentare il tetto massimo di debito. Ma i Repubblicani soffrono il pressing del Tea Party di Sarah Palin, contrari a un aumento della tassazione che si imporrebbe a causa delle extra emissioni di debito e tergiversano su un possibile accordo con i Democratici.

Risultato? Obama ha a disposizione tre scelte:

la prima è che l’amministrazione rinvii alcuni pagamenti. La seconda è che il presidente si appelli a un articolo della Costituzione (14esimo emendamento) per ignorare il Congresso e continuare ad emettere debito oltre il tetto consentito. La terza opzione prevede l’autorizzazione all’amministrazione di considerare alcuni pagamenti in via prioritaria (rassegna.it).

Recentemente il congresso ha bocciato un aumento del tetto del debito per 2.400 miliardi di dollari. Le ragioni dei Repubblicani erano chiare: niente aumento senza un piano di rientro dal deficit, che viaggia intorno all’11% (ah, se fossero in Europa scatterebbero le sanzioni per violazione del Patto di Stabilità…), una percentuale non dissimile da quello di Spagna e Gran Bretagna a fine 2009. Il provvedimento legislativo ha bisogno del voto a maggioranza qualificata dei due terzi. Senza un intervento del Congresso, gli USA vanno incontro al destino della Grecia: dovranno dichiarare lo stato di insolvenza, ovvero il Default finanziario. Una catastrofe, secondo Timothy Geithner, titolare del dipartimento del Tesoro.

Se c’era una certezza al mondo, questa era rappresentata dai Treasure, i titoli di stato federali. Lontano dal diventare spazzatura, poiché le varie agenzie di rating usualmente dormono sul tetto di un vulcano attivo, certamente i Treasure e il dollaro non sono più il faro della finanza mondiale. Un’altra faccia della crisi dell’Impero USA.

Grecia fuori dall’Euro, ovvero la Grecia è fallita

Andrew Lilico è un economista, direttore editoriale di Europe Economics nonché membro dello Shadow Monetary Policy Committee. Sul The Telegraph ha tentato di prevedere quel che accadrà con un default greco. Poiché in queste ore si fa un gran parlare dell’uscita della Grecia dall’Euro, sappiate uscire dall’Euro vuol dire che la Grecia è fallita. Altrimenti non avrebbe ragione di farlo. E’ – diciamo – una mossa preventiva a un disastro che ci colpirà tutti e ci farà perdere un sacco di soldi.

Quella che segue è la scansione degli eventi prevista da Lilico (trad. Supervice per Come Don Chishotte):

  • Tutte le banche greche saranno insolventi.
  • Il governo greco nazionalizzerà tutte le banche greche.
  • Il governo greco vieterà i prelievi dalle banche greche.
  • Per prevenire la rivolta dei risparmiatori, come successo in Argentina nel 2002 (quando il presidente argentino dovette scappare in elicottero dal tetto del palazzo presidenziale per evitarsi un assalto), il governo greco dichiarerà un coprifuoco, forse addirittura le legge marziale.
  • La Grecia ridenominerà tutti i suoi debiti in “Nuove Dracme” o in qualsiasi altro modo si chiami la nuova divisa (è lo stratagemma classico dei paesi insolventi) = USCIRE DALL’EURO.
  • La Nuova Dracma si svaluterà dal 30 al 70 per cento (probabilmente intorno al 50 per cento, forse di più), facendo abbassare del 50 per cento o più dei debiti della Grecia denominati in euro.
  • Gli irlandesi, nel giro di pochi giorni, fuggiranno dai debiti del loro sistema bancario.
  • Il governo portoghese aspetterà di vedere il livello del caos raggiunto in Grecia prima di decidere se andare anche lui in default.
  • Un numero di banche francesi e tedesche dovranno affrontare una quantità di perdite tali da non poter più avere i requisiti di capitalizzazione richiesti.
  • La Banca Centrale Europea diventerà insolvente a causa dell’alta esposizione dovuta al debito del governo greco e ai debiti del settori bancario greco e di quello irlandese.
  • I governi di Francia e Germania si incontreranno per decidere se (a) ricapitalizzare la BCE o (b) consentire alla BCE di stampare moneta per ripristinare la solvibilità. (Siccome la BCE ha una relativamente piccola esposizione denominata in divise extra-UE, potrebbe in linea di principio stampare per risolvere la situazione, ma questo è proibito dai suoi principi fondativi. A dire il vero, il Trattato dell’Unione vieta esplicitamente la forma di salvataggio usata per Grecia, Portogallo e Irlanda, ma anche se la cosa è così palesemente illegale non ha impedito che accadesse, e allora non è così ovvio che un’altra illegalità, attuata con la stampa di moneta, sia poi un grosso ostacolo.) – [Ah, Mario Draghi, messo al timone, lui povero ignaro, di una nave in tempesta! Tutti d’accordo – anche i tedeschi – di incolpare un italiano quando l’Euro sarà abbandoanto].
  • Si ricapitalizzeranno e ricapitalizzeranno le loro banche, ma porranno fine a tutti i salvataggi.
  • Ci sarà una strage nel mercato delle obbligazioni bancarie spagnole, quando i possessori di obbligazioni richiederanno la permuta del valore in azioni.
  • Quest’affermazione potrebbe avere una ragione se gli spagnoli sceglieranno di scavalcare la struttura dei contratti in essere delle obbligazioni del settore bancario spagnolo, ricapitalizzando un numero di banche con i debt-equity swaps.
  • I possessori di obbligazioni porteranno il settore bancario spagnolo di fronte alla Corte Europea dei Diritti Umani (e anche in altri tribunali), denunciano la violazione dei diritti di proprietà. Questi casi non andranno in giudizio per anni. Quando alla fine ci arriveranno, non ci sarà più nessuno che si preoccuperà.
  • L’attenzione verrà rivolta alle banche britanniche. Poi si vedrà.…

Crisi del Debito, The New York Times indica la road map ai mercati: attaccare Belgio e Italia

Per il secondo giorno, The New York Times si ricorda del debito italiano e si mostra preoccupato per le nostri sorti. In un’analisi pubblicata anche sul sito web viene disegnato un prospetto politico-economico del nostro paese che riflette per intero le riflessioni di ieri di Paul Krugman, nonché quelle fatte dal Financial Times e le considerazioni della Frankfurter Allgemeine Zeitung: più che le condizioni macroeconomiche, ciò che è apertamente un fattore negativizzante per il nostro paese è la classe politica. E in Europa non siamo soli in quanto a masochismo politico, poiché anche in Belgio la sfera pubblica è allo sfascio e l’ingovernabilità di fiamminghi e valloni sembra endemica:

Italia e Belgio hanno molto in comune: entrambi sono meno dipendenti da creditori esteri di Grecia o Irlanda. Ma ognuno è afflitto da una grave disfunzione politica, che ha sollevato la questione se possano mai ripagare una montagna di debiti, rispettivamente, il secondo e il terzo debito più pesante nell’unione monetaria europea dopo la Grecia (Worries About Italy and Belgium in Euro Zone, By LIZ ALDERMAN, The New York Times).

Sia in Italia che in Belgio ci sono tendenze centripete che sono volte alla dissociazione della comunità politica: fiamminghi e valloni in Belgio, Nord e Sud in Italia. Le riforme istituzionali sono ben lungi dal calmare il dibattito politico sempre più infiammato. A coronare tutto ciò, debiti pregressi che pesano più del PIL di circa il 18% (debito/pil Italia 118%). Nell’articolo non si tralasciano i pochi dati positivi, fra cui il tasso di crescita del debito italiano, inferiore persino a quello tedesco nel biennio 2008-2010.

L’Italia ha fatto un lavoro migliore di Grecia a mantenere la sua finanza in ordine durante la crisi del debito. Il ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, prudentemente ha tagliato la spesa pubblica e ha revisionato il costoso sistema pensionistico con la benedizione del governo del primo ministro Silvio Berlusconi […] il debito emesso dal governo è diviso quasi equamente tra investitori stranieri e italiani […] Le banche italiane, a differenza dell’Irlanda, sono relativamente sane e non hanno bisogno di un salvataggio (ibidem).

Ma il guaio italiano è che manca la crescita. Il PIL è fermo. E ciò non può certo fare del bene ai mercati. In primis, gli sforzi fatti dai governi “nel corso degli anni per migliorare la crescita hannofallito”; la crisi finanziaria globale si è quindi trasformata in crisi della produzione industriale, “un pilastro dell’economia italiana”; infine, “i datori di lavoro non sono riusciti a migliorare la competitività, limitando i salari o aumentare la produttività”. L’Italia nemmeno può ricorrere alle svalutazioni competitive che negli ani ottanta salvarono capra e cavoli. Abbiamo aderito all’Euro, non siamo più liberi “di svalutare la propria moneta per rilanciare la crescita”.

Le preoccupazioni sono aggravate da una persistente crisi politica che verrà a una testa in un paio di settimane per il signor Berlusconi, la cui capacità di resistenza possono essere testati a seguito di una serie di scandali sessuali e l’economia rifluisce. Egli deve affrontare una fiducia voto di questo mese che potrebbe portare al collasso del suo governo conservatore (ibidem).

Ecco, questa rinnovata attenzione per il nostro paese da parte dei giornali americani può essere lo spettro della prossima tappa della crisi del debito, crisi che si muove nei mercati a ondate di irrazionalità. Certo, gli USA non hanno alcun interesse nel danneggiare l’Euro; grazie al dollaro debole, hanno finanziato un deficit del 14% sul PIL e non hanno certo bisogno che il dollaro si apprezzi, anzi, la FED prega affinché i verdoni rimangano pari alla carta straccia. Viceversa, i big dei mercati finanziari devono puntare il loro fucile verso ciò che dell’Euro non li convince, ovvero la politica economico-finanziaria slegata, lasciata ai governi dei vari paesi. La crisi del debito si risolverà solo con un’altra delega di sovranità verso l’Unione Europea, che avverrà fose con un nuovo trattato che unifica le politiche finanziarie. E’ ciò a cui stanno puntando le mani invisibile che stanno dietro ai mercati. La ragione è che devono esser sicuri di dove mettono i loro soldi, e se ci fossero dei bond europei, questi farebbero loro molto comodo, per cambiare quei dollari che non contano più nulla di cui hanno le tasche piene. Ma per fare ciò devono demolire la grandeur della Germania. Lo diceva ieri Krugman: la Germania deve smettere di essere il dominus dell’unione monetaria. Difficile che ciò accada, almeno finché governa la Merkel. Allora, meglio puntare in alto, al debito dei debiti, quello dell’Italia: poiché l’Euro non esisterebbe senza l’Italia, e l’Italia allora non potrà mai fallire, sennò fallisce l’Unione, e con essa la Germania.

Frattini: dall’allarme al ridicolo. Per i tedeschi siamo a un passo dal baratro

Il consiglio dei Ministri di oggi, 26/11/2010, è sfociato nel più puro degli allarmismi. Leggete cosa viene scritto nel comunicato ufficiale:

Il Ministro degli affari esteri, Franco Frattini, ha riferito su vicende delicate che rappresentano il sintomo di strategie dirette a colpire l’immagine dell’Italia sulla scena internazionale. L’attacco a Finmeccanica, la diffusione ripetuta di immagini sui rifiuti di Napoli o sui crolli di Pompei, l’annunciata pubblicazione di rapporti riservati concernenti la politica degli Stati Uniti, con possibili ripercussioni negative anche per l’Italia, impongono fermezza e determinazione per difendere l’immagine nazionale e la tutela degli interessi economici e politici del Paese. Tale intento è stato unanimemente condiviso dal Consiglio (Governo.it).

Ma quale mente perigliosa può accorpare la vicenda Finmeccanica con Pompei e con i file segreti di Wikileaks? Per Di Pietro, Frattini avrebbe bevuto un bicchiere di troppo. Consigliato l’alcoltest prima di cominciare il consiglio dei Ministri. Puntale, dieci minuti fa, la smentita: non è vero, trattasi solo di scenari non correlati fra loro ma che possono portare danno al paese. Viene da domandarsi se non sia stato più dannoso quel comunicato che non tutto il quadro evocato dallo stesso Frattini.

Intanto, però, qualcuno all’estero pare osservare attentamente la crisi politica italiana. Trattasi del prestigioso Frankfurter Allgemeine Zeitung, la bibbia della city tedesca (Francoforte, appunto, cuore della Finanza tedesca, quella che conta di più in questo periodo). L’articolo di fondo di ieri era una profonda preoccupata analisi della crisi italiana: prima di tutto della crisi politica. Sì, perché il pesante debito italiano (1.845 miliardi, 150 in più della Germania) potrebbe diventare letale per l’euro qualora la crisi politica si rendesse irrisolvibile:

una crisi del debito italiano, se affrontata in modo dilettantesco, potrebbe scatenare un’enorme carica esplosiva per l’unione monetaria europea e per la stessa Ue, ma purtroppo l’Italia si avvicina a questa crisi, senza che i politici italiani se ne interessino (Il Fatto Quotidiano).

Ora che il debito italiano sia il secondo più alto d’Europa – sapete, lassù c’è l’inarrivabile Grecia – è cosa arcinota. Su Il Tempo scrivo che il trend di crescita del debito italiano rispetto a quello tedesco per il periodo 2007-2010 è lo stesso, ovvero +15.3%. Vero, ma l’Europa si sta confrontando con l’effetto domino dei mercati che trasferisco la paura del default da un paese all’altro dello scacchiere europeo. Sembra quasi una manovra preordinata, se non fosse del tutto irrazionale. Oggi, per esempio i mercati hanno cominciato ad attaccare il Portogallo e la Spagna:

Schizza a nuovi record il rischio default di Portogallo e Spagna. I credit default swaps (cds) sul debito dei Paesi iberici hanno raggiunto rispettivamente 507,5 punti e 320,5 punti, secondo i dati di Cma citati da Bloomberg.
A livelli record anche i cds sul debito dell’Irlanda a 599,5 punti e sulla Grecia a 988 punti. Sui mercati sono sempre piu’ incalzanti le voci secondo cui Lisbona chiedera’ l’aiuto finanziario della comunita’ internazionale per evitare un contagio della crisi alla Spagna (Ansa.it).

L’Unione Europea è messa a dura prova e forse i tedeschi non vogliono pagare per tutti. La cancelliera Angela Merkel e il ministro delle Finanze Wolfgang Schauble discuteranno con i partner la riforma del Patto europeo di stabilità e vogliono ‘costituzionalizzare’ il default fianaziario. Di fatto, si definiranno dei piani di ristrutturazione del debito dei paesi ritenuti inaffidabili. L’onere per salvare l’euro sarà cedere altre ulteriori fette di sovranità a un organismo, l’Unione, che in quanto a deficit deve mettere in conto la democrazia. L’Italia è nel club degli inetti – quei maledetti PIIGS – ed è tutta colpa della sua classe politica:

La paralisi politica potrebbe diventare pericolosa già nel 2011 poiché Silvio Berlusconi è debole, ma l’opposizione spaccata non è in grado di trarne profitto. Per evitare una nuova vittoria di Berlusconi, i suoi avversari puntano ad un ritorno al sistema proporzionale, in una parola alla palude degli Anni ’80 […] [si prevedono] scenari cupi per il futuro poiché il Paese è senza guida, incapace di prendere decisioni e ben lontano dal compiere le necessarie riforme […] è solo una questione di tempo su quando gli investitori tireranno le conseguenze con una fuga dai titoli di Stato […] a fallire è stata una generazione di politici, che con il bipolarismo voleva creare maggiore stabilità. Adesso è in marcia un nuovo tipo di condottiero di partito, che prende per arte di governo il clientelismo e i vuoti paroloni quotidiani. Questa gente blocca da anni con tatticismi quotidiani le riforme di lungo respiro […] il mondo politico italiano continua a cullarsi in una sensazione di sicurezza, troppa, come potrebbe dimostrarsi, se si verificassero turbolenze a causa della montagna del debito italiano, le crisi della Grecia e dell’Irlanda sarebbero uno scherzetto al confronto (Il Fatto, cit.).

A fallire è stata una generazione di politici che continua a cullarsi in una sensazione di sicurezza che non esiste. Queste parole sono l’epitaffio non tanto al governo di Berlusconi, quanto alla politica italiana. Una visione tanto chiara e radicale nelle conclusioni che non è comparsa sui giornali italiani se non in piccoli trafiletti. Il Tempo ribalta addirittura la critica contro i tedeschi, rei di attaccare l’Italia solo “per il loro tornaconto”:

«È solo una questione di tempo» scriveil FAZ «su quando gli investitori tireranno le conseguenze con una fuga dai titoli di Stato». Magari per riversarsi sui Bund tedeschi, che potranno così essere piazzati all’estero ad interessi sempre più bassi? Consentendo nel frattempo alle banche teutoniche, col paracadute di Stato, di investire sui paesi a rischio? Già, perché c’è una cosa che la Frankfurter si dimentica di ricordare: l’esposizione bancaria tedesca verso – facciamo un paese a caso – l’Irlanda. Al 31 marzo era di 205,8 miliardi di dollari. La seconda al mondo dopo la Gran Bretagna. Per la cronaca, quella delle banche italiane è di 28,6 (Il Tempo.it).

Nessuna traccia dell’analisi politica contenuta nell’articolo. Che invece non lascia scampo a detrologie.