La fabbrica dei gruppi parlamentari

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La prossima legislatura si annuncia come la più fertile in fatto di numerosità dei gruppi parlamentari. I cartelli elettorali che si presentano all’opinione pubblica come elementi unitari, addirittura in alcuni casi come nuovi alla politica, più che altro espressione della società civile e non della cosiddetta casta, sono dei meri riassemblaggi di micro-partiti personali e partiti reduci delle esperienze di centrodestra o di centrosinistra opportunamente ‘diluiti’. Rientrano in questa categoria sia Rivoluzione Civile di Ingroia, sia Scelta Civica di Mario Monti. Lo stesso PdL, per poter vincere nelle regioni chiave e imporre la legge del pareggio al Senato, sta imbarcando nelle proprie liste soggetti appartenenti a partiti di espressione locale nonché prettamente personalistici, come MPA di Lombardo o Grande Sud di Miccichè. Un altro fattore di instabilità nella formazione dei gruppi parlamentari lo potrebbe portare il Movimrnto 5 Stelle e la sua assenza di struttura e di organizzazione; gli editti del leader carismatico, qualora egli perseguiti a dettare una linea politica oramai pienamente destrorsa (e come collocare altrimenti le recenti dichiarazioni sul destino dei sindacati?), potrebbero aver l’effetto di ingrossare le file del Gruppo Misto o magari di facilitare la riorganizzazione dei fuoriusciti intorno alla persona di Giovanni Favia, forse eleggibile alla Camera. Ma procediamo con ordine.

1. L’impalpabilità dell’Agenda Monti

Basta osservare come il Professore è stato costretto a strutturare le liste elettorali di Scelta Civica per comprendere come i partiti dell’UDC e di FLI riusciranno egregiamente a sopravvivere all’ultima Legislatura e a regalarsi una nuova veste, addirittura – ed è il caso dell’UDC – a divenire terza gamba della maggioranza sghemba di Bersani e a strappare qualche sottosegretariato se non qualche ministero (dall’alto del suo 4%). Il CISE, il centro studi elettorali della LUISS, ha esaminato le liste di Scelta Civica nelle posizioni eleggibili e ha scoperto che i candidati scelti direttamente da Mario Monti non sono più di undici alla Camera e soltanto tre al Senato. Potremmo individuare in 22 deputati la pattuglia di fedelissimi del senatore (gli undici di cui sopra più il movimento ‘Terza Repubblica’ di Riccardi). Italia Futura, che non è un partito ma una fondazione, otterrebbe ben 21 deputati, mentre UDC e FLI, alla Camera, correranno con proprie liste, seppur in coalizione con il Professore. Per cui, ci si aspetterebbe di avere un gruppo parlamentare ‘Scelta Civica’, a sua volta suddiviso in montiani e riccardiani, un altro afferente a Montezemolo, Italia Futura, a cui vanno sommati gli eventuali gruppi parlamentari di UDC e FLI (il partito di Fini però rischia di non superare la soglia di sbarramento). Al Senato, il gruppo montiano è in inferiorità numerica, dovendo fare spazio ai candidati di UDC, FLI e Italia Futura. Montiani e riccardiani conterebbero di soli otto senatori, contro i sicuri 7 di UDC, eventualmente opzionabili a 9-10 grazie alle doppie candidature di Pierferdinando Casini, ai 3 di FLI, ai 5 di Italia Futura. Insomma, il famoso centrino diventerebbe ben presto una costellazione di partitini, chiaramente tutti degni di rimborso elettorale, anche in virtù dell’assenza di qualsiasi accordo politico post-elettorale. L’adesione al contenuto dell’Agenda Monti non è garanzia di nulla: all’indomani del voto. UDC, FLI e Italia Futura potrebbero volgere le spalle a Monti, avendo ottenuto ciò che cercavano, l’elezione. D’altro canto, Monti medesimo potrebbe consegnare i propri fedelissimi, in una sorta di scambio politico-numerico, della serie ‘ti consento di governare al Senato a patto che tu assumi l’Agenda o parte di essa come tuo programma di governo’, messaggio che il PD e Bersani sembrano aver recepito come dimostrerebbe la retromarcia sulla patrimoniale.

2. Rivoluzione Civile che delusione

Antonio Ingroia aveva condizionato la sua ‘ascesa’ al campo solo in conseguenza di un dietrofront dei partiti. voleva, l’ex pm di Palermo, organizzare la ‘riscossa’ della società civile. Ma l’operazione Ingroia è sembrata a molti come la mossa estrema di Di Pietro per far proseguire la vita a Italia dei Valori. Di Pietro ha lavorato dietro le quinte, chiamando a sé chi nel 2008 aveva contribuito ad escludere dal Parlamento (ricordate Veltroni che scelse Tonino e tagliò fuori dall’alleanza i residui della Sinistra Arcobaleno di Bertinotti?), ovvero i Verdi e la Federazione della Sinistra, a sua volta un aggregato dei micro partiti di Rifondazione comunista e Comunisti Italiani, risultati di vecchie scissioni della sinistra ‘antagonista’ ai tempi del primo governo Prodi.

Il progetto di Ingroia è stato duramente ridimensionato. Le liste sono rinfoltite dall’IDV romano, dalla sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, che è ricollegabile al senatore Pedica, dai movimentisti viola, in primis Gianfranco Mascia, dal giornalista dell’Espresso e blogger Giglioli, anima della contestazione a Berlusconi nel 2009-2010. Ma ha dovuto pescare anche nell’IDV malato, quello dei Mariuccio, dei capibastone locali, e la cosa a quanto pare non è piaciuta. Se non lo avesse fatto, Ingroia avrebbe detto addio alla possibilità di ottenere qualche senatore. Senza gli impresentabilit dell’IDV in Campania o Molise niente superamento della soglia di sbarramento dell’8%. Che fare? La battaglia per le candidature è stata qualcosa di osceno: Di Pietro avrebbe fatto saltare Agnoletto in Lombardia. Salvatore Borsellino ha parlato chiaramente di lottizzazione partitica delle liste di Ingroia. Lo ha fatto anche in diretta televisiva durante il programma di Lucia Annunziata, giovedì scorso, lasciando Ingroia esterrefatto:

“Voterei Ingroia ad occhi chiusi, ma sto vedendo vecchi politici riciclarsi nelle sue liste e le mie agende rosse vengono penalizzate […] Dopo aver voluto il mio appoggio e la designazione dei ragazzi delle agende rosse per la candidatura con Rivolzione Civile ho visto i loro nomi finire in fondo alle liste senza possibilità di continuare la nostra lotta in Parlamento […] Non mi sono chiari i criteri con cui vengono stilate le liste. Temo che alcuni vecchi politici le stiano usando come paravento per ripresentarsi alle elezioni dopo che i loro partiti hanno perso di credibilità (Salvatore Borsellino, fanpage).

Prima di lui, hanno tolto l’appoggio a Ingroia sia il politologo Marco Revelli che l’ex magistrato Livio Pepino di ‘Cambiare si può’:

Ingroia ha due problemi di fronte, il primo è il rapporto con l’altra branca del movimento arancione, il gruppo di “Cambiare si può” dell’ex magistrato Livio Pepino, del sociologo Marco Revelli e del profesor Paul Ginsborg. Il movimento si è spaccato sulla scelta dell’alleanza con Idv, Rifondazione, Verdi e Pdci. I partiti non presentano simboli, l’unico è quello di Rivoluzione civile, ma candidano i segretari e dirigenti. “Cambiare si può” ha sottoposto a referendum la scelta lo scorso 31 dicembre. Risultato: su 13200 aventi diritto hanno votato per via telematica in 6908, e il 64,7% (4468) ha detto sì all’alleanza con la lista Ingroia. La conseguenza finale sono state le dimissioni di Chiara SassoLivio Pepino e Marco Revelli, dal vertice del movimento. “Il nostro mandato si è concluso e per quanto ci riguarda non è più rinnovabile” (Il Fatto Q, 5 Gennaio 2013).

In sostanza è chiaro anche ai muri che Rivoluzione Civile è un ‘cavallo di troia’ per IDV, Fds e Verdi, altrimenti privi di possibilità di entrare in parlamento. Non faranno altro che utilizzare il volto di Ingroia per evitare il giudizio degli elettori, in primis Di Pietro e IDV, distrutti dallo scandalo dei rimborsi elettorali. Per poi ovviamente separarsi il giorno dopo le elezioni e costituire alla Camera e al Senato ognuno il proprio personalissimo gruppo parlamentare.

3. Il partito liquido

Le parlamentarie del M5S hanno selezionato liste di giovani e di donne, scelti fra le fila del movimento, soprattutto di quella parte che ha fatto la storia del movimento. Ovvero personalità che difficilmente stanno tollerando la deriva accentratrice e destrorsa di Grillo. Potrebbe essere che Grillo stia seguendo una strategia suicida: che voglia cioè far precipitare il consenso verso i 5 Stelle al fine di ridimensionare le aspettative verso di loro. Più volte il comico ha detto che l’obiettivo era quello di inserire nelle istituzioni dei ‘cani da guardia’ del potere. Di spezzare la coltre di segretezza delle istituzioni. Ha rischiato di divenire il secondo partito italiano e di ottenere una rappresentanza parlamentare di più di cento fra deputati e senatori. Troppo per un movimento che non ha ancora chiare le regole della selezione dei candidati e per la deliberazione interna e che di fatto è rappresentato da un marchio che non possiede.

Ma se la vulgata grillesca continuerà sulla falsa riga della linea politica spiegata in questi giorni nel tour nelle città italiane, molto probabilmente i suoi futuri parlamentari diventeranno nervosi e inclini a smarcarsi dal comico. I distinguo e le dissociazioni non tarderanno ad arrivare. Con il risultato che il gruppo parlamentare del M5S si spezzetterà in più parti, determinando flussi di parlamentari imprevedibili da e verso la lista Ingroia o il centrodestra o Di Pietro.

Di Pietro: non ho fatto il gesto dell’ombrello. Come negare l’evidenza?

Di Pietro fra gli ultras delle dimissioni fuori da Palazzo Grazioli si esibisce in un classico del repertorio della commedia all’italiana. Meglio di Totò. Sarà un caso ma Monti sceglierà i suoi ministri fra i professori della ‘Bocconi’.

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Cercasi Badoglio Disperatamente

Chi sono i candidati? Questa domanda alberga sulla scena politica italiana come una nube nera. Chi dopo B? Non Fini, che non troverebbe nessuno all’interno del PdL pronto a votarlo. Non Casini, che fa troppo Terzo Polo. Non sia mai Pisanu, lui che non è un traditore, ma pensa troppo con la propria testa ed è chiaramente in opposizione al federalismo di stampo leghista, in ogni modo una carta da giocarsi in chiave anti-Bossi. C’è un rischio da evitare: che PdL e Lega diventino improvvisamente opposizione di un governissimo Terzo Polo-PD e che lo usino come una preziosa leva elettorale. Allora per Fini e soci è necessario tenere la Lega dentro il governo. Serve un Badoglio, urgentemente.

Due i nomi che circolano insistentemente: Gianni Letta, per un governo da maggiordomi; Roberto Maroni, per un inedito governo di garanzia leghista, ipotesi suffragata dalle prese di posizione antitetiche a Bossi del Ministro dell’Interno (Europa). Pare che questa sia la sola alternativa spendibile dei terzopolisti con Berlusconi. Se sarà invece, come probabile, sfiducia con rottura delle trattative Fini-Casini-Berlusconi, quest’ultimo getterà la polpetta avvelenata ai due che dovranno prendersi la responsabilità della decisione: governissimo con il PD o elezioni. Nel primo caso, il nome candidato per eccellenza alla guida di un nuovo esecutivo con una nuova maggioranza non elettorale, è quello di Mario Draghi. Un revival dell’operazione Ciampi del 1993.

Infine c’è il Partito Democratico. Il quale deve guardarsi bene dall’entrare in un esecutivo che gli farebbe perdere altri elettori e gli getterebbe addosso l’onta del collaborazionismo, già ventilata da più parti soprattutto in ambienti IDV. Certo, la pressione a sinistra si fa sempre più pesante. Vendola con SeL è al 7%, secondo gli ultimi sondaggi. La disponibilità del PD per un governo di responsabilità nazionale è – dicono – “fuori discussione”. Quelle vecchie canaglie di Ferrero e Diliberto soffiano sul fuoco: «un eventuale governo di transizione permetterebbe di nuovo a Berlusconi di fare la vittima e di candidarsi a vincere le prossime elezioni». «Nuove elezioni, non c’è alternativa minimamente decente» (Europa). Non mancano le frecciate di Di Pietro, il quale, forse in affanno nei sondaggi, vista l’arrembanza di Vendola che porta via consensi a tutti a sinistra del PD,e certamente in ritardo sui tempi della mobilitazione in vista del voto di sfiducia del 14 Dicembre, ha organizzato una manifestazione al Paladozza di Bologna per questo venerdì, 10 Dicembre. Ci saranno tutti i paladini dell’antiberlusconismo di ferro: da Travaglio a Vauro, a Dario Fo. E’, diciamolo, un tentativo in extremis per oscurare la manifestazione del PD prevista per sabato 11 Dicembre, per la quale si prevede una adesione record: la riparazione al danno fatto al partito medesimo con quella decisione cervellotica di non aderire al No Berlusconi Day dello scorso anno.

[Questo blog seguirà entrambe le manifestazioni].

Marino: alleanza con IDV non si tocca. La RAI? Cambio di governance. Il DDL di Furio Colombo.

Di seguito la trascrizione dell’intervista comparsa oggi su Il Riformista versione cartacea – testo a firma di Alessandro Calvi, in cui il Senatore Marino esprime molto chiaramente alcuni punti fermi della mozione terza:

  1. l’alleanza con Di Pietro non si discute;
  2. serve chiarezza e decisione;
  3. conflitto d’interessi da rivolvere in primis, anche con il cambio di governance della RAI.

Segue un’altra intervista al Sen. Furio Colombo, primo firmatario di un DDL sul conflitto d’interesse. Il testo da lui presentato, come già riportato ampiamente in un altro post su Yes, political!, prevede che le posizioni di conflitto di interesse non siano valutate dall’autority, bensì siano dichiarate per legge incompatibili con le cariche di governo e quindi siano sanzionate attraverso l’autorità giudiziaria.
Questa l’intervista a Marino:
TERZO UOMO. PARLA IGNAZIO MARINO: «GLI ALTRI DUE CANDIDATI SI OCCUPANO SOLO DI RAPPORTI TRA I CAPI PARTITO»
«Bersani e Franceschini d’accordo per oscurarmi Di Pietro? Non si discute»

Il senatore chirurgo in lizza per la leadership democratica al congresso di ottobre difende l’alleanza con l’ex pm e accusa i concorrenti di “censurarlo”: «Se la vogliono giocare tra loro che appartengono all’apparato».

di Alessandro Calvi

«Prendiamo la Rai. Cosa vogliono fare Franceschini e Bersani? Fare il congresso per poi nominare i direttori di RaiTre e Tg3 oppure dire che è ora che le regole cambino?». Risponde facendo domande, Ignazio Marino. E sono domande rivolte ai due competitors per la segreteria del Pd. Dice di volerli stanare, il senatore-chirurgo, perché, «servono dei sì-sì e dei no-no», mentre il dibattito congressuale è tutto ripiegato «sui rapporti tra i capi-partito». E se anche la questione alleanze è importante – e per ora, dice Marino, quella con Antonio Di Pietro «non è neppure da mettere in discussione» – non si può discutere soltanto di questo. «Ci sono tanti italiani che non si riconoscono nella politica di questo governo -dice – ma non sanno cosa vuole il Pd. E ora che Bersani e Franceschini lo dicano chiaramente. Ma non possono farlo».

Senatore, la Serracchiani dice no a Tinto Brass che l’avrebbe vista bene in un suo film. È agosto ma se si cerca traccia del dibattito nel Pd ci si imbatte quasi solo in notizie come questa. Cosa accade nel Pd?
Giorni fa a Milano un autista con contratto a tempo determinato mi raccontava che presto andrà in pensione e che rinuncerebbe a una parte della sua pensione se potesse vedere i suoi due figli sistemati con un contratto non da sottoprecari. Ecco, in questo c’è un’analisi politica molto più profonda di quanto i leader del mio stesso partito sembrino ora in condizione di fare.

E come si è arrivati a questo punto?
Dal Lingotto in poi ci si è preoccupati quasi soltanto degli equilibri interni, delle correnti, dei rapporti tra i capi del partito. La prova è anche nella opposizione debole che stiamo facendo invece di interpretare il pensiero del nostro elettorato. Così si crea un danno a una forza che potrebbe essere una grande forza di sinistra e di modernizzazione.

Si riferisce anche alle polemiche sulle alleanze?
Il dibattito è ridotto a ipotesi su cosa farebbero Bersani e Franceschini se nel 2013 fossero al governo. Ecco, se a chi si confronta tutti i giorni con i problemi del salario diciamo che il problema è dove starà Di Pietro tra 5 anni, è già tanto se non ci prendono a schiaffoni.

Già, ma secondo lei dove dovrebbe essere Di Pietro, allora? E l’Udc?
Mi permetto di insistere: siamo nel 2009 non nel 2013. Ora il principale alleato del Pd è l’Idv. Ed è un alleato che non è nemmeno da mettere in discussione. Invece, ora dovremmo pensare soprattutto a fare una opposizione che sia il più rigorosa possibile. E chiaro che dobbiamo pensare in termini di bipolarismo e non di bipartitismo e che le alleanze saranno costruite sulla base dei programmi che presenteremo prima delle elezioni. Ho l’ambizione di poter presentare prima anche la squadra di governo in modo che gli elettori sappiano che votandoci eleggerebbero anche una determinata squadra.

Prima però c’è da vincere la corsa per la guida del partito. Secondo i sondaggi lei è terzo e staccato. Pentito di essersi candidato?
Niente affatto. Trovo anzi ulteriori ragioni per la mia candidatura. Su alcuni giornali, ad esempio, quando si parla delle candidature il mio nome non viene neppure citato. A pensar male, si potrebbe ritenere che Franceschini e Bersani siano preoccupati perché, essendo in tre, nessuno alla fine potrebbe raggiungere il 51%, e che si siano accordati con quei giornali per far scendere una sorta di cappa sul mio nome in modo da stopparmi e giocarsela tra di loro che appartengono all’apparato. Ecco, non vorrei che questo pensiero alla fine prendesse piede. D’altra parte, anche il ragionamento di quei dirigenti che hanno detto no alla estensione del tesseramento al 31 luglio non mi ha convinto. Sembra quasi che ci sia chi preferisce un partito più piccolo, più legato agli apparati e meno al voto popolare. Io penso invece che si dovrebbe cercare di elevare il dibattito, parlando di cose concrete, riempiendo di contenuti la speranza delle persone nel futuro. E questo lo si può fare soltanto col partito di una sola corrente, quella dei circoli, la vera rivoluzione dolce che il Pd può fare.

Lei parla di identità, di chiarezza. Sinora però il Pd non ha brillato. Basti pensare al testamento biologico.
Chi guida il partito è in una situazione in cui è impossibile dire dei sì e dei no chiari e dare una identità al partito. Come può Franceschini conciliare le posizioni della Binetti e della Serracchiani? E come fa Bersani a mettersi d’accordo con Letta che era pronto a votare il decreto del governo su Eluana Englaro e la Bindi che legittimamente ha sostenuto che la drammatica vicenda Welby è stato un caso di eutanasia? Come possono avere una posizione chiara su questi temi o altri come le coppie di fatto? Non possono. Eppure, i cittadini hanno diritto di sapere cosa propone il Pd. Noi siamo stati molto chiari su questo e su molto altro: il lavoro, il merito, la formazione continua, l’importanza degli investimenti in ricerca sviluppo e innovazione. Lo siamo stati anche sul conflitto di interessi e l’informazione. Ho già chiesto cosa intende fare il partito, ho proposto che sia cambiata la governance dell’azienda e che vi sia un amministratore delegato nominato da almeno due terzi del CDA in modo che non possa essere l’espressione esclusiva di chi governa il paese. Non ho ancora avuto risposte.

Già, e infatti il sospetto di qualcuno è che il congresso del Pd servirà, alla fine, anche a capire chi saranno i direttori di RaiTre e Tg3, oltre al segretario del partito.
E per questo dovremmo essere chiari, dire che ci sottraiamo alla lottizzazione, che abbandoniamo velleità sparatorie. Sono d’accordo Franceschini e Bersani? O vogliono fare il congresso e poi nominare i direttori? Per ora non rispondono.

Il partito, per la verità, rivendica un diversità su questo punto.
Ma è tutta da dimostrare. Chi lo dice era già ministro nel 1996. E non mi sembra che da allora qualcuno abbia risolto il conflitto di interessi.

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    • Abbiamo rivolto queste domande all’onorevole Furio Colombo autore di un testo di legge, proprio, sul conflitto di interessi.
    • ha depositato alla Camera dei Deputati la legge sul conflitto di interessi, la stessa che aveva presentato alla Camera nella XIII legislatura (1996) e che poi aveva riproposto in Senato non appena eletto nel 2006
    • Quali sono i principi cardine della sua proposta legge?
      E una legge molto semplice. Risponde a tre domande. Chi è incompatibile con la responsabilità diretta del potere? Chi lo diventa se si violano alcuni limiti e alcune condizioni? Quali incompatibilità non si possono cancellare?
    • In cosa si distingue il suo testo di legge rispetto gli altri testi presentati in questo periodo?
      Direi che le differenze principali sono due: la prima riguarda un diverso ammontare-limite della ricchezza. Nel mio testo è fissato a 10 milioni di euro. Importo che personalmente ritengo già elevato. La seconda differenza riguarda, invece, l’identificazione di chi è chiamato a dirimere il caso di conflitto di interessi. Ecco, io ritengo che non debba essere un organo di controllo speciale quanto piuttosto la normale autorità giudiziaria
    • Fino a che punto secondo Lei gli italiani hanno consapevolezza della gravità del conflitto di interessi? Soprattutto cosa rischia il nostro Paese?
    • La mia sensazione è che il controllo dei media che dura ormai da 15 anni abbia accresciuto, nella gran parte degli spettatori e dei lettori dei giornali nazionali, la consapevolezza che sia meglio non occuparsi del conflitto di interessi. L’altra cosa che hanno imparato gli italiani è che è meglio così.
    • Veniamo da anni di trasmissioni tipo “Porta a Porta” durante le quali direttori di testata si comportano come scolari davanti al “preside” Silvio Berlusconi. Le domande, nel caso vengano poste, vengono rivolte una sola volta e non più riprese. Anche il pubblico, fatto di persone intelligenti, capisce che è meglio stare alla larga.
    • Sul conflitto di interessi non ritiene sia meglio arrivare quanto prima ad una sola proposta di tutta l’opposizione?
      Sarebbe bello ma è chiaro che questa è un’ idea che dovrebbe venire dai più influenti. Nel senso che io ho presentato per primo e da solo la mia proposta. L’ho fatto consegnandola alle pagine dell’Unità on line. Successivamente è stata presentata la proposta sottoscritta da Veltroni. Io sarei felice di confrontarmi ma è chiaro che all’interno di un partito dovrebbero essere coloro che contano di più a proporre di lavorare in modo unitario per combattere insieme questa battaglia.
    • E’ perché, secondo Lei, le autorità di controllo e anti-trust tacciono?
      La risposta a questa domanda è contenuta nel testo della mia proposta di legge. Ovvero nel fatto che non si debba ricorrere ad un’autority per dirimere un caso di incompatibilità bensì alla magistratura ordinaria. Nel corso di questi 15 anni nessuna autorità garante ha potuto reagire a ciò che stava accadendo. E’ chiaro dunque che le autorità possono essere messe sotto intimidazione dagli enormi poteri finanziari ed economici. Altrimenti sarebbero intervenute e non avrebbero continuato a tacere.
    • La capacità intimidatoria ma anche di premiare hanno permesso a Silvio Berlusconi di governare la tv di Stato in tutti questi anni anche quando non era al governo. Nessuno ha rimosso o toccato le sue persone mentre al contrario lui ha potuto rimuovere e toccare tutte le persone che ha voluto. E lo sta facendo anche in questo momento mentre noi parliamo…

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