Arrampicata stile libero e caso Cancellieri

A questo fanno pensare le dichiarazioni di Cuperlo e Renzi circa il caso dell’aiutino alla famiglia Ligresti. Il ‘tengo amici’ del Ministro dell’Interno pone in grande imbarazzo due dei tre (quattro..) candidati alle primarie per la segreteria del Pd.

Cuperlo, riporta oggi Repubblica.it, pur essendo favorevole alle dimissioni della Ministro, tiene a precisare il suo pensiero: “Non è in discussione la correttezza del ministro Cancellieri; quel che ho posto è un problema di opportunità politica: se esistono tutte le ragioni di serenità per adempiere appieno a una funzione particolarmente delicata come è quella del Guardasigilli”.

La posizione di Renzi è sempre la stessa da alcuni giorni: “io mi sarei dimesso”.

Forse non si sono accorti che sulla Ministro pende una mozione di sfiducia individuale proposta dal M5S. E che quindi il dilemma non è più dimissioni/non dimissioni bensì quello ben più gravoso per il Pd, il dilemma della fiducia. Non è forse il caso di riflettere bene prima di difendere a spada tratta Cancellieri? Di riunire i gruppi parlamentari e di ascoltare bene le ragioni di coloro che chiedono le dimissioni, di votare valutando accuratamente le conseguenze di tale deliberazione? Non è forse il caso di allargare lo sguardo e di accorgersi dell’opinione pubblica generale prima di limitare l’analisi a ciò che è più consono alla persistenza del governo delle Larghe Intese? Poiché non c’è scritto da alcuna parte che lo stato d’emergenza perpetuo in cui viviamo giustifichi gli abusi d’ufficio di un Ministro.

La non-senatrice Mangili (M5S)

Giovanna Mangili è stata eletta senatrice per il M5S in Lombardia. Suo marito è consigliere comunale pentastellato nel comune di Cesano Maderno. La donna vince le primarie della circoscrizione Lombardia I conquistandosi sia il primo posto il lista per il Senato che le antipatie di tutto il Cinque Stelle milanese. Per le pressioni ricevute su Facebook e palesate dal marito in uno o più ‘aggiornamenti di stato’, aveva pensato di dimettersi all’istante, non appena eletta.

Oggi il Senato ha discusso in aula sulle sue dimissioni. Ai sensi dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento, il Presidente ha indetto la votazione a scrutinio segreto. E l’aula ha respinto le dimissioni, ritenute piuttosto vaghe. I colleghi senatori non si sono accontentati dei generici ‘motivi personali’; richiedono invece di ascoltare la donna.

Vito Crimi ha argomentato nella maniera ambivalente che lo ha sempre contraddistinto in queste prime settimane della legislatura. A metà marzo aveva dichiarato che “Giovanna Mangili non ha retto alle pressioni, agli attacchi, alle forti illazioni” (blitzquotidiano.it). Oggi ha detto in aula che Mangili non si troverebbe “nelle condizioni di affrontare un agone, un luogo – per intenderci – che non è una piazza qualunque, in cui dover rappresentare le proprie motivazioni personali o il percorso che hanno portato a fare una tale scelta” (Resoconto stenografico Senato, seduta n. 9 del 03/04/2013). Secondo Crimi, la donna avrebbe espresso la volontà di non esercitare l’attività di parlamentare. Questo sarebbe sufficiente per accettarne le dimissioni. Tutto il blocco dei 5 Stelle (48 voti) ha votato a favore della richiesta di dimissioni. Il Senato vuole appurare invece che tale volontà non sia frutto di minacce o di intimidazioni. Era lo stesso Crimi a dire che Mangili era stata oggetto di forti pressioni e di illazioni. Ora queste stesse pressioni sono trasformate da Crimi in qualcosa d’altro. “Non andare a cercare in dibattiti in rete motivazioni inesistenti, che attengono esclusivamente a questioni personali dell’interessata“, ha detto all’aula.

Così scrisse il marito su Facebook:

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Eppure qualche giorno dopo…

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In realtà credo che Mangili sia una semplice ‘malcapitata’. La risolutezza con la quale il marito, Walter Mio, continua a sostenere il Movimento e specialmente Vito Crimi (è fra quelli che hanno chiesto la dichiarazione di voto pubblica per i 15 votanti eretici di Piero Grasso), è un indice ben chiaro del fatto che non esiste alcun sospetto e, se pure ci fosse stata della discussione sulla elezione della moglie, si sarebbe trattato senz’altro di una miserevole bega da quattro soldi, faccende su cui il Senato dovrebbe astenersi e non spendere altro tempo. Ha pur ragione Anna Finocchiaro a dire quel che ha detto  – citando Zagrebelsky [1] – sul divieto di mandato imperativo e sull’articolo 67 della Costituzione che lo contiene. Ma dubito che ci la vicenda di Mangili meriti argomenti tanto rilevanti. 

[1] La libertà dei rappresentanti, senza vincolo di mandato, esprime questa esigenza che in Parlamento – il luogo dove ci si parla – sia possibile perseguire il raggiungimento di quel punto mediano e che l’Aula non sia il terreno di battaglia di eserciti schierati per ottenere o tutto o niente. I rappresentanti devono disporre di quel margine di adattabilità alle circostanze rimesso alla loro responsabilità. Ecco, in sintesi direi questo: libertà del mandato, uguale responsabilità; vincolo di mandato, uguale irresponsabilità, ignoranza totale delle qualità personali dei rappresentanti, mortificazione delle personalità.

Monti ha minacciato le dimissioni per forzare il sì di Merkel

Secondo El Pais, Mario Monti avrebbe tenuto in scacco il Consiglio Europeo per un’ora – quell’ora di mistero in cui Angela Merkel ha rimandato la propria conferenza stampa – minacciando le dimissioni se non fossero state prese in considerazione le sue proposte. “E’ stato un momento di grande tensione”, ha rivelato un dirigente comunitario di massimo livello. La situazione si è sbloccata soltanto alle tre della mattina di Venerdì, durante l’incontro bilaterale Monti-Merkel. Gli accordi siglati in precedenza, al G-20 a Los Cabos (Messico), e durante i due incontri a Roma e Parigi, che avevano praticamente delineato le misure per fronteggiare la crisi del debito e la mancata crescita, una volta che i leader europei erano arrivati a Bruxelles, erano diventati “lettera morta”, riportano le fonti de El Pais. Questa circostanza avrebbe fatto infuriare il primo ministro italiano, sino alla minaccia di dimissioni.

Continua a leggere: http://internacional.elpais.com/internacional/2012/06/29/actualidad/1340996603_211857.html

Mentana si dimette dalla direzione del TG di La7 dopo la denuncia del Cdr

Tratto da Il Fatto Quotidiano

Inflessibile. Mentana si era rifiutato di leggere il comunicato stampa del sindacato unico dei giornalisti che solidarizzava con lo sciopero dei poligrafici di Cgil, Cisl e Uil, e oggi ha annunciato le sue dimissioni. Lo ha reso noto egli stesso, dopo avere appreso la notizia di “essere stato denunciato alla magistratura ordinaria da parte del Cdr della testata”. ”Ho atteso 24 ore per verificare eventuali ravvedimenti, che non ci sono stati. Essendo impensabile continuare a lavorare anche solo per un giorno con chi mi ha denunciato, rassegno da subito le dimissioni dalla direzione del Tg La7”.

Ieri Mentana era stato denunciato dal cdr e dall’Associazione stampa romana per comportamento antisindacale, essendosi rifiutato di leggere il comunicato del sindacato unico dei giornalisti. “Sono rituali, che se mai hanno avuto un senso, certo non lo hanno ora. Faccio il giornalista e dò notizie per i telespettatori, non leggo comunicati di altri”, aveva dichiarato il direttore dimissionario del Tg di La7. Il comunicato in questione era quello che solidarizzava con lo sciopero dei poligrafici di Cgil, Cisl, Uil. “Così come durante il tg non ho mai letto comunicati di Telecom, ovvero del mio editore, non vedo perchè – aveva aggiunto – dovrei leggere quelli dei sindacati”. “La Federazione della Stampa non può comportarsi come quelle aziende che pretendono – conclude Mentana – la pubblicazione dei loro comunicati”.

Di Pietro: non ho fatto il gesto dell’ombrello. Come negare l’evidenza?

Di Pietro fra gli ultras delle dimissioni fuori da Palazzo Grazioli si esibisce in un classico del repertorio della commedia all’italiana. Meglio di Totò. Sarà un caso ma Monti sceglierà i suoi ministri fra i professori della ‘Bocconi’.

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Dimissioni Berlusconi, il comunicato ufficiale della Presidenza della Repubblica

COMUNICATO

Il Presidente Napolitano ha ricevuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, Berlusconi

C o m u n i c a t o

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto oggi alle ore 21.00 al Palazzo del Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Silvio Berlusconi, il quale, essendosi concluso l’iter parlamentare di esame e di approvazione della legge di stabilità e del bilancio di previsione dello Stato, ha rassegnato le dimissioni del Governo da lui presieduto.
Il Presidente della Repubblica, nel ringraziarlo per la collaborazione, si è riservato di decidere ed ha invitato il Governo dimissionario a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti.
Le consultazioni del Capo dello Stato si svolgeranno nella giornata di domani.

Roma, 12 novembre 2011

Scarica il documento ufficiale

Dalla legge di stabilità alle Dimissioni: in diretta la fine del berlusconismo?

Le dirette del voto sulla legge di stabilità: #opencamera sulla homepage (RT Andrea Sarubbi) e diretta streaming dalla Camera dei Deputati. Anche sulla pagina Fb di Yes, political!

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Dalle ore 18 liveblogging sulla bacheca Fb e sulla homepage.

Berlusconi si è dimesso, no non si è dimesso

Volete sapere la notizia di oggi? Berlusconi è – nonostante tutto – ancora in sella. Nonostante l’evidenza di un voto che non lascia scampo ad equivoci. Questo è sconcertante. Si dimetterà, lui dice, soltanto dopo l’approvazione della Legge di Stabilità, comprensiva del maxi emendamento che dovrebbe contenere le nuove norme promesse alla UE in fatto di lavoro e pensioni e quant’altro. Il contenuto della lettera di Berlusconi a Bruxelles. La vuota – profondamente vuota – lettera.

Questa si chiama con un solo nome: irresponsabilità. La scelta doveva essere una sola. Doveva essere dimissioni. Passeranno invece altri quindici giorni durante i quali questa ‘classe dirigente‘ ci legherà mani e piedi a un provvedimento assassino, figlio della vanagloria di un finto premier che è andato un giorno a Bruxelles promettendo leggi inaudite e inutili. Promesse che hanno prodotto una lettera di 39 domande – trentanove legittime domande – che il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn ha inviato in una lettera a Tremonti lo scorso 4 novembe (in italiano a questo link). Domande del tipo: ma quanto ci avete promesso lo farete davvero? Prego indicare entro quando. Ed è incredbile quanto sta succedendo, poiché nella lettera di Olli Rehn non c’è scritto di piegare il mondo del lavoro o di cancellare le pensioni. No. C’è scritto: avete detto che volete riformare le pensioni? Entro quando lo fate? Non contiene diktat, ma richieste di chiarimenti. Tutto il resto glielo abbiamo detto noi, anzi Lui, il dimesso che non si è dimesso.

Bisognerebbe che qualcosa o qualcuno accelerasse l’avvicendamento. E’ abbastanza improbabile che venga organizzata una nuova maggioranza in questo parlamento, magari riciclando personaggi simil-Scilipoti. Un governo Monti è quanto di più lontano ci sia in questo momento. Monti, che è poi l’unico in grado di castigarci per sempre senza compromettersi il futuro politico, lui che non ne ha, e allo stesso tempo calmare la City londinese, pronta a gettarci nell’incubo di un default se non cediamo alla deregulation complessiva di tutta la nostra società.

Abbiamo bisogno di personalità che vadano in Europa ed abbiano la forza di dire no, noi facciamo così. Noi, in Italia, facciamo così. Punto. Voi preoccupatevi che i nostri conti siano corretti. E basta. Niente ricette. Siamo noi responsabili del nostro debito e del nostro bilancio. Eppure non ce ne sono. Che dramma è mai questo?

Meno otto traditori – Massimo Donadi pubblica il ‘pizzino’ di Berlusconi

[In realtà la foto è dell’ANSA]

Meno otto traditori: così ha scritto Berlusconi di suo pugno su un foglio ‘intercettato’ da un fotogramma forse opera di Massimo Donadi (IDV)  – è lui che lo pubblica sul proprio sito. Un documento straodrinario che rivela la rabbia ma anche la tremenda distanza di Berlusconi dalla realtà. I ‘traditori’, otto suoi ex deputati, hanno avuto la sola colpa di mettere in evidenza ciò che per i mercati e per il paese è ovvio: B. si deve – e ripeto DEVE – fare da parte. Non serve più al paese. E’ un danno. Un danno che vale almeno quasi 150 punti sullo spread, e non saprei quanto sui mutui che noi tutti paghiamo.

B. scrive anche la parola ‘ribaltone’. Poi, ‘rassegni le dimissioni’, come se avesse preso nota della richiesta di Bersani; e ancora, ‘prenda atto’, ‘Pres. Repubblica’, e come chiosa finale ‘una soluzione’. Quale sarà? E sarà la soluzione finale?

Chi è l’amico di Bechis? Il Giornale si butta su Crosetto, la ‘gola profonda’

Quella testa di cazzo, dicono nell’audio divulgato da Libero, quella testa di cazzo. Non è importante che la ‘Voce’ abbia rivelato che B. si dimette domani – oggi no, è troppo impegnato a Milano per questioni aziendali. Ma il solo aver descritto, nominato, il Capo, riducendolo a ‘testa di cazzo’, questo sì che è segno del vile tradimento.

Lo psicodramma dei media fedeli alla Linea del Non mi dimetto è tragico ma non serio. Domani ci sarà il voto sul Rendiconto 2010 – sì ancora fermi al Rendiconto siamo – ma le opposizioni non vogliono ingolfare ulteriormente il processo decisionale sulle materie finanziarie, pena il sommovimento dei mercati (una volta erano le piazze a sovvertire i governi, oggi sono i mercati, quelli che non si svolgono in piazza ma in banca). Allora la strategia dell’opposizione è una sola: aspettare che il cadavere passi. Si parla di una mozione di fiducia, ma dovrebbero passare altri due-tre giorni fra dibattito e dichiarazioni di voto. Significa far cadere B. soltanto lunedì/martedì prossimi. Un’eternità intollerabile.

Berlusconi non è uno che si lascia dettare la linea politica molto facilmente. Anche nella resa riesce a decidere lui i tempi e i modi, sebbene tutto l’impianto della maggioranza, puntellato dalla campagna acquisti del 14 Dicembre scorso, stia oramai cedendo su tutti i fianchi. Il timing della Caduta è descritto molto bene da John Hooper su The Guardian:

Il voto di domani non è un voto di fiducia, quindi in teoria – anche se perde – Berlusconi non sarà costretto a dimettersi. Ma quando, e dove, si terrà il voto di fiducia cruciale non è ancora chiaro.  Libero sostiene che il test dovrebbe tenersi alla Camera dei Deputati, dove il governo è più vulnerabile. Ma quando? Secondo alcune interpretazioni, Berlusconi ha in programma di trasformare la sessione di domani sui conti pubblici del 2010 in un voto di fiducia. Altri credono che chiamerà una votazione separata e successiva a decidere se la vita o la morte del suo governo. Entrambi i casi, potrebbero permettergli di strappare via l’iniziativa all’opposizione, che ha minacciato una mozione di sfiducia per farlo cadere.

Quindi non saranno dimissioni. Almeno non subito. B. promette per domani fuoco e fiamme in Parlamento. Probabilmente chiederà di parlare alla Camera, ma non è escluso che invece scelga il Senato per tentare il colpo di mano (a Palazzo Madama i numeri lo tengono ancora in piedi). Nessuno lo sa. Certo, per una tragica uscita di scena, la Camera è il proscenio naturale. Lui, la testa di cazzo secondo la gola profonda di Bechis, doveva andare da Napolitano già oggi. Invece, con lo spread Btp-Bund che schizza a 488 punti base, se ne va a Milano per incontrare i figli e forse Bossi in serata. Non è normale. Non è responsabile. E’ altresì preoccupante. Domani, B. potrebbe veramente essere destabilizzante.

Maggioranza, venti o quaranta sono i traditori del PdL

Lo dice la Reuters in un articolo intitolato “Intrighi e tradimenti a Roma mentre Berlusconi lotta”. Venti o addirittura quaranta i taditori del PdL, ben oltre ciò che serve per far perdere la maggioranza a B. Saranno tutti assoldati da Fli e UDC? Reuters scrive anche che un eventuale ‘step down’ di Berlusconi farebbe scendere i tassi di interesse dei nostri Btp decennali di un punto percentuale. Pensate, B. vale 1% di interessi in più sui Btp. Ce lo possiamo ancora permettere?

I prezzi delle obbligazioni si riprenderebbero e il differenziale di rendimento scenderebbe di un punto percentuale se il governo dovesse cadere, secondo un sondaggio Reuters su 10 gestori di fondi, analisti di mercato e strateghi finanziari effettuato la scorsa settimana (Reuters).

A complicare le cose, sostiene la Reuters, si è messa anche la BCE per bocca di Yves Mersch, membro del Consiglio, secondo il quale è frequente in BCe il dibattito se sia meglio o peggio sospendere gli acquisti di Btp finché l’Italia non risponde sulle riforme annunciate. Una scelta del genere farebbe cadere i nostri titoli finirebbero totalmente ‘fuori controllo’. E’ solo la BCE che tiene i nostri titoli a galla, quindi. L’Europa, l’odiatissima tecnocratica anti-democratica Banca Centrale Europea.

 

Vertice UE, Berlusconi annuncia dimissioni a Gennaio?

Lo riporta il The Guardian:

Step down, fare un passo indietro.

Peccatori del debito, pentitevi! Le dimissioni di Stark e il monetarismo ortodosso tedesco

Quel che sorprende delle dimissioni del ministro tedesco Stark dal Board Executive della BCE non è tanto la sfiducia verso l’italia – quella ce l’abbiamo anche noi – quanto la mancanza della più totale consapevolezza che l’interdipendenza fra i paesi europei abbai raggiunto un tale livello da non poter esser più dipanata. I falchi del monetarismo ortodosso tedesco, i rigidi contabili della Bundesbank e dell’alleata Banca Centrale Olandese, negano il mutuo soccorso fra i paesi europei e interpretano il comportamento della BCE alla stregua di un aiuto di Stato, un favore a un concorrente nel libero mercato:

I paesi in deficit possono, nonostante la sfiducia dei creditori, introdurre più prodotti e servizi di quelli che svolgono, perché il loro disavanzo delle partite correnti è finanziato dalla Euro-sistema di pagamento da parte della Bundesbank. (Die traurige Entwicklung der Geldpolitik, FAZ(1), trad. propria).

Stark avrebbe lasciato la BCE perché “frustrato”. Frustrato dal fatto che i peccatori del debito, i maiali del Sud, vengono aiutati dalla BCE non già perché esiste una volontà politica di salvaguardare gli stati dell’Unione, bensì perché il blocco del Sud ha messo in minoranza quello del Nord, che però è più forte economicamente.

I fronti nord e sud sono uno di fronte all’altro. I rappresentanti dei paesi del nord orientati alla stabilità vogliono tenere la spesa dei peccatori del debito sotto controllo. I rappresentanti dei sudisti vogliono mettere la BCE sotto la gogna della stampa, onde mostrarne il fallimento della politica di bilancio. L’opposizione della Bundesbank, e della Banca Centrale Olandese, è spazzata via. Poiché il numero di paesi economicamente potenti si restringe mentre le fila dei peccatori del debito crescono, il Sud si aggiudica i voti – e il Nord paga (FAZ, cit., trad. propria).

Se volessimo definire questo pensiero con una frase, quella frase potrebbe essere “leghismo europeo”. Come in Italia la Lega Nord stigmatizza il Sud, fannullone e debitore, così fa la Germania con l’Italia e gli altri PIGS. E’ la reazione di chi è – momentaneamente – più ricco e vede la propria economia crescere ma non quanto vorrebbe, gravata da una zavorra, la zavorra dei più poveri, degli indebitati, e non vuole pagare per essi.

La dipartita di Stark apre la crisi politica della BCE. Il delicato equilibrio sin qui tenuto fra monetarismo alla Bundesbank e debitarismo sud-europeo era garantito dalla presidenza francese e dai segretari finanziari tedeschi. Fin dalla nascita, la BCE è stata a guida mista franco-tedesca, ma la politica monetaria applicata era una ricetta made in Bundesbank. Ora l’avvento di Draghi – un peccatore italiano! -ha scatenato il panico dei tedeschi.

Il prossimo presidente della BCE, Mario Draghi, è italiano, il Vice Presidente del Portogallo. Fermare questo ‘doppio diesis'(1) di acquistare titoli di Stato da Italia e Portogallo? Il paese più forte economicamente dell’Euro dovrebbe essere rappresentato nella BCE da due voti e la Bundesbank non può essere isolata all’interno del Consiglio (FAZ, cit., trad. propria).

La pratica del QE – quantitative easing, ovvero stampare la moneta per alleggerire, comprandolo, il debito dei ‘porci’ – comporta un “accumulo dei rischi di credito nella Banca federale che supera il raddoppio delle garanzie del nuovo controverso – per il governo tedesco – fondo di salvataggio dell’euro”.

La sfiducia verso l’Italia è quindi doppia: non solo si dubita della volontà del governo italiano di risanare effettivamente i conti e di ridurre il debito, ma si dubita anche del prossimo presidente della BCE, al di là della sua storia personale, della sua reputazione – Draghi  “ha un dottorato in economia dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) e ha lavorato alla Banca Mondiale che alla Goldman Sachs ed è stato direttore generale del Ministero del Tesoro in Italia all’inizio degli anni Novanta” (Foreign Policy, via Il Post) – è pur sempre ‘un-italiano-alla-BCE!’, uno scorbutico ben poco diplomatico che si troverà a gestire un’unione monetaria in preda al panico e una banca piena zeppa di titoli tossici greci, italiani, portoghesi, irlandesi ecc.

I tedeschi hanno paura di perdere il controllo sulla politica monetaria dell’Istituzione BCE. A differenza delle altre istituzioni della UE, la BCE ha dei VERI poteri, ed è svincolata dalle decisioni dei paesi membri riuniti nel consiglio. Non è un organo a rappresentanza democratica, ma è oggetto di spartizioni di potere. Lasciare che gli italiani mettano i piedi nel Board Executive della BCE significa consegnargli la borsa e la vita.

 

 

(1) FAZ, Frankfurter Allegmeine Zeitung, quotidiano tedesco.

(2) Nella notazione musicale, diesis (anche detto diesi) è il simbolo che indica che la nota a cui si riferisce va alzata di un semitono, ed il suo simbolo è Sharp.svg. Esiste anche il doppio diesis (Sharp.svgSharp.svg, oppure DoubleSharp.svg) che indica un incremento di frequenza della nota pari ad un tono (wikipedia).

Fini: Berlusconi si dimetta o sarà appoggio esterno. La crisi per un nuovo patto di legislatura

Un lungo, a tratti noioso e ripetitivo (molte delle cose dette oggi erano già state dette a Mirabello ad inizio Settembre), discorso che termina – finalmente – con la richiesta di dimissioni di Berlusconi da parte di Gianfranco Fini. Si dimetta, o i ministri di Futuro e Libertà usciranno dal governo.

Serve un nuovo patto di legislatura, ha detto il leader di FLI, in cui al centro debbono essere messi i temi economici. Ha insistito molto sull’economia e sul lavoro, Fini. Ha lamentato l’assenza della politica dal tavolo aperto dalle parti sociali, mesi or sono, al fine di rianimare la crescita economica italiana. Ha parlato della necessità di stabilizzare i precari del lavoro, di agganciare il salario alla produttività, di sgravi fiscali per le imprese che investono al sud. Il federalismo non può essere un danno per il meridione: deve diventare una opportunità per la sua classe dirigente. Bisogna però fare una riforma completa, modificare la forma parlamentare del bicameralismo perfetto, creando un Senato delle Regioni – coerentemente con una forma di Stato che sia genuinamente federale; non come si fece con la riforma costituzionale che cambiò l’art. 117 (opera ahimé del governo D’Alema) suddividendo confusamente la competenza regionale da quella statale e istituendo una serie di competenze concorrenti che hanno fatto aumentare il contenzioso davanti alla Corte costituzionale. Serve anche una riforma dell’amministrazione pubblica, in special modo per quanto concerne la concessione degli appalti, dove adesso è preminente l’interferenza della politica e dove prevalgono meccanismi di fedeltà all’insegna di un cameratismo proprio di cricche affaristiche plutocratiche.

Fini chiede ora una svolta– meglio tardi che mai, si è detto. Futuro e Libertà, in circa due mesi – da Mirabello a Perugia – si è strutturato come un partito popolare. Fini pare pronto alla svolta, sebbene lo sbuffo finale abbia tradito l’ansia per i probabili risvolti polemici e per le conseguenze politiche al suo pur durissimo discorso. E’ mancata, però, del tutto l’autocritica sulla strategia mantenuta in parlamento in questi ultimi due mesi, quando FLI ha votato con la maggioranza negando l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro Lunardi, e permettendo che passasse quell’obbrobrio della norma della retroattività del Lodo Alfano costituzionale.

Restiamo in attesa delle reazioni di Arcore.

FIOM al No Berlusconi Day 2, nonostante D’Arcais

Un vecchio slogan di Rifondazione che oggi può essere fatto viola e nostro

Da privati cittadini, sottolineano. Ma l’adesione da parte dei segretari nazionali FIOM al No Berlusconi Day 2 organizzato da il Popolo Viola rompe con quella logica settarista che sembrava dover prevalere seguendo le inclinazioni lesionistiche di Flores D’Arcais.

Con queste parole, i segretari FION annunciano l’appoggio al NO B DAY 2. E voi cosa aspettate? In nome della Costituzione Italiana, contro l’abuso di potere di Berlusconi:

E’ necessario e urgente rispondere all’attacco ai diritti civili e sociali in corso in tutta Europa, e che in Italia assume caratteristiche particolarmente odiose e pericolose.

La volontà di cancellare il Contratto nazionale di lavoro e di stravolgere la Legislazione sul lavoro dimostra come si voglia usare la crisi per annullare conquiste ottenute con anni di confronto e di lotta, mentre la regressione in senso autoritario si esprime in tutte le dimensioni: dall’attacco alla Magistratura, alla Libertà di informazione, al Diritto di istruzione, allo Stato sociale.

La mobilitazione più larga possibile è la condizione per dire No all’umiliazione dei diritti dentro e fuori i luoghi di lavoro e per difendere la democrazia.

Per questo il 2 ottobre in qualità di liberi cittadini che vogliono difendere la Costituzione, saremo con voi in piazza a Roma.

Roma, 30 settembre 2010

Maurizio Landini, Segretario generale Fiom

Giorgio Airaudo, Segretario nazionale Fiom

Sergio Bellavita, Segretario nazionale Fiom

Laura Spezia, Segretaria nazionale Fiom