L’illusione

Il ribaltone no. Non ci credo. Non credo che questa miserrima campagna elettorale e le elezioni di domenica possano costituire un ribaltamento dello status quo, “quello che non sono riusciti fare i nostri padri nel 1945”. Chi ha detto una cosa simile infama i morti per la Resistenza. Non sarebbero riusciti a che? Nel 1945? Ecco, di queste fesserie penso non ci sia bisogno. Quelle persone, “i nostri padri”, nel 1945, hanno combattuto e sconfitto il fascismo e l’occupazione nazista. Molti di loro non l’hanno nemmeno visto, il ’45, perché sono morti prima, sulle montagne, in una dolorosa guerra civile di cui portiamo ancora i segni.

Il paragone con l’odierno è senza senso. Votare M5S potrebbe in qualche maniera equivalere alla Resistenza? Potrebbe in qualche maniera essere anche solo accostato? Signori, qui si tratta di mercato politico, di voto in cambio di (una vaga promessa di) politiche. Puntiamo su un simbolo come con le fiche alla roulette. Né più né meno. Qualcuno di noi si è candidato, verrà eletto, o nominato – se non è passato per le primarie. Ha fatto la sua battaglia, ma a parole, come è giusto che sia in un paese in tempo di pace. Ed è ovvio che si siano essi stessi prestati, che abbiano prestato il proprio volto, il proprio corpo, per una organizzazione molto spesso destrutturata – come lo sono i partiti liquidi – di cui non controlla assolutamente nulla, e da cui domani potrebbe essere cacciato se la sua opinione dovesse minimamente divergere dal parere del Comico principale.

Ecco, quando vedo famosi attori e premi Nobel di Sinistra, famosi cantanti di (forse) Sinistra, rinvigoriti dall’idea di tornare a quel 1945 e di poter ribaltare su noi tutti questa idea vecchissima della redenzione da una condizione di minorità attraverso un atto rivoluzionario e di popolo, allora mi rendo perfettamente conto di quanto ancora siamo schiavi del passato, di quanto ancora il passato ci leghi mani e piedi, di come ancora una volta siamo del tutto incapaci di prefigurare una nostra idea di comunità nel futuro. “La ricostruzione dell’Italia su basi sociali, eque, di comunità, di solidarietà” che dovrebbe avvenire tramite un “ribaltone” semplicemente non avverrà. La ragione è una sola: scalzare il meccanismo della rappresentanza è troppo costoso. La rappresentanza semplifica. Quando le sue istituzioni funzionano, permette di prendere decisioni che abbiano valore erga omnes. Il modello proposto della iper democrazia tecnologica sostituisce la norma con l’algoritmo, che è una lingua tecnica parlata da pochi. Se la norma è pubblica, è opentanto spesso l’algoritmo è di proprietà privata di chi lo ha studiato ed elaborato. Possiamo quindi sostituire le regole della discussione pubblica – la campagna elettorale, il voto nelle urne, le dinamiche parlamentari, la procedura di legislazione, il governo – contenute nella Costituzione con formule e sintassi codificate da qualcuno e celate dentro un pacchetto software?

M5S, Favia e Salsi sono fuori

Con queste due righe, Giovanni Favia e Federica Salsi vengono sbattuti fuori dal Movimento 5 Stelle. Si è passati, nel corso di una nottata, dal “chi non è d’accordo se ne vada”, al “chi non è d’accordo lo caccio”. Differenze sostanziali e incomprensibili.

A Federica Salsi e Giovanni Favia è ritirato l’utilizzo del logo del Movimento 5 Stelle. Li prego di astenersi per il futuro a qualificare la loro azione politica con riferimento al M5S o alla mia figura. Gli auguro di continuare la loro brillante attività di consiglieri (via Repubblica.it).

Mentre Renzi spacca tutto, Bersani apre alla e-democracy

Mentre Renzi scaglia i suoi alla guerra delle regole giocata con strumenti elettronici, dalle mail-bombing ai siti cloni come votodomenica.it e domenicavoto.it, capita che Bersani faccia pervenire al sito di Prossima Italia la propria risposta sull’iniziativa dei ReferendumPD. I tipi di Prossima Italia avevano inviato la scorsa settimana le stesse domande a tutti e cinque i candidati ma solo il segretario ha risposto. Pur non entrando nel merito degli argomenti dei referendum, che riguardano la riforma fiscale, il reddito minimo, l’incandidabilità, i matrimoni gay, il consumo di suolo e le alleanze, il testo della lettera di Bersani contiene una informazione sinora rimasta inedita e riguarda il vero obiettivo di queste Primarie di coalizione e di questa campagna di registrazioni:

Tra le ragioni che mi hanno indotto a volere fermamente le primarie c’è la costituzione di un Album degli elettori dei democratici e dei progressisti. Proprio in questi giorni stiamo lavorando con tutte le nostre energie e con il contributo di migliaia di volontari alla realizzazione di questo obiettivo e spero di poter contare anche sul vostro aiuto. Nelle mie intenzioni questo Album potrà costituire la base, messa a disposizione di tutti gli iscritti al Partito democratico, per favorire iniziative di democrazia partecipativa simili a quella promossa dal Comitato ReferendumPd che potranno avere nella piattaforma web il luogo privilegiato di attuazione. (Prossima Italia|La risposta di Bersani).

Se ci pensate, questo aspetto aiuta a comprendere un’altra differenza fra Bersani e Renzi. Renzi è quello che usa il web come strumento di marketing politico, Bersani – che è pur sempre quello che chiamava internet “quell’ambaradan lì” – pensa di far emergere, attraverso la registrazione all’albo degli elettori, una platea di cittadini partecipativi da coinvolgere nelle scelte del partito. Qualcuno potrà obiettare che Renzi ha accolto le proposte del web nel proprio programma. Chi si ricorda di #wikiPD? Era una iniziativa lanciata dal Big Bang di Renzi. Fare una wiki del PD significava allora come oggi cominciare da uno spazio vuoto, dalla pagina bianca ed essere aperti alla collaborazione e alla condivisione. Renzi che fece? Era il tempo della Leopolda 2011 e il sindaco di Firenze pubblicò sul sito di Big Bang un documento programmatico che poteva soltanto essere discusso.Non c’era proprio nessuna wiki. Questo atteggiamento, già nell’Ottobre dello scorso anno, era risultato essere un segnale, una indicazione di una propensione a usare il web più come proscenio che come luogo di confronto. Oggi, con l’iniziativa dell’associazione Big Bang (che poi vuol dire Renzi medesimo) e l’apertura di ben due siti web con l’obiettivo di raccogliere nominativi di partecipanti esclusi da usare – questo lo scopo finale – domenica sera al fine ultimo di contestare il voto, Renzi ha confermato questa impressione.

Ma l’iperdemocrazia non è antidoto alla Casta

Se possiamo intendere i corpi intermedi della società – partiti e sindacati – come indispensabili alla comunicazione di domanda e sostegno dalla società civile al sistema politico (si faccia riferimento alla teoria sistemica della società e in particolar modo a David Easton), altrimenti non possiamo intendere il sistema politico come un circuito parzialmente chiuso, con una modalità di reclutamento dei soggetti incaricati alla sua funzione solo ed esclusivamente correlata al legame fiduciario, o di fratellanza o tantomeno di genitorialità. Un sistema politico che non ha criteri di reclutamento oggettivi, fondati sul merito, legittimati dal consenso sociale, allora è un sistema con un forte deficit democratico: quella che giornalisticamente chiamiamo “la Casta” e che ha a che vedere con la mancata circolazione delle élite (Pareto) o per meglio dire, con una società priva di mobilità, è il vizio storico della nostra democrazia rappresentativa.

L’esigenza emersa negli ultimi quattro anni di una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita politica tende ad evolversi in una volontà di essere attori del sistema politico proprio in quanto cittadini. I sostenitori del modello della e-democracy, di una forma di democrazia diretta che impiega la tecnologia del web per smettere di essere utopia, ritengono che dalla sostituzione delle istituzioni rappresentative con l’agorà virtuale sempre connessa possa scaturire solo del bene. La Casta è individuata negli occupanti del sistema politico, che amministrano per nome e per conto di interessi di parte. La legittimazione del voto popolare non è più sufficiente. Essi reclamano che il “deputato” sia completamente assoggettato alla volontà del gruppo di elettori di riferimento. Tramite il mandato imperativo, essi trasformano il deputato in un mero portavoce, un incaricato che esprime la volontà altrui raccolta con una sorta di plebiscito quotidiano. Il cittadino è “cittadino totale”, pienamente politico. La sfera pubblica è primaria e coinvolge tutto. La sfera privata smette di esistere in questa estrema pubblicizzazione dell’io. L’individuo non ha senso di essere nel mondo ipersociale della iperdemocrazia (M. Prospero, l’Unità 01/06/12): esso è immerso nella rete virtuale dei rapporti sociali, costantemente sotto la luce del pubblico poiché osservato e monitorato; dalla téchne del web 2.0, dai “netizen” concittadini dell’agorà virtuale, da sé stesso.

In questo contesto l’individualità non ha senso di esistere. La libertà di non essere connessi, di non essere avvinti nella trama della Rete, la libertà di non essere “politico”, non è permessa. Devi avere un’opinione. Devi esprimere un voto. La macchina della iperdemocrazia è obbligata ad alimentarsi con la perpetua deliberazione pubblica. Il tuo voto può essere il voto decisivo. In quanto produttore di opinione e di voti, servi alla macchina e non puoi essere escluso. In questo senso, l’iperdemocrazia è alla stregua di una ideologia totalitaria “che sussume e cancella gli individui e gli eventi particolari, il rilievo dato alla singolarità e alle differenze” (S. Forti, 1994).

Perché proponiamo alla nostra società bloccata, in deficit democratico, guidata da élite vecchie e maleodoranti e che pretendono di essere insostituibili, di passare all’estremità opposta di una democratizzazione assoluta e totalitaria? Perché dimentichiamo la politica della libertà? La necessità di riaffermare l’interesse pubblico rispetto alla ingerenza della sfera privata, che in Italia negli ultimi diciassette anni ha di fatto privatizzato il pubblico, non può passare dalla erosione della sfera delle libertà individuali. Il meccanismo della democrazia diretta può funzionare soltanto come elemento di un sistema che è per forza rappresentativo, non potendo prescindere dal problema della complessità delle società di massa. I corpi intermedi sono i principali responsabili della malattia che si chiama “Casta” e che in un primo momento era etichettata come “berlusconismo”. Essi sono “i guardiani” (o gatekeepers) del sistema politico. Presiedono al sistema democratico senza essere democratici. Obbligare partiti e sindacati ad avere regole democratiche di selezione delle classi dirigenti potrebbe essere la giusta proposta di riforma per questo paese. In tal modo non si rischierebbe nessuna deriva iperdemocratica, ma più semplicemente si provvede ad aggiustare il deficit attuale aprendo le porte alla società civile (e così smontando il grumo di posizioni dominanti che la caratterizza). Non che sia sufficiente promuovere e organizzare liste elettorali fittizie di candidati superstar (come nel caso della lista Scalfari/La Repubblica). Un partito politico deve essere esso stesso permeabile alla società: dalla definizione delle cariche organizzative interne, alla definizione delle politiche. Non può essere cooptato da interessi particolari, ma deve consentire alla competizione delle opinioni in un quadro di libertà comunicativa e partecipativa. Perché è possibile non essere interessati alla vita pubblica, è possibile essere ripiegati completamente nell’ombra della sfera privata; è possibile, in definitiva, esser sé stessi, e scegliere da chi esser visti (e giudicati).

Beppe Grillo, sindaco ombra di Parma

L’ombra. L’ombra del Comico oscura l’Uomo Qualsiasi, il Pizzarotti sindaco che nessuno ipotizzava potesse vincere il ballottaggio di domenica scorsa. Succede che il reietto Valentino Tavolazzi, il deus ex machina degli Scissionisti riminensi, colpevole del gran tradimento dei precetti del Non-Statuto (comandamento n. 1: non organizzare un bel niente, mentre lui si preoccupava di dare forma e operatività alla democrazia interna del M5S), radiato vita natural durante a mezzo blog dal movimento medesimo, si sia candidato a direttore generale del comune della città (lui smentisce, ma non è escluso che a volergli dare questo ruolo ci stia pensando lo stesso Pizzarotti). Qui sta il bello perché Tavolazzi possiede le competenze per ricoprire quel ruolo e la sua designazione potrebbe definirsi effettivamente “meritocratica”.

Invece. La nuova fatwa grillina è arrivata non appena nel Movimento sono cominciate a palesarsi alcune diatribe interne. Prime fra tutte le lunghe interminabili (e inutili) discussioni sui forum sulle dichiarazioni post voto del medesimo Pizzarotti – io ho vinto! No, replicano le truppe di digitatori di commenti: non tu, ma il Movimento. Allora Grillo ha pensato bene di mettere i puntini sulle i (di Pizzarotti) e ha intimato il no expedit alla candidatura del Tavolazzi.

“A Tavolazzi – scrive il blogger – è stato inibito l’uso congiunto del suo simbolo con quello del Movimento 5 Stelle qualche mese fa”. La sua nomina “è una scelta impossibile, incompatibile e ingestibile politicamente. Mi meraviglio che Tavolazzi si ripresenti ancora sulla scena per spaccare il Movimento 5 Stelle e che trovi pure il consenso di un consigliere dell’Emilia Romagna” (F. Mello, Il Fatto Quotidiano).

Inibito. Tavolazzi è inibito. E quel consigliere (regionale) dell’Emilia-Romagna chi sarebbe? Favia? De Franceschi? Perché Grillo non fa i nomi? Di cosa sarebbero colpevoli costoro? Di pensare con il proprio cervello? Ora che sono state trovate nuove e inedite teste pensanti per il mondo obsoleto della politica, che facciamo? Pretendiamo che essi non pensino. Certo, è il capo a pensare per loro. Loro sono uomini qualsiasi, perfettamente sostituibili l’un l’altro.

Grillo invita “chiunque fosse interessato alla posizione” ad inviare “il suo curriculum a questa mail”. Il link porta ad un form per a segnalazioni su BeppeGrillo.it. Vi sembra normale? Vi sarebbe sembrato normale se appena eletto Luigi De Magistris sindaco di Napoli, Antonio Di Pietro avesse chiesto a chi era interessato ad un assessorato nella giunta del capoluogo partenopeo, di mandare il suo curriculum alla sua mail personale? (F. Mello, cit.).

No, rispondo io. Se l’avesse fatto di Pietro, l’avremmo sommerso di improperi. Avremmo scritto interi papiri di commenti sull’anacronismo del partito personale. Basta leader, avremmo detto. E invece eccoci qui ad assistere impotenti – o quasi –alla distruzione dell’unica opportunità di non precipitare definitivamente nello schifo della politica corrotta e collusa. Ai confini del “tafazzismo”.

Come ho già più volte scritto, è ora che il M5S accantoni Grillo e applichi veramente l’unico precetto possibile del suo statuto non scritto: uno vale uno, ovvero nessuno è indispensabile e l’unico dogma che orienta l’azione politica del movimento è l’interesse generale. Stop. Non aggiungo altre parole.

Legge elettorale fra referendum e inciucio. Intervista al senatore Belisario.

Felice Belisario presidente senatori idv

Qualche settimana fa, il senatore Belisario (IDV), sul suo blog, aveva ventilato l’ipotesi di un accordo sulla legge elettorale fra Pd, Terzo Polo e PdL. Un inciucio che farebbe saltare la consultazione referendaria e vanificare il milione di firme raccolte. Certo, stando ad alcuni commentatori, il verdetto di ammissibilità sui due quesiti, atteso a settimane da parte della Corte Costituzionale, non è affatto scontato. In ogni caso, il post di Belisario è diventato una occasione per porre al senatore alcune domande sulla legge elettorale e sul futuro di Italia dei Valori. Questa l’intervista che ne è scaturita.

1) Senatore Belisario, siamo arrivati al collo di bottiglia di questa legislatura. A Gennaio la Consulta deciderà sull’ammissibilità dei referendum sulla legge elettorale. La decisione, per taluni costituzionalisti, potrebbe non essere scontata e quindi propendere per la non ammissibilità. Secondo lei, l’effetto ‘pistola alla tempia’ paventato da Bersani, funzionerà e spingerà il parlamento ad adottare un provvedimento – nella direzione suggerita dai quesiti e suffragata dal milione di firme – oppure no?

Sono praticamente certo che il Parlamento non tornerà al Mattarellum senza referendum. Sono ben altre le soluzioni che si stanno prospettando. Se la Corte, come io credo, dichiarerà l’ammissibilità del referendum ci troveremo davanti alla possibilità di una svolta storica e non credo che ci sarà la possibilità di una riforma per evitare la consultazione popolare. Ma non è detto. Nel Palazzo gli inciuci sono sempre più frequenti.

 2) Sul suo blog ha parlato di trame sotterranee – mi passi il termine – fra propaggini del PD e altre propaggini del PdL. Un inciucino mascherato da accordo-per-il-bene-del-paese ma che produrrebbe una legge elettorale fortemente diversa da quella che si produrrebbe altrimenti con il referendum. E’ così? E’ questo che sta per accadere?

Esattamente. Invito a leggere questo articolo (http://www.unita.it/italia/legge-elettorale-e-dialogo-tra-i-pd-pdl-e-terzo-polo-1.364293), ma sul web ne troverà tanti altri che raccontano le stesse cose. Il Pdl propone un sistema elettorale sul modello spagnolo, un proporzionale con collegi relativamente piccoli, che tenderebbe a sovrastimare i partiti grandi (Pd e Pdl) e quelli con una connotazione territoriale molto radicata (la Lega), tende a mantenere la proporzionalità di partiti intorno al 12-15 per cento (Terzo Polo) e tende a sottostimare i partiti medio piccoli (Idv, Sel, 5stelle). Il Pd sta riflettendo perché un’ipotesi del genere rischierebbe di regalare di nuovo all’alleanza Pdl-Lega il Paese e solo con un’alleanza con il Terzo Polo potrebbe competere, senza peraltro avere alcuna certezza della vittoria che tutti i sondaggi gli assegnano ormai da qualche mese. Insomma, se si verificasse questo scenario passeremmo dal Porcellum a una nuova porcata nei confronti degli italiani che non sarebbero rappresentati neanche con questo sistema.

Di questo si parla con sempre maggiore insistenza e soltanto il referendum può disinnescare questa minaccia. Di fronte a un successo referendario resterebbero pochissimi margini per una ulteriore modifica della legge elettorale perché questo significherebbe andare contro la volontà della maggioranza degli elettori. Per questo è fondamentale che la consultazione referendaria abbia buon esito.

 3) Se invece il progetto di legge elettorale a mezzo inciucio fosse accettabile (che dire, qualunque legge elettorale a confronto con il Porcellum è accettabile), Italia dei Valori lo potrebbe votare o scegliete senza esitazioni per il referendum? La riesumazione del Mattarellum non è forse la migliore delle soluzioni. Lei cosa ne pensa?

Noi abbiamo raccolto le firme proprio perché i tentennamenti del Parlamento rispetto alla cancellazione del Porcellum erano diventati insopportabili. Tecnicamente il Mattarellum era l’unica proposta possibile con un referendum perché se si abroga una norma rientra in vigore quella precedente. Ritengo, comunque, il Mattarellum un sistema che funziona, mantiene il bipolarismo che per noi è una condizione imprescindibile, consente di avere alleanze solide e restituisce ai cittadini il diritto sancito dalla Costituzione di scegliersi i propri rappresentanti. Se arrivassero altre proposte di legge in materia (quelle che sono state presentate sono pessime) non ci sottrarremmo comunque alla discussione. Ma è chiaro che abbiamo intrapreso una strada precisa: vogliamo che i cittadini si esprimano su una scelta netta: Porcellum o Mattarellum.

 4) In caso di riesumazione del Mattarellum, per Italia dei Valori ritornerà ad essere indispensabile alla propria sopravvivenza una coalizione di centro-sinistra. La sussitenza del governo Monti – con il PD terza gamba della maggioranza – ha invece messo in forte crisi gli stilemi classici delle alleanze: come ricomporre l’abusato ritratto di Vasto quando emergono ancor oggi pesanti differenze fra IDV, Sel e PD, anche a voler prescindere dalle manovre del governo?

L’ho scritto anche sul mio blog, la foto di Vasto non è sbiadita e l’attuale alleanza parlamentare anomala è figlia della situazione di emergenza attuale. Credo che il Pd resti più vicino alle nostre posizioni, nonostante la divergenza attuale, piuttosto che al Pdl o al Terzo polo con cui vota insieme i provvedimenti di Monti. In una situazione di normalità democratica, fuori dall’emergenza, l’alleanza naturale non possa che partire da un centrosinistra formato da Pd, Idv e Sel, a cui, ovviamente, sulla base di un programma condiviso, possono aggiungersi altri soggetti della società civile, ma tenderei ad escludere un’alleanza allargata al Terzo Polo che mi sembra oggettivamente molto diverso dall’idea di centrosinistra che ha in mente anche la maggioranza del Partito Democratico.

5) Si è scritto e detto che il Porcellum è l’emblema del deficit di democrazia – il default politico – che ci accompagna oramai da troppo tempo. Non crede che la sola riproposizione delle preferenze di lista sia insufficiente a colmare questo profondo debito (che è ben più grave di quello finanziario)?

Il Porcellum è il figlio prediletto del deficit di democrazia. E’ stato creato dal centrodestra (compresi Fini e Casini) proprio per svuotare la Costituzione e la democrazia, un tentativo che a Berlusconi è riuscito molto bene grazie al controllo di quello che finora è stato il principale mezzo di comunicazione, la televisione. Riproporre soltanto le preferenze ovviamente non basta. L’Italia dei Valori si batte da tempo per l’estinzione dei privilegi di tutte le caste. Purtroppo nei 20 anni di berlusconismo è stata attuata una controrivoluzione culturale che ha portato a un disinteresse generico per tutti i problemi legati alla democrazia. Nei 20 anni precedenti abbiamo assistito all’individualismo sfrenato e all’egoismo di casta e di razza portati rispettivamente avanti da Berlusconi e da Bossi. Mi sembra che finalmente stiamo cominciando a invertire la rotta, ma il cammino sarà lungo.

6) Non pensa che una maggiore democratizzazione della vita dei partiti potrebbe rappresentare una svolta? IDV ancora fa fatica a prendere in esame la propria forma di partito personale. Il carisma di Di Pietro non è servito ad evitare di imbarcare nel partito personaggi come Scilipoti e Razzi. Una discussione pubblica più partecipata potrebbe servire a selezionare meglio l’élite del partito e a scongiurare compravendite in aula al momento del bisogno. A che punto è il vostro utilizzo del web e dei social network? Lei avrà inteso che sul web è vitale il confronto e il dibattito. Esserci ma estraniarsi da esso è controproducente. Berlusconi ha risolto inviando messaggi preregistrati, come un tempo faceva con le cassette. Invece altri politici si affidano a strampalate campagne pubblicitarie su Youtube (vedi Formigoni). Come collocare IDV in mezzo a questi eccessi?

Potrei dire che questo è il prezzo da pagare per la trasformazione di un piccolo movimento a un partito che aspira a diventare di massa ma sarebbe una risposta troppo semplicistica. L’Idv due anni fa ha tenuto il suo primo congresso nazionale, a cui sono seguiti congressi regionali, provinciali e comunali. Soltanto il questo modo, dandoci cioè una struttura democratica a tutti i livelli, il mio partito potrà crescere. Errori ce ne sono sicuramente stati, ma fanno parte tutti della vita precongressuale dell’Idv. E’ anche vero che soltanto con il ritorno delle preferenze, chiedendo cioè ai cittadini da chi vorranno essere rappresentati, questi errori potranno essere evitati. Ricordo, inoltre, che la compravendita si fa in due. Se Scilipoti e Razzi si sono fatti comprare è perché c’è qualcuno che li ha corrotti. Su questo, grazie a un esposto di Antonio Di Pietro, sta indagando la magistratura.

Per quanto riguarda il web sono assolutamente d’accordo. Ovviamente, per me che sono nato quando ancora non c’era la televisione, nel 1949, è stato complicato adattarmi alle nuove tecnologie, ma sapevo e sono sempre più convinto che in esse c’è il futuro della comunicazione e della politica. Sono attivo su facebook, su twitter, su google+, ho un blog e, da qualche settimana, proprio per utilizzare pienamente le potenzialità del web, e lontano dalla campagna elettorale per evitare strumentalizzazioni, ho aperto un sito, www.politicaevalori.it, in cui chiedo a chiunque un contributo di idee e queste idee possono essere votate. E’ un tentativo, appunto, di non utilizzare il web passivamente e fatto per ridurre la distanza tra politica e società civile. Spero solo, perché non è questa l’intenzione, che non sia scambiato per uno strumento di propaganda. Se così fosse stato lo avrei fatto in piena campagna elettorale. E’ un laboratorio, spero abbastanza innovativo, di programma partecipato. Un work in progress e decideremo insieme cosa fare in futuro. Anche il mio partito ha puntato sul web per la comunicazione. Ha rinunciato ad avere un giornale di partito con i soldi pubblici e ha come canali di comunicazione soltanto il sito dell’Idv, i blog degli esponenti politici a partire da Di Pietro, una web tv e i social network.

7) Per concludere, parliamo di digitale e di internet: abbiamo visto nascere il progetto del Movimento 5 Stelle, pur con qualche difficoltà interna. Alcuni sondaggi lo attestano al 7%. Si tratta di un movimento politico nato dal web. Tutto ciò è clamoroso ed è ancor più clamoroso se si pensa che accade in un paese in cui hanno accesso a internet circa il 58% delle famiglie. Molto meno della Svezia, per esempio. L’Agenda Digitale era lettera morta con Berlusconi. Digitale all’epoca significava solo digitale terreste – e televisioni sue, naturalmente. Abbiamo per anni ignorato che investimenti nella banda larga produrrebbero benefici per 1, 1.5 punti del PIL. Si può dire che abbiamo già completamente superato la Videocrazia? E’ bastata la defenstrazione del suo padrone? Oppure dobbiamo evolvere una cultura del digitale e di internet che invece ancora non abbiamo?

L’intuizione di Grillo è stata geniale perché forse è stato il primo a capire le potenzialità del web. Se quel 7 per cento dei sondaggi dovesse essere confermato credo che la loro presenza in Parlamento possa essere uno stimolo e un pungolo ulteriore. Quello che non mi piace è fare politica vestendo i panni dell’antipolitica, scimmiottando il Berlusconi dei primi tempi. Io diffido dell’antipolitica che è la negazione della politica e che, storicamente, sfocia sempre nell’avvento dell’uomo forte, autoritario, che arriva promettendo di risolvere tutti i problemi. Considero invece la politica, in astratto, alta e nobile. Ma è con la politica, non con l’antipolitica, che si risolvono i problemi del paese. Il mio sforzo è che si ritorni all’onestà e alla considerazione di una volta. Mi sento molto più vicino all’idea di politica di Aristotele, Montesquie o Croce che a quella di Beppe Grillo.

La cultura del digitale, per passare alla seconda parte della sua domanda, è ancora molto di là da venire. Ma non c’è dubbio che sia questa la strada da seguire sia per superare le anomalie della videocrazia sia perché, ne sono convinto, attraverso investimenti in questo senso si può creare maggiore occupazione. Non c’è dubbio che il web sia la forma più democratica degli attuali strumenti di comunicazione perché consente un’interazione che negli altri media è limitatissima.

Mi lasci concludere con una battuta. Tutta la campagna elettorale di Berlusconi, nel 2001, fu caratterizzata dallo sviluppo delle tre ‘i’, impresa, inglese e internet. Anche su questo il fallimento è stato totale. Berlusconi ha mantenuto solo un terzo della promesse, quella relativa alle imprese, ma solo le sue.

Il battibecco di Vendola e Grillo fra vecchia e nuova politica. Primarie vs. E-democracy

Sì, Grillo ha fra gli aspetti che lo connotano in maniera negativa quello di disprezzare e svilire qualsiasi proposta politica diversa dalla sua. Qualsiasi modello che devia dalla sua – assolutamente presunta – democrazia dal basso, dal modello della e-democracy da lui tanto propagandato – ma sinora ancora non messo in pratica – è pattume.

Così accade che Grillo rompe l’elegia a Saviano fatta dai media che riferiscono a IDV – Il Fatto Quotidiano in primis. Lo fa davanti al pubblico del suo quarto e ultimo show al Gran Teatro di Roma. Dice Grillo: “Roberto Saviano, per carità, è bravissimo. Ma “Vieni via con me” è un programma Endemol. E di chi è la Endemol? Di Silvio Berlusconi. Dunque quando Saviano fa audience, a guadagnare è il Cavaliere. Se poi ci aggiungiamo che Saviano lancia accuse a destra e a manca, senza però fare mai mezzo nome, è facile capire perché Silvio goda come un riccio”. Tutto ciò dinanzi a una platea ammutolita. Nessuno se lo sarebbe aspettato. Grillo attacca Saviano insinuando sulla sua buona fede. Avverte i suoi sostenitori, che sono in larga parte anche i suoi, che Saviano è comuque a libro paga di B. Scrive per Mondadori; fa televisione per la Endemol, di cui Mediaset è azionista di maggioranza. L’idea che si instilla nello spettatore è che si può criticare Saviano, ma fino a un certo punto. Come se criticare Saviano sia come mettersi dalla parte di chi lo minaccia di morte. Se ci pensate, è la stessa sorte che capitò a Leonardo Sciascia quando affibiò a Giovanni Falcone l’etichetta di “professionista dell’antimafia”.

Quindi arriva Vendola. Vendola – lo rivela stasera il TG La7 – ha indici di gradimento pari a quelli attuali di Berlusconi (Berlusconi 38, Vendola 39, Fini 41). Il popolo di sinistra, dopo la diaspora del 2008, si sta lentamente ricompattando intorno alla sua figura. Molti di essi non credono più alla favola del lìder nuovo. Molti sono migrati verso IDV, forse con rimpianti. Molti si turano il naso nel PD e lottano affinché la dirigenza granitica del partito si faccia da parte e lasci crescere la nuova cultura politica democratica che è emersa soprattutto durante “Prossima Fermata Italia” alla Leopolda di Firenze o prima ancora durante la campagna per Ignazio Marino. Cosa credete che possa pensare di tutto questo fermento, Beppe Grillo? Vendola ha la gravissima colpa di “fare politica” da trent’anni. Poco importa che tipo di politica. Lui è dentro alla nomenklatura, e ciò è una ignominia.

Lui, Grillo, crede che il nuovo non sia Vendola, nonostante Vendola abbia fatto un buon uso della rete e dei network di La Fabbrica di Nichi. No, il nuovo è la Rete di giovani che fanno politica. Il nuovo è il rapporto orizzontale fra pari, il vecchio è il rapporto verticale fra rappresentato e rappresentante. Vendola è uno dei tanti di quelli che aspirano al comando. Solo è il più bravo a comunicare. Tutto qui.

Tutto qui? Vendola stasera, al Tg La7, sprona Bersani a non aver paura delle primarie, poiché esse sono lo strumento con cui il PD può uscire dal Palazzo della Casta e si riavvicina al suo popolo. Vendola, pur avendo a che fare con un partito che ha ben poco di democratico nella sua organizzazione gerarchica, che vive ancora di Comitati Centrali e Direzioni Nazionali, ha fatto proprio lo strumento delle primarie, segno identitario del PD. Vendola ha capito che le primarie servono a sé stesso come legittimazione di leadership ma anche come patente di estraneità alla Casta. Vendola ha il polso dell’umore dell’elettorato. Ha capito che l’elettore vuole contare. C’è una fortissima domanda di partecipazione, forse a causa della crisi del debito pubblico che sta erodendo ogni settore della vita civile, dall’istruzione, alla sanità, al lavoro.

Grillo da anni paventa il default per l’Italia. Grillo pure ha la percezione della domanda di partecipazione che promana dal paese. L’ha evocata per primo e l’ha impiegata per costruire un movimento che vorrebbe essere l’applicazione pratica dell’ideale ottocentesco della democrazia diretta, quel modello che totalizza l’individuo e lo trasforma nel “cittadino in armi”, un individuo che perde la sfera della privatezza per immergersi pienamente nella dimensione pubblica, che può essere solo politica. Grillo stigmatizza la Casta, ovvero il rapporto verticale rappresentato-rappresentante e propone un modello tecnologizzato. Una agorà virtuale, che è però una macchina, ovvero la rete delle macchine coordinate insieme dalla macchina centrale, dalla quale passa tutto il canale informativo. L’ideologia egalitaria della rete è anch’essa menzognera: alla fine, dentro i gangli della comunicazione web, esistono dei centri verso cui orientarsi. I cyber-individui non sono tutti alla pari: esistono dei master che guidano la web-massa intorno a piattaforme comunicative. Anche il web diventa rapporto uno-molti (il blog di Grillo suo malgrado lo è). E anche la politica via web deve confrontarsi con il problema del numero e della rappresentanza. La realtà è che non cambia nulla: nella società si è creata una situazione di blocco tale per cui la classe dirigente rimane tale e quale a sé stessa. Ma la società ribolle e da essa scaturiscono nuove leadership che cercano di affermarsi su piani relazionali alternativi a quelli preesistenti. Capitò così quando a crollare era l’Ancien Régime: la borghesia inventò la stampa e i libri. Si creò una sfera pubblica che era anche il luogo della critica del potere. Oggi è il turno del web. Ma i dilemmi di allora sono quelli di oggi, e chi crede che il tecnicismo di Internet applicato alla politica sia interamente sostitutivo della forma della rappresentanza politica si sbaglia e perde il suo tempo. Ecco il peccato di Grillo: lo sdegno verso la società attuale gli impedisce di comprendere che la rappresentanza non è del tutto superabile e che la necessità impellente è di ripristinare quella circolazione delle élite che è vitale per la riproduzione della società intera. Ciò che invece le primarie possono consentire di fare.

Mov 5 Stelle, è De Franceschi il secondo consigliere in Emilia Romagna. Ma l’e-democracy stenta a decollare

La Comune di Parigi, 1870: l'ideale utopico della democrazia diretta

Affrancarsi dalla politica facendo politica: l’antitesi su cui si regge l’intero Movimento 5 Stelle, ovvero quella dell’antipolitica – noi non siamo un partito – giace sul supposto valoriale che ‘noi siamo meglio di loro’, noi siamo diversi poiché applichiamo un altro metodo, noi siamo democratici e loro no.
Di queste dicotomie ne è piena la storia, a cominciare dalle prime teorie della democrazia liberale, che ben presto però si scontrarono con il problema del numero e dell’organizzazione. Gli elitisti (Mosca, Pareto, Michels) diffidavano dei concetti della democrazia diretta applicati alla società, massificata o non massificata. Esiste sempre una elité di persone, un numero limitato di governanti che governano sui più, sulla massa. E’ un fatto storico, ineludibile. Per Michels, ovunque vi sia organizzazione, vi è elitismo e oligarchie (per una summa sbrigativa sull’elitismo: http://it.wikipedia.org/wiki/Elitismo).
Ora, naturalmente, ci verrebbe incontro la tecnologia, la rete, il web, i social network. La e-domocracy realizzerebbe l’ideale utopistico della democrazia diretta, della partecipazione attiva, consapevole, perpetua del netizen, immerso a tempo pieno nel suo ruolo di cittadino e politico senza soluzione di continuità. A questo vorrebbe assurgere il Movimento 5 Stelle? Le società di massa si sono sempre basate sul concetto economico della differenziazione dei ruoli e delle funzioni: settore produttivo e settore decisionale sono ambiti separati seppur connessi, sistema politico e sistema economico si influenzano e si scambiano risorse fra di loro, ma restano pur sempre due campi distinti della specialistica competenza. La politica di professione sarebbe forse al tramonto?
Il Movimento che fa capo al mentore Beppe Grillo non ha ancora un sistema di e-democracy funzionante: il portale a cui iscriversi non è ancora pronto. E allora, i grillini, si trovano a dover a che fare con la solita domanda di sempre: chi decide?
Giovanni Favia ha raccolto numerosissimi consensi. E’ stato il più votato nelle liste circoscrizionali di Modena e Bologna. Ma per il Movimento 5 Stelle spettano due consiglieri regionali e la legge elettorale specifica che debba esser il capolista a decidere. Favia ha scelto un metodo partecipato. Ha chiamato a raccolta i suoi, dai MeetUp ai circoli provinciali. Sono stati selezionati quaranta grandi elettori che hanno votato durante la riunione di Giovedì scorso. Ha vinto De Franceschi, 31 a 40 sulla candidata Sandra Poppi del collegio modenese, che pure però aveva raccolto più preferenze al voto del 28-29 Marzo. In sostanza, l’enclave dei delegati ha avuto la meglio sull’elettorato. Certo, difficile comparare i voti presi da De Franceschi in quel di Bologna, con un maggior numero di avversari e con Favia che ha spopolato, a quelli di Poppi a Modena. Ci sono voti che pesano di più, altri meno. Non sempre una testa vale un voto. Quindi ecco l’eterno dilemma del chi decide: e il voto dei ‘direttivi’ ha avuto la preminenza sul voto delle urne. Si parla di democrazia diretta, poi quando la si pratica con il voto alle urne, si scopre – complice una legge elettorale sclerotica – che a decidere è meglio esser in pochi, delegati certo dal voto degli organismi locali, ma pur sempre pochi. E’ lo spettro della democrazia partecipativa che ritorna a dispetto di quella diretta. E’ sempre la questione del numero, dell’organizzazione. Organizzazione vuol dire oligarchia. A prescindere dall’essere un partito o meno. Ma tranquilli, un giorno la tecnologia farà il suo ingresso.

Se ne parla anche qui:

Questa l’opinione di Giovanni Favia:

    • Ho scelto di condividere questa responsabilità con la base. Se avessi scelto avrei fatto come tutti gli altri politici… Invece io io mi asterrò dal voto e non darò nessuna indicazione.
    • Ho chiesto ai referenti provinciali della raccolta firme di iniziare a porre la questione agli attivisti del loro territorio; contemporaneamente abbiamo fatto girare il curriculum dei due potenziali consiglieri
    • Le persone hanno così iniziato il dibattito via mailing list e forum, poi i gruppi locali hanno espresso dei rappresentanti provinciali in base alla loro popolazione, quelli che noi chiamiamo i 40 grandi elettori, più o meno sono uno ogni 100.000 abitanti seguendo la ripartizione del numero di candidati per ogni collegio provinciale
    • Ieri sera c’è stato infine l’incontro regionale nella sala del quartiere Savena a Bologna per votare e scegliere il nostro secondo consigliere regionale
    • in futuro lavoreremo per far iscrivere tutti i nostri simpatizzanti ad un portale regionale tramite password, cosicchè tutti possano direttamente e senza filtri partecipare alle scelte politiche del MoVimento. All’oggi non siamo ancora pronti
    • Se Andrea e Sandra fossero arrivati primi come numero di preferenze nei loro due collegi, nessuno gli avrebbe chiesto di farsi da parte per una “secondaria”. Il fatto centrale è che gli elettori non hanno scelto loro, hanno votato me in entrambi i collegi ed ora ci troviamo in una situazione dove entrambe le persone hanno il medesimo e legittimo diritto di diventare consigliere regionale. Gli elettori mi hanno dato una grande responsabilità, ed io responsabilmente ho deciso di seguire un percorso partecipato.
    • Per quanto riguarda le preferenze non è possibile compararle e farne un criterio assoluto perchè sono maturate in due collegi distinti, con un numero differente di candidati in gara e con una situazione ambientale molto diversa. Io a Bologna ad esempio ho calamitato tutte le preferenze di lista ed i candidati non hanno fatto campagna per se stessi ma tutti per il gruppo. Bellissimo no?! Abbiamo una certa etica. In altre province, legittimamente, hanno fatto un’altra scelta.
    • Nel nostro MoVimento si può discutere e litigare per qualsiasi cosa, ma non per delle poltrone. La poltrona non deve essere l’obiettivo di nessuno dei nostri. Se ci accorgiamo del contrario, ed a volte è accaduto, provvediamo senza esitazione ad allontanare chi è fuori dai binari. Il MoVimento ha sempre le porte aperte ed essendo l’animo umano insondabile non possiamo mai permetterci di abbassare la guardia. Sicuramente poi c’è chi in assoluta buona fede non è d’accordo con la scelta fatta, però “democrazia” significa anche accettare, quando capita, di essere minoranza, non è possibile raggiungere sempre l’unanimità, bisogna sapere adeguarsi ed andare avanti se si crede in un progetto di più ampia prospettiva.

Per dovere di completezza, la versione di Modena 5 Stelle:

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