Il 2013 in dodici terribili post

339 #direngeziparki

#direngeziparki (Photo credit: A H T)

Che dire del 2013? L’anno delle elezioni politiche in Italia e in Germania, delle Larghe Intese, dello Shutdown e della Decadenza. Delle rivolte di piazza, di Gezipark e del Riot in Rio. Della deriva egiziana e della guerra civile siriana. Di Snowden e della NSA. Di Renzi e Civati e della fine di una classe politica in Italia.

Tutto quanto è accaduto davvero e lo potete ritrovare in questi dodici tremendi post che vi ricorderanno il meglio e soprattutto il peggio di quanto successo sinora. Come si è soliti dire in codeste occasioni: ad maiora.

Mali: infine arrivarono le bombe francesi

gennaio 12, 2013- Le aspettano da quasi un anno, a Timbuctu, le bombe francesi. L’immobilismo di Ecowas e dell’Onu (che scelse Romano Prodi come mediatore dell’area del Sahel) anche di fronte all’escalation della guerriglia jihadista era troppo anche per uno come Francois Hollande. Da ieri le truppe francesi, per aria e per terra, guidano l’offensiva contro Ansar El […]

Blocco totale

febbraio 25, 2013 – Non ci si può nascondere, questa volta. Non si potrà dire che è stata colpa dei 5 Stelle. La sconfitta è evidente, soprattutto se si guarda alla ex regione in bilico, la Lombardia, dove il centrodestra mantiene un 38% di consensi, nonostante tutto, nonostante questi anni terribili, dove si è visto e sopportato di tutto. […]

Crisi di Governo | Napolitano anestetizza la Repubblica Parlamentare

marzo 30, 2013 – Tecnicamente, con la scelta di oggi pomeriggio di ammettere la prorogatio di Mario Monti, Giorgio Napolitano ha fatto la più grande riforma istituzionale di sempre: ha modificato la Forma di Governo. La crisi del parlamentarismo (che attanaglia il nostro paese da almeno dieci anni, come è evidente dalla trasformazione della pratica della decretazione d’urgenza in iniziativa legislativa […]

In Francia il Matrimonio è per tutti

aprile 23, 2013 – La nuova legge che estende il matrimonio a tutti, e quindi alle coppie omoosessuali, dovrà ancora passare il vaglio del Consiglio Costituzionale. Il provvedimento è stato approvato dall’Assemblea Nazionale oggi pomeriggio, alle ore 17 05, con 331 voti favorevoli e 225 contrari. Naturalmente è una legge che divide l’opinione pubblica, così come ha diviso il […]

Finanziamento Partiti: la riforma Letta e il trucco dell’inoptato

maggio 31, 2013 – Secondo il progetto di riforma preparato dal Governo Letta, uno dei meccanismi che dovrebbe regolamentare il Finanziamento dei partiti politici sono il 2xmille e le detrazioni d’imposta per le cosiddette erogazioni liberali. Fondamentalmente lo schema del disegno di legge somiglia a quanto proposto dal democratico Walter Tocci ma con alcune sostanziali differenze. La prima, la più […]

Gezi Park, testimoniare le violenze – #DirenGeziParki

giugno 16, 2013 – Ancora immagini da Istanbul, immagini di rivolta e di repressione. Child overcome by tear gas in hotel near #GeziPark. @Reuters photo by Yannis Behrakis. reut.rs/17NYG96 http://t.co/NIhpaVuWx6— Jim Roberts (@nycjim) June 15, 2013 Tear gas in lobby of Divan Hotel in #Istanbul amid police move on #GeziPark. via @AkinUnver http://t.co/hv7g0KbYR9— Jim Roberts (@nycjim) June 15, 2013 […]

Civati ci candida a segretari del PD #wdays

luglio 7, 2013 – Giuseppe Civati ha annunciato, in conclusione del Politicamp a Reggio Emilia, la sua candidatura a segretario del PD. Lo aveva già fatto da tempo, lo ha ribadito oggi, dinanzi alla platea che ha partecipato ai lavori di questi ultimi tre giorni. Ha detto: #wdays #civati io non ho nessuno dietro, ma vedo molta gente davanti […]

Mai più candido

agosto 1, 2013 – La sentenza è definitiva. Lo spazio per le opinioni e le interpretazioni è finalmente ridotto a zero. Ci fu evasione fiscale con frode, organizzata da Berlusconi Silvio e messa in opera per il tramite dell’Avvocato David Mills e di un sistema di società off-shore che drenavano denari dalla medesima Mediaset verso conti in nero in […]

Siria, futuro plurale

settembre 15, 2013 – Siria, futuro plurale – di Vanna Pisa Il labirinto siriano è formato da numerosi percorsi che si intrecciano nello spazio e nel tempo. Questioni religiose, geopolitiche, economiche, sociali e culturali. Come sappiamo USA e Russia stanno spostando ingenti forze militari nello scacchiere siriano: Assad per certi versi è un pretesto, lo scontro è mosso anche da […]

Shutdown della politica

ottobre 6, 2013 –La crisi del governo federale degli Stati Uniti nasconde un lunghissimo braccio di ferro che alcune parti del partito Repubblicano conducono sin dal 2010, anno di approvazione dell’Obamacare, la riforma sanitaria. Il New York Times racconta, in un resoconto a firma di Sheryl Gay Stolberg e Mike McIntire, che immediatamente dopo la conferma del secondo […]

Arrampicata stile libero e caso Cancellieri

novembre 16, 2013 – A questo fanno pensare le dichiarazioni di Cuperlo e Renzi circa il caso dell’aiutino alla famiglia Ligresti. Il ‘tengo amici’ del Ministro dell’Interno pone in grande imbarazzo due dei tre (quattro..) candidati alle primarie per la segreteria del Pd. Cuperlo, riporta oggi Repubblica.it, pur essendo favorevole alle dimissioni della Ministro, tiene a precisare il suo […]

Il Porcellum non c’è più

dicembre 4, 2013 – Con il seguente comunicato, la Consulta questo pomeriggio ha dichiarato incostituzionali sia il premio di maggioranza che le liste bloccate della legge elettorale Calderoli. La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza – sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della […]

Al-mifr, capire l’Egitto

Egitto, continuano le proteste

Al-mifr, capire l’Egitto – di Vanna Pisa.

Al-mifr significa “il mondo” ed è il nome dell’ Egitto nell’universo arabo. La valenza simbolica di tale nome è più che evidente. L’Egitto
non è nei paesi arabo – islamici un paese come gli altri poichè molti sono gli attori impegnati nel gioco della conquista del potere: i principali sono l’ esercito e i movimenti dell’ ISLAM politico: Fratelli musulmani e Salafiti, le tribù beduine del Sinai,  i movimenti giovanili democratici . Dietro e accanto a questi protagonisti  ci sono,  inoltre, a complicare la partita, paesi e movimenti non egiziani. SI potrebbe procedere, come di solito viene fatto ed è indispensabile fare,  ad esaminare le alleanze e le forze in campo.

Per ricordare le incongruenze nei vari schieramenti, si prenda ad esempio l’islam politico.
Detto che in un paese musulmano come l’ Egitto – tenuta  in debito conto la numerosa minoranza cristiana dei  Copti –  non esiste , neanche come termine, quel campo che in Occidente viene definito laico (sono in linea di massima tutti credenti), è certamente utile adottare la definizione sopra richiamata.
Non va dimenticato che la nascita e lo sviluppo dei movimenti islamici attivi in ambito sociale e politico è legata, tra l’altro, al dissolversi dell’ impero ottomano e all’ espansione coloniale europea.
Questo campo è però, limitandosi anche al solo Egitto, diviso, i Salafiti e il loro braccio politico Al-Nour hanno appoggiato il golpe militare contro i Fratelli Musulmani e il loro braccio politico Partito Libertà e Giustizia. I due gruppi sono poi appoggiati da Stati arabi sunniti diversi: solo per rimanere  tra le petromonarchie, il Qatar sostiene i Fratelli Musulmani, l’ Arabia Saudita, i Salafiti.

Non ci si può però  dimenticare dei movimenti jihadisti, più o meno collegati alla galassia di Al-Qaeda e dei loro legami con le tribù beduine del Sinai, regione nella quale, con interventi militari più o meno mascherati da parte di un ampiamente preoccupato Israele, è in corso una feroce guerriglia che vede contrapposti Jihadisti e alcune tribù beduine e l’esercito egiziano. A livello anedottico ha un certo interesse che colui che viene indicato come il numero uno di Al-Qaeda, Al-Zahawiri, a seguito della morte di Osama bin Laden. sia di origini egiziane e abbia militato in gioventù nei Fratelli Musulmani.
Il Sinai è anche la regione che confina con la Striscia di Gaza, dove governa Hamas, costola palestinese del movimento dei Fratelli; Hamas sostenuta, quando si dice il caso, dal Qatar e dalla Turchia, paese quest’ ultimo che è uno dei più fieri oppositori nel regime militare egiziano ed è governato da uno dei partiti di maggior successo dell’ Islam politico, non arabo però, e che coltiva sogni neo-ottomani.
Questo senza aver ancora tirato in ballo U.S.A, Europa, Russia e altri Stati, non perché tutto ciò non abbia una sua indubbia rilevanza in sede di analisi, ma perché qui si vuole richiamare l’attenzione su una questione troppe volte e troppo spesso ignorata quando si interpretano gli avvenimenti egiziani: la questione economico sociale.
Il momento fusionale, unitario che porta ad abbattere i regimi dispotici e tirannici è ben noto in sede di studi storico-politici, da ultimo si rimanda allo stimolante articolo di S. Zizek ” Morte sul Nilo” (n. 1014  Internazionale). Nello stesso articolo, Zizek aggiunge che, una volta abbattuto il tiranno, inevitabilmente  ci si divide e una delle linee di faglia della divisione è quella economico-sociale. Tutti gli attori coinvolti sul tragico palcoscenico egiziano sono portatori di interessi economici, rappresentano sezioni,  parti, settori della società egiziana, hanno programmi, progetti, visioni di politica economica e di modelli sociali.

” Il colpo di Stato è guidato dal ministro della Difesa e capo dell’esercito, Generale Abdel Fattah al-Sisi. Significativamente, al-Sisi è stato definito da Morsi il generale più giovane e devoto musulmano, lo scorso anno. Si è anche addestrato ed è ben considerato a Washington, dalla leadership del Pentagono. Gli autori del colpo di Stato indicano la profondità del rifiuto verso la confraternita in Egitto. Al-Sisi aveva annunciato, la sera del 3 luglio, che il capo della Corte Costituzionale agirà da presidente provvisorio e formerà un governo ad interim di tecnocrati per governare il Paese fino alle prossime elezioni presidenziali e parlamentari. È’ stato affiancato dai leader dell’opposizione laica, cristiana e musulmana. Al-Sisi ha detto che l’esercito avrebbe fatto ogni sforzo per avviare il dialogo e la riconciliazione nazionale, accolti da tutte le fazioni ma respinti dal presidente Morsi e dalla sua Fratellanza musulmana.” (Rete-Voltaire 2013).

L’Egitto è un paese sprofondato in una terribile crisi economica che vede sempre più vaste masse di disoccupati e poveri. Accanto alla lotta per le libertà civili e politiche quella contro la povertà all’insegna del motto “pane e lavoro”, è stata ed è uno dei motivi e dei motori della rivoluzione, termine da usare con cautela, che ha portato alla caduta di Mubarak.

La tematica economico-sociale rimane centrale anche per spiegare il fallimento e la caduta di Morsi e dei Fratelli  Musulmani. Non dimentichiamo che essi hanno costruito negli 80 anni della loro storia una sorta di Welfare State parallelo rivolto ai ceti più poveri e disagiati, con particolare attenzione a quelli delle periferie e delle campagne. L’ esercito egiziano è d’altronde la più importante holding del paese: dai panifici ai resort sul Mar Rosso non c’ è settore economico di peso che non lo veda coinvolto.

Entrambi i soggetti, di fondo, condividono l’ approccio neo-liberista. Quello che è in corso è dunque anche uno scontro per conquistare il potere tra chi ha e chi non ha, all’interno delle regole capitalistiche.

In Turchia gli Islamisti hanno avuto successo: Erdoğan, fondatore del partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP), e i suoi sono riusciti, per ora, a relegare l’esercito nelle caserme, anche attraverso clamorosi processi, montati o meno che siano (si veda il caso Ergenekon, gruppo terroristico autore di numerosi golpe dal dopo guerra oggi).

Analogia interessante tra i due eserciti, quello turco e quello egiziano: in modi e forme diverse sono comunque gli alleati delle forze che non vogliono l’islamizzazione dello Stato e della società.

In Egitto l’ esercito ha potuto godere del fallimento del governo Morsi, che economicamente non ha fatto pressoché nulla per alleviare le condizioni delle classi popolari più esposte alla crisi, e politicamente ha intrapreso in maniera molto goffa e rozza un percorso di accentramento autoritario del potere e di applicazione della Sharia. I giovani, le donne, larghe sette delle classi medie cittadine non hanno per ora la forza e la capacità organizzativa per costituire una reale alternativa. D’altronde queste forze manifestano i bisogni e le esigenze di una società civile che vuole dire la sua e non ha intenzione di farsi togliere la parola dalle Istituzioni.

 Il Retroterra dello scontro: primi anni 90, Algeria.

Il Fronte Islamico della Salvezza, vincitore di regolari elezioni democratiche, va al potere. L’esercito algerino, uno degli eredi del Fronte di Liberazione Nazionale, che costrinse i francesi a far fagotto, non accetta il risultato; l’esercito, dalla fine della guerra di liberazione, è diventato il vero dominus del paese, anche in campo economico .

Sradicare il terrorismo islamico è stata la sua parola d’ordine. Una delle più terribili, brutali e atroci guerre civili che proseguirà per oltre dieci anni con centinaia di migliaia di morti, è stata la conseguenza.

La scelta militare ha radicalizzato sempre di più i movimenti islamici, sempre che si possa usare tale termine, forse anche attraverso accordi tra i servizi segreti algerini e i movimenti armati jihadisti. Questi ultimi, in cambio di una sorta di mano libera nel Sahel, si impegnano a non agire in Algeria.

Quello che sta accadendo in Mali è uno dei frutti avvelenati di questa storia, storia che forse non si ripete ma ama molto le variazioni sul tema. L’Egitto, per sua sfortuna, fa parte del tema.

Egitto, dubbi sulla foto della camionetta della polizia

Avrete presente la foto della camionetta della polizia “spinta” – secondo le ricostruzioni del giornali italiani e stranieri – giù da un viadotto dalla folla inferocita dei manifestanti pro-Morsi?

Foto Egitto, il blindato spinto giù dal ponte – Repubblica.it

Il Guardian ha riportato pochi istanti fa una ricostruzione alternativa fatta da Zahra Damji, la quale ha spiegato che le cose potrebbero non essere andate così.

ImmagineImmagine

In queste ultime ore è stato pubblicato su youtube un video che potrebbe smentire le ricostruzioni circolate sinora. Nel video si vede in lontananza un blindato della Polizia compiere una manovra in retromarcia e cadere giù dal viadotto. Nessun manifestante l’avrebbe quindi spinta. In entrambi i casi si tratterebbe del ponte 6 Ottobre. Qualche dubbio permane per il fatto che il video è stato ripreso da lontano.

Egitto verso la guerra civile

Gli scontri di oggi e la dura repressione dell’esercito contro i manifestanti pro Morsi ha ormai innescato un processo di degenerazione che molto probabilmente porterà alla guerra civile.

Gli accadimenti di oggi sono riassunti qui in alcune immagini reperite su Twitter. Non ci sono molte parole da aggiungere. In testa alla carrellata di immagini, il messaggio della Casa Bianca, con la dura condanna al massacro. Alcune immagini semplicemente non le ho pubblicate: si vedono corpi carbonizzati, o semi carbonizzati. Sangue, tantissimo. E una lunga fila di cadaveri, molti di essi di giovani poco più che bambini. Il leader dei Fratelli Musulmani, Beltaji, ha confermato che sua sorella è deceduta durante gli scontri.

La Libia e la guerra fra liberali e Fratelli Musulmani

Il governo provvisorio del Primo Ministro libico Zidan sta affrontando in queste ore una difficile fase di rimpasto. La crisi si è manifestata non improvvisamente ma come risultante di un anno di inefficienza e di mancanza di effettività dell’azione esecutiva e costituente, specie a causa della rissosità delle forze partitiche rappresentate al Congresso. L’instabilità di governo è stata però accentuata dall’omicidio del leader liberale, Abdessalem al-Mesmary, avvocato anti-islamista, noto per il suo impegno a favore della creazione di uno Stato secolare in Libia, a cui hanno fatto seguito rivolte e attacchi terroristici nella capitale, Tripoli, e a Bengasi.

Al-Mesmary è stato ammazzato venerdì scorso, dopo che per mesi era stato oggetto di minacce di morte. L’assassinio è stato immediatamente attribuito ai Fratelli Musulmani poiché Al-Mesmary era portavoce di una durissima critica verso il loro braccio politico in Libia, il Partito Giustizia e Costruzione (Jcp), che è presente in Congresso con ben 19 rappresentanti, secondo partito del paese dopo i liberali di Alleanza delle Forze Nazionali (Afn, 36 seggi). Il Congresso è di fatto bloccato dalla presa di posizione simmetrica di Afn e Jcp che intendono, per motivi diversi, il Congresso come “sviato dai suoi originari obiettivi”. Il ruolo primario del Congresso era quello di supervisionare la stesura di una nuova costituzione, che doveva essere approvata da un referendum, e poi sovrintendere a nuove elezioni. Ad un anno dall’apertura dei lavori, ha approvato soltanto l’istituzione di un Comitato di 15 saggi (vi ricorda qualcosa?) che sinora non ha deciso nulla.

La morte di Al-Mesmary ha scatenato l’ira della popolazione di Bengasi. Venerdì, dopo che si era diffusa la notizia dell’omicidio, una folla di manifestanti ha circondato la prigione Al-Kuifiya, all’interno della quale era già in corso una sommossa. Più di mille detenuti erano riusciti a fuggire e soltanto una minima parte di essi è stata arrestata nuovamente. Il carcere di Al-Kuifiya è noto agli abitanti di Bengasi per l’assenza delle più elementari condizioni igieniche e di vivibilità: l’edificio era in realtà un vecchio bagno pubblico, riadattato.

La sommossa ha poi preso di mira le sedi del partito dei Fratelli Musulmani sia a Bengasi che a Tripoli. Nella notte di Venerdì, due parlamentari, Amina Maghairbi di Benghazi e Mohamed Arish da Sebha, davano le dimissioni, accusando il Congresso di essere una istituzione fallimentare. Sabato sera è continuato il saccheggio delle sedi del Jcp: centinaia di persone sono scese in piazza e hanno preso d’assalto il quartier generale in Bengasi. Quindi è stato un susseguirsi di botta e risposta fra miliziani della rivoluzione del 2011 e i sostenitori dei Fratelli Musulmani:

i Fratelli Musulmani e le loro milizie (legate ai miliziani del Libya Shield e delle milizie di Misurata) non sono stati a guardare. Sabato sera due potenti bombe sono esplose davanti al palazzo di Giustizia e all’ufficio del procuratore generale, ferendo almeno una dozzina di persone e danneggiando gli edifici. Nella notte, inoltre, “uomini armati non identificati” si sono scontrati con le truppe delle Forze speciali che controllavano le strade dopo gli attentati ai palazzi giudiziari (Libia. Fratelli Musulmani cacciati da Bengasi | Esteri | Rinascita.eu – Quotidiano di Sinistra Nazionale).

Dopo le esplosioni ci sono stati altri scontri, con almeno un morto. Secondo Zidan, le violenze in Libia sono causate dalla presenza di troppe armi “che invece dovrebbero essere solo nelle mani dell’esercito e della polizia”. Naturalmente inganna sé stesso. Non vede, o forse non vuole ammettere, che la situazione nel paese è frutto dell’instabilità generale dell’Africa del Nord ed è direttamente correlabile alla esautorazione di Morsi in Egitto. Il conflitto fra partiti laici, di estrazione qatariana, e le formazioni partitiche riconducibili ai Fratelli Musulmani, attraversa i paesi liberati dalla Rivoluzione dei Gelsomini come una lunga frattura che di fatto si sta consumando con l’eliminazione fisica dei leader liberali da parte delle milizie dei Fratelli Musulmani. E’ conoscendo questo contesto che così potete meglio comprendere l’uccisione del leader del principale partito di opposizione in Tunisia, liberale e di sinistra, Mohamed Brahmi.

 

Il silenzio di Obama sui massacri a Piazza Tahir. Islamisti in testa anche al secondo turno

Da qualche ora in rete e sulle principali home page dei giornali europei potete constatare la gravità della situazione in Egitto attraverso la visione di uno sconvolgente filmato in cui una donna viene brutalmente pestata e bastonata dai militari dell’Esercito. Un atto talmente vile e efferato che dovrebbe meritare subito una condanna netta da parte della Comunità Internazionale. Invece, anche in Italia (Ministro degli Esteri, Presidente della Repubblica, perché non parlate?) vige il silenzio delle istituzioni, un silenzio che nel mondo anglosassone investe pure i giornali più importanti, in primis The Washington Post. Questo il misero trafiletto che la vicenda ha meritato sulla pagina internazionale del WP, peraltro privo di riferimenti al video che circola sul web:

D’altronde né Hillary Clinton, né Barack Obama hanno emesso note ufficiali con le quali condannano le violenze di questi giorni in Tahir. Il massimo dell’esposizione che Washington ha avuto nei giorni scorsi è stata quella di strigliare i militari con un comunicato dai toni molto delicati:

In Egitto la transizione verso la democrazia deve continuare, con elezioni in tempi brevi, e la messa in atto di tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza e prevenire l’intimidazione. Innanzitutto noi crediamo che il passaggio dei poteri ad un governo civile debba avvenire quanto prima possibile in maniera giusta e completa per soddisfare le legittime aspirazioni del popolo egiziano (blitz quotidiano).

I militari, con la scelta di nominare capo del governo Kamal el-Ganzouri, ex primo ministro durante il regime di Hosni Mubarak, hanno apertamente sfidato la Casa Bianca. Per trent’anni gli USa hanno sostenuto e finanziato la casta dei militari in Egitto al solo scopo di difendere la pace di Camp David del 1979 fra Egitto e Israele. Se Obama eccede nelle pressioni, i militari potrebbero loro stessi, ancor prima di un eventuale governo islamico, mettere in discussione i rapporti con Gerusalemme. Obama ha riferito che gli USA continueranno a fornire supporto all’Egitto con qualsiasi governo. In realtà, gli aiuti in armi che gli USa forniscono al paese, vengono impiegati per reprimere la rivolta. E il solo affermare che gli USA chiedono al più presto la transizione a un regime democratico, stride con quanto sta emergendo dai risultati del secondo turno delle elezioni:

Egitto, partiti islamisti in testa anche al secondo turno

 

Gli islamisti, sia quelli più moderati che quelli più intransigenti, avrebbero vinto anche il secondo turno delle legislative egiziane. Con il 39% dei voti, il Partito Giustizia e Libertà, braccio politico dei Fratelli Musulmani egiziani, ha rivendicato di essere la prima formazione. Secondi, come alla prima tornata, nuovamente i salafiti del partito Al Nour, che sostiene di aver ottenuto oltre 30%. L’affluenza sarebbe stata del 67%. (Il Sole 24 ore).

Chiunque è in grado di capire che un governo fra Fratelli Musulmani e i salafiti sostenuto dagli USA con la medesima intensità degli ultimi trent’anni è cosa impossibile, tanto più che aiuti sotto forma di armamenti avranno buona probabilità di essere impiegati un giorno contro lo stesso Israele. E’ già accaduto nella storia: che i nemici in un conflitto si sparino entrambi con proiettili made in USA.

La resistenza di Piazza Tahir: forse arrestati tre studenti americani

Rivoluzione in Italia? Sì, ma nei reality

Quando cadde Ceausescu, la televisione di Stato rumena visse momenti indimenticabili: la propaganda di regime, che metteva in onda film del neorealismo sovietico mentre fuori infuriava la rivolta, veniva improvvisamente sostituita dalla realtà. I rivoltosi apparvero in video, seduti dietro un tavolaccio di legno, dietro una tenda grigio scuro, indossando abiti qualunque. Annunciavano la libertà.

Ben Alì, prima di andarsene dal paese e forse di avere l’ictus e quindi la morte, è andato davanti alle telecamere per annunciare la sua dipartita; la medesima scelta l’ha dovuta fare Mubarak, dopo giorni di estenuanti battaglie in piazza Tahir. Ieri il videomessaggio di Gheddafi, di tono del tutto opposto a quello remissivo dei suoi vicini. Lui, il Raìs, ha attaccato, ha invocato la morte per quei giovani drogati che protestano in piazza, ha ordinato di schiacciarli come ratti. Prima di allora, per la televisione libica, il conflitto non esisteva neanche: si dava menzione di alcuni manifestanti pro-regime, raccolti nella piazza verde a favore di telecamera.

In tutti questi casi, la televisione ha negato il conflitto sostituendolo con la finzione.

Qualcuno ha ipotizzato – anche da queste colonne – un futuro imminente di scontri anche in Italia. Una società immobile, in cui la disoccupazione giovanile è al 30%, in cui tutto cambia per restare uguale a sé stesso, una beffa tremenda di cui ci si rende conto solo ora. Si tratterebbe poi di qualche morto necessario per dare la spallata al governo. Perché gli italiani non si ribellano al Sultano? Perché non mettono da parte questa classe dirigente corrotta e incapace? Perché permettono a B. di occupare l’agenda politica con i suoi problemi giudiziari?

Innanzitutto occorre dire che l’Italia non è la Libia. Non è un regime dittatoriale. Semmai è una democrazia deviata. E’ – di fatto, per concentrazione di potere mediatico e per il basso livello di istruzione che ha permesso alla televisione di essere il principale canale informativo utilizzato dalle persone per farsi un’opinione – una ‘videocrazia’. E nelle videocrazie – al mondo se ne conosce soltanto una, la nostra – le rivoluzioni non si fanno perché esse sono perpetuamente in onda, ora per ora, minuto per minuto, su tutti i canali televisivi. Si comincia al mattino con Uno Mattina, con Mattino Cinque, con i telegiornali, Pomeriggio sul due, Pomeriggio Cinque, il tg di Fede, il TG1, il TG5, Otto e Mezzo, Ballarò, Annozero, Vespa, TG3 Linea Notte, L’ultima Parola e via discorrendo. Anche la domenica si recita la guerra fra fazioni: a L’Arena su Raiuno la più becera delle battaglie, quella fra chi urla di più.

L’Italia vive una situazione di guerra civile simulata, una sorta di reality, della politica contro la giustizia, e della politica contro sé stessa, da quasi venti anni. La televisione non si è limitata a nascondere la realtà, ma l’ha sussunta in sé. E’ reale ciò che passa in televisione, è finzione ciò che dovrebbe esser vero. Non importa che si creda o no a quello che si dice. Importante è saper recitare bene per riprodurre nella mente dell’ascoltatore il ripudio del conflitto. Ecco il sentimento indotto: non se ne può più dei finiani e dei berlusconiani, non se ne può più dei processi di Berlusconi; meglio il varietà, meglio distrarsi che informarsi, meglio le canzonette e i quiz serali per pupe e secchioni. Si finisce per abdicare al proprio intelletto e, alla necessità di veder rispettati i diritti di ognuno, si sostituisce quella di non disturbare il proprio ‘cheto vivere’.

La videocrazia si sconfigge con l’unico vero atto rivoluzionario: spegnere la tv. Solo così scopriremo di non aver mai combattuto. Solo così scopriremo di dover ricominciare tutto daccapo.

Lo zio d’Egitto stasera lascia il paese

Volendo adottare una logica sistemica d’ispirazione eastoniana, si potrebbe dire che il sistema politico egiziano ha smesso di emettere provvedimenti autoritativi già da settimane. Quindi ha smesso di esistere. L’esercito risponde soltanto a se stesso, così altri pezzi di Stato come i servizi segreti. Tutto ciò accade a causa dell’entropia del sistema politico: “quando un sistema passa da uno stato ordinato ad uno disordinato la sua entropia aumenta” (wikipedia); e l’entropia aumenta quando un sistema è chiuso verso l’ambiente esterno. Così l’Egitto con Mubarak si è poco alla volta trasformato in un sistema politico chiuso, in cui manca del tutto la circolazione dell’elité (V. Pareto, “l’élite è come un fiore, appassisce, ma se la pianta, cioè la società, è sana, essa farà subito nascere un altro fiore”). Quando i meccanismi di selezione delle élites sono bloccati, ecco che un’élite appassisce ma nessun’altra subentra. La pianta muore. Qualcosa che somiglia sorprendentemente al crollo dell’Est Europa nel 1989, è stato detto, ma che non necessariamente potrà evolvere in senso democratico.

Berlusconi, durante l’ultimo Consiglio UE, ha affermato che vì è un altro governo nel Mediterraneo che rischia di essere rovesciato: quello dell’Italia. Lui spiega questa affermazione teorizzando di ‘avanguardie rivoluzionarie’ mascherate da magistrati milanesi. Qui invece si vuol far notare che l’Italia ha esperito in questi anni una situazione di blocco di circolazione dell’élitée simile ai paesi del nord Africa. Basti pensare alla legge elettorale: la vergogna del Porcellum che ha tolto la possibilità di scelta democratica dell’elettore attribuendo la facoltà di nomina dei deputati a quattro-cinque segretari/presidenti di partito. La deriva antidemocratica è in atto da anni, in Italia, e non è certo opera di magistrati.