Cosa ha detto veramente Giarda sugli esodati

Alcuni aspetti degni di interesse del discorso del ministro Giarda in difesa della collega Fornero:

  1. In sede di formazione del decreto risultò chiaro che l’utilizzodei criteri e tipologie di soggetti indicati dal comma 14 dell’articolo 24 della legge n. 214 del 2011 avrebbe comportato l’ammissione ai benefici di un numero di soggetti superiore a quello compatibile con le risorse finanziarie indicate dal comma 15 [limiti del numero di 50.000 lavoratori beneficiari]. Si rivelò, quindi, necessario qualificare le tipologie di beneficiari rispetto a quelle indicate dal comma 14 per renderle compatibili con il vincolo delle risorse finanziarie. Diverse opzioni vennero considerate e, in conclusione, si decise di regolare l’ammissione in modo da garantire le persone che si sarebbero trovate in condizione di disagio economico nel corso del 2013.
  2. Gli altri soggetti non rientranti nell’applicazione del primo decreto sarebbero stati trattati in atti successivi, quando fossero state, così si ritenne, acquisite le risorse finanziarie necessarie. E non è detto anche che non sia necessario avere più di un ulteriore provvedimento.
  3. Cosa sarebbe successo se il decreto avesse recepito pienamente le tipologie definite dalla legge senza apportare le modifiche necessarie per contenere l’onere finanziario entro il tetto fissato dalla legge stessa? Sarebbe scaturita la conseguenza paradossale di scaricare sugli enti previdenziali l’onere di respingere le domande di pensionamento provenienti da lavoratori rientranti nelle tipologie ammesse al beneficio, ma pervenute dopo che fosse stato raggiunto un numero massimo fissato in attuazione della legge. Avremmo, cioè, avuto un modello di intervento «a rubinetto»;
  4. Il decreto [di Riforma delle pensioni, il c.d. Salva-Italia] non si è presentato come una attuazione definitiva della riforma pensionistica, ma ne rappresenta solo la prima attuazione diretta ad affrontare, nel quadro delle risorse finanziarie messe a disposizione dalla legge, le situazioni di maggiore urgenza.

Riassumendo, il Salva-Italia ha gestito l’urgenza. La riforma delle pensioni non è definitiva. Dovranno essere emessi una serie di decreti attuativi e/o correttivi poiché nel corso del tempo è possibile che il numero degli esodati cresca ancora.

Ma c’è un limite, o si continua a sprofondare?

Fonte: Seduta n. 659 del 03/07/2012 – Resoconto Stenografico

Lavoro, il taglia e cuci del WSJ cambia le parole di Elsa Fornero

Basta un copia-incolla, non ad opera di qualche blogger non-professionista, ma del Wall Street Journal, e le parole di Elsa Fornero cambiano magicamente il senso.

Cito il post del blogger Pietro Salvatori: “Nel testo originale del Wsj si legge: We’re trying to protect individuals not their jobs. People’s attitudes have to change. Work isn’t a right; it has to be earned, including through sacrifice”.  Tradotto: il lavoro non è un diritto.

Questo invece il testo del brogliaccio dell’intervista:

WSJ: Do you have any particular fears about what might happen with this reform?

Ms. Fornero: This reform is a wager on behavior changing in many ways. My big fear is we don’t overcome this challenge. Everyone, not just workers, have to understand and change. That includes youth, who need to know a job isn’t something you obtain by right but something you conquer, struggle for and for which you may even have to make sacrifices.

Le due frasi sono profondamente diverse: il lavoro non è un diritto. Il lavoro non è qualcosa che si ottiene per diritto.

Ma mi rendo conto. E’ questione di lana caprina.

Il senso della Fornero per gli esodati

No, non era la ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ad attraversare le cascate del Niagara su una fune. Ma oggi, durante l’audizione al Senato, ha mostrato di avere una certa abilità a restare sospesa nel vuoto. Eppure sembrava sempre sul punto di cadere, di precipitare in una ammissione. Sì, ho mentito sugli esodati. Ho mentito perché mi vergogno di quello che faccio, me ne vergogno profondamente e non riesco ad accettare la verità, ovvero che con la riforma delle pensioni ci siamo dimenticati di 350 mila italiani che sono usciti dal mondo del lavoro e che, grazie a questa dannata riforma, ora non hanno nemmeno una pensione.

Invece, l’equilibrista ha tentato di tenersi in piedi usando un’arma che un docente universitario quale è lei sa ben impiegare: le parole. Fornero ha esordito in aula al Senato subito puntualizzando che il termine esodati contiene “elementi di incertezza già a partire dall’individuazione dei soggetti interessati, anzitutto in termini concettuali e conseguentemente in termini numerici”. Ecco l’arma che giustifica il numero: la definizione concettuale di esodati. Esodati non sono semplicemente quelle persone che hanno lasciato il posto di lavoro sulla base di accordi intersindacali o che sono stati parcheggiati in mobilità, mancando loro pochi anni alla pensione. Ed è colpa dei giornali, perché è il “linguaggio giornalistico” ad aver “usato indifferentemente i termini salvaguardati, esodati ed esodandi, collocati e collocandi in mobilità”. Gli esodati, secondo Fornero sono lavoratori da salvaguardare: “si tratta, piuttosto, di tener conto delle comprensibili aspettative dei lavoratori verso un prossimo pensionamento, operandone un contemperamento con le contrapposte esigenze di stabilizzazione finanziaria”. Si tratterebbe di una pia intenzione, se non fosse che il guaio esodati l’ha prodotto il suo Dicastero. Ma Fornero non se ne rende conto, o non vuole. Ha persino trovato un nuovo capro espiatorio, un obiettivo facile facile: il Parlamento.

In sede di definizione della riforma, i lavoratori da salvaguardare rispetto ai nuovi, più stringenti requisiti furono stimati da INPS e Ragioneria generale in circa 50.000. Tale numero fu quindi aumentato a 65.000 per garantire un margine di flessibilità, e si stanziarono le relative risorse. Poiché il decreto disponeva che i pensionamenti del 2012 avvenissero comunque sulla base delle vecchie regole, la legge stabilì nel 31 marzo il termine per la presentazione del relativo decreto interministeriale, così da consentire al Governo di approntare un provvedimento ragionato. Successivamente, con l’approvazione del decreto milleproroghe, il Parlamento ha aumentato il numero dei lavoratori da salvaguardare inserendo, pur con restrizioni, “accordi individuali” e “genitori di figli disabili” e stabilendo una clausola di salvaguardia, questa volta finanziaria, implicante l’aumento dell’aliquota contributiva nel caso di costo eccedente le risorse già accantonate. Nello stesso tempo il termine per l’emanazione del decreto interministeriale fu spostato al 30 giugno 2012 (Senato, Resoconto stenografico seduta 746 del 19/06/2012).

Certo, è vero: si tratta di un parlamento di inqualificabili, di fannulloni e malfattori. Ma nel decreto milleproroghe si cercava di riparare ai danni della Riforma delle pensioni. Il parlamento ha esteso la clausola di salvaguardia poiché il danno c’era già. Ma Fornero si contraddice quando afferma che, durante le attività di studio per la preparazione del decreto sugli esodati, “è apparso molto rilevante il numero dei lavoratori ancora in attività o in cassa integrazione interessati da accordi collettivi stipulati a livello governativo, ma ancor più a livello territoriale, per la gestione di crisi aziendali attraverso la fruizione di ammortizzatori sociali”. Quindi, delle due l’una: o il numero dei lavoratori interessati da questi accordi non era chiaro, oppure era rilevante. Fornero afferma che era difficile quantificare il numero di questi accordi? Allora perché dire che si trattava di un “numero rilevante”?

Fornero spiega pertanto la scelta di concentrarsi solo sui “lavoratori in più immediata situazione di necessità e quindi preparare il decreto per la salvaguardia del contingente già uscito dal lavoro, secondo un naturale criterio di equità tendente a dare precedenza ai soggetti con maggiore rischio di trovarsi senza reddito e senza pensione”. La restante parte dei lavoratori esodati andrà in pensione dal 2014, non sono petranto un “problema imminente”:

La non imminenza del problema (che riguarda pensionamenti a partire dal 2014) e l’assenza di risorse finanziarie immediatamente reperibili in un bilancio pubblico già messo a dura prova da vincoli interni e internazionali hanno indotto a ritenere che lo si sarebbe potuto affrontare nei mesi successivi. Peraltro non già con decreto interministeriale, bensì con uno specifico intervento normativo inteso ad estendere la salvaguardia anche a tali lavoratori (senato, Resoconto stenografico, cit.).

Solo ora viene la parte più convincente del discorso di Fornero. Quella dei numeri. Doveva andare in Senato per fornirli, soltanto questo. Ecco gli esodati secondo Elsa Fornero:

  1. 60.000 lavoratori che già hanno maturato i requisiti al 31 dicembre 2011, e quindi già fatti esplicitamente salvi dall’applicazione dei nuovi requisiti dalle disposizioni della riforma;
  2. a questi si aggiungono oltre 16.000 soggetti per i quali nulla cambia con la riforma, data la stessa decorrenza tra il nuovo e il vecchio regime;
  3. i soggetti che maturano i requisiti previgenti al di fuori del periodo di mobilità e la cui inclusione nella platea dei salvaguardati comporta non solo una modifica della legislazione, ma anche una modifica dell’impostazione assunta negli schemi di deroghe degli ultimi 15 anni;
  4. i lavoratori collocati in mobilità dopo la data del 4 dicembre 2011, mentre la disposizione di legge si riferisce a questa data;
  5. tutti i soggetti licenziati entro il 31 dicembre 2011, in seguito ad accordi individuali o collettivi, a prescindere dalla data di maturazione del diritto alla decorrenza, mentre il decreto proroga termini prevede espressamente che la deroga operi per chi matura la decorrenza del trattamento entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della nuova normativa;
  6. i soggetti beneficiari della prosecuzione volontaria, senza alcun criterio selettivo di prossimità al pensionamento: per questi soggetti il decreto ha in effetti adottato, in coerenza con la soluzione proposta dal legislatore per i licenziamenti individuali, lo stesso criterio di prossimità di 24 mesi dal pensionamento;
  7. i “collocandi in mobilità”, ai sensi di accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre (o entro il 31 dicembre, secondo un ordine del giorno approvato dal Parlamento), che avrebbero conseguito il trattamento pensionistico secondo le vecchie regole al termine del periodo di mobilità (maturandi dei requisiti di pensione al 2019) – non è possibile, attraverso i dati a disposizione del Ministero del lavoro e dell’INPS, pervenire ad un’esatta quantificazione, né soprattutto alla scansione temporale delle uscite; questa categoria è stimabile in 55.000 lavoratori.

Governo Monti, questo il testo della Riforma Lavoro

Download: La riforma del mercato del lavoro del governo Monti

Governo, la Riforma del Lavoro in una prospettiva di crescita

Uscito stasera il documento approvato dal CdM di oggi relativo alla riforma lavoro.

La Riforma del Lavoro in una prospettiva di crescita

unpopperuno

Scuse alla Diliberto e caos alla Di Pietro

 

unpopperuno

Passi per strada e ti fotografano accanto ad una signora con una maglietta necrofila e vieni catapultato nel tritacarne post mediatico (ah, questi new media così democratici e repentini e) senza avere il tempo per capacitartene. Le tue scuse non sono più di un cinguettio e sembri sempre più goffo ogni volta che “appari”. Ecco, è il segno del vuoto che hai prodotto, tu insieme a tanti altri. Ma che tristezza il fatto che non te ne sei nemmeno reso conto, nemmeno per sbaglio.

Le scuse alla Diliberto permettono per un attimo lo svelarsi di una verità che avevamo troppo in fretta archiviato (dopo i fasti novembrini): che siamo ridotti a parlare di miserie mentre qualcuno cambia per noi – noi che non lo sapevamo fare – le regole della vita comune, le regole del lavoro e del tempo del riposo. Quella che chiamavamo ‘politica’ ora è ridotta a stampare magliette, a creare slogan da ‘terzo anello’. Se potesse, avrebbe già buttato motorini dagli spalti, avrebbe menato i celerini e incendiato i cassonetti, questa politica. Il linguaggio che oggi intrattiene lo spettatore-elettore, volutamente violento e indisciplinato, è il linguaggio privo di parole e di significati, pieno di sensi unici, solo in apparenza caotico ma sotterraneamente volto alla solita vecchia pratica della distrazione di massa.  Abbiamo imparato bene, purtroppo, da chi nei diciassette anni precedenti ha dominato e plasmato la sfera pubblica, riducendola a mera platea acclamativa. “Il problema, in altre parole, non è la bossizzazione dei cosiddetti ‘moderati’ – ma quella del dibattito e, di conseguenza, dei cittadini”, scrive Fabio Chiusi su IlNichilista.

Per l’appunto, il caos del linguaggio si accompagna al caos della prassi politica. Laddove ci si schiera e si creano alleanze, laddove ci si propone alla cittadinanza in una consultazione elettorale per la scelta del candidato sindaco e si perde, succede che si rompe il patto di alleanza pur di non mettere il proprio partito al servizio del candidato scelto alle primarie. Illogico e surreale. Si rinnegano le regole, quelle regole a cui ci si è volontariamente assoggettati. Così fa Italia dei Valori, a Palermo. Il nuovo candidato dell’Idv è Leoluca Orlando, il non scelto liberamente dai cittadini dal (secondo? terzo?) meno democratico dei partiti. Quale valore ha ispirato questa scelta dell’Italia dei Valori? Perché questo continuo vilipendio della parola e delle regole (e dei cittadini)? Leoluca Orlando non è altro che il secondo e più importante leader dell’Idv. Un barone, in Idv. E’ in politica dagli anni Ottanta. Ha vissuto almeno tre diverse distinte stagioni della politica. Ed è già stato, in tempi remoti ma attualissimi, sindaco di Palermo. No, non è una resistenza democratica (Di Pietro, in IlNichilista, cit.) che può giustificare questo cambio di carte in tavola. Soprattutto, è ora di decidere chi e cosa volete essere. Se preferite ‘alimentare’ il vostro partito con la linfa vitale che lo ha sempre alimentato, l’indignazione e l’odio – questo carburante nobile – oppure uscire dalla dinamica emergenziale degli appelli alla difesa dei diritti e cominciare a definire la propria proposta per il paese. Tanto per cominciare, per esempio, si sarebbe potuto andare ad una trattativa sulla Riforma del Mercato del Lavoro con un proprio documento, uno straccio di bozza, un memorandum di tutta la sinistra che avesse coinvolto i sindacati. E invece no, tutti in ordine sparso, sbraitando al golpe non appena si dice ‘riforma’. Ma questa ‘politica’ ha in vista solo la sua medesima sopravvivenza. Null’altro.

Maglietta contro Fornero, Diliberto incastrato da un video

Della serie ‘cose ridicole’, grazie a Bobbyfly96 e a nomfup, oggi sappiamo che Oliviero Diliberto ha mentito sulla vicenda della maglietta contro Fornero.

Fornero, forse abolita la cassa integrazione?

C’è un’indiscrezione che rischia di far deflagrare le parti sociali e di mandare mezzo paese in tilt, quella metà di paese – grosso modo – che è in cassa integrazione.

Elsa Fornero, ministro del Welfare del governo Monti, era oggi al Consiglio dei Ministri del Lavoro a Bruxelles ed ha fatto un importante discorso circa la riforma delle pensioni, la tanto temuta riforma. La Fornero ne ha anticipato alcuni aspetti, che sono:

  1. metodo contributivo pro-rata per tutti con il passaggio al calcolo della pensione sulla base dei contributi versati e non sulla base delle ultime retribuizioni;
  2. innalzamento già dal 2012 a 100 della quota di età e contributi versati necessaria per il ritiro (dalla attuale quota 96, con 61 anni di età e 35 di contributi) e il superamento del tetto dei 40 anni di contributi come limite massimo per lasciare il lavoro fino a 41-43 anni;
  3. innalzamento dell’età pensionabile con incentivi (per chi si ritira dai 65 anni in su) e disincentivi (per chi si ritira prima);
  4. un aumento delle aliquote contributive degli autonomi, attualmente tra il 20% e il 21%, per allinearle o almeno avvicinarle a quelle dei dipendenti pari al 33%;
  5. eventuale blocco per uno o due anni a partire dal 2012 dell’adeguamento degli assegni all’inflazione, fatte salve le pensioni minime.

Questi, è ovvio dirlo, sono dettagli “dolorosi”: ogni intervento sull’età pensionabile risulta ingiustificato poiché sempre al centro della furia riformatrice e smantellatrice dei governi di destra degli ultimi anni; eppure esistono sacche di privilegio che fin qui non sono mai state sfiorate, ben difese dal corporativismo leghista nonché dalle potentissime associazioni di categoria e dagli altrettanto potentissimi ordini professionali. Unificare tutti i trattamenti al metodo contributivo è buona cosa, meno buono il blocco degli adeguamenti all’inflazione.

Fornero ha poi volto lo sguardo verso il mondo del lavoro. E ciò ci fornisce la misura del nuovo metodo seguito dal governo Monti, che è per così dire ‘integrale’, ovvero cerca di orientare la propria azione verso il sistema welfare per intero e non limitandosi a interventi a spot o a tagli indiscriminati ‘alzo zero’ tipici della strategia di inazione di Tremonti.

Gli interventi annunciati sulla materia ‘lavoro’ sono stati anticipati da una dichiarazione che faceva ben sperare: “Abbiamo ben chiari i difetti del nostro mercato lavoro, il suo dualismo e i principi di flexicurity che dovrebbero ispirarne la riforma” […] ma pur essendo importante, essa non potrà entrare ora in agenda. Il riferimento alla flexicurity, o flexsecurity, è di buon auspicio poiché in questa etichetta sono compresi provvedimenti importanti per superare il precariato selvaggio e fornire una cornice di diritti – contratto unico, salario minimo e indennità di disoccupazione – a quei lavoratori esclusi dalle tutele. Viceversa, l’istituzione di questi due strumenti potrebbe significare la revisione profonda, se non l’abolizione, dell’istituto della cassa integrazione straordinaria, sostituita appunto dall’indennità di disoccupazione.

Fornero non fornisce sufficienti particolari per poter comprendere questo, ma la voce è stata veicolata stasera da un servizio del TgLa7. Quale sia la fonte, nessuno lo sa. Dice Fornero, “in questo particolare momento noi abbiamo l’agenda dettata dalla sopravvivenza dell’euro. Sono riforme che implicano dei sacrifici. I privilegi vanno eliminati, ma questo non risana i conti pubblici”. Sperando che la sopravvivenza dell’euro non passi attraverso il sacrificio di noi tutti.