Il M5S e il plebiscito di Ferrara

I consiglieri regionali a 5 Stelle dell’Emilia Romagna, Giovanni Favia e Andrea De Francheschi si troveranno mercoledì a Ferrara per il secondo voto di “riconferma” o di validazione delle attività assembleari. Il voto di Bologna, anziché tenersi il 14 Novembre, come erroneamente scritto da Pubblico Giornale, avrà luogo il 5 Dicembre.

Ferrara è la città della scomunica di Grillo. Se pensate che il gruppo della lista Tavolazzi e della lista di Cento verranno messi alla porta, vi sbagliate. Come è già avvenuto a Piacenza, Ferrara sarà un plebiscito per Favia e Defranceschi. Niente di nuovo, non è il primo riesame che superano. Ma le tensioni con il vertice del Movimento, gli ultimi accadimenti – il caso Salsi, l’editto contro alcuni giornalisti, la chiusura delle liste, le primarie blindate, la candidatura calata dall’alto per il Capidoglio di Oliviero Beha, giornalista de Il Fatto Quotidiano – stanno producendo nel M5S una sorta di crisi di rigetto e l’Emilia-Romagna ne è l’epicentro.

A Piacenza Favia e Defranceschi hanno raccolto un discreto plauso per l’attività sinora condotta in Regione. L’ortodossia grillina si è espressa in tre voti contro settantotto per così dire eretici (l’eresia di Favia, naturalmente). Soltanto in tre hanno smarrito, come Grillo, la fiducia in Favia. Prima di arrivare a Bologna e di scontrarsi con il gruppo raccolto intorno a Bugani, si svolgeranno altri tre voti, a Parma, a Reggio e a Rimini. Se durante tutti queste verifiche, Favia e Defranceschi dovessero essere riconfermati, il problema della direzione del partito/movimento non potrà più essere rimandato. Poiché potrebbe passare l’equivalenza che Grillo è minoranza nel Movimento e una minoranza sta decidendo le regole per tutti. Il problema della democrazia interna è ben lungi dall’essere risolto. E’ una lettera scarlatta che brucia sul petto. E’ il segno dell’ignominia. Della truffa. Della fregatura. Dov’è il portale nazionale? Perché le liste nazionali sono liste chiuse? E perché le primarie sono limitate ai soli iscritti e sono state messe al riparo – nella penombra – delle community online? Perché chiedere a Oliviero Beha se vuol fare il sindaco di Roma senza manifestare pubblicamente questo proprio pensiero?

Oggi il Blog di Grillo pubblica un pezzo particolarmente oscuro e ambiguo. E’ una sorta di contorsione discorsiva in cui si cerca di far passare l’idea che il mondo dell’informazione è tutto indistintamente pervaso da una sorta di ‘politically correct’ attraverso cui si anestetizza l’ascoltatore, rendendolo pertanto bisognoso di una intermediazione tecnica dell’indignazione. Grillo, l’esortatore, vi aiuta a odiare meglio. E’ un servizio che vi fornisce gratis, per ora, almeno finché libri e cd coprono le spese. La verità offende, dice Grillo, ecco perché la modificano. La edulcorano. E voi, seduti sulle vostre sedie, comprendete il profondissimo pensiero e percepite l’ambiguità del sistema e delle parole che sfuggono dal proprio originario senso. Ecco, è proprio così, dietro quello schermo azzurrino – non questo – siedono gli autori del complotto mondiale. Lo sapete che sono là. Ne siete anche un po’ intimoriti. E sperate di non fare la fine di quel tipo, quello che a Piacenza ha preso settantotto voti, uno di quei “novizi inconsapevoli di essere ripresi” (cfr. Blog Grillo) e che che dietro alla telecamera, non davanti, ha detto ciò che sappiamo sin dall’inizio: nel movimento non c’è democrazia (non c’è futuro?).

Fusione Hera-Acegas-Aps, il PD si spacca a Forlì. Chi fermerà il piano Passera?

Forlì resiste. Il consiglio comunale della città, a maggioranza di centro-sinistra, ha votato contro la fusione dell’azienda multiutility dell’Emilia-Romagna, Hera, con Acegas e Aps, aziende analoghe delle province di Padova e Rovigo. Thomas Casadei, consigliere regionale del PD e esponente politico della città di Forlì, ha così commentato, in aperto contrasto con l’orientamento del Partito in tutta la regione Emilia-Romagna, che la decisione assunta dal consiglio comunale di Forlì è di estrema importanza sul piano politico e anche simbolico.

Con questa decisione si chiede al patto di sindacato di sciogliere il nodo della governance pubblica di Hera. E’ infatti urgente risolvere le contraddizioni che si sono determinate tra la gestione dei servizi a mercato liberalizzato e la gestione dei servizi regolamentati. Altrettanto urgente è la definizione di una normativa per i servizi pubblici locali, che sia coerente con i quesiti referendari sui beni comuni del 2011, e che porti ad una gestione dei servizi priva di rilevanza economica. Per i servizi pubblici locali – questo il punto decisivo – l’interesse dei cittadini deve prevalere sulle logiche finanziarie (Thomas Casadei, pagina Fb).

Il dissenso interno al Partito Democratico è emerso anche a Modena, dove invece i democrats hanno interrotto i rapporti con Sel e IDV ed hanno votato per la fusione suscitando i malumori di alcuni consiglieri, fra tutti Giulia Morini, giovane e civatiana, attivista dei movimenti per l’Acqua Pubblica. “Esprimerò voto difforme da quello del mio partito. Sulla fusione Hera-Acegas il confronto con la città non è stato sufficiente e l’operazione non garantisce la qualità della governance”, ha detto Giulia.

In sostanza, la fusione creerà una super azienda che tratta rifiuti, forniture di acqua, di gas, di energia. Il progetto di fusione fa parte di un più generale disegno di integrazione e concentrazione delle imprese multiutility in due grossi monopoli, uno operante a nordovest, l’altro a nordest. I cardini normativi di questo disegno si possono rintracciare nei Decreti Sviluppo a firma Corrado Passera. La spartizione dei mercati acqua-gas-luce-rifiuti del nord dovrebbe avvenire con la fusione di A2a più Iren  e di Hera più Acegas.

La prima fusione ha subito degli intoppi, anche a causa delle resistenze di Tabacci, nella sua veste di assessore al bilancio di Milano (A2a è partecipata dai comuni lombardi di Milano e di Brescia ). Ma, a quanto pare, Passera ha trovato un eccellente alleato nel Pd emiliano-romagnolo. L’idea di Passera è quella di far uscire i comuni dal controllo delle multiutility per dare un limite all’ingerenza del potere politico nella gestione delle nomine ma, al tempo stesso, di creare delle super aziende appetibili sul mercato finanziario e quindi scalabili dai gruppi bancari. L’idea di Passera è semplice: prevede l’ingresso di nuovi soci nella superutility, in primis, la Cassa Depositi Prestiti (al fine di pubblicizzarne il debito), ma in subordine fondi di investimento che potrebbero prendere il posto dei Comuni. E così realizzare di fatto la privatizzazione dei servizi (che il referendum del 2011 aveva scongiurato) della gestione dell’acqua, dell’energia e della gestione dei rifiuti.

Il progetto cui sta lavorando il ministero dello Sviluppo economico porta la firma degli esperti di McKinsey. Non deve stupire visto che lo stesso Passera ha iniziato la sua carriera negli uffici milanesi della società di consulenza. E che al ministero ha scelto come direttore generale del settore energia un manager proprio di derivazione McKinsey. L’incarico ha prodotto un “dossier” che suggerisce un percorso in più tappe per arrivare alla costituzione della Rwe italiana. Secondo quanto è stato possibile ricostruire, il progetto parte inizialmente dalla fusione tra A2a e Iren. Le due società (controllate dai comuni di Milano e Brescia la prima, da Genova, Torino, Piacenza, Parma e Reggio la seconda) metterebbero assieme le loro attività industriali; aprendo poi il loro capitale alla Cassa Depositi e Prestiti in modo da abbattere parte dell’indebitamento. In un secondo momento, si arriverebbe alla superutility vera e propria, con l’aggregazione di Hera (Bologna, Ravenna, Modena e un’altra quarantina di comuni dell’Emila- Romagna) e Acegas-Aps (Padova e Trieste). A differenza di altri studi, il dossier McKinsey non prevede l’ingresso in scena di Acea, che resterebbe, al momento, isolata. Ma non è questa l’unica esclusione. Dall’aggregazione delle attività industriali delle utility non farebbero parte le reti (elettricità, gas e acqua): restano nel patrimonio dei Comuni azionisti, in cambio di una parte delle loro quote azionarie (Repubblica, 28/05/2012).

Naturalmente contrari alla fusione i 5 Stelle: “La fusione Hera S.p.A. con Acegas sembra proprio un trucco col quale ignorare e raggirare l’esito dei referendum sull’acqua, consentendo l’ingresso in massa dei privati nella super-multiutility. Il grimaldello sono un paio di modifiche agli articoli 7 e 26 dello Statuto”, ha scritto Giovanni Favia, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle.

Caos a 5 Stelle: tutti dicono Giovanni Favia

Giovanni Favia è sempre stato fra i più popolari fra i 5 Stelle. All’apice della contestazione contro Berlusconi e contro l’inerzia del Capo dello Stato, Favia pensò bene insieme ai 5 Stelle bolognesi di portare in piazza lo striscione “Napolitano dorme”, proprio durante una visita del presidente nel capoluogo emiliano. Fu quella la prima volta in cui si sentì parlare di lui. Ha avuto altri picchi di popolarità, ma mai come quello attuale. Confrontiamo questi due grafici, ripresi da Google Insight:

 

Negli ultimi giorni le ricerche sul motore di Mountain View hanno avuto un picco che ha persino superato il record di ricerche del Marzo 2010, mese in cui Favia fu eletto al consiglio regionale dell’Emilia Romagna. In una scala da 0 a 100, oggi fa registrare il massimo punteggio quando nel 2010 il volume di ricerca su di lui raggiungeva soltanto 86. L’incremento verticale degli ultimi giorni, innescatosi con il fuorionda di Piazzapulita, è meglio apprezzabile in questo secondo grafico:

 

Non si può certo dire la medesima cosa di Beppe Grillo. L’effetto del fuorionda non è ancora visibile nelle statistiche del motore di ricerca, ma tuttavia è evidente come il trimestre Marzo-Maggio (periodo di campagna elettorale per le amministrative) sia servito a riportare il suo nome in cima alla lista delle ricerche. Il grafico sottostante evidenzia come invece gli anni 2010-2011 hanno rappresentato una flessione dell’interesse (se così si può dire) del web italiano per Beppe Grillo. E’ evidente che portare il Movimento alle elezioni regionali, amministrative ecc., influisce positivamente sui volumi di ricerca legati alle parole chiave del blog.

Volume di ricerca originato dalla parola “beppe grillo” (Google Insight)

Volume di ricerca originato dalle parole “blog beppe grillo” (Google Insight)

Invece il nome Casaleggio sembra diventare trending topic solo e soltanto quando i riflettori della tv si posano su di lui. Capitava a Maggio con la reprimenda di Santoro (quando apostrofò Casaleggio con il nome di “piccolo fratello” di Grillo), capita oggi dopo lo scoop di Formigli:

 

Ed ecco Favia intervistato (a pagamento?) da Pataccini su Rete7 – Punto Radio

Così potete giudicare anche voi:

Altri post sulla vicenda interviste a pagamento:

Emilia-Romagna: anche i 5 Stelle pagano le interviste in Tv

Grillo grazia Favia per le partecipazioni televisive a pagamento

M5S e presenze in Tv: cosa non convince della risposta di Favia

Presenze in Tv, Il Fatto Quotidiano imbroglia su Casadei (PD)

[Poi, giuro, parlo d’altro].

 

M5S e presenze in Tv: cosa non convince della risposta di Favia

Jeremy Paxman, giornalista BBC

Giovanni Favia è coraggioso. Lotta, dal di fuori, contro “il partitone”, quel PD che in Emilia-Romagna è sempre stato forza di governo e che è un tutt’uno con la società civile, in primis con quella che conta economicamente, finendo giocoforza per fondersi con l’interesse privato. Lui pensa di poter cambiare questo piccolo mondo antico e crede nel mezzo televisivo per arrivare anche al “pensionato di montagna” che non ha mai cambiato il proprio voto dal 1948.

Il vecchio tubo catodico è in questo senso infallibile. L’unico problema è che “bisogna apparire”, come recita l’incipit del film Videocracy. Per apparire in Tv, che notoriamente è uno spazio contingentato e in mani altrui, Favia e gli amici dei 5 Stelle, comprano minuti di trasmissione. Come qualsiasi altro partito. Favia la chiama informazione.

Ecco, quando leggo la parola informazione nel post pubblicato oggi sul sito del 5 Stelle Emilia-Romagna, mi irrigidisco non poco. Possibile che sia così dura da capire? Se un’istituzione fa pubblicità al proprio operato, questa non è informazione bensì propaganda. Non c’è verso di trovare altra definizione. Poiché nel concetto medesimo di informazione è insito il concetto di critica. L’informazione è quello strumento che in un sistema sociale permette alla sfera pubblica di orientare la propria opinione circa l’operato del sistema politico, il quale agisce (ovvero discute e delibera) al fine della allocazione delle risorse comuni. Mi pare chiaro che non può essere il sistema politico ad impiegare questo strumento, essendo esso medesimo l’oggetto dell’informazione.

Favia comprende bene la distorsione del nostro sistema, così lontano dall’essere una democrazia liberale compiuta. Tutti noi sappiamo che l’informazione e la Tv sono gravate dal conflitto di interesse e sono schiacciate da un oligopolio difficile da demolire se non con atti riformatori che nel nostro contesto risulterebbero addirittura rivoluzionari. Favia però deve sapere che se appare in Tv, lui che è un consigliere regionale ed è quindi un attore di quella istituzione che è oggetto di informazione, avendo però la presunzione invece di farla lui l’informazione, allora si colloca proprio al centro di quel magma bollente che è il conflitto di interesse. Diventa cioè da oggetto passivo di informazione, quindi oggetto di critica, a soggetto di informazione su sé stesso  scavalcando a piè pari il terreno della critica. Egli, forse inconsapevolmente, si pone nei confronti del sistema informativo prevenendolo e diventando esso stesso curatore della informazione della propria attività istituzionale. Può decidere quindi di selezionare cosa rendere pubblico e cosa no, su quale atto impiegare più minuti e quale meno.

Certo, mi rendo conto che quanto sopra può essere evidenziato nei confronti di qualsiasi altro politico regionale o nazionale che sia. E’ vero. Non vi è nemmeno nulla di illecito, né di scandaloso in quanto da lui fatto. E inoltre il giornalismo locale è quanto di più si avvicini al mero pubblicismo e sovente gli editori di queste emittenti pendono dalle giacche di taluni gruppi politici. Pertanto è evidente che il campo della critica è spazzato via a prescindere. In ogni caso, Favia dovrebbe riflettere se non sia meglio per lui andare in un talk nazionale, a testa alta, senza pagare nulla, sottoponendosi al fuoco di fila delle domande – senza saperle prima, please – piuttosto che pagare per qualche minuto di trasmissione a 7Gold.

Anche perché se fossi al posto suo, sarei orgoglioso di me stesso se mi trovassi testa a testa contro un signor giornalista, che so, per esempio un giornalista come Jeremy Paxman. Paxman è possibile solo in Inghilterra, questo è chiaro anche ai sassi. Ma fossi in Favia, avrei fatto a gara per partecipare a una trasmissione Tv come BBCNewsnight e rispondere a domande come quelle che Paxman ha fatto a Cloe Smith, la Serracchiani dei Tories e Ministro del Tesoro del governo Cameron, caduta in disgrazia proprio dopo averlo incontrato:

dal minuto 6.30

 

Emilia-Romagna: anche i 5 Stelle pagano le interviste in Tv

Nella sostanza si tratta di contratti “regolari”: si firma, si fattura, ed è tutto in regola. Ma figuratevi, si parla di denaro pubblico impiegato per ottenere visibilità presso trasmissioni tv locali di emittenti quali 7Gold e ‘ètv’. Giovanni Favia, è scritto su alcuni siti web (link sulla foto), avrebbe “candidamente” rivelato di aver firmato uno di questi contratti. Presso 7Gold si devono pagare 200 euro per andare in trasmissione. Si capisce: 7Gold è una tv privata, dice il conduttore Dario Pataccini, e non riceve finanziamento pubblico (sarà vero?).

Così, parafrasando Favia, dal momento che l’informazione non è libera, la paghiamo affinché sia ancor meno libera. E’ proprio questo il punto focale del problema: la tv dovrebbe esser libera di non intervistare i 5 Stelle, invece li intervista e si fa pagare. Pertanto qualsiasi intento critico di tale presunta informazione viene meno. Non ci sarà mai nessun Pataccini che, intervistando un 5 Stelle, o un PdL o un UDC, o un SeL – perché così fan tutti, meno che quelli del PD, a quanto pare- gli farà mai una domanda. Dal momento in cui il politico paga lo spazio televisivo, quest’ultimo si trasforma da informazione a pubblicità del prodotto politico. E la pubblicità è notoriamente acritica, veicola messaggi preconfezionati, tende a procedere per slogan e ad ignorare la realtà.

E’ secondario che a tal scopo siano impiegati i denari dei gruppi consiliari. I 5 Stelle si difendono dicendo che è tutto trasparente, basta controllare sul loro sito. Infatti, nel bilancio 2011, compaiono ben due voci del tipo “Pubblicazioni” denominate “Acquisti spazi su Punto Radio e Rete 7” per una somma complessiva di euro 2223.50. Pochi denari e messi in chiaro. Quel che non è chiaro è la linea politica: da un lato si afferma che la tv è il diavolo, che i 5 Stelle non devono andare in televisione, pena la scomunica del duo Grillo-Casaleggio. Poi si firmano contratti per ottenere spazi pubblicitari veri e propri nelle tv locali. “Il problema sono i talk show nazionali, dove non riesci ad esprimere un concetto, condotti ad arte per disinformare”. Favia preferisce al contraddittorio la possibilità di un mini comizio in tv, senza le fastidiose interruzioni dei giornalisti. In questo aspetto è pienamente allineato con Grillo.

Ma la domanda delle domande è la seguente: che fine ha fatto la presunta superiorità del Web? Il 5 Stelle era un movimento che si sviscerava dalla interazione online più che dalla pubblicistica a pagamento. A questo punto, per i 5 Stelle dell’Emilia-Romagna, il web è un media come un altro, esattamente come per i partiti della vecchia Casta. In quest’ottica, esiste un solo modello informativo unidirezionale, che dai 5 Stelle procede verso gli utenti-elettori, e non viceversa. Già da questi aspetti si deduce che l’orizzontalità è smarrita e il “bisogno” di gerarchia e burocratizzazione si affaccia anche su questa nuova- nuovissima – organizzazione politica.

L’Emilia Paranoica di Grillo e del Movimento 5 Stelle

Dieci giorni fa circa ricevetti da Vittorio Ballestrazzi, ex grillino defenestrato per il caso delle doparie dei 5 Stelle delle Regionali 2010 (quelle che portarono Defranceschi in Consiglio Regionale), un link ad una pagina web di un giornale modenese. Lui, il Ballestrazzi riottoso, quello polemico, quello da allontanare, aveva ceduto il proprio scranno nel consiglio comunale di Modena alla prima dei non eletti, Sandra Poppi, che fu vittima dell’ostracismo dei 5 Stelle (non vorrei ripetermi, ne ho parlato in abbondanza, potete riferirvi al caso Poppi vs. Defranceschi cliccando qui – si tratta in fondo del peccato originale dei 5 Stelle ed ha molto a che fare con la mancanza di una struttura e di regole certe nella deliberazione democratica interna).

Sandra è una ex Verde, terribile colpa nel mondo dei 5 Stelle. Poco importa se Sandra sia una donna impegnata per i diritti della cittadinanza. Nel mondo dei 5 Stelle non conta chi sei ma solo se sei fedele alla linea. Tutte le divisioni, tutte le fratture che si sono innescate finora, si sono originate da piccole diatribe locali a loro volta dovute alla mancanza di regole e di struttura. Ci pensa il vertice a prendere la parte e a dettare la scomunica. Generalmente si muovono dopo relazione da parte di qualcuno nel Movimento. E’ come se ci fosse una rete nella rete: ci sono i semplici iscritti, quelli che corrono alle elezioni, i leader locali ma soprattutto i verificatori, gente che relaziona, prepara dossier per il vertice, mantiene sotto controllo il Movimento e ne previene la “deriva autonomista”. Tutto ciò è normale. Se il Movimento 5 Stelle fosse organizzato con una struttura, ci sarebbero dei segretari generali e locali che assolverebbero alla funzione del controllo in maniera evidente, dichiarata; in mancanza della struttura – volutamente non costruita – il vertice ha bisogno di delatori, servi, sguatteri, personale tenuto alla catena della fedeltà al capo carismatico per assolvere alla bruta manovalanza del dossieraggio. Poi arriva la sentenza di ostracismo, che come nell’antica democratica Atene, è scritta dal medesimo (anonimo) pugno: “P.S. Sandra Poppi non ha titolo a rappresentare il MoVimento 5 Stelle nè all’uso del logo ed è diffidata dal farlo” (Blog Beppe Grillo).

Capita poi di trovare, questa volta in home page, nella rubrica “Il Commento”, un esempio classico di come il pregiudizio sia lasciato crescere in misura abnorme solo e soltanto al fine di suscitare l’indignazione contro lo status quo dell’amministrazione regionale dell’Emilia-Romagna. E’ l’altro elemento che caratterizza il 5 Stelle: continuare a catalizzare l’attenzione dei lettori del blog suscitando sentimenti quali ira e indignazione. Capita in tutti i movimenti/partiti populisti. Fanno appello ai sentimenti e non alla razionalità. E prima o poi se la prendono con i Rom, “un popolo che non si è mai voluto integrare”. Il diverso è sempre impiegato come canale di sfogo della rabbia sociale. Quando qualche mese fa una quindicenne di Torino inscenò una finta violenza sessuale per nascondere il fatto di aver mentito ai propri genitori, indicò i colpevoli in un paio di giovani rom del vicino campo nomadi. Immediatamente scattò una assurda rappresaglia squadrista da parte di un gruppo di tifosi ultras, e il ghetto torinese dei Rom fu dato alle fiamme. Nella fattispecie, i selezionatori di commenti per il blog di Grillo devono far intendere ai lettori che l’amministrazione regionale ha dirottato “un milione e novanta mila euro per migliorare le condizioni dei campi nomadi” anziché destinarli ai terremotati. Naturalmente ciò non è vero e non è nemmeno pienamente affermato dall’autore del commento, ma è solo suggerito dall’accostamento fra il caso della elargizione e l’immagine di una casa crollata a causa del terremoto.

Usare queste tecniche comunicative – che non hanno nulla a che fare con il werb, né tantomeno con la e-democracy – è in aperto contrasto con chi nel movimento invece pensa e opera con la propria testa. La critica verso la spesa di un milione di euro da parte della Regione Emilia-Romagna non è certamente condivisa da parte di tutti i militanti del movimento. Nemmeno è stata discussa una linea politica che includa nel programma a 5 Stelle l’intenzione di eliminare qualsiasi politica sociale di integrazione e solidarietà. Non serve. C’è qualcuno che stabilisce di volta in volta l’ordine del giorno dell’agenda del movimento. Oggi serve demonizzare le politiche sociali, domani sarà la volta dei figli di immigrati nelle scuole. Prendete un qualsivoglia luogo comune che abbia a che fare con i “diversi”, potrebbe diventare la sesta stella.

Il racconto del terremoto a Ferrara nel 1570

GLI EVENTI ALLA FINE DEL 1570.
Alle 7.00 p.m. del 17 Novembre 1570 si verificò il culmine di un periodo sismico preceduto da altre grosse scosse e che terminò solo alla fine del 1574, il cui principale epicentro fu la città di Ferrara. La scossa del Novembre 1570 fu la più intensa e raggiunse il nono grado della scala Mercalli. La storia di tale periodo ed in particolare della scossa principale fu ben documentata negli archivi estensi ed ebbe grande risonanza nelle altre corti europee ed italiane per il ruolo di primo piano politico e culturale dell’allora Ducato Estense. Nonostante ciò la Segreteria Ducale minimizzò l’ evento per il timore di una perdita di prestigio politico (vedi comportamento dei paesi dell’est), mentre certi rivali ne esagerarono l’entità. La popolazione inoltre interpretò il terremoto Come un fenomeno di origine sovrannaturale il che portò all’esodo di oltre 1000 persone dalla città per oltre un anno. In tale contesto si inserirono testimonianze di cittadini privati e personaggi di corte, come Pirro Ligorio, architetto e antiquario di corte, Ippolito de Robertis, procuratore, Buonaiuto dei Rossi, fisico e umanista ed altri ancora. Vennero compilati tre diari con dati precisi sulle scosse, due dei quali coprirono un periodo di quattro anni. Vi furono inoltre sull’argomento frequenti corrispondenze tra l’ ambasciatore Bernardo Canigiani per il Granduca di Toscana e Livio Passeri per il Duca di Urbino, nonché tra la corte di Ferrara ed i suoi ambasciatori a Venezia, Torino e Roma. Gli Autori di tale ricerca (FERRARI, GUIDOBONI, POSTPISCHL) hanno così potuto effettuare considerazioni critiche sull’entità dei danni dovuti alle varie scosse, soprattutto nella città di Ferrara, poichè nelle aree limitrofe i dati sono inferiori; l’ aspetto del territorio era molto diverso da ora: due terzi del ducato erano coperti da paludi, i villaggi erano ubicati sugli allora argini naturali del Po e la maggior parte delle abitazioni di agricoltori e pescatori era fatta di legno e fango. Tre anni dopo inviati pontifici sopraggiunsero a Ferrara e zone limitrofe per valutare i danni alle opere ecclesiastiche. Dai dati disponibili gli Autori hanno potuto effettuare le seguenti considerazioni. All’inizio del novembre 1570 furono uditi rumori intensi come di acque scroscianti e “rombanti” verso Ravenna, nell’antico corso del Po di Primaro. Alla mattina del 16 novembre piccole scosse furono avvertite tra le 3,15 p.m. e le 5,15 p.m. Il terremoto causò collassi dei camini, apri fessure nelle case e provocò grande panico nella popolazione. Il 17 novembre alle 1,45 a.m. un’ulteriore scossa causò il crollo di 5-600 piccole terrazze, causando ulteriori danni alle strutture e seguirono numerose altre piccole scosse. Alle 11,45 a.m. una successiva scossa causò altri danni. Altre piccole scosse avvennero fino alle 4,15 p.m., quando una forte scossa seguita un’ ora dopo da un’ altra causò il crollo di ulteriori manufatti. Alle 6,15 p.m. venne avvertito un ulteriore movimento,che tuttavia risultò essere meno intenso dei precedenti. Alle 7,00 p.m. il “Big One”,di più lunga durata ed effetti devastanti. Fu prima avvertito come un’ oscillazione in direzione est-ovest, poi nord-sud. Fu seguito da scosse circa ogni quarto d’ ora, per tutta la notte. Venne redatta una carta dei danni alle chiese ed ai palazzi: quelli più danneggiati e rasi al suolo erano ubicati alla fine delle strade o isolati. La parte medievale della città, la più abitata, era seriamente danneggiata. Furono rinforzati quindi colonnati ed edifici in genere con la costruzione di muri di contenimento, proseguita fino alla fine del secolo. Durante la scossa principale l’ acqua del castello tracimò e il Po vicino a Stellata subì una brusca variazione di livello: furono notati fenomeni di luminescenza dell’aria (“aria rubiconda”) e liquefazione dei terreni. Si aprirono fessurazioni nelle mura della città anche di un chilometro di lunghezza in direzione N-W. Si notò anche l’ affiorare improvviso di terreni neri maleodoranti. Le carte redatte dagli Autori sopracitati riguardanti l’ intensità MCS del fenomeno mostrano un preciso allineamento degli eventi con la Dorsale Ferrarese. Con la formula di Blake, l’ipocentro del terremoto risulta a 7 Km di profondità. Venne avvertito anche a Venezia, Mantova, Bologna, Modena e Pesaro. Applicazioni della formula di Galanopoulos danno una magnitudo di 5,6. Citiamo in fine che l’ evento catastrofico del 1570 non é comunque stato l’ unico nelle vicinanze di Ferrara: ad esso é infatti seguito il terremoto di Argenta nel 1624, ed è stato preceduto da un altro evento sismico sempre a Ferrara nel 1561: il primo, secondo le ricostruzioni (POSTPISCHL, 1983) fu del settimo grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg, mentre il secondo arrivò addirittura al nono. Risulta quindi fuori di dubbio che storicamente Ferrara è stata teatro di importanti eventi sismici, anche se risalgono a secoli fa; è quantomeno improbabile che le “forze” che hanno causato tali eventi si siano esaurite, ed infatti sono noti ai sismologi terremoti con lunghissimi “tempi di ritorno” , considerati molto pericolosi perché l’energia accumulata in un lungo periodo di tempo e mai rilasciata può liberarsi in uno o pochi eventi sismici di grande magnitudo, quindi altamente pericolosi. E emblematico che gli abitanti di San Francisco, abituati a convivere con i terremoti causati dalla Faglia di San Andreas, si preoccupino se non avvertono le solite deboli scossette settimanali, segno di una graduale liberazione dell’energia elastica in continuo accumulo. Non si possono comunque fare paragoni con Ferrara poiché è possibile che qui i tempi di accumulo di energia siano estremamente lenti, a differenza delle sopracitate zone molto attive. Bisogna quindi senza creare falsi e sciocchi allarmismi accettare l’idea che Ferrara è tutt’altro che una zona priva di rischio, come si può desumere sia dai suoi trascorsi storici sia dagli studi attualmente in corso.
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Beppe Grillo, sindaco ombra di Parma

L’ombra. L’ombra del Comico oscura l’Uomo Qualsiasi, il Pizzarotti sindaco che nessuno ipotizzava potesse vincere il ballottaggio di domenica scorsa. Succede che il reietto Valentino Tavolazzi, il deus ex machina degli Scissionisti riminensi, colpevole del gran tradimento dei precetti del Non-Statuto (comandamento n. 1: non organizzare un bel niente, mentre lui si preoccupava di dare forma e operatività alla democrazia interna del M5S), radiato vita natural durante a mezzo blog dal movimento medesimo, si sia candidato a direttore generale del comune della città (lui smentisce, ma non è escluso che a volergli dare questo ruolo ci stia pensando lo stesso Pizzarotti). Qui sta il bello perché Tavolazzi possiede le competenze per ricoprire quel ruolo e la sua designazione potrebbe definirsi effettivamente “meritocratica”.

Invece. La nuova fatwa grillina è arrivata non appena nel Movimento sono cominciate a palesarsi alcune diatribe interne. Prime fra tutte le lunghe interminabili (e inutili) discussioni sui forum sulle dichiarazioni post voto del medesimo Pizzarotti – io ho vinto! No, replicano le truppe di digitatori di commenti: non tu, ma il Movimento. Allora Grillo ha pensato bene di mettere i puntini sulle i (di Pizzarotti) e ha intimato il no expedit alla candidatura del Tavolazzi.

“A Tavolazzi – scrive il blogger – è stato inibito l’uso congiunto del suo simbolo con quello del Movimento 5 Stelle qualche mese fa”. La sua nomina “è una scelta impossibile, incompatibile e ingestibile politicamente. Mi meraviglio che Tavolazzi si ripresenti ancora sulla scena per spaccare il Movimento 5 Stelle e che trovi pure il consenso di un consigliere dell’Emilia Romagna” (F. Mello, Il Fatto Quotidiano).

Inibito. Tavolazzi è inibito. E quel consigliere (regionale) dell’Emilia-Romagna chi sarebbe? Favia? De Franceschi? Perché Grillo non fa i nomi? Di cosa sarebbero colpevoli costoro? Di pensare con il proprio cervello? Ora che sono state trovate nuove e inedite teste pensanti per il mondo obsoleto della politica, che facciamo? Pretendiamo che essi non pensino. Certo, è il capo a pensare per loro. Loro sono uomini qualsiasi, perfettamente sostituibili l’un l’altro.

Grillo invita “chiunque fosse interessato alla posizione” ad inviare “il suo curriculum a questa mail”. Il link porta ad un form per a segnalazioni su BeppeGrillo.it. Vi sembra normale? Vi sarebbe sembrato normale se appena eletto Luigi De Magistris sindaco di Napoli, Antonio Di Pietro avesse chiesto a chi era interessato ad un assessorato nella giunta del capoluogo partenopeo, di mandare il suo curriculum alla sua mail personale? (F. Mello, cit.).

No, rispondo io. Se l’avesse fatto di Pietro, l’avremmo sommerso di improperi. Avremmo scritto interi papiri di commenti sull’anacronismo del partito personale. Basta leader, avremmo detto. E invece eccoci qui ad assistere impotenti – o quasi –alla distruzione dell’unica opportunità di non precipitare definitivamente nello schifo della politica corrotta e collusa. Ai confini del “tafazzismo”.

Come ho già più volte scritto, è ora che il M5S accantoni Grillo e applichi veramente l’unico precetto possibile del suo statuto non scritto: uno vale uno, ovvero nessuno è indispensabile e l’unico dogma che orienta l’azione politica del movimento è l’interesse generale. Stop. Non aggiungo altre parole.

MoV 5 Stelle Emilia Romagna: la faida dopo le elezioni

Peggio di così il Movimento 5 Stelle non poteva cominciare la propria avventura in Consiglio Regionale. Ancor prima di metterci piede, i grillini in Emilia-Romagna hanno aperto una faida interna che subodora di vecchia politica (guai a dirglielo) e Beppe Grillo ci mette del suo prendendo la parte di Bologna, di Favia (l’acchiappavoti Favia) e De Franceschi, contro il modenese Vittorio Ballestrazzi, consigliere comunale, uomo discusso, non privo di un passato da attivista ambientalista (WWF), tacciato di essere eccessivamente litigioso eppure dall’azione politica estremamente efficace (ha imposto al PD la diretta web dei consigli comunali di Modena).

Ebbene, il riottoso Ballestrazzi, colpevole di essersi espresso criticamente nei confronti di Favia e del Mov per la decisione di eleggere De Franceschi come secondo consigliere regionale, decisione presa a maggioranza di quaranta delegati (“i 40 canditati al Consiglio regionale, quindi le persone scelte da ogni Provincia quali migliori rappresentanti, persone scelte dalla base di ogni Provincia”, specifica tale Bugani dalle pagine del blog di Grillo) a dispetto delle oltre 700 preferenze raccolte dalla modenese Sandra Poppi (contro le 371 di De Franceschi in circoscrizione Bologna), quindi del voto degli elettori (se ne parla ampiamente qui, nei commenti, e soprattutto qui, con video di replica di Ballestrazzi), è stato diffidato a mezzo blog – tre righe non firmate, sottolinea lui – dall’impiegare il logo del 5 Stelle, nonché di proferire alcuna parola a nome del Movimento, tutto ciò “a seguito delle iniziative intraprese contro il MoVimento 5 Stelle in Emilia Romagna”.

I grillini fedeli a Favia (di cui Bugani, l’autore del post sul blog di Grillo, è probabile portavoce) sostengono che Ballestrazzi è “molto mal visto da una parte dei grillini”. A Modena, dice Bugani, ci sono due fazioni. Di più non viene dato a sapere. Si poteva specificare, per esempio, perché e come si è giunti a questa situazione dopo poco più di un anno di attività del Movimento. Va da sé che questo genere di ricostruzioni provvisorie, impedisce al lettore di capire ed eventualmente anche di prendere posizione. Forse a Bugani ciò non interessava. Dopodiché, il portavoce ritorna sulle ragioni che hanno spinto alle cosidette “secondarie” per votare il secondo consigliere: i voti di Bologna sono incomparabili a quelli di Modena.

Nella Provincia di Bologna i 9 candidati al Consiglio regionale non hanno fatto minimamente campagna elettorale per sé stessi, ciascuno di loro ha lavorato per portare più preferenze possibili a Giovanni Favia, questo perché? Il nostro obiettivo era quello di dimostrare alle male lingue che ci circondano, che il voto dato al MoVimento 5 Stelle non sarebbe stato un voto di protesta, ma sarebbe stato un voto ben medicato, mirato, dato a persone stimate  […] A Modena invece i nostri amici del MoVimento 5 stelle modenese hanno scelto di fare una campagna elettorale personale, ovvero ciascun candidato si è prodigato con manifesti, pubblicità sulla rete e quant’altro a fare pubblicità per sé stesso, per la propria candidatura, questo cosa vuole dire che le preferenze sulla Provincia di Modena e sulla Provincia di Bologna, lo capite da soli, non sono minimamente paragonabili, quindi non si possono raffrontare, paragonare le 717 preferenze ottenute a Modena da Sandra Poppi con le 371 preferenze di Andrea De Franceschi ottenute a Bologna (Blog di Beppe Grillo – MoVimento 5 Stelle Emilia Romagna: il punto dopo le elezioni).

Ecco la ‘colpa’ di Modena: i personalismi. Favia era capolista in entrambe le circoscrizioni, campeggiava sui manifestini, era candidato governatore: la sua era l’unica personalità tollerata. Unica, perciò non discutibile. A Modena, i candidati si sono fatti conoscere agli elettori, hanno raccontato del loro background culturale e delle loro attività di volontariato. Sandra Poppi ha raccolto 700 preferenze perché gli elettori la conoscevano e sapevano del suo valore. Settecento elettori hanno voluto metterla alla prova. Un consiglio di 40 delegati glielo ha negato. I commenti al post di Bugani sono ferocissimi: che abbia avuto più peso nella decisione il passato nei Verdi di Poppi? Se hai fatto parte della ‘sinistra’, in qualche modo hai preso le stigma e devi esser messo da parte. De Franceschi? La sua scelta di muoversi nell’ombra di Favia è migliore o peggiore della scelta di autopromozione della Poppi? E poi che senso ha impiegare queste affermazioni come giustificativo per la “porcata” del voto dei quaranta? Si vuol far passare un’idea folle, e cioè che il voto degli elettori può non valere tutto allo stesso modo. Lo dice lo stesso Ballestrazzi, a mio modesto avviso una giusta critica, la sua:

Come è andata a Modena: Favia, nel più puro stile da vecchia politica si è messo capolista nelle tre province dove poteva scattare un seggio [Favia sostiene che l’idea di esser capolista nelle tre province è del Movimento, che lo ha deciso con il voto, ndr]. In questo modo ha potuto scegliere lui per quale seggio optare e soprattutto chi mettere come secondo consigliere. Quindi il movimento è andato contro i suoi principi: UNO CONTA UNO e il rispetto delle PREFERENZE [… ] Il metodo scelto non è stato altro che una farsa perché erano d’accordo prima tutti e proprio lo stesso risultato schiacciante ne è la dimostrazione in quanto tra i due non c’era quella differenza nell’esporre le loro opinioni. Anzi. […] i dati di fatto sono: due uomini al posto di un uomo e di una donna (alla faccia delle quote rosa sbandierate da Favia in campagna elettorale) […] tutti e due di Bologna alla faccia della rappresentatività territoriale […] l’archiviazione del principio delle preferenze accampando un nuovo metodo di legge elettorale di derivazione Mediobanca: “le preferenze si pesano e non si contano” chi non capisce lo chieda a Grillo che di banche se ne intende (Sito della lista civica modena5stelle-beppegrillo.it).

Ballestrazzi poi va giù pesante: ricorda le vicende della candidatura di Favia, imposta a mezzo blog dallo stesso Grillo (per un sunto, se ne era parlato a Gennaio su questo blog, leggi i tre post: 1, 2, 3); ricorda che ora Grillo sta ricadendo nel medesimo errore, annunciando la sua defenestrazione con tre righe sul blog prima che il suo allontanamento, per attività contrarie al Movimento medesimo, sia presa da un organo proprio del 5 Stelle. La riunione ci sarà oggi, sabato 24 aprile, e il suo esito è quantomeno scontato. A Ballestrazzi verranno elencati i capi d’accusa, poi qualcuno tirerà fuori dal capello la prova provata della sua ambivalenza, del suo arrivismo, della sua fame di poltrone (ha poco da dire che lui “non ha mai neanche pensato di andare a lavorare in regione”, che “vive del suo e ha da fare il padre di famiglia, il consigliere comunale etc.”, gli conteggeranno gli scontrini della spesa, oggi ); qualcuno – ma lo hanno già fatto – tirerà fuori una storia del passato di Ballestrazzi, di quando era nel WWF, di una certa richiesta di tessere. Il link al video proviene dai commenti al post di Bugani. Aspettatevi il peggio:

Sempre Ballestrazzi che scrive: “Dico anche che ho chiesto più volte il cell.re di Grillo a Favia perché volevo sapere cosa ne pensava e Favia non me l’ha mai dato. Me l’ha dato qualcuno che è stato epurato da lui a Bologna perché lui ha l’epurazione facile”.

Come chiedere a un prete il numero di telefono di Dio.

Mov 5 Stelle, è De Franceschi il secondo consigliere in Emilia Romagna. Ma l’e-democracy stenta a decollare

La Comune di Parigi, 1870: l'ideale utopico della democrazia diretta

Affrancarsi dalla politica facendo politica: l’antitesi su cui si regge l’intero Movimento 5 Stelle, ovvero quella dell’antipolitica – noi non siamo un partito – giace sul supposto valoriale che ‘noi siamo meglio di loro’, noi siamo diversi poiché applichiamo un altro metodo, noi siamo democratici e loro no.
Di queste dicotomie ne è piena la storia, a cominciare dalle prime teorie della democrazia liberale, che ben presto però si scontrarono con il problema del numero e dell’organizzazione. Gli elitisti (Mosca, Pareto, Michels) diffidavano dei concetti della democrazia diretta applicati alla società, massificata o non massificata. Esiste sempre una elité di persone, un numero limitato di governanti che governano sui più, sulla massa. E’ un fatto storico, ineludibile. Per Michels, ovunque vi sia organizzazione, vi è elitismo e oligarchie (per una summa sbrigativa sull’elitismo: http://it.wikipedia.org/wiki/Elitismo).
Ora, naturalmente, ci verrebbe incontro la tecnologia, la rete, il web, i social network. La e-domocracy realizzerebbe l’ideale utopistico della democrazia diretta, della partecipazione attiva, consapevole, perpetua del netizen, immerso a tempo pieno nel suo ruolo di cittadino e politico senza soluzione di continuità. A questo vorrebbe assurgere il Movimento 5 Stelle? Le società di massa si sono sempre basate sul concetto economico della differenziazione dei ruoli e delle funzioni: settore produttivo e settore decisionale sono ambiti separati seppur connessi, sistema politico e sistema economico si influenzano e si scambiano risorse fra di loro, ma restano pur sempre due campi distinti della specialistica competenza. La politica di professione sarebbe forse al tramonto?
Il Movimento che fa capo al mentore Beppe Grillo non ha ancora un sistema di e-democracy funzionante: il portale a cui iscriversi non è ancora pronto. E allora, i grillini, si trovano a dover a che fare con la solita domanda di sempre: chi decide?
Giovanni Favia ha raccolto numerosissimi consensi. E’ stato il più votato nelle liste circoscrizionali di Modena e Bologna. Ma per il Movimento 5 Stelle spettano due consiglieri regionali e la legge elettorale specifica che debba esser il capolista a decidere. Favia ha scelto un metodo partecipato. Ha chiamato a raccolta i suoi, dai MeetUp ai circoli provinciali. Sono stati selezionati quaranta grandi elettori che hanno votato durante la riunione di Giovedì scorso. Ha vinto De Franceschi, 31 a 40 sulla candidata Sandra Poppi del collegio modenese, che pure però aveva raccolto più preferenze al voto del 28-29 Marzo. In sostanza, l’enclave dei delegati ha avuto la meglio sull’elettorato. Certo, difficile comparare i voti presi da De Franceschi in quel di Bologna, con un maggior numero di avversari e con Favia che ha spopolato, a quelli di Poppi a Modena. Ci sono voti che pesano di più, altri meno. Non sempre una testa vale un voto. Quindi ecco l’eterno dilemma del chi decide: e il voto dei ‘direttivi’ ha avuto la preminenza sul voto delle urne. Si parla di democrazia diretta, poi quando la si pratica con il voto alle urne, si scopre – complice una legge elettorale sclerotica – che a decidere è meglio esser in pochi, delegati certo dal voto degli organismi locali, ma pur sempre pochi. E’ lo spettro della democrazia partecipativa che ritorna a dispetto di quella diretta. E’ sempre la questione del numero, dell’organizzazione. Organizzazione vuol dire oligarchia. A prescindere dall’essere un partito o meno. Ma tranquilli, un giorno la tecnologia farà il suo ingresso.

Se ne parla anche qui:

Questa l’opinione di Giovanni Favia:

    • Ho scelto di condividere questa responsabilità con la base. Se avessi scelto avrei fatto come tutti gli altri politici… Invece io io mi asterrò dal voto e non darò nessuna indicazione.
    • Ho chiesto ai referenti provinciali della raccolta firme di iniziare a porre la questione agli attivisti del loro territorio; contemporaneamente abbiamo fatto girare il curriculum dei due potenziali consiglieri
    • Le persone hanno così iniziato il dibattito via mailing list e forum, poi i gruppi locali hanno espresso dei rappresentanti provinciali in base alla loro popolazione, quelli che noi chiamiamo i 40 grandi elettori, più o meno sono uno ogni 100.000 abitanti seguendo la ripartizione del numero di candidati per ogni collegio provinciale
    • Ieri sera c’è stato infine l’incontro regionale nella sala del quartiere Savena a Bologna per votare e scegliere il nostro secondo consigliere regionale
    • in futuro lavoreremo per far iscrivere tutti i nostri simpatizzanti ad un portale regionale tramite password, cosicchè tutti possano direttamente e senza filtri partecipare alle scelte politiche del MoVimento. All’oggi non siamo ancora pronti
    • Se Andrea e Sandra fossero arrivati primi come numero di preferenze nei loro due collegi, nessuno gli avrebbe chiesto di farsi da parte per una “secondaria”. Il fatto centrale è che gli elettori non hanno scelto loro, hanno votato me in entrambi i collegi ed ora ci troviamo in una situazione dove entrambe le persone hanno il medesimo e legittimo diritto di diventare consigliere regionale. Gli elettori mi hanno dato una grande responsabilità, ed io responsabilmente ho deciso di seguire un percorso partecipato.
    • Per quanto riguarda le preferenze non è possibile compararle e farne un criterio assoluto perchè sono maturate in due collegi distinti, con un numero differente di candidati in gara e con una situazione ambientale molto diversa. Io a Bologna ad esempio ho calamitato tutte le preferenze di lista ed i candidati non hanno fatto campagna per se stessi ma tutti per il gruppo. Bellissimo no?! Abbiamo una certa etica. In altre province, legittimamente, hanno fatto un’altra scelta.
    • Nel nostro MoVimento si può discutere e litigare per qualsiasi cosa, ma non per delle poltrone. La poltrona non deve essere l’obiettivo di nessuno dei nostri. Se ci accorgiamo del contrario, ed a volte è accaduto, provvediamo senza esitazione ad allontanare chi è fuori dai binari. Il MoVimento ha sempre le porte aperte ed essendo l’animo umano insondabile non possiamo mai permetterci di abbassare la guardia. Sicuramente poi c’è chi in assoluta buona fede non è d’accordo con la scelta fatta, però “democrazia” significa anche accettare, quando capita, di essere minoranza, non è possibile raggiungere sempre l’unanimità, bisogna sapere adeguarsi ed andare avanti se si crede in un progetto di più ampia prospettiva.

Per dovere di completezza, la versione di Modena 5 Stelle:

Vodpod videos no longer available.

Il male oscuro di IDV: voci dalla diaspora.

Si aspettava il congresso di IDV per poter cambiare qualcosa. Si aspettava il congresso di Febbraio per poter discutere, per confrontarsi, per manifestarsi agli altri con la "propria" opinione; per poter cambiare ciò che non funziona.
Niente di tutto questo è stato, e IDV si appresta a vivere la nuova tornata elettorale come sempre, divisa fra quelli che ci credono e quelli che "mettono a posto" figli e parenti, fra duri e puri e riciclati della prima e della seconda e della terza stagione di Forza Italia.
Qualcuno, i più, ha evitato di immischiarsi con la nomenklatura di partito, correndo come indipendente. Qualcuno, come Fausto Renzi, gira da solo (o quasi) Milano con un furgone, ricordando ai milanesi che Formigoni è ineleggibile. Ma gli altri, quelli che si riunivano nelle proprie abitazioni, quando IDV non aveva neanche una sede, quelli che hanno visto e – per amor di partito – taciuto, quelli che si sono visti passar davanti il treno del privilegio, non possono che gridare "il loro dolore" e giungere alle estreme conseguenze, sciogliendosi dal loro impegno nel partito.
Quella che segue è la voce del gruppo di Cremona, per l’esattezza del tesoriere provinciale, del responsabile provinciale giovani, del vice coordinatore provinciale e responsabile iscritti, del responsabile provinciale internet e del responsabile città di Cremona, che si sono dimessi in blocco in aperto e insanabile contrasto con il coordinatore regionale Emilia-Romagna di IDV, nonché con il responsabile organizzativo nazionale, l’on. Ivan Rota:

    • In considerazione della delegittimazione politica perpetuata negli ultimi mesi da parte del Coordinatore Regionale IDV On. Sergio Michele Piffari e del responsabile Organizzativo Nazionale IDV On. Ivan Rota nei confronti del Coordinamento Provinciale di Cremona ed in particolare del Coordinatore Provinciale Giacomo Guerrini;

      preso atto dell’ impossibilità a svolgere il proprio mandato sul territorio provinciale, senza invadenti interferenze contrastanti con la nostra etica, dignità e trasparenza;
      in forte contrapposizione con le ultime decisioni che vedono premiati i comportamenti del Consigliere Provinciale Clara Rita Milesi palesemente in contrasto con le regole statutarie;
      dando seguito a quanto deliberato nella seduta del 11 Gennaio 2010, i seguenti componenti del Coordinamento Provinciale IDV rassegnano, con effetto immediato, le dimissioni.

      Giuseppe Caridi – Tesoriere Provinciale IDV Cremona

      Claudio Galimberti – Responsabile Provinciale Giovani IDV Cremona

      Ernesta Del Sarto – Vice Coordinatore Provinciale e Responsabile Iscritti IDV Cremona

      Luigi Bruno Manzini – Responsabile Provinciale Internet IDV Cremona

      Con Lorenzo Mazzera già dimessosi in data 31 Gennaio 2010 da Responsabile Città di Cremona

La base IDV, il cosiddetto gruppo degli "autoconvocati", il giorno seguente la chiusura dei lavori del congresso, ha aperto i lavori del congresso ombra, tuttora in "virtuale" seduta su Facebook, proseguendo la propria opera di critica verso quel partito che, a livello nazionale rappresenta l’unico baluardo dell’opposizione al governo, è indefessamente appoggiato dalle icone dell’antiberlusconismo, da Santoro, Travaglio (pur con riserve), da Grillo (con distinguo sulla scelta di appoggiare De Luca in Campania), ma a livello locale adotta largamente usi e costumi antitetici ai valori che mostra di voler difendere, finendo per svilire l’immagine costruita in questi anni di cesarismo berlusconiano.
Dal lavoro di Parole Civili, ecco in sintesi i punti critici della crisi di IDV: Meritocrazia, Coerenza, Riciclati, Democrazia interna:

  • (Meritocrazia): In Lazio una sola famiglia di 4 persone ha occupato ben 8 incarichi pubblici , 28 in totale se contiamo anche gli incarichi di partito […] Qui in Emilia, al secondo posto nella lista provinciale modenese, compare la figlia 22 enne del vicesindaco di Carpi, già fondatrice del primo Club di Forza Italia a Carpi e per 10 anni capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale. Quando IDV si autoproclama “meritocratico” non solo mente, ma prende in giro gli elettori, i cittadini, tutti.

  • (Coerenza): Se un uomo politico disattende sistematicamente gli impegni programmatici che aveva sottoscritto con gli elettori, è del tutto inutile che presenti un programma […] Di Pietro da ministro salvò la società ponte sullo stretto, lottizzò tutto il lottizzabile, affossò la commissione d’inchiesta sui crimini polizieschi del G8, impedì la revisione della legge Giovanardi-Fini sulle sostanze stupefacenti che equipara la cannabis con l’eroina […] il problema è che Di Pietro disattese gli impegni sottoscritti con gli elettori insieme all’Ulivo

  • (Ricilati): Gli eletti di IDV dovrebbero, in teoria, rappresentare IDV, i militanti e i cittadini [… da anni – ripeto: da anni – IDV non fa che riciclare esponenti riciclati, usciti da partiti come Forza Italia e Udeur […] I militanti storici, quelli che, appunto, facevano le riunioni in casa vengono calpestati ed estromessi per far posto a personaggi come il mitico Sergio De Gregorio […] Soprattutto nel Sud, IDV ha veramente dato il peggio di sé, valorizzando coloro che venivano esclusi da altri partiti, fino al giorno prima concorrenti anzi avversari anzi “nemici” […] è possibile sparare a zero contro il PDL, dirgliene di tutti i colori, accusarlo di essere un partito “fascista, golpista e piduista” e poi accogliere deputati, consiglieri regionali, comunali, provinciali di quel partito

  • (Il congresso farsa, il dissenso e la democrazia): Il congresso di febbraio ha sancito ufficialmente ciò che sapevamo da tempo: IDV non è un partito democratico, ma è un partito caserma, un partito ad personam, una piccola dittatura personale […] Ogni decisione promana dall’alto, senza mediazioni: IDV è una struttura verticale che non tollera in alcun modo il dissenso e la critica […] Nei partiti democratici il dissenso viene gestito internamente attraverso la discussione, il confronto, il dialogo: in IDV chi osa criticare un potentato viene cacciato, emarginato, umiliato, espulso con infamia, commissariato. […] accusato di volere a tutti a costi “poltrone” senza meritarle […] insultato dai tanti sgherri al servizio del padrone, come è successo a Barbato e più recentemente a De Magistris […] minacciato di percosse come è successo al sottoscritto e ad un altro militante della mia città (dallo stesso energumeno, coordinatore nominato) […] Le mozioni più critiche sono state deturpate e modificate unilateralmente da Di Pietro stesso, e liquidate in pochi minuti

  • Il resto è acclamazione, acritica e acefala

parolecivili@live.it – Barberio Massimo

Regionali, basta un ricorso e Formigoni va giù. Giovanni Favia alza la voce su Errani.

Possibile che un gruppo di potere così importante come quello che in Lombardia governa da oltre quindici anni, che come una peste occupa gli ospedali e le scuole e le amministrazioni locali, raccolto intorno alla sigla di Comunione e Liberazione, non sia stato in grado di selezionare fra la propria foltissima classe dirigente un leader diverso da Formigoni? Possibile che una classe di amministratori come quella emiliano-romagnola, così efficiente e rispettata e forse onesta, così profondamente radicata nello spirito di quella regione, non abbia permesso che un candidato nuovo, giovane, diverso, si potesse affermare e si sostituisse a Vasco Errani, il grande uomo del fare?

Ebbene, questi due signori, se rieletti, vivranno nell’illegittimità, finché un giudice – certo la sporca faccenda della giustizia che non è ancora stata messa a tacere – li dichiarerà ineleggibili quindi costringerà i medesimi allo scioglimento delle giunte e dei consigli regionali, conseguenza di quanto disposto dalla Costituzione all’art. 126 comma 3, che recita:

L’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. In ogni caso i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio.

Perché, e la domanda sarà certamente destinata a rimanere ignorata, vogliono così male alle loro regioni? Il rischio più grande è che, dinanzi alla decisione del giudice, il governo non imponga lo scioglimento ai sensi del medesimo art. 126 primo comma (Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge).E che il Presidente della Regione non si dimetta. Il risultato: avremo due Presidenti di Regione che governeranno pur se illegittimi. Una bella prospettiva. Riusciranno a resistere alle sentenze dei giudici?

In Emilia-Romagna, l’unica voce che ha il coraggio di ricordare l’illegittimità della ricandidatura di Errani, è quella di Giovanni Favia del Movimento 5 Stelle:

“La legge 165/2004 articolo 2- afferma Favia in un comunicato- lo proibisce”. Secondo questa norma “si puo’ essere eletti solo per due mandati consecutivi”, ma “Errani ora si candida per la terza volta consecutiva alla guida della Regione” anche se riveste la carica dal 3 marzo 1999 […] Favia spara a zero su Pd e Pdl (“possibile che non sappiano proporre volti nuovi ma si limitino […] a produrre solo professionisti della politica?”), denuncia “il silenzio di molti media” sulla questione e cita il caso analogo di Roberto Formigoni, candidato per la terza volta alla presidenza della Lombardia, contro il quale “c’e’ chi ha fatto ricorso”. Noi “non arriveremo a tanto”, dice Favia che pero’ lancia un grido d’allarme: “Ci preoccupa il fatto che su Errani, se eletto, pendera’ comunque sempre la spada di Damocle, di possibili ricorsi” (fonte: Regionali, i grillini: “Vasco Errani è ineleggibile, lo dice la legge”).

Sì, la spada di Damocle. I Radicali, in Lombardia, hanno già fatto ricorso (per opera di Cappato). Formigoni avrebbe dovuto aspettarsela: i Radicali sono dispettosi e amano divertirsi con giochetti del genere.

La questione è soprattutto che chi, come Formigoni, si ricandidi per la quarta volta, cercando di aggirare il divieto vigente dal 2004 con argomenti opinabili, non solo lo fa a suo rischio e pericolo ma lo fa a rischio e pericolo della Regione: dopo le elezioni, potrebbe infatti bastare il ricorso al Giudice di un singolo elettore per far cadere il Presidente e inficiare il risultato elettorale. È utile perciò che se ne parli: non foss’altro perché non si dica, quando il disastro accadesse, che nessuno sapeva (fonte: Perché Formigoni non può essere rieletto – Vittorio Angiolini – l’Unità.it).

Regionali, per La Loggia Formigoni è eleggibile. Basta non far valere la legge dello Stato.

Leggete le incredibili dichiarazioni di La Loggia (PdL), ex ministro per gli Affari Regionali, per giustificare l’obrobrio della ricandidatura extra lege di Formigoni in Lombardia (ed Errani in Emilia-Romagna):

“Nessun problema per Formigoni ed Errani a ricandidarsi, in quelle regioni non c’è il divieto al terzo mandato”. Lo dice a CNR l’allora Ministro per gli Affari Regionali Enrico La Loggia. “L’art. 2 della 165 del 2004 parla chiaro: le regioni possono disciplinare con legge propria il sistema elettorale regionale. Possono, non ‘sono obbligate’. Le regioni che hanno disciplinato il proprio sistema elettorale sono Toscana, Abruzzo, Friuli, Sicilia, Provincia Autonoma di Trento. Tutte le altre regioni non hanno provveduto. Quindi, nei casi specifici di Lombardia ed Emilia-Romagna, non ci sono problemi di sorta sulle ricandidature di Formigoni ed Errani. L’obbligo di divieto al terzo mandato nasce solo quando le regioni stesse si avvalgono di una nuova legge elettorale.” Così a CNR Enrico La Loggia, nel 2004 ministro per gli Affari Regionali, oggi vicecapogruppo del PDL alla Camera (fonte: REGIONALI, LA LOGGIA: ”FORMIGONI ED ERRANI POSSONO RICANDIDARSI”. CAPPATO: “E’ FALSO” – CNR CRONACA).

Dove sbaglia La Loggia? Non è vero che le disposizioni di cui all’art. 2 comma 1 della legge 165/2004 valgono solo nel caso di nuova legge elettorale. Semplicemente perché non vi è scritto. Leggiamo l’art. 1 della predetta legge:

Art. 1.

(Disposizioni generali)

1. Il presente capo stabilisce in via esclusiva, ai sensi dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione, i princìpi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonchè dei consiglieri regionali.

Ovvero, la legge si limita a soddisfare la prerogativa statale prevista dall’art. 122, titolo V della Costituzione. Stabilisce i principi fondamentali entro i quali le Regioni disegnano le proprie leggi elettorali. Essi sussistono in virtù della legge che li elenca. Legge dello Stato. Laddove non esiste legge regionale, in che modo si applicano i principi fondamentali suddetti? Nel caso della immediata applicabilità, in quanto non necessitano di ulteriore intervento legislativo regionale; ovvero, nel caso abbiano immediata effettività. E l’art. 2, comma 1, lett. f), rientra nel nostro caso.  Addirittura, è stato osservato che il medesimo comma non operi in realtà come le normali cause di ineleggibilità, dal momento che preclude in radice la facoltà del soggetto di ricandidarsi. Tale disposizione, dunque, incidendo sulla capacità elettorale passiva, piuttosto che sul suo esercizio, tecnicamente non rappresenterebbe una ipotesi di ineleggibilità in senso stretto. Non necessita di intervento legislativo regionale poiché non solo ha immediata effettività ma, in quanto operante direttamente sulla capacità di elettorato passivo, avrebbe perciò uno status differente dalle altre cause di ineleggibilità. Sarebbe una causa di ineleggibilità particolare, propria del modello di sistema elettivo che è stato introdotto con la legge costituzionale n. 1/1999 (elezione diretta del Presidente di Regione). Di fatto, con la legge 165/2004, il legislatore ha compensato il vuoto normativo apertosi nel 1999 con la modifica dell’art. 122: lo scopo è quello di non creare situazioni privilegiate nel concorso dei candidati alla carica di Presidente, nonché posizioni di dominanza e di persistenza contrarie al principio democratico dell’eguale accesso alle cariche (art. 51, Cost.: Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge).

Divieto di terzo mandato, l’incoerenza e l’incostituzionalità.

Quale la differenza fra Formigoni e Hugo Chavez, il presidente venezuelano? Quale significato di democrazia li ispira? C’è differenza fra il leader populista sudamericano e la politica nostrana che fa finta di ignorare una norma di legge a carattere costituzionale? Perché hanno maturato questa convinzione della proprietà privata di una carica pubblica per giunta elettiva?

Le prossime elezioni regionali potrebbero scatenare un grande conflitto istituzionale che culminerebbe nella destituzione di ben due governatori – se confermati dal voto – per via giudiziaria. Candidati illegittimi. Che nessuno vuole metter da parte, per il bacino di voti che portano in dote. Due presidenti di Regione eletti dal popolo, al secondo mandato, e quindi incandidabili alle prossime elezioni: Formigoni per la Lombardia, Errani per l’Emilia Romagna (l’elenco era molto più lungo e comprendeva Galan nel Veneto, Lorenzetti in Umbria, Bassolino in Campania, messi da parte principalmente per motivi politici).

Si è detto che il diritto di elettorato passivo deve meritare il più ampio riconoscimento in ogni ordinamento democratico. Ma, allo stesso tempo, esiste l’esigenza di tutelare la libertà del voto e la competizione trasparente e paritaria tra candidati, altro asse portante – fondamentale – di un ordinamento democratico. C’è chi parla di deroghe, di leggi speciali, di norme ad personam (proprio ciò che fece Chavez, piegando la costituzione al suo volere e abrogando per mezzo di plebiscito referendario il limite di mandato): sarebbero profondamente incostituzionali, anzi, qualsiasi previsione legislativa regionale, statale o statuaria che consenta la terza candidatura avanzata da un soggetto che abbia ricoperto la carica di Presidente nei due mandati precedenti è incompatibile con i principi fondamentali enunciati dalla legge 165/2004, art. 2 comma 1, assurta a norma di rango costituzionale in virtù dell’art. 122 della Costituzione (se ne è già parlato ampiamente su questo blog). Nell’identica misura, va considerata illegittima candidatura in tal senso, avanzata nel silenzio della legislazione regionale.

Che cosa ci si aspetterebbe in un paese normale? Una presa di coscienza delle maggiori forze politiche, una denuncia pubblica dei partiti di opposizione, almeno. Invece si profila un lasciapassare del governo che risulterebbe gravemente lesivo dello spirito e della lettera della Costituzione. Proprio il governo potrebbe impugnare l’atto ai sensi dell’art. 127 della Costituzioe, sollevando la questione di costituzionalità. Ma anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, povrebbe farsi carico di segnalare al Governo l’esigenza di attivare la procedura sanzionatoria di cui al comma 1 dell’art. 126 della Costituzione

Pensate che tutto ciò possa accadere? Dovete sapere che qualcosa di analogo successe per i sindaci e per i presidenti di provincia. Si davanti alla Corte di Cassazione, che così si espresse:

  • Corte Suprema di Cassazione
    • SENTENZA N. 11895 DEL 20 MAGGIO 2006
    • ELETTORATO – ELEZIONE DEL SINDACO AL TERZO MANDATO CONSECUTIVO – DIVIETO – SANZIONE – DECADENZA DALLA CARICA
    • L’art. 51, comma 2, del T.U. sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il d.lgs. n. 267 del 2000, nel prevedere che chi ha ricoperto per due mandati successivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è immediatamente rieleggibile alle medesime cariche, pone un divieto – la cui finalità è quella di favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale – che contiene in sé la sanzione per la violazione, consistente, ove l’elezione venga nondimeno convalidata, nella declaratoria della decadenza. Milita in tal senso, secondo la Corte, la lettura sistematica delle disposizioni del T.U. in materia di ineleggibilità, e, in particolare, l’art. 41, il quale prevede che << nella prima seduta il Consiglio comunale e provinciale, prima di deliberare su qualsiasi altro oggetto, ancorchè non sia stato prodotto alcun reclamo, deve esaminare la condizione degli eletti a norma del capo II del titolo III, e dichiarare la ineleggibilità di essi quando sussista alcuna delle cause ivi previste>>

Pensate che possa espirmersi diversamente nel caso dei Presidenti di Regione?

    • contano o non contano le elezioni del 2000? Per non farle contare, salvando le poltrone di Errani e Formigoni, qualcuno spende un duplice argomento
    • In primo luogo, né l’uno né l’altro – quando ottennero il primo suffragio popolare – sapevano d’avere soltanto due cartucce da sparare, sicché va tutelata la loro aspettativa; in secondo luogo, la legge del 2004 è priva d’effetti retroattivi, dato che il diritto si proietta sul futuro, non sui sepolcri del passato
    • questi due argomenti sono scritti sulla sabbia. Forse che nel 2000 Errani e Formigoni avrebbero rifiutato l’elezione, se gli fosse stato detto di non poterla più ripetere nel 2010? Forse che in quel caso avrebbero lasciato che vincesse l’avversario?
    • Anche il principio d’irretroattività cade un po’ a sproposito. La nostra Costituzione lo sancisce esclusivamente in materia penale; nelle altre circostanze il legislatore fa come gli pare, e infatti non mancano le leggi che dichiarano d’applicarsi a fatti del passato. Di più: talvolta la retroattività s’accompagna come un vestito su misura al corpo normativo. È il caso delle leggi d’interpretazione autentica, che chiariscono – oggi per ieri – il significato d’una legge preesistente; ma è anche il caso, per esempio, della legge che introduca un’imposta sugli immobili, la quale non risparmierebbe certo i vecchi proprietari. Altrimenti dovremmo pensare che se domani verrà impedito ai ciechi di guidare un aeroplano, il divieto colpirà soltanto i nuovi ciechi.

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