Riforma Senato | Facciamola all’irlandese

Saprete del sondaggio di Ipr Marketing secondo cui la maggior parte degli intervistati ha risposto “abolito” alla domanda “secondo lei il Senato andrebbe…?”, mentre alla successiva domanda “secondo lei il Senato dovrebbe essere…?”, un’altra maggioranza ha detto “elettivo”. Comunque, per ribadire le proporzioni in gioco, leggete bene le percentuali:

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E saranno pure sondaggi – e i sondaggi sbagliano – tuttavia viene facile notare che 54 e 56 sono più di 40,8. Quindi quando festeggerete per l’approvazione in aula del Disegno di Legge costituzionale Boschi & Calderoli, tenete ben presente che si tratta della prima di quattro letture e che il percorso legislativo è ancora lungo e tortuoso. Già, tortuoso poiché si regge sulla parola dei leaders delle opposizioni (stiamo parlando di Calderoli, Berlusconi et similia, qualche dubbio sulla buona riuscita dell’operazione è doveroso). Inoltre, se non sarà garantita la maggioranza qualificata dei due terzi, si aprirebbero le porte del referendum di convalida. Quindi? Con l’appeal comunicativo di Renzi, la riforma dovrebbe passare sul velluto.

A questo punto uno dovrebbe raccontarvi una storia. La storia di un paese del nord Europa ma che rientra fra i  PIIGS. Quel paese è l’Irlanda ed è un paese talmente efficiente che i suoi senatori avevano, per sistemare i conti pubblici e ridurre il peso dei cosiddetti costi della Politica e dopo una discussione durata due anni, approvato la legge costituzionale che aboliva la Camera Alta.

Tutto ebbe inizio nel 2011, quando il partito Fine Gael (il partito ‘Famiglia degli irlandesi’) vinse le elezioni politiche – si affermò come primo partito irlandese con il 36,1% dei voti – sulla base del claim dell’abolizione del vil Senato mediante referendum popolare. La proposta, stando alle complessità che la semplice abolizione plebiscitaria avrebbe creato, venne riformulata dal leader e capo del overno Enda Kenny in un disegno di legge contenente ben 40 modifiche del testo costituzionale. La faccenda, che nei comizi era molto semplice da spiegare, era invece tremendamente complicata. Il testo, che prese il nome di Thirty-second Amendment of the Constitution Bill, venne stato approvato dal Parlamento il 23 Luglio 2013. Tutti i partiti del centro-sinistra irlandese votarono a favore dell’emendamento costituzionale. Fine Gael, Labour, Sinn Faine e il Partito Socialista.

Al referendum, Fine Gael pensò di argomentare la propria posizione favorevole all’emendamento costituzionale sulla base del risparmio di denaro pubblico. Ma, ad una settimana dal voto, un sondaggio del The Irish Times svelò un orientamento dell’opinione pubblica tutt’altro che favorevole alla eliminazione della Camera Alta. Le risposte prevalenti erano:

  1. l’abolizione non serve, serve maggior controllo sul Governo (56%);
  2. l’abolizione è un provvedimento del governo e NON mi piace il governo (20%);
  3. il risparmio non è significativo (6%).

I NO vinsero con il 51,73% dei voti.

Ora, perché vi ho raccontato questa storia? Perché il picco di Hubbert della popolarità di Renzi sarà raggiunto alla fine dell’estate e poi inizierà la naturale china discendente, come capita a tutti i governi di questa terra. Quando la fiducia diminuirà, e la crescita economica si sarà fatta troppo attendere, quando quelli a cui NON piace questo governo saranno aumentati a sufficienza, quando sarà chiaro che il bicameralismo non è il male assoluto ed, anzi, il controllo e la separazione fra i poteri (checks&balances, direbbero i professoroni) sarà inteso come fattore di buona salute del sistema, a quel punto, se l’accordo politico sulla riforma Boschi avrà retto abbastanza, molto probabilmente, la parola toccherà a noi elettori. E potremmo farla all’irlandese.