Ablyazov e i segreti dell’ENI

KulibayevL’Espresso ha rovistato fra i cablogrammi della diplomazia USA rivelati da Wikileaks due anni or sono ed ha rivelato che Ablyazov era ben noto alle cancellerie occidentali, non già in quanto ‘pericoloso latitante’ bensì come dissidente democratico in possesso di scottanti rivelazioni circa la pesante corruzione della azienda petrolifera del governo kazako, la KazMunaiGaz:

Mukhtar Ablyazov, recentemente [2009] ha fatto uscire sui media internazionali “documenti che provano” che le aziende di stato cinesi hanno recentemente dato tangenti a Kulibayev per oltre 100 milioni di dollari per gli affari petroliferi (L’Espresso).

Timur Kulibayev, zar dell’energia del paese nonché genero del presidente kazako Nursultan Nazarbayev, secondo i magistrati milanesi che hanno messo sotto processo la Agip KCO, è stato oggetto di una corruzione milionaria da parte dell’Eni (Agip KCO è la succursale di Scaroni in Kazakhstan), ma il medesimo trattamento gli è stato riservato anche dalla BP. Kulibayev ha ‘brama’ di denari, sostenne il il primo vicepresidente della compagnia petrolifera di stato, KazMunaiGaz, Maksat Idenov, mentre nel gennaio 2010 riceve l’ambasciatore americano al Radisson hotel di Astana. Anche i cinesi hanno corrotto Kulibayev. Il businness ruota intorno ad un enorme giacimento di petrolio:

Lo sviluppo del giacimento di Kashagan, che ha 38 miliardi di barili di petrolio, è fondamentale per il futuro del Kazakistan. Attualmente il giacimento è controllato da un consorzio composto da ENI, Total, Exxon, Shell, la kazaka KazMunaiGaz (con una quota di partecipazione del 16,8%), ConocoPhillips (con l’8,4%) e Inapex (7,5%) (fondazionecdf.it).

Sfruttare il Kashgan è altamente costoso. Si deve lottare contro il ghiaccio, e contro il vento, fortissimo, che stacca le lastre dalle torri di trivellazione. Ancor oggi il progetto Kashgan è in alto mare: il costo è raddoppiato e Eni ha mostrato di essere in ritardo, in difficoltà tecniche, scarsamente efficiente. Eni, nel 2009, stava per essere estromessa dal progetto. La tangente a Kulibayev non risolse del tutto la situazione: solo l’intervento diretto di Berlusconi permise a Eni di restare dentro al paese, in un nuovo consorzio, il North Caspian Operating Company (NCOC).

Lo scorso 3 Luglio si è svolta, presso il giacimento di Kashagan in Kazakhstan con la partecipazione del presidente kazako Nursultan Nazarbayev e il primo ministro britannico David Cameron, una cerimonia di messa in servizio degli impianti di produzione e per la costruzione di quelli necessari per la produzione iniziale. Nazarbayev non è solo amico di Berlusconi. Fra i suoi consiglieri figura un certo Tony Blair. Curiosamente il presidente del Consiglio italiano, Enrico Letta, oggi è volato a Londra proprio da David Cameron. Lo scandalo Ablyazov lo ha inseguito sino nella capitale del Regno Unito, ma i giornalisti italiani si soffermano sulla impacciata relazione del ministro dell’Interno, Alfano. Avranno i due capi di governo parlato dei progressi del consorzio NCOC? Il volume della produzione è previsto essere gradualmente in aumento durante il secondo semestre del 2013. Circa 180.000 barili al giorno saranno estratti in media durante la prima fase, 370.000 barili al giorno nella seconda fase, che coinciderà con il secondo semestre. Eni controlla il 16% del consorzio, tramite Agip Caspian Sea BV che a sua volta controlla Agip KCO.

Ablyazov è una mina vagante. Se, in seguito al fattaccio del rimpatrio della moglie e della figlia, dovesse iniziare a rivelare l’intreccio di interessi internazionali e della corruzione dilagante, saranno guai, al di qua e al di là della Manica. Mal che vada, pagherà il solo Angelino Alfano.

La Libia, l’ENI e quel miliardo a fondo perduto

Petrolio. Ne scrisse un libro, un giorno, un uomo, e dopo morì in circostanze misteriose. Si chiamava Pierpaolo Pasolini. Aveva romanzato la storia dell’ENI e del suo padre storico, Enrico Mattei, morto in un incidente aereo che ha ben poco dell’incidente.

L’ENI, sempre l’ENI, la ritroviamo oggi, co-protagonista della sceneggiata libica, la nuova ennesima guerra per la difesa dei diritti umani. ENi non spara, preleva. Preleva barili di oro nero, di gas naturale. Per questo paga al regime libico una quota altissima, il prezzo più salato per una compagnia estera in Libia. ENI trattiene a malapena il 12% della produzione di greggio, il 40% di gas, il resto rimane in mano libica, che commercializza per proprio conto. Questo perché negli anni ’70, quando Gheddafi era socialista e faceva la rivoluzione alla testa delle masse libiche, petrolio e gas sono stati nazionalizzati. Alla medesima maniera di Chavez in Venezuela. Una misura che è sin giusta, se ci pensate: che diritto hanno le compagnie estere di venire nel nostro paese e di sfruttarne le risorse al prezzo imposto da loro? In fondo anche l’ENI è una ‘National oil Corporation’, una compagnia di bandiera, controllata cioè dal governo, che opera all’interno dei propri confini in regime di monopolio o di semi-monopolio, al contrario di Bp, Total, ExxonMobil, multinazionali che rispondono soltanto al proprio interesse e a quello dei loro investitori.

Wikileaks ci ha permesso di conoscere le relazioni pericolose di ENI e NOC, la compagnia nazionale libica. Ce lo ricordano Debora Billi su Il Fatto (qui) e Gianni Cavallini sul suo blog (qui). ENI aveva un contratto standard, poi ha dovuto rinegoziare al ribasso, con una quota di produzione che è passata dal 35-40% al 12% come detto sopra. Dopo è partita la campagna della compagnia libica contro le altre imprese estere: tutti i nuovi contratti hanno adottato lo standard ENI, con notevole scorno per Total e soci:

23-07-2008: “Con il nuovo accordo, lo share di produzione per il consorzio europeo (quello che sviluppa la città di Marzuq, ndr) sarà ridotto dal 25% al 13%. Repsol, Omv, Total e Saga Petroleum hanno seguito altri maggiori attori in Libia nel cedere alle pressioni Noc verso il nuovo accordo Epsa IV, che prevede significative riduzioni di share per le compagnie internazionali. E se qualcuno dubita, ecco pronto un cablo in cui ci si lamenta proprio della della rigidità della Noc, e specialmente della gestione autocratica del responsabile Shukri Ghanem. Il quale, appena lo scorso anno, ha annunciato di voler estendere il fatidico accordo Epsa IV anche alle compagnie che finora hanno goduto di concessioni tradizionali (D. Billi, Il Fatto, cit.).

4. (SBU) Nell’ottobre 2007, l’ENI si è accordata con il NOC per convertire i contratti esistenti di produzione a lungo termine, che sono stati firmati a metà degli anni 1980 sotto le condizioni EPSA III, secondo il modello contrattuale più recente EPSA-IV (reftel). Tale accordo è stato presentato al Congresso Generale del Popolo Libico per l’approvazione e la ratifica, ed è stato ratificato il 12 giugno. Nell’ambito del nuovo accordo Eni ha ridotto la sua quota di produzione al 12% per il petrolio (35-50 per cento in meno per i suoi vari ambiti) e del 40% per il gas naturale (50 per cento in meno). La quota per la produzione di gas scenderà al 30% dopo il 2018. In cambio il NOC ha esteso di 25 anni i contratti EPSA III ad ENI, ha approvato un’espansione di 3 miliardi di metri cubi (BCM) per il Gasdotto della Libia occidentale (WLGP), e la costruzione di un nuovo impianto da 4 milioni di tonnellate l’anno di LNG (gas naturale liquido) a Mellitah. Eni ha accettato condizioni fiscali meno attraenti per i suoi blocchi (il suo portafoglio complessivo è sceso al 42% a causa di più base quote di produzione), e ha fatto un miliardo dollari di pagamenti a fondo perduto. Le licenze Eni sono state convertite al modello EPSA IV che ora scadrà nel 2042 (per il petrolio) e nel 2047 (per il gas) – (G. Cavallini blog, cit.).

Sappiamo – sempre per merito di Wikileaks – che anche sul fronte del gas russo l’ENI ha stretto accordi al ribasso: ne abbiamo parlato su questo blog già a dicembre. Allora emerse un quadro oscuro di società off-shore in cui si presagiva la presenza del nostro caro Presidente del Consiglio. In quella storia, ENI apriva il mercato italiano “all’ingrosso” del gas metano, di cui è praticamente monopolista, a una società facente riferimento a Gazprom. Praticamente un suicidio commerciale. Sul fronte libico, ENI ha barattato un presunto aumento di capacità di un gasdotto nonché la costruzione di un secondo tutta da definire. In aggiunta, ENI ha versato un miliardo di dollari – diconsi dollari – a fondo perduto!

A questo punto viene da domandarsi chi comanda la NOC libica. Le ‘personalità chiave’ della compagnia sono Shukri Ghanem, presidente della compagnia nonché ex Segretario Generale del Comitato del Popolo cioè del governo libico; Faraj Mohamed Said, vicepresidente; Ahmed Elhadi Aoun, Amministratore. Questi signori mettono il piede nel consiglio di amministrazione di tutte queste società (il grafico potrebbe non essere recente poiché riporta il nome di Agip):

NOC è posseduta per intero dal governo libico. L’accordo ENI è del 2007: in Italia governava Prodi. ENI era presieduta da Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’azienda dal 2005. Scaroni è stato definito il “vero” amico dei libici. Interpellato dalla stampa, ha ribadito chei rapporti fra ENI e NOC non sono affatto compromessi:

“Absolutely not, I do not think they are compromised,” said Eni Ceo Paolo Scaroni about Eni’s relations with Libya on the sideline of an audition at the lower Chamber. Scaroni said: “We are maintaining our relations with the National Oil Corporation, our natural contact there. Any political system set up in the future will have its NOC which has contracts with us, so we will continue doing business with it.” Scaroni concluded:” I don’t see any reason for our relations to be jeopardized.” (AdnKronos).

Scaroni pensa che qualsiasi sia il governo libico del futuro, NOC continuerà ad esistere e così i contratti che ENI ha con esso. Che sciocchezze: è fin troppo chiaro che il prossimo governo libico dovrà accettare la “linea francese”, che sarà forse quella della liberalizzazione del mercato del petrolio e del gas in Libia. E quel miliardino di dollari si sarà perso nel canale di Sicilia.

Petrolio in cambio di stupri, così collaboriamo con Gheddafi

Appello contro la violenza del regime libico

[Ricevo & Pubblico]

Riserve petrolifere in Libia: le zone degli scontri sono anche quelle a più strategiche per le attività estrattive

Petrolio bollente e stupri. Violenze contro le donne in Libia e affari italiani

“In Libia ci hanno torturate, picchiate, stuprate, trattate come schiave per mesi. Meglio finire in fondo al mare. Morire nel deserto. Ma in Libia no”. Parole di donne. Parole pronunciate da nigeriane, etiopi, eritree, somale che erano riuscite ad arrivare a Lampedusa. Era il 2009. L’Italia sapeva e taceva.

Gli accordi bilaterali Italia-Libia, firmati e rifirmati annualmente, hanno portato alla costruzione di quella ventina di campi di detenzione per immigrati/e, veri e propri lager [si vedano le foto di Fortress Europe], dove le donne vengono sistematicamente violentate dai loro aguzzini libici pagati coi soldi italiani.

Con la “sanatoria” dell’estate 2010 erano stati svuotati i lager libici costringendo al lavoro schiavistico le donne e gli uomini che ne uscivano; nel dicembre successivo altri 1500 fra uomini e donne sono stati rinchiusi/e in cinque centri di detenzione per “migranti irregolari” – Twisha, Zawia, Zwara, Garabulli, Surman e Sebha.

Nel dicembre 2007, il governo Prodi aveva firmato un accordo per l’avvio dei pattugliamenti congiunti italo-libici davanti alle coste africane.

Il 30 agosto 2008 era stato firmato a Bengasi il “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione” fra Italia e Libia. Con quest’ultimo trattato, che oggi il ministro della guerra La Russa spaccia per “sospeso” (per accaparrarsi un posticino in un eventuale intervento della Nato nel Mediterraneo), il governo italiano dava a Gheddafi 5 miliardi da investire in infrastrutture e pattugliamenti dei confini terrestri, per contrastare i flussi di migranti via mare e, soprattutto, per rafforzare gli intrallazzi economici. Lo dimostra il conseguente ingresso della Libia nell’Eni con una quota di capitale rilevante che, in tre fasi, avrebbe dovuto farla diventare seconda azionista dopo lo Stato italiano, che ne possiede il 30%.

800mila barili di petrolio e 280mila barili di gas metano sono estratti ogni giorno dall’Eni in Libia, dove è presente fin dalla fine degli anni ‘50 con investimenti, in prospettiva, stimati sui 15 miliardi di euro. Nel 2007 l’Eni ha concluso un accordo strategico con la società di Stato libica Lnoc, che le ha consentito di prolungare fino al 2042 la durata dei suoi titoli minerari per l’estrazione di petrolio nel Paese e fino al 2047 quelli per l’estrazione di gas. Per non parlare del business delle armi chimiche vendute, all’inizio degli anni ’90, dall’allora EniMont alla Libia (nonché a Iran e Iraq…).

“Le attività [in Libia] proseguono nella norma senza conseguenze sulla produzione” afferma l’Eni in un comunicato del 21 febbraio 2011, mentre le truppe di Gheddafi, coadiuvate da mercenari anche italiani, stanno sterminando gli insorti usando armi italiane prodotte dal Gruppo Finmeccanica.

E non è che una pagliuzza…

Se la sola Camera di commercio italo-libica di Roma ha registrato, nei primi nove mesi del 2009, 2.627 fatture per un valore di più di 357 milioni di euro di export, non bisogna dimenticare che gli investimenti libici in Italia vanno dalle banche (Unicredit) all’edilizia (in primis Impregilo e Italcementi), alle auto (Fiat), alle telecomunicazioni (Telelit) fino alla moda e allo sport – per non fare che alcuni esempi.

Di fronte a questi fiumi di denaro che ingrassano la tasche di governi e imprese, che valore possono avere i corpi delle donne libiche che, come in Sudan,  vengono stuprate per essersi ribellate al regime?

Che valore possono avere i corpi delle donne migranti torturate e stuprate nelle carceri e nei centri di detenzione libici?

E che valore possono avere le vite delle centinaia di vittime di tratta, soprattutto nigeriane, che nei bordelli libici hanno subìto l’“iniziazione” a quella prostituzione forzata che le costringe, poi, ogni giorno sulle strade periferiche delle nostre città? Donne che, dalla prima ribellione durante la tappa forzata in Libia, vengono violentate e torturate con il petrolio bollente – come hanno raccontato alle operatrici di Be Free molte donne recluse nel lager romano di Ponte Galeria.

Petrolio bollente. Sarà una coincidenza?

Rompiamo il silenzio sulle violenze che le ribelli e le donne migranti stanno vivendo in Libia e nei lager italiani a causa degli interessi economici e delle politiche securitarie dell’Italia e dell’Unione europea!

Presidio di denuncia davanti all’Energy store Eni di Bologna (via Amendola 10) mercoledì 9 marzo 2011 dalle 17.30

Donne e lesbiche contro i Cie

[tratto da noinonsiamocomplici]

UE, la politica energetica del fai da te.

L’Unione Europea è sempre più divisa sulle politiche energetiche. Manca una politca comune, manca una volontà politica comune. Fors’anche lo spirito comunitario è alquanto messo male.
La vicenda South Stream, che vede coinvolta l’Italia con l’ENI, ma pure la Germania con l’alter ego del South Stream e cioè North Stream, mostra come in Europa esistano posizioni divergenti sulla strategia più opportuna da adottare in fatto di energia, esitazioni che inducono al fai da te e minano alla base le alleanze politiche filo atlantiche consolidate da almeno cinquanta anni.
La Russia e Gazprom operano in maniera spregiudicata in modo da evidenziare le divisioni fra i paesi della UE e garantirsi così nuovi clienti, o aumentare la dipendenza energetica di quelli vecchi. E dipendenza energetica equivale a una nuova egemonia. L’egemonia di Gazprom.
Viene facile l’equazione: il nuovo equilibrio di potere che si affaccia sul mondo non è determinato da potenze aventi ordinamento interno di stampo democratico. Accade sia nel settore commercio (Cina), che in quello energetico (Russia). Il cambio di paradigma nelle relazioni internazionali comporta una perdita di valore del modello democratico in favore di forme oligarchiche nelle quali i diritti civili sono messi da parte.
Per l’Unione Europea si tratta di un’altra occasione mancata. Avrebbe potuto rafforzare le proprie istituzioni, durante questa crisi. Avrebbe potuto affermarsi come modello di multi governance nelle relazioni internazionali. Avrebbe potuto adottare politiche energetiche alternative (solare ed eolico di ultima generazione). Ma la miopia dei governi, in sprimis quello italiano, in cui da diversi anni ormai latita quello spirito europeista delle origini della comunità, manda in frantumi l’idea di unione e promuove per contro una personalità politica stile ectoplasma. La UE vuol restare il nano politico che è sempre stata.

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    • L’Italia e la Germania, rappresentano, invece, per Mosca due clienti e due partner seri che, oltre a tener fede agli impegni commerciali assunti, possono mettere a disposizione di Gazprom un grande bagaglio tecnologico, finalizzato a migliorare tanto i processi di estrazione che quelli di trasporto del gas e del petrolio.
    • Su queste basi di reciproca convenienza sono stati avviati alcuni progetti di dotti che attraverso il Baltico (North Stream) e attraverso i Balcani (South Stream) garantiranno all’Europa un approvvigionamento energetico pari al 70% del suo fabbisogno (stime per il 2030).
    • Questa dipendenza energetica dell’Europa dal gas russo ha messo in allarme gli americani i quali temono di perdere influenza nel vecchio continente. Quest’ultimi stanno cercando in tutti i modi di far perdere importanza a tali collaborazioni che, per quanto ancora di tipo prettamente economico,  possono costituire un ottimo viatico per l’approfondimento di comuni prospettive geopolitiche.
    • i progetti alternativi sponsorizzati dall’amministrazione Usa (e dalle corrotte burocrazie dell’UE), come l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (Btc) e il gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum (Bte) si sono rilevati non adeguati a soddisfare le esigenze energetiche europee
    • il nuovo corridoio Nabucco, sul quale sono state riposte gran parte delle speranze americane per il depotenziamento dell’offerta russa, stenta a decollare a causa di problemi legati all’instabilità politica dei paesi che tale pipeline dovrà percorrere, in virtù della scarsa disponibilità di gas degli stati aderenti al programma e, ovviamente, in ragione dell’azione russa che interviene per sottrarre clienti al progetto
    • il 29 giugno di quest’anno Gazprom ha firmato a Baku un accordo per l’acquisto di gas azero. Obiettivo dei russi non era solo quello di garantirsi maggiori riserve, ma soprattutto quello di far mancare materia prima al disegno concorrente
    • lungo le rotte del gas si vanno stabilizzando relazioni politiche molto forti tra la Russia ed alcuni paesi dell’Europa
    • in questa fase di crisi sistemica globale troverà maggiore disponibilità agli accordi bilaterali
    • E’, appunto, il caso di Germania e Italia le quali, non a caso, sono fatte oggetto di attacchi da parte degli altri partner europei che non gradiscono l’estrema contiguità con Mosca.
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    • «Attenti a Putin, potrebbe mettervi in trappola rendendovi dipendenti dalle forniture russe di gas»
    • il diplomatico britannico che al telefono chiede l’anonimato: la partecipazione italiana al gasdotto «South Stream», voluto da Mosca a scapito dell’adesione al consorzio «Nabucco» che scavalca la Russia – sostiene – «rischia di mettere l’Italia in una condizione di debolezza»
    • l’adesione al progetto sul quale Mosca punta per garantirsi il semi-monopolio dei rifornimenti energetici europei è un modo, forse inconsapevole ma miope, di consegnarsi a possibili ricatti della «superpotenza energetica»
    • «sarebbe un errore credere che l’integrazione delle compagnie russe nella rete energetica europea possa garantire un’influenza sulle decisioni prese a Mosca»
    • l’Europa è divisa di fronte alla scelta italiana e, più in generale, alle strategie alle quali affidare una politica energetica comune, della quale a Bruxelles si parla invano da anni. La Gran Bretagna, va notato, dipende soltanto per il 2 per cento dal gas russo grazie ai pozzi nel Mare del Nord (che continuano però a impoverirsi
    • Gazprom punta a controllare il 20 per cento del mercato britannico entro il 2015: già oggi, dopo aver raddoppiato in due anni i volumi di vendita, possiede il 10 per cento del gasdotto Bacton-Zeebugge, il secondo in ordine di grandezza in Gran Bretagna
    • La diffidenza britannica per l’«abbraccio russo» ha riscontro soprattutto fra i membri orientali dell’Unione europea. A cominciare dalla Polonia, che vede nella «prepotenza energetica di Putin» la radice del «patto Molotov-Ribbentrop dell’energia», come a Varsavia si definisce l’accordo russo-tedesco per «North Stream», il gasdotto che garantirà rifornimenti diretti alla Germania scavalcando Bielorussia, Polonia e Paesi Baltici.
    • la Polonia dipende dalla Russia per oltre l’80 per cento dei suoi approvvigionamenti di energia (anche per questo avrebbe voluto partecipare a North Stream con la garanzia del partner tedesco)
    • Diversa la situazione francese. Parigi, silenziosa di fronte alla presenza italiana in «South Stream», acquisterà gas russo attraverso «North Stream». Da trent’anni inoltre ha ottimi rapporti con Mosca, dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici: ma la Francia può contare su una abbondante produzione nucleare, in grado di soddisfare fino al 70 per cento del fabbisogno interno.
    • Anche la Spagna si è smarcata da Mosca, garantendosi rifornimenti alternativi e intensificando la realizzazione di rigassificatori, impianti che consentono di saltare gli oleodotti: il gas viene liquefatto sul luogo di estrazione e trasportato per nave nei Paesi di consumo, dove viene riportato allo stato gassoso.
    • Soltanto la Germania si trova in una situazione paragonabile a quella italiana: la nostra adesione a «South Stream», attraverso l’Eni, fa il pari con quella tedesca a «North Stream», una joint venture fra Gazprom e Basf. Senza contare che Berlino dipende per il 32 per cento dal gas russo, a fronte del 30 per cento dell’Italia.
    • entrambi i Paesi tengono a separare, nelle relazioni con Mosca, le ragioni della politica da quelle dell’economia

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Berlusconi sull’orlo di una crisi di nervi.

L’accordo Gazprom-Eni-turchia, sbandierato da Mr b come una sua invenzione subodora – oltreché di cafonaggine – anche di guaio diplomatico. Perché oggi si è scoperto che Mr b non era invitato alla cerimonia di presentazione dell’accordo, bensì si è autoinvitato. Poi si è appropriato mediaticamente del cosiddetto successo.
In realtà non è un successo. Lo è solo per Gazprom, in parte anche per l’ENI. Per l’Italia, per l’interesse generale di noi cittadini, l’accordo non rappresenta un successo. Per niente. Farà dipendere le scelte in campo energetico di questo paese dagli orientamenti del governo russo. Farà precipitare le relazioni diplomatiche con i partner europei e con gli USA ai minimi storici. Produrrà isolamento, in Europa. Ora gli altri paesi europei sono autorizzati a muoversi per il proprio interesse in tema di energia. Non ci sarà alcuna cooperazione sull’energia in Europa, grazie a Mr b.
Mr b, anziché oziarsi con qualche escort a cinquemila euro a notte, ha pensato bene di volare ad Ankara. È tempo di pensare di riaprire Villa Certosa. Lì, almeno, fa meno danni.

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    • Come è noto, mercoledì 5 agosto, il senatore Guzzanti ha – di fatto – avanzato di nuovo l’ipotesi che nel governo vi siano donne nominate ministro solo perché andavano a letto con il premier.
    • ha detto che le intercettazioni sono in mano a un celebre direttore di giornale. Tanto che le trascrizioni sarebbero state mostrate dal direttore in questione ad almeno tre parlamentari del Pdl
    • di fronte a tutto questo, Ghedini che fa? Cita in giudizio Guzzanti? Lo sfida a duello per lavare col sangue l’onore del suo principale Berlusconi? Smentisce che incisioni del genere possano essere mai esistite? No. Ghedini sorride e dice: «Questa è una vicenda che non merita nessuna attenzione né alcun commento». Poi ricorda che «quei nastri, custoditi a Roma e distrutti per ordine della magistratura, non sono mai stati ascoltati né trascritti. Visto che gli stessi giudici di Napoli li considerarono irrilevanti. Non si capisce dunque come Guzzanti o altri possano averli ascoltati».
    • i suoi collaboratori più fidati non sappiano più che pesci pigliare
    • La mancata trascrizione ufficiale dei nastri non è di per sé una garanzia di segretezza.
    • Porre l’accento sul fatto che le intercettazioni di cui parla Guzzanti siano state distrutte perché considerate irrilevanti dalla magistratura è senza senso. Se davvero il premier avesse avuto una relazione con una donna poi nominata ministro, questo non è un reato, ma un episodio politicamente rilevante.
    • Perché i magistrati possano aver ritenuto le conversazioni non importanti per la loro inchiesta devono per forza averle prima ascoltate, così come hanno fatto almeno una mezza dozzina di investigatori.
    • L’esecutivo, insomma, è in stato confusionale. A farlo sbandare non servono più le notizie (come quelle pubblicate sul caso D’Addario). Bastano invece i pettegolezzi. Perché, è bene ricordarlo, quello che si racconta sulle intercettazioni distrutte – in assenza di prove, trascrizioni, o testimonianze dirette – resta un pettegolezzo.
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    • Berlusconi convoca una conferenza stampa per vantarsi dei suoi “successi”. Parla di sé in terza persona. Dice che tutti lo amano. E snocciola argomenti, interni e internazionali, come se fossero noccioline. Fornire risposte o chiarimenti sulle questioni “controverse”? Non è possibile. Il premier intima alla Rai di non disturbarlo. E, addirittura, contesta a RaiTre di aver dato notizia dei dati negativi sull’economia diffusi dall’Istat. Per rafforzare il concetto chiede in modo beffardo ai giornalisti Rai: «State bene? Che aria si respira in Rai con i direttori che ho fatto io….?».
    • «Dicono chi odio le donne… ma io le adoro. Anche le ministre. Sono particolarmente contento della presenza femminile nel governo», «e non devo scusarmi con i miei familiari»
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    • Berlusconi vanta come un successo personale l’accordo sull’energia raggiunto tra Turchia e Russia.
    • Ma la rivendicazione lascia di stucco il governo turco. “Reclamare come un successo personale l’accordo tra Turchia e Russia è stata una esagerazione da parte di Berlusconi che ha sorpreso lo stesso governo turco”, confida alla Reuters una “anziana fonte” governativa.
    • la richiesta di partecipare alla cerimonia per la firma dell’accordo tra Putin ed Erdogan è arrivata al governo turco all’ultimo momento, veramente una richiesta last-minute.
    • “Proprio quel genere di cose che possono diventare un problema diplomatico”, spiega la fonte alla Reuters, “ma siccome Berlusconi è Berlusconi, ha fatto solo sorridere i due leaders”. Ma Silvio Berlusconi va su tutte le furie quando una cronista del tg3 con in mano la ricostruzione fatta dalla Reuters prova a chiedergli conto di questa vicenda.
    • «Abbiamo ottenuto che si possa realizzare il south stream in acque territoriali turche, abbiamo ottenuto che la federazione russa entri tra i partner dell’oleodotto» e «se questo non è un grande successo, lo lascio dimostrare a lei», risponde alla cronista. Poi aggiunge: ma “d’altronde lei appartiene ad una testata, il tg3, che ieri è uscita con 4 titoli tutti negativi e di contrasto all’atttività del governo”.
    • All’accordo Russia-Turchia – spiega «eravamo molto interessati e siamo molto interessati perchè la nostra importante azienda, l’Eni, è protagonista sia nel south stream che nell’oleodotto». E, nonostante quanto riferito da “una fonte governativa turca di primo piano” alla Reuters, “abbiamo raggiunto un accordo che era lontanissimo, non era facile, tra la federazione russa e la Turchia – vanta imperterrito Berlusconi – per poter costruire il south stream, che per il 50% sarà fatto dall’Eni che ha già costruito al 50% il blue stream, che è in piena attività”.
    • “siamo riusciti, ieri, ad assistere alla firma di questo importante accordo – dice il presidente del consiglio – ma il south stream è per tutta l’Europa, che avrà la garanzia di non restare al freddo, cosa che invece non è esistita in passato e potrebbe non esiste in futuro”, avverte, “date le difficoltà che crea il passaggio del gasdotto proveniente dalla siberia attraverso il territorio di un paese che è in effervescenza come l’Ucraina».
    • Il primo ministro russo Vladimir Putin ha ottenuto l’approvazione perché il gasdotto possa attraversare le acque nazionali della Turchia per raggiungere l’Europa e di fatto è un passo avanti per la Turchia verso la conquista di un ruolo chiave come hub energetico per la regione. Ma all’ultimo il governo turco ha ricevuto da Berlusconi una richiesta inaspettata, veramente dell’ultimo momento – racconta la fonte governativa alla Reuters – per partecipare alla cerimonia per la firma dell’accordo tra Putin e il primo ministro turco Tayyip Erdogan. E la sorpresa è stata ancora maggiore quando è diventato chiaro che Berlusconi stava rivendicando come un successo personale quell’accordo.
    • sul sito del governo. Nel comunicato si parla dell’accordo come un “successo personale del primo ministro italiano”, una “mediazione di Palazzo Chigi”

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Non solo inadatto ma pericoloso.

Berlusconi non è inadatto perché antidemocratico, o perché malato di sesso. Alla stampa estera non frega nulla – o non abbastanza – che la libertà di stampa in Italia sia messa a pregiudizio, che lo stato di diritto sia demolito e il parlamento esautorato. Tutto questo è più o meno normale, in Italia.
Berlusconi preoccupa per un altro motivo. Berlusconi agisce sul piano delle relazioni internazionali come un cane sciolto. Non si muove di concerto con gli alleati europei né in accordo con gli USA. Lo dimostra la firma del contratto ENI-Gazprom-Turchia per il gasdotto South Stream. Tale progetto non è parte di una politica europea comune. Riduce la sfera d’influenza americana in Turchia. Contrasta con gli stessi obiettivi energetici americani. Insomma, rompe uno schema di condivisione che dovrebbe instaurarsi al di qua e al di là dell’Atlantico. Berlusconi is unfit, but also dangerous.

       Il 1 ° luglio, l’Italia diventa presidente della Unione Europea. E ‘un periodo di sei mesi di consegna del testimone che non suscita emozioni a tutti, in circostanze normali, ma in questi giorni le circostanze non sono del tutto normali. Politicamente, l’Europa è divisa. Economicamente, è balbettante. La guerra in Iraq ha lacerato i rapporti con il suo principale alleato, gli Stati Uniti. Dieci nuovi paesi stanno per entrare nel club e, se l’Unione estesa non si troverà paralizzata, comunque un accordo deve essere raggiunto per una nuova costituzione. Si tratta chiaramente di tempo per menti lucide, per finezza diplomatica e l’esercizio di una sorta di autorità morale che promana dal rispetto riconosciuto. Italia può offrire tale leadership? O, piuttosto, il suo grado di primo ministro, Silvio Berlusconi?

La nostra risposta è no. …

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    • Daily Express. Il quotidiano popolare pubblica due foto di Mara Carfagna – definita "in buona forma" – in bikini su una spiaggia della Sardegna e si lamenta: "Se solo Gordon Brown avesse ministri come questa, forse avrebbe più possibilità di vincere le prossime elezioni". La Carfagna, dice il giornale "è la prima di una lunga lista di donne attraenti che hanno dato fastidio a Veronica, la moglie ormai allontanata di Berlusconi
    • la commentatrice dell’Independent, Christina Patterson, che pubblica una foto del presidente del Consiglio con la figlia Barbara e ricorda che "il denaro, come Berlusconi ha scoperto, può comprare palazzi e belle donne, può comprare capelli e denti, e tanto potere. Ma non può comprare la fedeltà dei vostri figli".
    • il caso del Financial Times che pubblica una vasta intervista alla D’Addario, secondo cui "E’ così che funziona in Italia". Nelle pagine dei commenti due lettere di replica a quella di Frattini. Una è di Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, che contesta al ministro degli Esteri le cifre della ripresa economica italiana: "Frattini dovrebbe tener conto che nel 2008 l’Italia ha registrato un calo dell’1 per cento del PIL mentre le altre economie europee crescevano. Non si puo’ rimproverare tutto a Berlusconi: anche con il Viagra non è così potente.

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Berlusconi e il gas russo. Scacco ad Obama.

L’accordo di oggi, pompato con toni trionfalisiti dal TG1, con il quale l’ENI costruirà un gasdotto, insieme a Gazprom, in Turchia, in realtà ha un risvolto non di poco conto a livello di politica estera. Berlusconi infatti ha rovinato i piani dell’amministrazione americana, del Senato americano, delle lobbies dell’energia americane. Il grande amico dell’America ha voltato la faccia. Quando si tratta di affari.
In palio c’era la possibilità di far passare in Tuchia un gasdotto che gli USA vorrebbero controllare. Obama aveva un piano, denominato "Nabucco". La Turchia ha preferito "South Stream", il progetto dei russi. In ballo il gas delle regioni del Mar Caspio. Che ora rischiano di uscire dal controllo USA.
Quale risvolto nelle relazioni Italia-USA?
La vicenda mostra ancora una volta come le relazioni internazionali siano rese alquanto tese dalla partita sul controllo delle fonti energetiche, fossili o naturali che siano. I giacimenti sono collocati in alcune regioni del globo e non sono accessibili a tutti. E’ un problema paradigmatico: l’economia dell’energia fossile lascia il posto a un’economia del gas naturale. Ma l’approvigionamento energetico produce conflitti, e i conflitti producono guerre.
Il Nuovo Paradigma Energetico delle fonti rinnovabili – Solare, Eolico, Idrogeno – invece sostituisce l’equilibrio delle potenze e l’anarchia internazionale con la multilevel governance e le reti. Sostituisce il conflitto e la chiusura con le relazioni e lo scambio in rete.

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    • "Siamo orgogliosi di questo grande successo". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ai microfoni del Tg1 dopo aver presenziato ad Ankara alla firma degli accordi turco-russi sul gasdotto South Stream, ai quali ha partecipato anche l’Ad di Eni, Paolo Scaroni. "La nostra azione di diplomazia commerciale – ha aggiunto – ha portato la Turchia, e in particolare il premier Erdogan, ad accettare che un importante gasdotto che la nostra Eni costruirà al 50% con Gazprom possa passare nelle acque territoriali della Turchia, sul fondo del Mar Nero".
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    • Nella sua prima visita all’estero, in qualità di Presidente neo-eletto, Obama si è recato ad Ankara, per un incontro di alto profilo, con il primo ministro turco, Recep Erdogan
    • Obama ha proposto ai turchi uno scambio quasi commerciale
    • il vero obiettivo di Obama è favorire la realizzazione di un oleodotto che colleghi la Turchia alla Germania, e da lì a tutti gli altri paesi europei, e che si ponga in contrapposizione al progetto South Stream, portato avanti dalla Russia.
    • Il “Nabucco” è parte integrante della strategia statunitense di controllo totale dell’energia, sia di quella europea, che di quella eurasiatica.
    • La principale figura del Partito Repubblicano in politica estera, il senatore Richard Lugar, faceva parte della delegazione statunitense, al seguito di Obama, in missione ad Ankara
    • alla cerimonia, erano presenti anche il presidente della Commisione UE, Barroso, e i capi di governo della Turchia, della Bulgaria, dell’Ungheria e dell’Austria.
    • Il Progetto Nabucco, quando e se sarà terminato, prevede il trasporto del gas del Caucaso e del Medio Oriente attraverso la Turchia, la Bulgaria, la Romania e l’Ungheria, in Austria e, da lì,dovrebbe  raggiungere tutti i mercati dell’Europa Centrale e Occidentale. Dovrebbe essere lungo 3.300 Km., partendo, da un lato, dal confine georgiano-turco, e, dall’altro, da quello iraniano-turco, fino a Baumgarten, in Austria, con un costo previsto di 8 miliardi di dollari. Questo progetto è parallelo a quello già esistente Baku-Tiblisi-Erzurum, e dovrebbe essere in grado di trasportare 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno. I due terzi di questo gasdotto dovrebbero attraversare il territorio turco.
    • Per Washington, la realizzazione del Nabucco è di primaria importanza; basti pensare, che il Senato degli Stati Uniti ha stabilito, dopo diverse riunioni parlamentari, che bisogna prestare la massima attenzione al controllo delle risorse energetiche, in quanto esse influenzano gli affari a livello globale.
    • i senatori hanno espresso il loro massimo interesse verso la realizzazione del gasdotto Nabucco. Il senatore John Kerry, presidente dell’influente Commissione per le Relazioni Estere del Senato USA, lo ha espresso molto chiaramente: “Esiste una relazione strettissima tra la situazione delle risorse energetiche mondiali e le fonti di instabilità politica, e noi dobbiamo considerare molto attentamente questo aspetto.
    • Iran, Iraq, Sudan, Russia, Caucaso, Nigeria e Venezuela, rappresentano i nostri problemi principali per l’approvvigionamento energetico, e, quindi, sono i punti cruciali della nostra geopolitica”.

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