Lusi il mariuolo e il PD, partito nato da una truffa

Esagerando, potremmo dire che della questione Lusi ciò che più sconcerta non è il ladrocinio (definizione di Lerner) messo in opera dall’ex tesoriere della Margherita. Per assurdo, ma neanche tanto, si può ben dire che siamo abituati ai politici corrotti, alle tangenti, ai furtarelli, ai raggiri, agli storni di denaro pubblico. E’ una storia fin troppo collaudata. Ora ci sarà un’inchiesta e Lusi, come Citaristi anni fa prima di lui, si prenderà tutta la colpa e ‘salverà’ il sedere a quelli che l’hanno chiamato per mettersi all’opera in questa impresa criminosa dei bilanci di partito col trucco e le società a scatole cinesi e le casa comprate a insaputa di tutti.

No, ciò che più sconcerta e addolora è la storia di un Partito, il PD, che si scopre oggi esser cominciata da una truffa. Una truffa ‘ideologica, sia chiaro. Sì, poiché il PD nasceva con la promessa di semplificare il quadro politico a centro-sinistra, di unire per sempre le forze politiche storiche che hanno dato origine all’Ulivo nel 1996, quelle forze eredi della tradizione comunista e di quella del cattolicesimo sociale, riunite nell’alveo del riformismo progressista. Una bella formula, non c’è che dire. Si veniva dalla esperienza tragicomica del secondo governo Prodi, e quella galassia postpartitica e postcomunista era divenuta insopportabile. L’ingegneria partitica ha prodotto così il PD, per fusione degli ex Ds e degli ex Dl. Secondo Sartori, una operazione con il trucco, poiché “storicamente una fusione di partiti non è mai avvenuta: è sempre un partito che soccombe all’altro”.

Sartori si sbagliava. Tutti noi ci sbagliavamo. Non c’era fusione. No. Nella realtà, al Partito Democratico, è stata applicata la pratica delle scatole cinesi. Ci hanno raccontato che Ds e Margherita scomparivano per diventare un partito solo. Questo partito si scopre oggi che ha al suo interno altri due partiti, gli stessi originali partiti dei Ds e della Margherita, che non sono sciolti – badate bene – ma si trovano soltanto in stato di ‘dormienza’:

In quei giorni di primavera del 2007, tra liti e qualche pianto, i Ds e la Margherita si sciolsero, confluendo con grande enfasi nel futuro Partito democratico. Nei trionfalistici documenti ufficiali dei due congressi però era omesso un piccolo dettaglio: i partiti optavano per la separazione dei beni e cioè non portavano nella nuova casa neppure uno spillo. I propri “redditi” li tenevano tutti per loro. I Ds trattenevano non solo l’ingente patrimonio immobiliare e artistico ereditato (assieme a molti debiti) dal Pci, ma soprattutto i cospicui rimborsi elettorali previsti per i successivi 4 anni; la giovane Margherita era senza debiti, disponeva di una ingente liquidità e anche lei non versava al Pd i finanziamenti pubblici fino al 2011. Una separazione dei beni che si accompagnava ad un’altra originalità: i due partiti confluivano nel Pd, ma lo facevano con una formulazione ambigua, in base alla quale la propria attività politica non era conclusa. Era «sospesa» (La Stampa.it).

Il patrimonio dei due partiti, che per i Ds è stato accumulato in anni di militanza, è stato di colpo “privatizzato”: il partito è diventato un’organizzazione spenta, oserei dire occulta, celata dietro il paravento moderno del Pd, che però continua a incassare i rimborsi elettorali e investe, compra immobili, li divide – come ha fatto il tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, fra 57 diverse fondazioni a guida strettamente personalistica. In altre parole, questa degenerazione è la conseguenza della privatizzazione della sfera pubblica che questo paese ha esperito negli anni successivi al 1992 e che coincidono con il ‘ventennio breve’ di Berlusconi. Le dinamiche sono state le stesse: a destra hanno creato il partito azienda, produttore di leggi ad personam, a sinistra il partito ‘corporation’, conclave di associati che lucrano sui mercati immobiliari – prevalentemente – per arricchimento proprio e degli amici attraverso la manipolazione del sistema dei rimborsi elettorali.

Questo è stato. Ora si dirà una cosa sola. Nessuno conosceva le attività di Lusi. Nessuno sapeva dei tredici milioni di euro sottratti al bilancio del partito ‘dormiente’. Lusi? Un mariuolo.

Il PD alla prova della direzione nazionale: il caso Sicilia fra Mirafiori, Legittimo Impedimento e Lingotto

La direzione nazionale del PD si terrà giovedì 13. Un clima infuocato attende Bersani. Giovedì 13: un giorno sbagliato, si direbbe, a guardare la lista degli eventi. Da un lato le beghe interne al PD:

  • oggi, il caos Sicilia con la scomunica del circolo di Caltagirone;
  • la controdirezione di Civati (senza Renzi) mercoledì 12 a Roma, Circolo Letterario di Via Ostiense 95;
  • dulcis in fundo, ma oramai a “bocce ferme”, il ritorno di Veltroni, in pompa magna, anzi in salsa marchionnesca, con il Lingotto 2.

Tutto questo mentre nel paese si affastelleranno le notizie e le relative polemiche circa:

  • riunione della Consulta, rigidamente a ‘porte chiuse’ il giorno 11, chiamata a discutere in materia di legittimo impedimento;
  • decisione della Consulta, prevista proprio per giovedì 13;
  • referendum a Mirafiori, il 13 e il 14, con la prevedibile vittoria dei sì.

Se vi sembra poco, allora vi introduco al caos Sicilia, uno dei fattori X che pendono sulla testa di Bersani. Poichè in Sicilia il PD ostiene con i propri voti il governatore Lombardo. Un ribaltone che va avanti da alcuni mesi e che nel partito non è mai stato adeguatamente discusso. Il PD in Sicilia è diviso in due: da una parte i fautori del ribaltone, con il segretario regionale Lupo in testa, la capogruppo al Senato Anna Fnocchiaro a far da stampella alla irragionevolezza di tale scelta; dall’altra, gli oppositori, aventi in Enzo Bianco e Giovanni Burtone elementi di spicco e di riferimento.

I fatti: un circolo, quello di Caltagirone, città amministrata dalla sinistra, ha indetto referendum fra gli iscritti al fine di accertare il sostegno alla scelta della direzione regionale del PD di appoggiare il governo Lombardo. Apriti cielo! Il referendum è nullo, tuonano dalla segreteria regionale. Non rispetterebbe lo statuto del PD – che pure prevede consultazioni democratiche fra gli iscritti – in svariati punti, fa sapere il segretario Lupo. “Può il Partito democratico continuare a sostenere il governo regionale di Raffaele Lombardo?”, questa la domanda posta nel quesito referendario. Lupo ha intimato al coordinatore del circolo Gaetano Cardiel di sospendere immediatamente la preparazione della consultazione, cosa che non è avvenuta. Su di essa pende un ricorso dinanzi al comitato dei Garanti, una sorta di Alta Corte interna al partito, pertanto secondo Lupo non poteva in ogni modo svolgersi. Lupo ha quindi accusato Cardiel di aver violato in più punti lo Statuto. Ed ha disposto il comissariamento del circolo di Caltagirone. E’ pur vero che all’art. 28 di predetto Statuto si definisce in maniera univoca una disciplina che non lascia spazio a dubbi per indire referendum fra gli iscritti:

Articolo 28.
(Referendum e altre forme di consultazione)
1. Un  apposito  Regolamento  quadro,  approvato  dall’Assemblea  nazionale  con  il  voto  favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, disciplina lo svolgimento dei referendum interni e le altre forme di consultazione e di partecipazione alla formazione delle decisioni del Partito, comprese quelle che si svolgono attraverso il Sistema informativo per la partecipazione.
2. È indetto un referendum interno qualora ne facciano richiesta il Segretario nazionale, ovvero il Coordinamento nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, ovvero il trenta per cento dei componenti  l’Assemblea nazionale,  ovvero  il  cinque  per cento degli iscritti al Partito Democratico (Statuto PD).

Naturalmente nulla di tutto ciò è successo: la soglia del 5% non è nemmeno lontanamente raggiungibile e il segretario neanche si sogna di affidare una decisione così delicata e importante come quella della fiducia a Lombardo a un referendum fra gli iscritti. Quindi è vero che l’iniziativa di Caltagirone è al di fuori dello Statuto e l’iniziativa di Lupo non poteva che essere censoria nei confronti dei dissidenti di Caltagirone. Tanto più che una iniziativa analoga era stata messa in piedi a Enna “facendo registrare percentuali bulgare per il no al sostegno al governo Lombardo” (Caltagirone, Pd al voto nonostante lo stop di Lupo – Palermo – Repubblica.it). Non ci si poteva aspettare altro. Ciò dimostra ancora una volta il divario profondissimo fra il partito e il suo elettorato, anzi i suoi iscritti medesimi. L’iniziativa di Caltagirone ha il merito di far arrivare una manifestazione del dissenso dell’elettorato siciliano direttamente sul tavolo della Direzione Nazionale di Giovedì 13. Un giorno brutto assai, si direbbe. Si comprendono meno le dichiarazioni di Buirtone e di Bianco, che condannano il comissariamento e chiedono l’intervento di Bersani:

“Ascoltare l’opinione degli elettori del partito e’ un obbligo politico morale da parte dei suoi vertici, soprattutto quando si prendono decisioni che ne segnano una svolta nell’orientamento politico”. Lo afferma in una nota il senatore del Pd Enzo Bianco […] L’ex sindaco di Catania chiede infine al segretario nazionale del Pd Pierluigi Bersani di “intervenire subito in merito a questa vicenda” (Pd: Bianco, su commissariamento Caltagirone intervenga Bersani – – Libero-News.it).

“E’ un atto arrogante nei confronti di una realtà politica che ha avuto da sempre una condotta esemplare” – Giovanni Burtone, tra i primi parlamentari PD a manifestare il suo dissenso alla decisione di Lupo, è stato, insieme a Enzo Bianco, uno dei principali oppositori dell’appoggio del PD a Lombardo. “Dietro questa decisione c’è evidentemente la paura di confrontarsi e scoprire che gli elettori del Pd sono contrari al sostegno al governo Lombardo – prosegue Burtone che arriva a parlare di “pulizia etnica” verso chi non è allineato […] il circolo di Caltagirone incassa la totale solidarietà degli altri partiti all’opposizione di Lombardo; I circoli di Idv, Psi e Sel Caltagirone, in un comunicato congiunto, bollano come “atto liberticida” il commissariamento (Caltagirone, PD commissariato: partito allo sbando – la Periferica – Mensile di informazione a Catania).

Che ascoltare l’opinione degli elettori sia un obbligo politico morale è indubbio, mentre è dubbia la procedura che si è seguita (il cosiddetto “stare alle regole” che ci si è dati – lo Statuo è stato o no votato nei circoli? e se sì, è stato preso in esame con buonsenso anche l’art. 28?). Inoltre pare eccessivo parlare di atto liberticida o di pulizia etnica per chi non è allineato, sebbene sia vero che chi dissente nel Partito Democratico non ha vita facile, vedasi Civati e co. In ogni caso, il circolo guidato da Cardiel ha l’indubbio merito di aver rimesso al centro la questione della partecipazione. Fattore che inizialmente doveva essere distintivo del PD e che ora diventa sempre più spesso opzionale.