Da qualche giorno – l’avrete notato, se siete teledipendenti – uno spot del Ministero dell’Economia ci spiega che esistono una serie di parassiti in natura, fra cui il parassita sociale, alias l’evasore fiscale. Nella sua naturalità, l’evasore fiscale avrebbe i lineamenti del signore nella foto. E’ ovvio che non ci si possa fare niente: i parassiti esistono, è la vita, la natura, inutile combatterli. Ci saranno sempre parassiti intestinali come i parassiti del legno e della società. Rassegnatevi.
Intanto però notate una cosa: l’uomo, stigmatizzato come parassita e come evasore, quindi come un aspetto ineluttabile dell’ambiente in cui viviamo, è un giovane, scuro di carnagione e forse anche di pelle, ma non è nero, è uno di noi, forse un meridionale. Ha la barba incolta, da comunista; sembra sporco, ha questo sguardo colpevole ma deciso. Si percepisce tutta la sua irremovibilità: sono evasore e me ne vanto.
Pensate ora a tutte le storie di evasione fiscale raccontate dai giornali nel corso degli ultimi anni. Pensateci, e riflettete, contate mentalmente le volte in cui lui, il parassita, aveva l’aspetto dell’uomo della foto, e contate invece quante volte aveva i capelli impomatati, il doppiopetto grigio, la cravatta, la faccia sbarbata. Contate quante volta si trattava di una persona a cui abbiamo affidato i destini della nostra società. Capirete allora che al Ministero hanno applicato della obsoleta fisiognomica a una realtà che invece è ben diversa. E molto più complicata da spiegare, per un funzionario delle Entrate.