Maria Nadotti e le donne che vanno alla Crociata

L’appello “Se non ora, quando?” a firma di donne illustri della politica, della letteratura, del giornalismo è passato oggi sotto il vaglio critico di Maria Nadotti (1) sulle colonne del Corriere della Sera. Il complesso argomentativo messo in campo dalla Nadotti manda in pezzi un testo che dovrebbe far elevare gli animi e spingere alla mobilitazione. Ma perché la Nadotti dice ‘No’ alla Crociata? Perché a suo modo si mobilita denunciando tutto lo sdegno che sorge dalla lettura di questo appello? Il fine di questo suo intervento non è sabotare l’iniziativa del 13 Febbraio, bensì quello di renderla più trasparente, “meno ecumenica”, “più situata”. E la critica di Nadotti prende spunto già dall’incipit dell’appello rivolto alle “Italiane” (e gli italiani, sono forse immuni da tanto fango? e le straniere?), ovvero quella ‘maggioranza’ di donne che lavora dentro e fuori casa, crea ricchezza, cerca lavoro, studia ecc., “il vecchio angelo del focolare ammodernato”, l'”acrobata del quotidiano” tutta “produzione e riproduzione”, figlia-madre-moglie, che è “sacrificalmente” presente sulla scena pubblica in quanto tesserata di un partito o di un sindacato. Insomma, un ritratto a tinta unica, privo di sfumature che pure nella realtà esistono, poiché è assolutamente possibile immaginare una donna che ha invece “sviluppato altre strategie”, o sogni o desideri o semplicemente più astuta e abile a profittare delle situazioni. Viene proposta un’immagine bidimensionale delle donne, quelle donne “che hanno costruito l’unità nazionale”: poco conta se nell’arco di questi 150 anni possano aver avuto un ruolo complice e servile in vicende non proprio democratiche. La donna destinataria dell’appello è una sola. Tutte e altre donne, che non sono lavoratrici o non sono madri o sono implicate in destini infami, sono semplicemente messe dall’altro campo. Da una parte le donne “sacrificali”, che vanno a letto presto; dall’altra le vestali del Re, inquinate sino al midollo, non-donne – in quanto oggetto – prive delle dignità, quindi da osteggiare e da combattere.

Ecco, Nadotti rifiuta tutto ciò. Rifiuta che delle donne siano messe da una parte e altre dall’altra. Rifiuta l’idea semplificatoria che ci sia una figura di donna giusta e una ingiusta, che non ha alcun diritto d’asilo in questo mondo.

(1) Giornalista, saggista, consulente editoriale e traduttrice, Maria Nadotti scrive di teatro, cinema, arte e cultura per testate italiane e estere tra cui “Il Secolo XIX”, “Il Sole 24 Ore”, “La Repubblica Donne”, “Lo Straniero”, “L’Indice”. Ha curato vari libri tra cui: Off Screen: Women and Film in Italy (New York 1988); Immagini allo schermo: La spettatrice e il cinema (Torino 1991); Elogio del margine: Razza, sesso e mercato culturale (Milano, 1998) e Il cinico non si addice a questo mestiere: Conversazioni sul buon giornalismo (Roma, 2000). Negli ultimi anni si è dedicata in particolare alla cura e diffusione di opere letterarie e saggi utili a far luce sulla questione palestino-israeliana, tra cui: Edward W. Said, Fine del processo di pace, (2002); Suad Amiry, Sharon e mia suocera (2003) e Se questa è vita (2005); Jamil Hilal e Ilan Pappe, Parlare con il nemico (2004); Michel Khleifi e Eyal Sivan, Route 181: Frammenti di un viaggio in Palestina-Israele (2004). Ha inoltre ideato e organizzato vari eventi culturali e artistici utili a fare da ponte tra Italia e Palestina-Israele: dalla tournée dello spettacolo Guerra della Compagnia Pippo Delbono a Betlemme, Ramallah, Gerusalemme, Nazareth e Haifa, a una serie di seminari sullo story-telling affidati a grandi maestri della narrazione contemporanea (John Berger, Ryszard Kapuscinski, Svetlana Alexievitch…) e rivolti a scrittori, filmmaker, fotografi e artisti attivi nei territori occupati.