Governo Renzi 1 | Il Senato e il suo Carnefice

Vorrei essere l’ultimo a dover chiedere la fiducia al Senato. L’Alieno entra nel Palazzo e la narrativa giornalistica raggiunge l’apice del pathos. Ezio Mauro, su Repubblica.it, sceglie di esaltare il lato naif: il discorso del Segretario-Premier-Sindaco è diretto ai cittadini (e non all’aula che lo deve votare):

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Un “discorso inconsueto”, poiché scritto, preparato negli uffici, che lui – così esperto per via della prassi informale impiegata nei lunghi anni di Firenze – abbandona sul tavolo per continuare a braccio. “E’ sembrato voler comunicare tutto quello che da tempo aveva accumulato sulla sua idea di paese”, dice il direttore. Sì, il Sindaco che sfoga gli infiniti pensieri del tempo andato, passato lontano da Palazzo Chigi a immaginare il Paese del futuro. Povero quell’uomo a cui è stata negata questa possibilità, la possibilità di prestarsi per la causa. Renzi ha iniziato questa “sfida personale” (sono sempre parole di Ezio Mauro): per tutto il discorso è sempre stata evocata la fine del “piagnisteo” italiano, l’alba dell’età del fare contro la chiacchiera del parlamento, che nulla fa, specie il Senato. “Vedo che vi divertite”, dice apposta il Premier-Segretario-Sindaco. I senatori, questi discoli, a cui non interessa la vita del cittadino medio. “Ha sentito la maestà delle istituzioni e si è in qualche modo inchinato”, ricorda Mauro, ma poi “ha sfidato il Senato”: datemi una mano, ha detto (a farvi fuori).

In questa narrazione, Renzi è l’anticasta. Lui affronta i temi che “toccano” i cittadini; il premier vuole mettersi in “sintonia con i cittadini”. Andrà ogni fine settimana nelle scuole. E’ il premier-sindaco, si occupa di noi. Lui conosce ciò che è meglio per noi poiché è in sintonia con il Popolo (l’antitesi della Casta politica). Lui sa di aver preso una scorciatoia verso il potere, ma è “convinto di potercela fare”. L’acrobata è sul filo (che coraggio!). Se cade è solo colpa sua, ha avvertito. Non accamperà scuse. Non rivolgerà la colpa ai senatori, per esempio. L’aula è gelida. Senato stai sereno.

Governo Renzi 1 | La fiducia mi fa ridere

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Votarla o non votarla, questo è il dilemma. Se sia meglio per l’uomo sopportare i sassi e i dardi di un’avversa fortuna, o prender armi contro un mare di guai.

Idealmente, potrei dirvi che il governo Renzi mal si confà con l’idea di politica che da queste pagine ho cercato di raccontarvi, più o meno dal 2009. Se dovessi spendere dieci minuti del mio tempo per scegliere il dà farsi, non avrei dubbi e punterei all’obbiettivo più grande. Che non è esser leoni oggi. Ma reinventare e ricostruire la politica di sinistra in Italia, al di là dei progetti di puro marketing (di cui vi narravo qualche giorno fa). Senza, sia specificato, ripetere gli errori del passato e cadere nella spirale del frazionismo. Poiché a sinistra trovi sempre qualcuno che è a sinistra più di te. E poi ti chiedi, ma dove è stato sinora? Dove è stato mentre tutto crollava? Forse, pensi, ha fatto esattamente le tue stesse cose. Forse si è rifugiato nella sfera individuale, ha messo avanti sé stesso, il proprio quotidiano, rispetto all’impegno sociale e politico. Scelte legittime, che hai condiviso, specie dopo Genova 2001 e le botte in piazza e il cadavere del compagno Carlo.

Ma ecco, il tempo si è fatto talmente eccezionale che l’impegno pubblico diventa imprescindibile. La Nuova Sinistra non è un partito, non è una somma algebrica di potenzialità elettorali. E’ una cultura politica. E’ un metodo, un modo di fare la politica. Qualcosa che ha in vista il principio dell’uguaglianza e che lo vuole riproporre come faro dell’azione pubblica.

Per questo il voto di fiducia al governo Renzi mi fa ridere. Quando mi ricordo quale impegno ci siamo dati, insieme a Pippo Civati, e poi guardo alle risibili vicende del governo Letta bis, altrimenti noto come Renzi I, sorrido. Noi siamo altro e questo altro non sarà più altrove perché abbiamo decisamente intenzione di metterlo al posto del modus operandi – tutto tranne che trasparente – visto all’opera negli ultimi giorni.

La Nuova Sinistra non può cominciare con un atto di scissione bensì con una manifestazione, nel senso letterale, ovvero nel rendersi manifesta e uscire dalla anonimia. Mostrate il volto, domani, a Bologna. Ci vediamo alle Scuderie, in Piazza Giuseppe Verdi 2, dalle ore 10. Prendiamo armi contro il mare di guai.

Lo schiaffo di Palazzo Grazioli

Così Alfano non c’era alla riunione del PdL. E’ arrivato a Palazzo Grazioli ben dopo la mezzanotte. L’incontro con Berlusconi è durato non più di venti minuti. Una visita, null’altro, per comunicare che un manipolo di senatori farà la scissione. Silvio, Dudù, Francesca, l’aria improvvisamente impietrita. Alfano, e quella spocchia da azzeccagarbugli abbronzato. Abbiamo dirazzato, Silvio.

E’ la prima volta forse che la trama di relazioni di Silvio Berlusconi trova un limite, anzi, la prima volta che viene lentamente sgretolata ai bordi. L’ex Cavaliere ha scoperto che un’altra affinità, un’affinità rimasta sommersa per quasi venti anni, lega questi uomini al Presidente Letta. Fabrizio Cicchitto, Maurizio Lupi, Carlo Giovanardi, lo stesso Alfano, hanno percepito il ritorno di un comune sentire. E così tradiscono il padre padrone del loro partito, l’ormai vecchio avvizzito e degenerato fondatore del Predellino, in vista forse di una qualche ricompensa politica: avere un ruolo da protagonista nell’epoca post-berlusconiana. Che poi questo coincida con il ritorno del Grande Centro, o della Balena Bianca, poco importa. In fondo – questo è il loro segreto – sono sempre stati, intimamente, duplici e democristiani.

In tutto questo scenario, il Partito Democratico è arrivato al capolinea: ora il PD dovrà scegliere se essere la carne sacrificale per il risorgimento della DC o scegliersi la propria parte e una identità, risolvendo per sempre quell’ambiguità di fondo che lo ha contraddistinto sin dalla prima ora. Sarebbe bello che, ad operare questa scelta, fossero non i gerarchi chiusi in una riunione stile ‘caminetto’, ma gli iscritti e gli elettori, e non necessariamente in questo ordine. Sarebbe bello, ma potrebbe non accadere. E’ appunto per tale ragione che occorre esserci. C’è una differenza sostanziale fra i Democratici e Alfano, Giovanardi, Lupi, Cicchitto. E non serve che ve la spieghi. Bisogna solo farla rispettare.

Senato, gli equilibri cambiano (secondo il @Corriereit)

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L’infografica degli amici del Corriere della Sera prevede una pattuglia di 28 senatori pronti a sacrificarsi per Letta. Sarà vero?

Una bufala per l’Huff Post | Civati smentisce la fiducia al governo Letta

Pippo Civati non ha mai firmato nessun documento sul voto ‘di fiducia’ al governo Letta. Secondo quanto scritto dall’Huffington Post oggi, Civati avrebbe condiviso con Gozi, Puppato e Zampa, definiti i ‘dissidenti’ del PD, una paginata di riflessioni spacciate per una specie di bozza di mozione di fiducia. Il presunto documento contiene argomentazioni che Civati non ha affatto espresso in questi giorni, specie nell’ultima intervista, avvenuta proprio oggi nella trasmissione ‘In 1/2 Ora’ della Direttrice dell’Huff Italia, Lucia Annunziata. Nel testo si fa più volte riferimento al momento drammatico che il paese sta attraversando, al senso di responsabilità che i firmatari sentirebbero in quanto eletti attraverso le primarie.

E’ questo il senso della nostra fiducia: un atto di responsabilità individuale e collettiva che ci assumiamo nei confronti di tutti gli Italiani e di coloro che ci hanno dato fiducia con il loro voto. Una fiducia che vogliamo meritarci ogni giorno di più” (Huff post cit.).

Ebbene, in coda al testo compare come primo firmatario proprio Civati. Da qui si è innescato un corto circuito giornalistico. Nessuno ha provato a verificare la notizia, che è stata ribattuta persino dal Sole 24 Ore.

I dissidenti del Pd: sì alla fiducia – Corriere della Sera – ‎2 minuti fa‎

Voto di fiducia, si sgonfia il dissenso in casa Pd – Il Sole 24 Ore – ‎20 minuti fa‎

Pd, Civati, Gozi, Puppato e Zampa: “Ok a fiducia per governo Letta” – La Repubblica – ‎1 ora fa‎

Pd, i ‘ribelli’ capitolano: “Votiamo la fiducia per senso di  – Quotidiano.net – ‎1 ora fa‎

Che succede ora nel Pd? – il Giornale – ‎56 minuti fa‎

Civati ha specificato che prenderà una decisione sul voto di fiducia soltanto domattina, dopo la discussione del Gruppo Parlamentare del PD.

Smentisco

Circola da qualche minuto un documento che include anche la mia firma e in cui annuncio il mio voto di fuducia al Governo. Non so come sia uscito, ma non ho firmato alcuna dichiarazione di fiducia e quindi smentisco.
Come ho detto più volte in questi giorni, e ancora poche ore fa in diretta su Rai 3, le mie perplessità sul Governo Letta rimangono, e prenderò una decisione in merito alla fiducia solo dopo averne discusso, come ho ripetutamente richiesto, domattina con il resto dei colleghi del Pd. Non prima.

Aggiornamento: a quanto sembra, il documento contiene una qualche veridicità poiché Sandro Gozi, uno dei presunti firmatari, si è così espresso su Twitter:

Notare l’espressione “il nostro documento”, segno che Gozi ne rivendica la paternità condivisa con altri. Sappiamo che Civati non è fra di essi. E Laura Puppato?

Definitivo ore 20.06: Sandro Gozi risponde su Twitter, il nome di Civati primo firmatario era frutto di un “malinteso”.

Berlusconi si è dimesso, no non si è dimesso

Volete sapere la notizia di oggi? Berlusconi è – nonostante tutto – ancora in sella. Nonostante l’evidenza di un voto che non lascia scampo ad equivoci. Questo è sconcertante. Si dimetterà, lui dice, soltanto dopo l’approvazione della Legge di Stabilità, comprensiva del maxi emendamento che dovrebbe contenere le nuove norme promesse alla UE in fatto di lavoro e pensioni e quant’altro. Il contenuto della lettera di Berlusconi a Bruxelles. La vuota – profondamente vuota – lettera.

Questa si chiama con un solo nome: irresponsabilità. La scelta doveva essere una sola. Doveva essere dimissioni. Passeranno invece altri quindici giorni durante i quali questa ‘classe dirigente‘ ci legherà mani e piedi a un provvedimento assassino, figlio della vanagloria di un finto premier che è andato un giorno a Bruxelles promettendo leggi inaudite e inutili. Promesse che hanno prodotto una lettera di 39 domande – trentanove legittime domande – che il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn ha inviato in una lettera a Tremonti lo scorso 4 novembe (in italiano a questo link). Domande del tipo: ma quanto ci avete promesso lo farete davvero? Prego indicare entro quando. Ed è incredbile quanto sta succedendo, poiché nella lettera di Olli Rehn non c’è scritto di piegare il mondo del lavoro o di cancellare le pensioni. No. C’è scritto: avete detto che volete riformare le pensioni? Entro quando lo fate? Non contiene diktat, ma richieste di chiarimenti. Tutto il resto glielo abbiamo detto noi, anzi Lui, il dimesso che non si è dimesso.

Bisognerebbe che qualcosa o qualcuno accelerasse l’avvicendamento. E’ abbastanza improbabile che venga organizzata una nuova maggioranza in questo parlamento, magari riciclando personaggi simil-Scilipoti. Un governo Monti è quanto di più lontano ci sia in questo momento. Monti, che è poi l’unico in grado di castigarci per sempre senza compromettersi il futuro politico, lui che non ne ha, e allo stesso tempo calmare la City londinese, pronta a gettarci nell’incubo di un default se non cediamo alla deregulation complessiva di tutta la nostra società.

Abbiamo bisogno di personalità che vadano in Europa ed abbiano la forza di dire no, noi facciamo così. Noi, in Italia, facciamo così. Punto. Voi preoccupatevi che i nostri conti siano corretti. E basta. Niente ricette. Siamo noi responsabili del nostro debito e del nostro bilancio. Eppure non ce ne sono. Che dramma è mai questo?

Sarà fiducia sulla lettera della UE? Finirebbe 305 sì, 308 no

Per Osvaldo Napoli, B. fa bene a chiedere il voto di fiducia sulla lettera alla Unione europea, ovvero quel dattiloscritto che B. ha portato a Bruxelles dinanzi all’Eurogruppo, un documento che è stato rifiutato dal suo Ministro delle Finanze. Se non ha convinto Tremonti, come può credere che quella carta convinca i suoi deputati? Appunto, non li convincerà. B. cadrà sulle sue stesse parole.

A quanto sembra, in serata Calderoli avrebbe chiesto a B. di fare il ‘passo indietro’. Berlusconi si è rifiutato. Neanche i leghisti lo hanno convinto che così va all’autodistruzione. Tant’è, qualcuno oggi ha provato a fare i conti della serva per cercare di capire come potrebbe andare un eventuale voto di fiducia. Ecco i risultati:

I numeri potrebbero anche essere diversi. Nella tempesta, altri potrebbero decidere di saltare dalla nave e chiedere soccorso all’UDC di Casini.

Rosy Bindi, quei radicali erano ininfluenti

Rosy Bindi, sapendo che i cinque deputati radicali in quota PD, già in fase di sospensiva, erano entrati in aula facendo così raggiungere il numero legale alla maggioranza, ha dato loro degli stronzi. Oggi dovrebbe – suo malgrado – dare loro delle scuse. A scagionarli, il segretario d’aula del PD, Roberto Giacchetti, in una lettera a Valigia Blu. Eccola:

La notizia è che Berlusconi perde 4 deputati della maggioranza e scende a quota 316 cosa che gli renderà ancora più impossibile governare fuori dai voti di fiducia.

Siccome però noi siamo la reincarnazione di Tafazzi il punto centrale del nostro dibattito (si fa per dire) è l’ennesima querelle con i radicali. Bene allora le cose stanno così:tutti noi sapevamo che l’impresa di far mancare il numero legale era un’impresa quasi impossibile.
Occorreva che al netto di tutte le defezioni dichiarate nella maggioranza, altri tre deputati non votassero la fiducia. Tutti sapevamo che gli unici tre che avrebbero potuto farlo (perché in numerose sedi avevano manifestato tale dubbio) erano Milo, Pisacane e Sardelli. Occorreva che tutti e tre non votassero la fiducia (non uno o due, ma tutti e tre). La sorte ha voluto che fosse sorteggiata per la chiama la lettera “S”. Quindi dopo pochi minuti il primo ad essere chiamato è stato Sardelli che non ha votato. Ho sperato davvero che tra i tre ci fosse un accordo ed ho atteso il momento di Milo. Purtroppo Milo alla chiamata ha risposto votando “Sì”. A quel punto a tutti coloro che conoscevano la situazione è stato chiaro che la partita era chiusa.
La chiama è andata avanti e, a pochi voti dalla fine della prima chiama, sono arrivati i radicali e poi le minoranze linguistiche che hanno votato no. Dopo il voto del primo radicale (Beltrandi) ci sono stati 17 deputati della maggioranza che hanno votato “Sì”. Erano tutti deputati che certamente avrebbero votato sì, tra cui molti membri del governo.
Alla fine della prima chiama, sono entrato in Aula mi sono recato dagli uffici della Presidenza (che sono, ovviamente, neutri e che non contano a mano ma leggono il risultato elettronico i quali mi hanno comunicato l’esito del voto al termine della prima chiama: 322 votanti. 315 “sì” e 7 “no” (5 radicali e 2 minoranze linguistiche). Questo vuol dire che al termine della prima chiama la maggioranza aveva ottenuto il numero legale da sola a prescindere da coloro che avevano votato “no”.
Nella seconda chiama un solo deputato si aggiunge a quelli che avevano votato nella prima chiama: Pisacane (irrilevante ai fini del numero legale) e così la maggioranza sale a 316. Questi sono i numeri ed i fatti veri, ufficiali.
Conosco i radicali. So perfettamente che se si riuniscono per decidere su una questione di tale importanza lo fanno ben consapevoli di cosa potrebbe comportare il loro voto, quindi sono certo che avrebbero votato (magari non tutti convinti) anche se invece fosse stato chiaro che il loro voto sarebbe stato determinante. Ritengo questa scelta come quella sulla fiducia a Romano una cazzata assoluta ma in questa come nell’altra occasione è evidente che la cazzata non è stata in alcun modo decisiva.
Aggiungo che ho trascorso (e non da solo) circa trenta ore (notte compresa) a organizzare tutto fin nei minimi dettagli per garantire una possibile vittoria e che questa decisione dei radicali ha reso la circonferenza delle mie palle ben più ampia dell’asteroide che doveva colpire la terra. Ma facciamo tutti politica (o almeno così dovrebbe essere…) ed abbiamo il dovere di guardare i fatti.
I fatti dicono in modo incontrovertibile che la scelta dei radicali è stata del tutto ininfluente. Alla luce di questo avrei sperato in un coro di dichiarazioni che mettessero in risalto l’ulteriore indebolimento di Berlusconi. Ed invece no. È partita, guidata dalla solita Bindi la caccia al radicale (chissà se dopo questa nota non toccherà anche a me da parte del Presidente del Partito…).
La delegazione radicale (che è tale per accordo convenuto ad inizio legislatura con i vertici del Partito e che quindi si presuppone abbia già in origine un suo livello di autonomia) si è autosospesa dal gruppo (aggiungendo un ulteriore grado di autonomia nelle scelte) in attesa di un chiarimento politico con i vertici del PD. Questo chiarimento non c’è mai stato.
Come ricorderete subito dopo il caso Romano, dopo un incontro con la Presidenza del Gruppo, sia i radicali sia Franceschini avevano ritenuto indispensabile che maturasse, attraverso un incontro con i vertici del PD, tale chiarimento politico. Questo non è mai accaduto. Se questo impegno assunto con loro vi fosse stato forse, ripeto forse, oggi le cose sarebbero andate diversamente. Invece siamo qui di nuovo ad ascoltare il moltiplicarsi di labbra che pronunciano la parola “espulsione”.
No chi pensa di risolvere i problemi politici con le scorciatoie regolamentari e con le punizioni esemplari non solo non troverà mai il mio consenso ma dimostra pochezza in termini di lungimiranza politica e mette a serio rischio il disegno originario del PD. Ho detto questo quando la questione riguardava una delle persone più lontane dalle mie idee politiche, come la Binetti, lo ribadisco a maggior ragione in questa occasione. Oggi sono i radicali e con lo stesso sistema domani potrebbe essere il dissidente Follini, il rottamatore Renzi, il conservatore Ichino e magari anche molto più modestamente il sottoscritto…

Abbiamo iniziato la legislatura che eravamo più di 220, oggi siamo 205. Mi torna in mente quella filastrocca che fa: se prima eravamo in dieci a cantare mapin mapon ora sono rimasto solo a cantare mapin mapon…. Spero che la notte porti un generale rinsavimento! Sono stanco… Me ne vado a letto e…. “l’ultimo chiuda la prota!”

Roberto Giachetti – Deputato e Segretario d’Aula Gruppo PD
@valigiablu – riproduzione consigliata

Intercettazioni, lo stupro del Senato

Tutto come previsto. Il Senato stuprato vota la fiducia sul ddl intercettazioni. Non sono serviti gli ostruzionismi delle opposizioni. Non è servito occupare l’aula da parte dei senatori dell’IDV. Lo scontro in aula è stato durissimo, a cominciare dalla disputa di ordine regolamentare fra il Presidente Schifani e la capogruppo PD Finocchiaro, la quale ha lamentato il mancato chiarimento del governo sulle modalità seguite per apporre la questione di fiducia che, secondo quanto dichiarato dal ministro per i rapporti con il parlamento, Elio Vito, era già stata disposta nello scorso Consiglio dei Ministri del 25 Maggio. La domanda legittima della Finocchiaro – ma su quale testo il CdM ha deliberato di chiedere la questione di fiducia, se il testo definitivo desume dal profluvio di emendamenti presentati fino a ieri? – è rimasta senza risposta. Il Presidente Schifani se ne è lavato le mani: “i procedimenti che riguardano l’apposizione della questione di fiducia da parte del Governo appartengono, come si dice in dottrina, agli interna corporis del Governo”. Chiusa la discussione. Poi il dibattito, in cui è spiccato il discorso durissimo della stessa Finocchiaro, la quale, annunciando l’uscita dall’aula dei senatori del PD, ha accusato la maggioranza di nascondersi al popolo per continuare a fare i propri affari. Un atto d’accusa pesantissimo.

Qui se ne pubblica il video integrale – che non avete visto da nessun’altra parte, men che meno al tg1;  invece, dell’occupazione dei banchi del governo da parte dei senatori IDV, è stata cancellata ogni traccia sul sito del Senato. Stamane il presidente Schifani ha posticipato la diretta televisiva dopo la espulsione dei senatori ribelli. Un anticipo di censura.

Vodpod videos no longer available.

Chi oggi vota la fiducia, vota la limitazione della libertà di informare e di essere informato, la limitazione dei mezzi a disposizione degli investigatori per accertare reati, per individuare i colpevoli, per punirli

Voi avete colto l’occasione, in un momento assai imbarazzante, diciamo così, per il Governo e per la maggioranza, di nascondere agli italiani i pubblici misfatti, l’esercizio deviato dei pubblici poteri, l’uso privato e la dissipazione delle pubbliche risorse. Voi volete nascondere, voi vi nascondete. Voi non volete controllo (ma questo lo sapevamo già): il popolo che citate così spesso lo volete cieco e sordo, manipolabile. Voi vi servite del popolo quando vi serve per celebrarvi, ma lo volete bue.

Punite anche gli editori, perché casomai il giornalista o il direttore del giornale largheggiasse nell’informazione pubblica – ohibò! – interviene l’editore del giornale e dice: ma che, mi volete far fallire? E di conseguenza, l’editore eserciterà fuori dal suo ruolo – pensate ad una società per azioni, un’impresa come un’altra, che sta a Shangai e che è l’editore di un giornale italiano – un compito di vigilanza, di repressione, di censura per evitare di correre il rischio delle salatissime multe.

La privacy che dite di tutelare è la vostra, è l’ombra nella quale volete continuare a fare i vostri affari. Chi si accontenta nella maggioranza, chi fa finta di non saperlo, oggi non può non saperlo. Io che tremo – non come voi, che l’adoperate in maniera sguaiata e volgare – quando pronuncio la parola libertà, non in nome mio ma in nome d’altri, vi dico che qui oggi il mio Gruppo, che mi ha dato mandato sulla base di un’assemblea che abbiamo celebrato, non parteciperà al voto di fiducia. (Applausi dal Gruppo PD). Non parteciperemo perché noi vogliamo che risulti con ogni evidenza e con il rispetto sacro che abbiamo di quest’Aula e della legge il fatto che da qui comincia il massacro della libertà. (Vivi, prolungati applausi dal Gruppo PD e dei senatori Li Gotti e Giai. Molti senatori del Gruppo PD si alzano in piedi. Commenti dal Gruppo PdL).