Tutti in piedi! 110 anni di FIOM: rivedi la manifestazione in streaming

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Renzi sta con Marchionne. L’abisso si apre fra i rottamatori

Mirafiori scava solchi profondissimi. Marchionne ha obbligato alla scelta di campo: o amico, o nemico. Una dicotomia che è archetipo della lotta; della guerra. Riflettendo il paradigma sulla politica italiana, ci saranno aree politiche filo-Marchionne e una pletora di nemici. E’ un dato di fatto, qualcosa che interessa tutti, che coinvolge tutti. E che divide.

I rottamatori del PD potevano astenersi da ciò? Potevano forse adottare una linea unica, certamente oggetto di discussione e deliberazione, certamente frutto di sofferenze e di dibattito, ma comunque unica? Evidentemente no. Poiché Matteo Renzi, apparso stasera al TgLa7, ha avuto il buoncuore di dirci quanto pensa circa il referendum-ricatto di Mirafiori. Ebbene, Renzi ha scelto la sua parte, ed è la parte di Marchionne – “dalla parte di chi sta investendo nelle aziende quando le aziende chiudono. Dalla parte di chi prova a mettere quattrini per agganciare anche Mirafiori alla locomotiva America” (Libero-News). Cosa aspettarsi da un sindaco che va a cena ad Arcore? Attenti perché la linea dei rottamatori era ben lungi dall’essere questa. Anzi, Civati nei giorni scorsi ha formulato una risposta sul caso Mirafiori che era molto prossima alla posizione articolata dal duo Bersani-Fassina, riaffermata da D’Alema a Otto e Mezzo poc’anzi – né con Fiat né con la Fiom ma per una legge della rappresentanza sindacale democratica. Una posizione, a parere di chi scrive, di buonsenso, che trova nel fondo di stamane di Massimo Giannini su Repubblica – “è una “festa”, se una grande azienda di automobili italiana decide di chiudere un impianto che esiste da un secolo, e che rappresenta un pezzo di storia non solo industriale, ma anche sociale di questo Paese?” – la giusta sintesi. Certo, il sindacato può stringere accordi sofferti, accordi al ribasso, accordi che lasciano sul campo diritti sostanziali dei lavoratori, ma lo fanno a ragion veduta, se non si può fare altrimenti, se lo stato della imprenditoria italiana diventa questo, al limite del banditismo, verrebbe da dire. Mirafiori va salvata. E si può accettare – momentaneamente, molto momentaneamente – una restrizione della sfera dei diritti. Ma non si può accettare il ricatto. Non lo può accettare in primis la politica. La politica dovrebbe ora farsi scudo verso i lavoratori. Una sfera politica sana avrebbe impedito a Marchionne di saltare sul predellino di Detroit a dettar la sua legge erga omnes ai lavoratori italiani. Una politica sana avrebbe preconizzato Marchionne e lo avrebbe evitato. In questo ha fallito, la politica, e in questo i rottamatori, in quanto portatori della buona politica, dovrebbero riuscire a fornire il proprio contributo di innovazione al partito. Viceversa, andare dinanzi ai microfoni discettando a sproposito di investimenti e aziende, come ha fatto Renzi, non è buona cosa.

Renzi, in verità, pare essere l’ombra di quello visto alla Leopolda. Forse ha capito di avere potenziale elettorale a destra. Forse la cena di Arcore è servita per raccogliere una eredità, chi può dirlo. Tutte ipotesi, e poco fondate. Quel che è certo è la divisione fra Renzi e Civati. Renzi ha criticato Civati circa l’idea della contro-direzione di domani, Civati ha minimizzato:

Mica ho fatto tutto questo — ha detto Renzi — per impelagarmi in una battaglia di correnti. I ‘rottamatori’, poi, sono persone libere, e fanno tante iniziative: io al momento mi occupo di Firenze al 101 per cento». La settimana scorsa il sindaco aveva già avvertito il suo compagno d’avventura: occhio, state facendo una corrente. E lui di correnti non ne fa (Corriere.it).

Il sospetto è allora che Renzi abbia impiegato la Leopolda per capitalizzare consenso. Renzi osserva che Prossima Italia non è una corrente. Fare una contro-direzione che fa della trasparenza e della pubblicità della discussione il punto di forza, è correntismo? Da quando riunirsi e discutere in pubblico è pari al chiudersi in stanze chiuse di direttivi segreti? Che differenza c’è fra l’andare in ordine sparso classico del PD e l’andare in ordine sparso di Renzi? Renzi ha detto la sua sul caso Fiat. La sua dichiarazione non trova alcuna corrispondenza nei lavori portati avanti sinora dal gruppo di Prossima Italia, lavori che ne costituiscono la linea politica. Renzi è fuori da questa linea. Di fatto, fuori dai rottamatori.

Fiom e CGIL quasi alla rottura: scontro sul salario di produttività

Durante la riunione del Comitato Centrale della FIOM di oggi si è palesata una frattura profonda e dolorosissima, che comunque era latente e prima o poi sarebbe affiorata sulla superficie mielosa del dopo manifestazione del 16 Ottobre, fra la minoranza interna al sindacato dei metalmeccanici, orientata sulle posizioni della CGIL, e la maggioranza raccolta intorno al presidente FIOM, Giorgio Cremaschi.

Lo strappo si è consumato quando al momento di sottoporre al voto il documento della seduta, la minoranza si è sfilata. Il documento è stato così approvato all’unanimità dei presenti. Si è manifestato un forte dissenso intorno alla necessità o meno di continuare a sedere al tavolo promosso da Confindustria sulla produttività. Cremaschi sostiene che la produttività si debba discutere con le categorie e le Rsu e non vada inserita in un accordo quadro confederale. Le detassazioni solo per la parte salariale flessibile agganciata a criteri di valutazione della produttività non sono sufficienti: tagliare le tasse su tutto il salario, questa deve essere la battaglia della CGIL, secondo Cremaschi. FIOM torna a chiedere lo sciopero generale, di due ore, entro la fine di Gennaio 2011.

Invece, l’obiettivo di Susanna Camusso, neo eletta segretario generale della CGIL, pare essere quello di riportare il sindacato di sinistra al tavolo della contrattazione collettiva. Si ammette, per bocca di Michele Scudiere, segretario confederale, che

la produttività è un tema vero su cui accettare la sfida proponendo una via alternativa a quanti individuano solo nel lavoro le origini della scarsa produttività nel paese, mettendo invece in testa la produttivita’ di sistema” […] “è importante fare anche con la Fiom, cosi’ come con tutte le categorie della Cgil, una discussione seria sui contratti di lavoro. E’ un peccato se in questa fase cosi’ complicata non emergesse chiaramente qual e’ la materia del contendere, ovvero l’oggetto del dissenso tra Fiom e Cgil”.

Insomma, CGIL rompe con la politica dell’isolazionismo a sinistra e FIOM entra in crisi. Il fatto avvenuto oggi in Comitato Centrale appare sconcertante se si tiene presente che al centro del dibattito dovrebbe esserci l’interesse dei lavoratori, mentre l’uscita della minoranza e quel voto all’unanimità paiono una scenetta tetra tipica del più bieco parlamentarismo. Solo la scorsa settimana, durante la conferenza stampa per la sua elezione, Susanna Camusso aveva avvertito FIOM: ”questa e’ una stagione in cui la confederazione ha l’onere di fare una proprosta e chiediamo anche alla Fiom di essere un sindacato che oltre a difendere sappia anche proporre” (Asca News).

 

La Serbia verso l’UE, Fiat e Marchionne si fregano le mani

Marchionne chiede più flessibilità agli operai italiani? Dice, pesantemente, che non un euro del profitto di Fiat del 2009 proviene dall’Italia – ah! e gli incentivi? certo sono andati alla Fiat solo per la propria quota di mercato italiano; pensate, solo per il 30% – ma non dice una parola sulla Zastava. Oggi, dall’America, giunge un grido di allarme. Non già per gli operai italiani che si vedrebbero sottrarre quote impportanti di lavoro, ma perché gli americani vedono profilarsi all’orizzonte uno spettro automobilistico che per anni li ha tormentati: la Yugo.

Yugo era un progetto di auto che Fiat vendette alla Zastava, storica azienda della Yugoslavia di Tito. Fu la prima autovettura costruita al di là della cortina di ferro ad essere esportata in America. In Italia doveva sostituire la 127, ma Ghidella le preferì la Uno (che intuito). Ebbene, la Yugo in USa se la ricordano bene: è divenuta negli anni sinonimo di scarsa o nulla affidabilità.

Ora che Fiat si è appropriata di Chrysler, sta cercando di vendere, di piazzare auto italiane in ogni modo sul mercato statunitense. Il sito DriveOn ci ricorda che Fiat sta investendo milioni di euro, con lo sponsor del governo italiano e di quello serbo, proprio nell’ex stabilimento Zastava in Serbia.

Fiat in Serbia ha avuto un grosso sconto: dal governo serbo 50 mln di capitale più 150 mln in incentivi; dalle autorità locali serbe, l’esenzione dai dazi e dalle tasse locali per dieci anni; dal comune di Kragujevac, i terreni su cui sorgeranno i nuovi stabilimenti, gratis. Pensate che il governo italiano sia stato all’oscuro di tutto questo? (Yes, political, 26/07/2010).

Il governo italiano sapeva tutto ed ha incoraggiato Fiat ad investire in Serbia. L’alternativa investimento Zastava/investimento in Italia è falsa perché gli accordi sono già stati presi e Fiat è quasi pronta a produrre una monovolume in Serbia, la L0. Lo scorso 11 Ottobre, Bloomberg BusinnessWeek spiega come la Fiat abbia già presentato a funzionari del governo serbo i modelli che saranno prodotti nel sito di Kragujevac a partire dal 2012, quando sarà completata la ristrutturazione:

Un modello a cinque posti progettato per l’UE e un veicolo a sette posti che sarà venduto in UE e negli Stati Uniti saranno costruiti presso lo stabilimento Fiat a Kragujevac circa nel secondo trimestre del 2012, ha detto Mladjan Dinkic, Vice Primo Ministro della Serbia e il responsabile dell’economia  in un comunicato inviato via e-mail ieri dopo che i funzionari hanno visitato la sede della Fiat a Torino, Italia. Il progetto aumenterà di 1.433 unità i posti di lavoro di una forza lavoro esistente presso l’impianto pari 1000, e la capacità produttiva sarà pari a 200.000 vetture all’anno, con espansione a 300.000 veicoli possibilmente, ha detto il ministero. Le esportazioni dei modelli nel 2012 ammonteranno a circa 500 milioni di euro (697 milioni dollari) e l’aumento a 1,3 miliardi di euro è previsto  nel 2013, ha detto. Ciò equivarrebbe a circa il 20 per cento delle vendite all’estero della Serbia nel 2009 (Bloomberg).

Naturalmente per Fiat l’esportare i veicoli prodotti dalla Serbia all’UE rappresenta un costo. E nonostante le intemperanze dei tifosi della nazionale che sono venuti in Italia, a Genova, con intenti bellicosi non più di dieci giorni fa, è ripartito a spron battuto il processo di avvicinamento della Serbia all’Unione Europea. Non si può abbattere il costo del lavoro in Italia? Non si può nemmeno abbattere la pressione fiscale, considerato il rapporto debito/pil, il più alto d’Europa? Chi se ne importa: si investe in un paese dell’Est, là dove i diritti degli operai sono stati depennati in nome della libertà ritrovata dopo gli anni del comunismo, si ridipinge la facciata dei palazzi della politica per metterne in mostra il profondo spirito democratico che li anima (ricordate come fu deposto Milosevic? non una goccia di sangue fu sparsa ed era certamente una rivoluzione genuina e spontanea quella dei giovani serbi; ma Mladic, il macellaio dei bosniaci, è ancora a piede libero): ecco abbattuto l’ultimo diaframma che divide la Fiat Zastava dalla libera circolazione dei suoi veicoli. La Serbia in UE conviene. A Marchionne e agli Agnelli (o quel che ne resta). E il governo Berlusconi?

Il governo italiano ha caldeggiato e sposato sin dall’inizio la nuova fase dell’avventura di Fiat in Serbia. E’ nell’interesse strategico italiano (?) far riavvicinare la Serbia all’Europa. Qualcuno ha intelligentemente osservato il silenzio del ministro degli Esteri Frattini sulla sentenza di piena legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008 pronunciata nei giorni scorsi dal Tribunale Internazionale di Giustizia de L’Aia. Frattini si è esibito in seguito in un capolavoro di cerchiobottismo: sentenza giusta, ma rimanga caso isolato. Oggi ha affermato che bisogna accelerare il processo di adesione della Serbia alla Unione Europea. Ma perché il governo Berlusconi è diventato filo-serbo? Quali sono i reali interessi del nostro paese in Serbia? Ai posteri l’ardua sentenza (Yes, political, 26/07/2010).

A quanto pare, il nostro ministro degli Esteri ha fatto proprio un bel lavoro. La svolta nei negoziati con Bruxelles è avvenuta proprio oggi:

Boccia boccia il corteo Fiom, Bersani no: il PD nella bufera

Francesco Boccia è il coordinatore delle commissioni economiche del Pd; è stato l’avversario di Vendola alle primarie in Puglia, perdendo, due volte. Boccia oggi aveva da togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Strano prendersela con il corteo Fiom, lui, che dovrebbe essere un dalemiano doc. Si direbbe che un dalemiano debba avere a cuore le sorti della sinistra, soprattutto del sindacato. Dovrebbe certamente non osteggiare la piazza, poiché là solitamente scendono i lavoratori, e allora è utile non metterseli contro, no? Invece oggi scopriamo che Boccia non è più dalemiano, bensì lettiano: strani effetti delle correnti.

Boccia ha avuto qualche prurito sapendo che i lavoratori non sono stati lasciati soli. La manifestazione Fiom è stata appoggiata, da settimane, da intellettuali (girotondini con Flores D’Arcais e il famoso appello di Hack, Camilleri, Don Gallo), da partiti come SeL, IDV, Rifondazione Comunista, ecc. Il PD ha scelto per “l’appoggio esterno”: in piazza vi era Fassina, il responsabile Economia e Lavoro del PD, braccio destro di Bersani. Insomma, Bersani inviando Fassina ha voluto mandare un segnale chiaro a Fiom e alla CGIL. Anche al suo stesso partito. Il PD c’è, anche se non si vede.

Invece Boccia se l’è presa con “gli intellettuali”, quelli con l’auto blu, i politici con la pensione:

Comprendo i deputati ex sindacalisti ma sono nauseato dalle finzioni, di veder sfilare per qualche ora intellettuali che guadagnano milioni di euro l’anno, exdeputati che vivono con il vitalizio e politici che dopo la sfilata e la passerella davanti alle tv tornano a casa con le loro auto blu (AGI – Diritto Oggi).

Solo stamane, Fassina scriveva su L’Unità “aderire no, ma partecipare si”. Riconoscendo che i “movimenti non violenti e democratici sono linfa vitale per un partito di popolo”, Fassina ci spiega che il PD è “il partito fondato sul lavoro”, ma la rincorsa di domande di rappresentanza parziali (l’appoggio a Fiom) indebolirebbe la funzione di proposta generale (l’essere un interlocutore valido per Confindustria una volta che il PD sarà al governo). Il dilemma è risolto con la formula dell’esserci senza farsi vedere. Un PD in borghese, infiltrato fra gli operai, insomma. Però Boccia è infastidito dall’ipocrisia di questi intellettuali e di ex deputati (Ferrero? Diliberto?) con il vitalizio. Certamente uno sfogo comprensibile e condivisibile, se Boccia fosse sceso in piazza, se Boccia avesse fatto veramente le battaglie insieme alla Fiom. Se Boccia si fosse speso sino al midollo per i diritti dei precari. Ma non mi risulta che questo sia avvenuto. Perciò la sua polemica è sterile. Forse che i lavoratori metalmeccanici dovevano scendere in piazza da soli? Meglio isolarli?

Bersani, come la scorsa domenica con Fassino, è dovuto intervenire per correggere – indirettamente –  la dichiarazione di Boccia:

L’unita’ del mondo del lavoro e’ una energia indispensabile per costruire un’alternativa di governo che davvero metta al centro delle politiche economiche l’occupazione che e’ l’assoluta priorita’ per il Paese (AGI News On).

Il richiamo all’unità, dico io, valga anche per il PD.

 

 

Oui, la Gauche! Italia e Francia sindacati in piazza

La crisi non c’è ma in Europa si riempiono le piazze. E’ un Ottobre rosso. In Italia, la manifestazione della Fiom in difesa del Contratto Nazionale, della democrazia e dei diritti dei lavoratori, conta da sola almeno più di cinquecentomila persone. Un corteo infinito, che Piazza S. Giovanni stenta a contenere. In Francia, la manifestazione generale del sindacato contro la riforma delle pensioni voluta dal governo e dal presidente Sarkozy – pensate, si tratta dell’aumento dell’età pensionabile da 60 anni a 62… Si sono così svolte manifestazioni in tutto il paese: Le Monde parla di tre milioni di persone.

foto di Le Monde e La Repubblica

FIOM al No Berlusconi Day 2, nonostante D’Arcais

Un vecchio slogan di Rifondazione che oggi può essere fatto viola e nostro

Da privati cittadini, sottolineano. Ma l’adesione da parte dei segretari nazionali FIOM al No Berlusconi Day 2 organizzato da il Popolo Viola rompe con quella logica settarista che sembrava dover prevalere seguendo le inclinazioni lesionistiche di Flores D’Arcais.

Con queste parole, i segretari FION annunciano l’appoggio al NO B DAY 2. E voi cosa aspettate? In nome della Costituzione Italiana, contro l’abuso di potere di Berlusconi:

E’ necessario e urgente rispondere all’attacco ai diritti civili e sociali in corso in tutta Europa, e che in Italia assume caratteristiche particolarmente odiose e pericolose.

La volontà di cancellare il Contratto nazionale di lavoro e di stravolgere la Legislazione sul lavoro dimostra come si voglia usare la crisi per annullare conquiste ottenute con anni di confronto e di lotta, mentre la regressione in senso autoritario si esprime in tutte le dimensioni: dall’attacco alla Magistratura, alla Libertà di informazione, al Diritto di istruzione, allo Stato sociale.

La mobilitazione più larga possibile è la condizione per dire No all’umiliazione dei diritti dentro e fuori i luoghi di lavoro e per difendere la democrazia.

Per questo il 2 ottobre in qualità di liberi cittadini che vogliono difendere la Costituzione, saremo con voi in piazza a Roma.

Roma, 30 settembre 2010

Maurizio Landini, Segretario generale Fiom

Giorgio Airaudo, Segretario nazionale Fiom

Sergio Bellavita, Segretario nazionale Fiom

Laura Spezia, Segretaria nazionale Fiom

Festa PD: Bonanni contestato, “squadristi”. Ma è crisi delle relazioni industriali

Liberi fischi in libero Stato, scriveva ieri Travaglio nella sua striscia settimanale sul blog di Grillo. Ora dovrebbe coniare un altro detto, del tipo Libero Fumogeno in libero Stato. A questo si è giunti oggi alla Festa PD, durante il dibattito con Bonanni (CISL). La contestazione è scesa a livelli da stadio: c’è stata anche l’invasione di palco.

Bonanni è stato prima accolto dai centri sociali con da fischi, urla e lanci di banconote finte. Quindi, quando è stato raggiunto da un fumogeno che gli ha bruciato il giubbotto senza però ferirlo (La Repubblica.it).

Marchionne comanda e Bonanni obbedisce, uno degli slogan. Tanto per capirci: a ciò si arriva perché manca la politica. Federmeccanica disdetta il CCNL, la Fiom si oppone e minaccia il ricorso a vie legali. Dove è il governo in tutto questo? Le parti sociali hanno oramai aperto il conflitto, la concertazione è solo più un campo di cenere e non c’è più freno all’arroganza. Si potrà mai fermare questa discesa all’inferno del conflitto sociale? Sacconi ha diviso il sindacato. Berlusconi ancora dimentica di nominare il Ministro allo Sviluppo Economico. Il governo con la scadenza abbandona il paese; i lavoratori mai li ha presi in considerazione.

Ma ora gli effetti nefasti della globalizzazione hanno avviato l’Italia verso una infelice deindustrializzazione. Non c’è un solo settore dell’industria a essere salvato dalla concorrenza cinese, dell’est Europa o dell’America Latina. Per un imprenditore non c’è alcuna convenienza a produrre in Italia. Produrre qui da noi costa venti volte che in Cina o in Messico. La globalizzazione ha emesso una condanna per la nostra industria. O si cambia, o si chiude. Lo dicono in molti, anche fra i finiani: serve un nuovo patto fra Capitale e Lavoro. Non già a senso unico, sia chiaro. Il lavoro deve essere rispettato, concedendo aumenti salariali e ribadendo la necessità di combattere la precarietà. Eppure, per poter essere competitivi, le relazioni industriali devono rinnovarsi. A cominciare dalle forme contrattuali, i cui rinnovi costano troppo in termini di contrattazione e ore di sciopero. Aprire le Assise del Lavoro sarebbe una buona idea. Discutere del lavoro è necessario e urgente.

Ecco perciò che un sindacato asservito al governo, come sembra essere quello guidato da Bonanni, non serve a nulla. Bonanni oggi è vittima di un’aggressione verbale. Però è anche arteficie di questa situazione di blocco: lui e Angeletti hanno rotto con CGIL; loro hanno permesso la creazione di un ghetto per il sindacato di sinistra. Un ghetto nel quale rimane ancor più isolata la FIOM. Anziché creare i presupposti di un dialogo che comprendesse anche Epifani e Landini, hanno lavorato per delegittimarli. Questa è la loro grave colpa.

Oggi viene facile gridare ‘squadristi’ a coloro che danno alla loro protesta la forma poco democratica della rivolta. La rivolta è ciò che serve per uscire dai ghetti, se lo ricordino. Invece, a questo paese, servono dialogo e democrazia, a cominciare dalle relazioni industriali. Certamente, al governo non ci tengono a dare il buon esempio. Prendete ad esempio le dichiarazioni di oggi di Bossi a margine della condizione di quasi crisi di governo:

Governo: Bossi, se tecnico portiamo dieci milioni di persone a Roma

Fini: Bossi, ognuno si fa uccidere dall’elettorato come vuole

Ecco, questo lessico trasuda violenza e conflitto. E generalmente il lessico è una anticipazione dell’agire collettivo. Se il lessico politico si fa violento, allora, prima o poi, quella violenza verbale si farà atto compiuto. La storia recente ce lo ha insegnato. Tenete presente ciò che accadde negli anni ’70 in questo paese.

Per concludere, il premio dell’Incoerenza è assegnato a Antonio di Pietro, prima difensore del diritto di fischiare Schifani e ora…

BONANNI CONTESTATO: DI PIETRO, VIOLENZA DANNEGGIA DEMOCRAZIA

Tutti amano Pomigliano

Ora tutti amano Pomigliano d’Arco. Anche quelli che chiedono il voto affermativo degli operai all’accordo-ricatto proposto da Fiat. E’ per il bene delle loro famiglie. E’ per il bene delle famiglie degli operai dell’indotto se viene chiesto questo ‘sacrificio’. D’altronde l’accordo, altrimenti irricevibile, di Pomigliano è stato determinato da “condizioni oggettive”, dice Veltroni. Assenteismo galoppante, produttività fra le più basse, uso spregiudicato del certificato medico: in poche parole, abuso di diritti. E come è potuto avvenire?

Dice Veltroni, e dice il vero: 1.600 permessi per fare i rappresentanti di lista tra gli operai di Pomigliano alle ultime elezioni politiche. Omette di aggiungere che 1.200 richieste portavano la firma del suo partito, il Pd (Claudio Fava – Operai Fiat, il popolo Viola dov’è? – Commenti – l’Unità.it).

Claudio Fava, in una sola riga, scrive l’epitaffio di una classe politica ipocrita. I difensori della legalità di oggi sono gli stessi che utilizzano i gruppi sociali organizzati come bacino di consenso. Gli operai di Pomigliano sono una di queste riserve a cui si attinge a piene mani in prossimità delle elezioni. Anche i disoccupati sono una riserva di voto. Alle ultime Regionali, in Campania, i disoccupati, o perlomeno le organizzazioni che li rappresentano, hanno giocato il medesimo ruolo. Un’inchiesta per RaiNews dei giornalisti Angelo Saso e Maria Pirro si è occupata del ruolo delle ‘liste’ dei disoccupati nel meccanismo del voto di scambio alle Regionali 2010, vinte da Caldoro (PdL):

I disoccupati sarebbero – ormai da un decennio – organizzati in vere e proprie liste con degli iscritti. Il disoccupato paga una cifra settimanale per rimanere iscritto in lista. Viene fatta la manifestazione in prossimità del voto; alla fine,  si fanno gli appelli dei presenti. Ogni lista ‘porta’ dei voti al candidato di riferimento, il quale, se eletto, si impegna a regolarizzare il disoccupato. Presto detta l’equazione: a Pomigliano, i gruppi di pressione scambiano il voto con ‘privilegi’, quali i permessi per fare i rappresentanti di lista o lo scrutatore al seggio, che dall’ultima riforma elettorale viene chiamato in maniera “diretta e nominativa” (ovvero non casuale – legge n. 270 del 2005). Sia detto per inciso: qui non si vuole colpevolizzare i lavoratori di Pomigliano o i disocccupati della Campania. Essi si sono adattati all'”ambiente” in cui vivono. La vera responsabilità è quella dei partiti. E di dirigenti del calibro di Veltroni, che fingono di non vedere.

Il sistema è questo: una vera e propria simbiosi fra partito e bacino votante; il primo riceve il sostegno, poi ‘paga’ il voto con regali personali ai primi della lista, a coloro che si sono spesi maggiormente. La questione morale non è limitata alla ‘cricca’ di Anemone e Balducci, a Propaganda Fide e a Bertolaso: tutto il sistema politico drena consenso attraverso l’approccio corruttivo, e a sua volta rilascia favori o si lascia irretire in una rete clientelare.

Fiat pretende rigore, derogando alle leggi e alla Costituzione, in una regione in cui legge e Costituzione sono quotidianamente calpestate. Fiom grida allo scandalo ma per prima dovrebbe ammettere che l’humus campano è putrescente. Quale la soluzione?

In questa cornice si inserisce la vicenda dei presunti brogli elettorali denunciati da Francesco Barbato, parlamentare di Idv, alle scorse regionali candidato per la lista Noi Sud, che si è visto superare in extremis da tal Raffaele Sentiero, della sua medesima lista. La lista sosteneva la candidatura del presidente Caldoro (tralasciamo di dire della ‘migrazione’ a destra di Barbato, ai tempi del congresso Idv addirittura sostenitore di una mozione contro Di Pietro, in polemica sul sostegno dato da Idv a De Luca). Secondo Barbato, i voti di Sentiero sarebbero lievitati in modo innaturale. Barbato ha denunciato i brogli ed è stato poi ascoltato in Procura, a Torre Annunziata. Dubito che abbia giustizia. Tanto per dire, alla vigilia delle elezioni furono sequestrate cinquemila schede elettorali già votate a Casal di Principe.

Accordo Fiat-Pomigliano, pareri opposti

La vicenda dell’accordo sindacato-Fiat per l’investimento produttivo nello stabilimento di Pomigliano lascia interdetti. Da una parte le ovvie ragioni di una azienda che si accinge, dopo anni di smantellamento, di delocalizzazioni e di denari pubblici, a dirottare 700 mln di euro su uno stabilimento italiano. Fatto più unico che raro. Dall’altra, la posizione di un sindacato che si è messo di traverso, la Fiom, ultimo baluardo contro la politica dell’eccezione e della deroga.
Chi si chiede se le richieste della Fiat siano fuori dell’ordinario. Le risposte che i giuslavoristi delle varie tradizioni ci possono fornire sono contrastanti.
Fiat chiede:

  1. annullamento degli accordi precedentemente presi;
  2. introduzione orario lavorativo con turnazione a ciclo continuo;
  3. incremento delle ore di straordinario dalle 40 previste dal CCNL a 120, in deroga allo stesso CCNL;
  4. introduzione della franchigia dei tre giorni non pagati in caso di astensione dal lavoro per malattia con tasso di assenteismo anomalo, con verifica della condizione affidata a un comitato interno paritetico sindacati-azienda;
  5. clausola di responsabilità, tale per cui ogni attività sindacale – collettiva o individuale – volta a rendere inesegibili le condizioni contrattuali stabilite con questo accordo determinano la immediata risoluzione dell’accordo medesimo.

Secondo Pietro Ichino l’accordo non presenta affatto profili di llegittimità:

  • la franchigia dei tre giorni era prevista dai contratti fino al 1972; quindi fu rimossa, per poi ritornare per alcune tipologia contrattuali (contratti di inserimento e/o formazione) e comunque è comune ormai – purtroppo, aggiungo io – l’introduzione di forme di incentivo per la riduzione delle assenze per malattia sotto forma di “premi di presenza”;
  • nessuna norma legislativa impedisce una deroga al CCNL in tal senso;
  • la clausola di responsabilità è di fatto un patto di tregua sindacale, “che è oggi considerato pacificamente valido e vincolante per il sindacato che lo stipula” (Pietro Ichino); qui però ichino si fa più confuso: “se la proclamazione dello sciopero è illegittima per violazione di un patto di tregua validamente sottoscritto dal sindacato proclamante, debba considerarsi illegittima anche l’adesione del lavoratore a quello sciopero: mi sembra pertanto che anche quest’ultima parte della disposizione proposta debba considerarsi pienamente valida”. Ma una tregua sindacale quanto può durare? Il rinnovo del contratto per la parte salariale avviene con cadenza biennale: è possibile e giusto privare i lavoratori dell’arma dello sciopero anche in questa fase?

Ichino, nella sua dissertazione, cita anche i pareri di Mariucci e Romagnoli sulla clausola di responsabilità:

  • secondo i due, la clausola vincolerebbe soltanto il sindacato stipulante ma non i singoli lavoratori, ovvero la clausola di tregua dovrebbe appartenere alla cosiddetta ‘parte obbligatoria’ del contratto collettivo, “cioè a quella che disciplina i rapporti tra le parti collettive firmatarie del contratto stesso, e non alla cosiddetta ‘parte normativa’, che disciplina i rapporti individuali di lavoro (onde i singoli lavoratori – anche se iscritti al sindacato che ha stipulato la clausola di tregua – sarebbero sempre liberi di aderire a qualsiasi sciopero) – (Pietro Ichino).
  • Ichino contrasta con questa ipotesi, priva del necessario “fondamento testuale nella legge oggi vigente nel nostro Paese” (ibidem).

Diversa la posizione di Tito Boeri, secondo cui l’accordo si occupa di due questioni che normalmente non dovrebbero competere alla contrattazione aziendale:

  • clausola di responsabilità: “il problema non si porrebbe se avessimo una legge sulle rappresentanze che vincola i lavoratori al rispetto degli impegni presi dai loro rappresentanti, liberamente eletti, che rispondono regolarmente del loro operato di fronte ai lavoratori […] se questi rappresentanti non riescono a trovare un accordo tra di loro, saranno i lavoratori a scegliere con gli strumenti della democrazia diretta, mediante un referendum che vincoli poi tutti al rispetto delle volontà della maggioranza”; ergo, è necessario l’intervento del legislatore approvando il ddl Nerozzi in tema di rappresentanza;
  • assenteismo: esiste un problema morale e di infiltrazione criminale, camorristica, che azienda e sindacato dovrebbero insieme combattere;
  • denaro pubblico: eh già, per la ristrutturazione di Pomigliano, Fiat farà ricorso alla Cig (cassa integrazione) per i prossimi due anni; ergo, Pomigliano la pagheremo tutti.

La mia opinione? Il giro di vite di Fiat su Pomigliano è tardivo, perciò colpevole. Perché tollerare per anni l’assenteismo galoppante? Perché non sanare le eventuali infiltrazioni camorristiche denunciate da Tito Boeri? Riportare della produzione in patria è sicuramente un merito. Ma derogare su un diritto costituzionale non è possibile. E’ possibile introdurre strumenti per premiare il merito, ma non è giusto rendere le condizioni lavorative un inferno. Se Fiat non riesce a aver rispetto per i lavoratori di Pomigliano, almeno abbia rispetto per il Lavoro: garantisca i diritti e al contempo faccia rispettare la sua scelta di investire in un paese allo sbando. Poiché alla Politica ora non è possibile chiedere niente.

Il testo completo dell’accordo al link che segue:

  • 8.) Assenteismo
    • Per contrastare forme anomale di assenteismo che si verifichino in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche, quali in via esemplificativa ma non esaustiva, astensioni collettive dal lavoro, manifestazioni esterne, messa in libertà per cause di forza maggiore o per mancanza di forniture, nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia significativamente superiore alla media, viene individuata quale modalità efficace la non copertura retributiva a carico dell’azienda dei periodi di malattia correlati al periodo dell’evento. A tale proposito l’Azienda è disponibile a costituire una commissione paritetica, formata da un componente della RSU per ciascuna delle organizzazioni sindacali interessate e da responsabili aziendali, per esaminare i casi di particolare criticità a cui non applicare quanto sopra previsto.
    • Considerato l’elevato livello di assenteismo che si è in passato verificato nello stabilimento in concomitanza con le tornate elettorali politiche, amministrative e referendum, tale da compromettere la normale effettuazione dell’attività produttiva, lo stabilimento potrà essere chiuso per il tempo necessario e la copertura retributiva sarà effettuata con il ricorso a istituti retributivi collettivi (PAR residui e/o ferie) e l’eventuale recupero della produzione sarà effettuato senza oneri aggiuntivi a carico dell’azienda e secondo le modalità definite.
      Il riconoscimento dei riposi/pagamenti, di cui alla normativa vigente in materia elettorale, sarà effettuato, in tale fattispecie, esclusivamente nei confronti dei presidenti, dei segretari e degli scrutatori di seggio regolarmente nominati e dietro presentazione di regolare certificazione. Saranno altresì individuate, a livello di stabilimento, le modalità per un’equilibrata gestione dei permessi retribuiti di legge e/o contratto nell’arco della settimana lavorativa.
    13) Clausola di responsabilità
    • Tutti i punti di questo documento costituiscono un insieme integrato, sicché tutte le sue clausole sono correlate ed inscindibili tra loro, con la conseguenza che il mancato rispetto degli impegni eventualmente assunti dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU ovvero comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate per la realizzazione del Piano e i conseguenti diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti all’Azienda dal presente accordo, posti in essere dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU, anche a livello di singoli componenti, libera l’Azienda dagli obblighi derivanti dalla eventuale intesa nonché da quelli derivanti dal CCNL Metalmeccanici in materia di:
    • -contributi sindacali
    • -permessi sindacali retribuiti di 24 ore al trimestre per i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali delle Organizzazioni Sindacali ed esonera l’Azienda dal riconoscimento e conseguente applicazione delle condizioni di miglior favore rispetto al CCNL Metalmeccanici contenute negli accordi aziendali in materia di permessi sindacali aggiuntivi oltre le ore previste dalla legge 300/70 per i componenti della RSU -riconoscimento della figura di esperto sindacale e relativi permessi sindacali.
    • Inoltre comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le presenti clausole ovvero a rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti da esso all’Azienda, facendo venir meno l’interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale ed inficiando lo spirito che lo anima, producono per l’Azienda gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente punto.

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Fiom, l’ultimo baluardo

Possiamo discutere all’infinito sulle condizioni lavorative degli operai di Pomigliano d’Arco, che sinora sono stati dispensati dal ciclo continuo e hanno goduto di un regime particolarmente poco severo in termini di malattia e pausa pranzo. Condizioni privilegiate che ora la Fiat vuole togliere. L’accordo che Marchionne intende far approvare ai lavoratori contiene regole che in altre parti del paese sono la quotidianità. Tutto ciò, viene spiegato, è dovuto a esigenze di competitività. Altrimenti si delocalizza, in Serbia o in Polonia.

Ma la serie di deroghe al contratto nazionale pare alquanto strana. Il contratto nazionale prevede già la turnazione e le quaranta ore di straordinario come richieste da Fiat. Perché derogare? Che necessità altra nasconde questa norma? Soprattutto Fiat chiede di derogare a un diritto non già del lavoratore ma dell’individuo: il diritto di sciopero. La motivazione? C’è chi ne abusa. Si deve garantire il giusto livello di produttività. In che modo? Cancellando un diritto costituzionale. E’ legittimo un accordo del genere? Può un ministro del Welfare avallare una intesa palesemente in contrasto con la legge fondamentale del nostro paese? Non si pone esso stesso, il Ministro, sul medesimo piano di illegalità?

Ecco, allora Fiom fa bene a opporsi. Fiom è ora l’ultimo baluardo della legalità in questo paese. Adesso che persino Fiat vuole sfociare nell’eversione, ora che il governo non ha più maschere e si è palesato come il governo della menzogna e dell’illegalismo diffuso, Fiom ha il diritto-dovere di opporsi. Non già per difendere il privilegio, né l’abuso del diritto, ma per salvaguardare la cornice della legalità contro chi vuole il Far-West del predominio del potere costituito. Se Tremonti parla di ‘Economia Sociale di Mercato’, parla a vanvera. In questo paese il conflitto sociale è anestetizzato. Il sindacato è per due terzi cooptato dal governo. Di che si preoccupano? I rialzi salariali sono stati costantemente sotto il tasso inflattivo per quindici anni. In questi giorni è un fiorire di notizie che parlano di crescita delle buste paga (?). Si è marginalizzato con manodopera precaria e a bassa qualificazione. Il dualismo del mercato del lavoro è ben lungi dall’essere risolto. La crisi viene pagata dai precari. La disoccupazione giovanile è pari al 30%. Perché l’ennesimo attacco al diritto?

R.: qualcuno ipotizza che sia soltanto un pretesto. Nei piani Fiat, Pomigliano è già chiusa, delocalizzata in Polonia. Serviva una testa da servire al tavolo del governo e Fiom, l’ultimo baluardo, è caduta nel cesto.

Altre forme di lotta. La democrazia diretta degli operai Innse.

Ieri lo sconfortante articolo di Concita Di Gregorio in "Conversardo con Nadia Urbinati", che incitava alla ribellione come in Iran e come in Birmania, ma che fondamentalmente raffigurava questo paese ormai consegnato alla anomia catodica, alla dispersione atomizzata di individui incapaci di tematizzarsi parte di una collettività e intenti solo a consumare immagini distorte della realtà.
Oggi la rinata prospettiva di un ritorno dal basso della lotta come forma di condivisione, di unione, di discussione e deliberazione, insomma di democrazia, fornitaci dal gruppo di operai resistenti della Innse.
In fondo, non tutto è perduto. Laddove le persone ritrovano l’unità, nella modalità di auto rappresentarsi, impiegando anche forme estreme – ma mai violente – di protesta, allora ecco che si sconfigge l’indifferenza del bieco interesse affaristico economico politico.
Si può cambiare questo paese. Basterebbe smettere di accettare passivamente. Basterebbe decidere di partecipare.

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    • Il nucleo operaio dell’Innse, ai cancelli e sul carro ponte, non ha vinto solo per sé e manda un messaggio all’insieme del mondo del lavoro e a una parte di società sconfitta ma non pacificata: si può cambiare lo stato di cose presenti, e si può fare insieme. Persino nella latitanza – quando non ostilità – di gran parte della politica.
    • Hanno bucato il video senza però farsi fagocitare dalla prepotenza mediatica. Non hanno accettato l’accordo all’ora giusta per apparire sul Tg3, hanno preteso di discutere punto per punto la bozza portata dai sindacalisti, hanno fatto notte, hanno «imposto» ai loro rappresentanti di tornare alla trattativa con un mandato: migliorare due o tre punti contestati dell’accordo. Con le armi dell’unità, della lotta e della democrazia, hanno vinto.
    • un pezzo di territorio milanese aggredito da una speculazione edilizia che tutto rade al suolo al suo passaggio, storie, vite, culture, disegnando un futuro senz’anima e senza solidarietà.
    • la vittoria degli operai dell’Innse insegna
    • con gesti tradizionali e con gesti radicali, sempre con scelte generose, collettive, coinvolgenti
    • E’ giusto interrogarsi sulle forme di lotta, sulla spontaneità, sulla radicalità del conflitto, in una stagione in cui la violenza della crisi talvolta spunta la lancia dello sciopero
    • Più urgente sarebbe però interrogarsi sul lavoro e la sua rappresentanza e sulla scomparsa dell’uno e dell’altra dall’agenda dell’«opposizione» parlamentare.
    • Un’opposizione che oggi è capace solo di chiedere alla Cgil di rientrare nei ranghi, firmare accordi indecenti con padroni e governo, diventare finalmente un sindacato complice
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    • Sono stati costretti ad una forma di protesta dura e pericolosa ma alla fine hanno avuto ragione. Molti li hanno derisi e hanno avuto torto: Innse era un’azienda che aveva un futuro.
    • è stata una bella pagina di lotta operaia
    • Si temeva che in Italia accadesse quello che è accaduto in Francia, invece questa forma di lotta è assolutamente pacifica, semmai il rischio lo corrono solo i lavoratori.
    • Certo ci può essere la tentazione ad emulare e quando vedo lavoratori esposti ad un rischio non si può che essere in grande apprensione. Ma gli imprenditori devono avere un maggior senso di responsabilità, non bisogna costringere i lavoratori a queste forme estreme. Non bisogna fare speculazioni sulle aree, bisogna avere un senso alto del dovere dell’imprenditore e della sua responsabilità sociale".

    • Le atmosfere che emergono da questa vicenda ricordano un film di Ken Loach, dalla protesta esemplare, alla desertificazione industriale, al declino della classe operaia.
    • c’è il rischio che la crisi internazionale sia l’occasione per ristrutturazioni ingiustificate o azioni speculative da parte delle imprese.
    • La Lega non ha detto un parola per difendere l’occupazione a Milano: divide il paese e non è così che si difendono i più deboli e si danno risposte giuste ai più forti
    • Il governo ha fatto poco anche in questa crisi della Innse
    • Sull’Innse non esce bene la Regione, e sono stati assenti anche gli altri enti locali.
  • C’è però un punto da tenere presente. Un operaio della Innse, dialogando a Radio Popolare con i compagni della Cim, ha detto che "il vecchio tipo di lotta, lo sciopero, non funziona più. Bisogna utilizzare altre forme di lotta". Per quanto riguarda le grandi vertenze contrattuali, è probabile che al momento la sua previsione sia sbagliata. Ma per molte questioni che hanno a che fare con gli innumeri marchingegni usualmente messi in opera al fine ultimo di tagliare l’occupazione, dalla cessione di rami d’impresa alle fusioni e acquisizioni i quali hanno come risultato che due più due fa sempre tre, è possibile invece che abbia ragione. Nessuno vorrebbe rivedere operai che rischiano la vita restando per giorni interi su strutture alte trenta o quaranta metri. Però bisogna riconoscere che la loro protesta, in questi casi, non ha danneggiato nessun soggetto terzo, ha inciso in misura minima sul reddito dei lavoratori interessati, e neppure ha recato alcuna menomazione agli impianti. Ed ha avuto un rapido successo. In altre parole, è stata una protesta ben inventata quanto efficace. Poiché la crisi delle imprese piccole e medie sarà indubbiamente lunga e severa, e i mezzi per scaricarne i costi anzitutto sui lavoratori sono soprattutto nelle mani della proprietà e delle direzioni, v’è da prevedere, se non anzi da augurarsi nell’interesse generale, che altre forme di protesta parimenti ben concepite – di tipo non-sciopero, e meglio se meno rischiose – emergeranno nel prossimo autunno.

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    • Tutto avviene nel silenzio. C’è un’idea diffusa di impotenza, di rassegnazione. Alla politica si è sostituito il potere. La gestione delle cose, gli affari privati. Tutto è ormai una faccenda privata: di scambi, di soldi, di favori.
    • Tutto avviene nel silenzio. C’è un’idea diffusa di impotenza, di rassegnazione. Alla politica si è sostituito il potere. La gestione delle cose, gli affari privati. Tutto è ormai una faccenda privata: di scambi, di soldi, di favori. Dove sono i cittadini, in questo paese? Dove sono le donne?
    • In tutto il mondo le donne sono in piazza. Alla sbarra a Teheran, massacrate in Iran, prigioniere in Birmania. Volti femminili che diventano icone della protesta.
    • Qui, in questa nostra democrazia in declino, di donne si parla per dire delle escort
    • Nadia Urbinati, docente di Teoria politica alla Columbia university. «Avrei voluto far qualcosa, in questi mesi estivi che passo in Italia, ma mi si dice che si deve aspettare l’autunno. Non capisco come mai. Non vedo che altro ci sia da aspettare.
    • Le vittorie di Berlusconi appaiono ormai la conseguenza e non la causa dell’indebolimento della presenza attiva dei cittadini nella vita pubblica.
    • C’è, da parte delle persone attorno a noi, una specie di accettazione. Il senso dell’inutilità dell’agire collettivo. Non serve, si dice. Non produce effetti.
    • Ci hanno ingannati, in questi anni, illudendoci che si potesse partecipare stando a casa: davanti allo schermo di una tv, in un blog al computer. Soli davanti al video. È nato un pubblico che si cela al pubblico. Impotente, rassegnato. Si è fatta strada un’idea maggioritarista: quella che dice che chi vince ha ragione per definizione, in quanto vincitore.
    • È un’idea che non prevede il dissenso.
    • Il dissenso infastidisce, non se ne comprende il valore né l’utilità, non si tollera. La voce dell’opposizione è una voce che disturba.
    • L’opposizione d’altra parte non fa che riconoscere la forza dell’avversario
    • Manca un partito capace di parlare con voce forte e chiara. Negli ultimi tre mesi l’Unità e la Repubblica hanno avuto la capacità di far infuriare il tiranno, l’opposizione no.
    • Persa nella sua battaglia interna, persa nell’incapacità di parlare con le parole della politica.
    • Ho sentito Prodi dire: Berlusconi è il vuoto. Putroppo no, non è vuoto, è pieno di linguaggio e di azione. È l’opposizione a non avere linguaggio ed azione
    • Quel che fa questo governo non è ridicolo, non è schifoso come ho sentito dire dai leader negli ultimi giorni. È tragico.
    • Le gabbie salariali sono la rottura di un patto di solidarietà e giustizia tra i cittadini, un piede di porco capace di smembrare il paese. Le ronde sono un pericolo gravissimo, oltre ad essere un modo subdolo per distribuire finanziamenti pubblici.
    • Siamo orfani di politica. Il potere ha preso il suo posto: chi lo detiene lo usa attraverso mezzi privati, conti in banca, soldi, scambi di favori. Berlusconi durerà. Tutto questo non finirà con lui. Questo governo non è Berlusconi, è la visione organica della società che lui rappresenta.
    • Abbiamo imparato a giustificare sempre tutto. Ci sarebbe bisogno di avere una visione morale della politica, invece. Non c’è.
    • anche se non penalmente perseguibili certi atteggiamenti sono moralmente turpi. Bisogna dirlo, ripeterlo, cercare ascolto, pretendere risposta.
    • Dopo anni di partecipazione si è spenta nella mente del cittadini la dimensione pubblica. La democrazia si è fatta docile e apatica.
    • l’Italia non ha più nulla da dire, resta solo un esempio interessante da studiare sul declino della democrazia.
    • Le generazioni del femminismo si sono scollate. Le ragazze che vanno a palazzo Grazioli dal bagno del tiranno telefonano alla madre, contente. Le loro madri hanno la nostra età. Cosa è successo tra quelle madri e queste figlie, tra noi e loro?
    • Le grandi personalità si sono ritirate a scrivere le memorie degli anni d’oro, quasi a rivendicare un’autorità su e insieme un’estraneità da questo tempo. Io l’avevo detto, io l’avevo scritto.
    • non c’è più la capacità di mettere in comune le esperienze, tessere una trama, rinunciare a qualcosa di proprio per l’agire collettivo
    • Tutti che chiedono rivendicano protestano e si lagnano, tutti che pongono problemi e nessuno che offra soluzioni
    • Quello che dà fastidio, poi, è questo continuo lamento
    • Lamentarsi è facile e non costa nulla, invece proporre una soluzione significa assumere una responsabilità, pagare il prezzo di una decisione
    • Lamentarsi, risentirsi, portare rancore: anche queste sono forme private di agire. La dimensione pubblica – quella di chi si attrezza ad unire le forze e costruire gli strumenti per cambiare le cose, insieme – è svanita.
    • Tutto per loro è privato, totalmente privato. Bisogna ripartire da capo. Dalle cose essenziali. Lanciare un appello, per esempio, alcune donne si preparano a farlo: lanciare appelli non è un modo vecchio di agire. È nuovo, oggi. È di nuovo nuovo. Non essere docili, ripartiamo da qui

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