Belmokhtar, il Guercio che visse due volte

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L’attacco terroristico contro lo stabilimento Areva, gruppo francese che produce reattori nucleari, ad Arlit in Niger e il susseguente attacco contro una caserma ad Agadez, avvenuti giovedì scorso 23 Maggio, portano la firma di Mujao, il Movimento per l’Unicità e la Jihad nell’Africa Occidentale, responsabile del massacro di In Amenas, in Algeria, sede di uno stabilimento della British Petroleum. Il gruppo era stato decapitato durante la guerra francese in Mali, qualche mese fa, quando la tv di stato ciadiana avevano dichiarato morto, in conseguenza di un raid dell’esercito del Ciad impegnato a fianco dei francesi, il leader jihadista Mokhtar Belmokhtar, detto il Guercio. Ma Mokhtar Belmokhtar (in alto, una delle rare foto), è stato dichiarato in questi giorni, è ancora vivo.

Belmokhtar è una sorta di figura leggendaria del deserto, un terrorista spietato, reduce dalla guerra dei mujaheddin in Afghanistan e dalla guerra della GIA (Gruppo Armato Islamico) in Algeria. Ha fatto parte di Al qaeda nel Maghreb Islamico, il dominus dell’area del Sahel, per poi separarsi da esso e costituire una propria brigata, chiama al-Mua’qi’oon Biddam, letteralmente “Brigata dei Marchiati con il Sangue”.

BBC News ha riportato le dichiarazioni di Alakhbar El-Hassen Ould Khalil, esponente di al-Mua’qi’oon Biddam, secondo cui gli attacchi ad Arlit e Agadez (venti morti in tutto), condotto con la tecnica dei suicidi a bordo di camion bomba, sono stati supervisionati dal Guercio. I Marchiati col Sangue sono tuttora il gruppo ristretto che ruota attorno a Belmokhtar e costituiscono l’asse portante di Mujao. Il loro raggio d’azione si è spostato nell’area nebulosa del Sahel fra Niger e il sud della Libia. Proprio in Libia, l’Unione Europea ha inviato una missione civile – Eubam Lybia – per il pattugliamento delle frontiere, un colabrodo che rischia di alimentare la spirale terroristica alle porte degli stabilimenti petroliferi Exxon e BP in Cirenaica.

Il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, ha dichiarato ieri che i terroristi di Agadez e Arlit presto torneranno a colpire. Si muovono velocemente, indisturbati, nel deserto. Attaccano i paesi collaborazionisti della guerra francese in Mali, e naturalmente gli interessi francesi. Presto verrà attaccato il Ciad, ha detto Issoufou. E i terroristi si muoveranno sempre dalla Libia. Dichiarazioni che hanno causato l’irritazione del Primo Ministro libico, Ali Zeidan, in visita a Bruxelles: “voci prive di fondamento e non corrispondenti alla realtà”. Secondo Issoufou, la causa dell’instabilità del Sahel è stata la guerra contro Gheddafi nel 2011 e per riportare l’ordine bisogna ripartire proprio da Tripoli, il cui confine verso il deserto è una porta girevole. Laggiù, nel profondo deserto libico, si sono riorganizzati i gruppi qaedisti che l’attacco francese ha solo scacciato più in là: il Sahel è troppo vasto per essere controllato da un contingente militare così ridotto. La Francia in Mali ha inviato non più di seicento uomini, la restante parte è stata fornita dai membri Ecowas, specie dal Ciad e dal Niger, i cui governi tendono a proteggere gli investimenti industriali francesi.

Intanto il Mali andrà alle urne, il prossimo 28 Luglio dovrebbe già essere in grado di svolgere il primo turno delle elezioni presidenziali. Tutto ciò mentre il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, ha avviato i negoziati con i gruppi tuareg che occupano ancora la città di Kidal.

In Francia il Matrimonio è per tutti

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La nuova legge che estende il matrimonio a tutti, e quindi alle coppie omoosessuali, dovrà ancora passare il vaglio del Consiglio Costituzionale. Il provvedimento è stato approvato dall’Assemblea Nazionale oggi pomeriggio, alle ore 17 05, con 331 voti favorevoli e 225 contrari. Naturalmente è una legge che divide l’opinione pubblica, così come ha diviso il parlamento francese. Il dibattito è stato tra i più accesi. Appena saputo l’esito del voto, i deputati socialisti, comunisti e verdi si sono alzati come un sol uomo a cantare “égalité, égalité”. Nei loggioni aperti al pubblico, che si aprono su due livelli, vi era frigida Looney , il leader anti-matrimonio gay, che aveva assistito alle dichiarazioni di voto in religioso silenzio, rivelano le cronache parlamentari de Le Figaro. Dall’altro lato della Camera, tre visitatori avversari al matrimonio gay invece hanno cercato di mostrare uno striscione su cui era scritto la parola “referendum”, che è una delle rivendicazioni degli oppositori al testo, specie dell’Ump, il partito di Sarkozy. Allora si è innescata un po’ di bagarre, i due protestanti sono stati fatti uscire e un deputato della Gauche alza il braccio esibendo una V di vittoria.

E’ un giorno storico per l’Assemblea Nazionale. C’è anche il primo ministro Jean-Marc Ayrault. Una volta visto l’esito favorevole, si è alzato ed ha abbracciato il ministro della Giustizia, Christiane Taubira, che a sua volta viene applaudita fragorosamente dai banchi della sinistra. Ci sono altri nove ministri seduti al banco del governo e circondano festanti il ministro della Giustizia. Quando Christiane Taubira si è detta commossa per lo storico voto, tutto l’UMP ha lasciato la Camera. Faranno una durissima opposizione nelle piazze, ora, quelli dell’Ump. Depositeranno il ricorso alla Corte Costituzionale. Faranno campagna per il referendum.

Le Monde, diversamente da Le Figaro, non apre sullo storico voto ma direttamente sui contenuti del ricorso Ump. E’ scritto che in ogni caso, la ‘censura’ totale del testo è impossibile. Jean-Louis Debré, il presidente della Corte, si è già espresso sul merito lo scorso gennaio: “il profilo del matrimonio, è il Parlamento a definirlo […] E responsabilità del Parlamento, non può far parte della giurisdizione del Consiglio costituzionale”. Secondo Debré, la Corte non può sostituirsi al Parlamento nell’interpretare il cambiamento sociale (il che suggerisce l’esistenza di un confine netto fra potere legislativo e potere giudiziario, cosa a cui in Italia non siamo tanto abituati).

Secondo l’Ump, invece, esisterebbe alcuni profili di incostituzionalità. In primis la mancanza di chiara lavori preparatori: non sono stati sentite le cosiddette parti sociali, e qui si intendono in special modo i leader religiosi.

In secondo luogo, il provvedimento sul matrimonio per tutti sarebbe in conflitto con le norme del diritto pubblico internazionale, specie le Convenzioni sui diritti del bambino.

Ci sarebbe inoltre un problema di sproporzione, poiché il matrimonio è principio fondamentale riconosciuto dalla Costituzione della Repubblica e ciò non può essere modificato da una legge semplice. Inoltre, data “l’ampiezza” della legge, si dovrebbe in ogni caso ricorrere al referendum.

Il ‘matrimonio per tutti’ estende il diritto di filiazione anche alle coppie omosessuali, ma per l’Ump ciò violerebbe insieme il principio del diritto al rispetto della vita privata familiare, il principio della dignità umana e l’uguaglianza degli individui, tutti i principi fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica.

Infine, sono state messe in discussione le regole per il passaggio del nome di famiglia: l’Assemblea ha di fatto cambiato le regole dell’assegnazione dei nomi, fatto che ha dato luogo a molte polemiche tra destra e sinistra. In sintesi: un articolo della legge prevede che in caso di disaccordo tra i genitori o di non-scelta, sarà dato al bambino il nome di ogni genitore. In ordine alfabetico.

Mali, i francesi stanno per prendere Timbuctu

Lo scrive The Guardian dopo che ieri sera tardi i militari francesi hanno annunciato di aver raggiunto e liberato la città di Gao, sede di un importante aeroporto internazionale. Sarebbero appena 600 i militari francesi alla testa di una truppa composta da maliani, ciadiani e nigeriani. Timbuctu, insieme a Gao e Kidal, è una delle città più importanti del Sahel cadute sotto il controllo degli jihadisti. Questi ultimi non sembrano poter opporre una grande resistenza e sembrano sul punto di trattare la liberazione di un ostaggio francese, Gilberto Rodriguez Leal, rapito lo scorso Novembre nell’ovest del Mali.

Soldati francesi in Mali (www.saharamedias.net)

Soldati francesi in Mali (www.saharamedias.net)

Ripercorri la storia della guerra nel Mali del Nord, dalla insurrezione di MNLA al caos di Bamako, alla distruzione dei monumenti di Timbuctu, alle bombe francesi.

Mali, la lunga guerra francese del caos

Lawrence Freeman è editorialista della rivista Executive Intelligence Review, edita dalla casa editrice di proprietà di un senatore democratico americano, tale Lyndon LaRouche (un signore che, fra l’altro, ha fondato il Partito Laburista americano). Freeman è specializzato in questioni socio-politiche africane ed è spesso intervistato sui siti esteri per commentare la politica occidentale in Africa.

Sul Mali, Freeman ha le idee chiare: la guerra della Francia sarà lunga, volutamente lunga, e non ha un obiettivo preciso. Alcune di queste sue considerazioni sono state raccolte dal sito Press Tv. Secondo il giornalista americano, la guerra è un disegno francese e inglese:

Le dichiarazioni del governo francese mostrano che non stanno in realtà pensando affatto agli interessi dei Mali o una qualsiasi delle nazioni africane. Cioè è entrata in quello che ci si poteva aspettare – io l’ho fatto io – e verrà trasformata in una guerra a lungo termine usando un asimmetrico conflitto di qualche gruppo di insorti e ribelli e non è qualcosa che può essere vinto.

E’ un disegno politico che ha le sue origini nell’occupazione da parte di Francia e Gran Bretagna della Primavera Araba per tramite del conflitto libico e della uccisione di Gheddafi.  Quella guerra ha contribuito a innescare le attività dei ribelli tuareg e dei jihadisti, soprattutto delle cellule di al-Qaeda. L’assassinio dell’ambasciatore americano Christopher Stephens deve essere inquadrato in questa escalation. Alcune reti di al-Qaeda erano state coinvolte nel rovesciamento del Rais e dopo la guerra queste si sono rivoltate contro gli americani. Probabilmente i francesi stanno operando nell’area anche per difendere gli interessi delle proprie corporations, in primis di AREVA, che estrae uranio nella valle del Niger. Freeman parla più in steso di élite finanziarie della city di Londra che è al collasso e sta cercando comunque di controllare il Medio Oriente (la Siria) e il Nord Africa tramite le proprie guerre destabilizzanti, tramite le guerre del caos. Questo è un nuovo fronte della guerra commerciale con Russia e Cina. “Il Nord Africa sta andando in fiamme e potremmo essere sull’orlo di una guerra fra superpotenze”, il risultato della politica di Cameron e Sarkozy e Obama.

Il conflitto intanto si sta orientando verso l’Algeria. La Spagna ha suggerito ai suoi connazionali presenti nel paese di dirigersi verso il confine con la Mauritania. C’è un rischio elevato di essere soggetti a sequestri di persona. I ministri degli esteri di Spagna, Portogallo, Francia e Marocco si incontreranno a Rabat per discutere della stabilità dell’area. Spagna e Portogallo temono di esser coinvolte in emergenze umanitarie e in fughe di profughi dall’Algeria e dal Marocco.

Mali: Francia, USA e Regno Unito preparano la guerra contro Al Qaeda

Sarà una nuova guerra contro il Terrore qaedista, almeno nella retorica giornalistica occidentale. La Francia si è messa alla guida della diplomazia occidentale e sta preparando una bozza di risoluzione da sottoporre al Consiglio di Sicurezza dell’Onu entro il 15 di Ottobre. Ma Parigi si sta organizzando in proprio ed ha già disposto forze speciali nel nord del paese oltre ad aver pre-allertato le proprie basi presenti in Burkina Faso e Costa d’Avorio. Indiscrezioni della stampa locale, maliana e mauritana, rivelano che almeno due elicotteri francesi sarebbero atterrati a Ouagadougou, capitale burkinabè.

Johnny Carson, capo della divisione Africa del Dipartimento di Stato USA, ha detto che gli Stati Uniti sono disponibili a sostenere un intervento militare nel nord del Mali purché “ben preparato” e condotto sotto l’egida delle Nazioni Unite dall’esercito del Mali con il sostegno di tutti i paesi della regione, compresi la Mauritania e l’Algeria. Nella proposta di Carson, l’ECOWAS deve avere ruolo fondamentale di raccordo e coordinamento. Non è chiaro se gli USA intendano partecipare all’intervento mediante il dispiegamento di forze di terra o di aria. Il capo del governo provvisorio di Bamako, Diarra, ha chiesto sabato ai paesi occidentali di intervenire al più presto nel Sahel mandando forze armate e aerei. Francia e Germania hanno risposto affermativamente, ma la Francia ha precisato ipocritamente che non manderà truppe di terra quando invece, secondo Le Figaro, ha già provveduto a dispiegare truppe speciali nel nord del paese. Una delle possibili ragioni della presenza di queste unità d’avanguardia potrebbe essere legata all’aggravarsi della situazione degli ostaggi francesi in mano ad AQMI. E’ stato inviato nuovamente un messaggio registrato alla testata online Sahara Media, un video in cui i quattro ostaggi pregano il presidente francese Hollande di fare quanto richiesto dai rapitori per ottenere la loro liberazione.

Ma la Francia non è interessata al Mali per la sola questione dei rapimenti. In ballo c’è l’egemonia francese dell’area e il contrasto all‘influenza economica cinese mediante una strategia di occupazione che collide con il Beijing Consensus (per approfondire si legga A. Gallia, 2010, citato nel link precedente; di fatto il Beijing consensus tende a promuovere l’integrità sovrana degli stati africani laddove il Washington consensus tende a sostituirla).

la Francia, già da tempo, sta pianificando l’intervento armato nel nord per rafforzare la propria supremazia nell’Africa sub-sahariana. La concorrenza, in quella zona, è infatti molto alta. Parigi, come del resto Washington, sta cercando di arrestare l’espansione economica della Cina in Africa. La guerra in Costa d’Avorio e in Libia rientra in questo contesto. In un’intervista a Jeune Afrique, il ministro dell’Economia e della Finanza, Pierre Moscovici, ha detto ieri che “la Francia non ha paura di Pechino” (Rinascita).

Le terre rare sono l’elemento nascosto di questo nuovo conflitto. Tanto che il presidente di un paese come l’Australia ha inviato una delegazione in Mauritania per discutere di interessi comuni quali “l’agricoltura e il settore minerario“. Durante l’incontro, l’inviato speciale Lowell Williams ha speso alcune parole su un possibile intervento militare in Mali. Su Saharasmedia.net è comparsa, a corredo di questo commento, una infografica che spiega grosso modo come si procederà con l’intervento militare:

Il confronto avverrà presumibilmente a sud, mentre verso nord agiranno le unità speciali e i cacciabombardieri francesi. Il governo di Bamako ha intanto assegnato al generale golpista Amadou Haya Sanogo la presidenza della commissione di riforma dell’esercito maliano. Il Comitato ha in particolare il compito di “partecipare alla supervisione delle operazioni militari e di contribuire allo sviluppo di un piano di formazione della difesa e delle forze di sicurezza in un’ottica di rafforzamento della capacità operativa” dell’esercito. La notizia ha dell’incredibile, se si pensa che Sanogo è stato per molti mesi capo provvisorio del governo di Bamako, dopo aver organizzato il golpe militare dello scorso 22 Marzo, e fonte di instabilità politica.

 

BCE, al l via il piano Monetary Outright Transaction – il “salva spread”

International Monetary Fund's Managing Directo...

International Monetary Fund’s Managing Director Dominique Strauss-Kahn (L) talks with , European Central Bank President Jean-Claude Trichet (C) and Italy’s Governor Mario Draghi (R) prior to the start of their G-7 meeting at the Istanbul Congress Center (Photo credit: Wikipedia)

Dal palazzo della BCE in queste ore è tutto un proliferare di indiscrezioni sul nuovo Quantitative Easing di Mario Draghi. Il Financial Times riporta che il piano, avente il nome molto tecnico e un po’ sinistro di “Transazioni monetarie definitive” (MOT), sarà rivelato Giovedì dopo la riunione del Board. L’intervento è stato largamente sponsorizzato da diverse corporations di Francia, Italia e Spagna, oltre che dai relativi governi. Sembra che questa insolita unione di pubblico e privato abbia momentaneamente piegato la resistenza dei falchi della Buba, alias la Bundesbank, “custode della dottrina della stabilità dei prezzi”.

“Il denaro fuoriuscito dai paesi periferici ha causato una disfunzione del sistema monetario, che non è qualcosa che una banca centrale può permettere.”, ha detto Ewen Cameron Watt,  gestore senior dei fondi BlackRock. Il rischio più grande è che i paesi che beneficeranno degli aiuti della BCE rinneghino i propri impegni in materia di risanamento dei bilanci pubblici. Non è ancora chiaro come Mario Draghi intenda evitare questa eventualità. Draghi sembra anche non intenzionato a rivelare in pubblico gli eventuali limiti oltre i quali la BCE potrà intervenire. Potrebbe innescarsi una perversa speculazione da parte dei mercati, i quali saranno quindi motivati a cercare questo limite, gettandosi pancia a terra sul bund tedesco e vendendo titoli italiani o spagnoli. Il programma si concentrerà sull’acquisto di debito sul mercato secondario con una scadenza fino a circa tre anni e gli acquisti saranno “sterilizzati” per mantenere un effetto neutro sulla massa monetaria. Questa neutralizzazione avverrà con vendita di valuta estera, molto probabilmente dollari e sterline, rastrellando sul mercato tanti euro quanti ne saranno emessi con il programma MOT.

Continua a leggere su http://www.ft.com/intl/cms/s/0/1966ebe8-f77b-11e1-ba54-00144feabdc0.html#axzz25cllFlMo

Crisi, la Francia in soccorso della banca Crédit immobilier de France

Forse il contagio si sta propagando alla Francia. La crisi dell’Euro si muove come una lenta colata lavica e rischia di superare velocemente i Pirenei. La notizia proviene dal giornale francese Le Figaro secondo il quale l’istituto Crédit immobilier de France sarebbe in procinto di essere salvato dalla garanzia statale. Il gruppo CIF è stato di recente declassato dall’agenzia di valutazione finanziaria Moody’s, passando da “A1” ad “Baa1”. Un terremoto che ha comportato le dimissioni del suo amministratore delegato, a cui è succeduto un certo Bernard Sevez.

“Per consentire al gruppo CIF di rispettare tutti gli impegni, il governo ha deciso di rispondere positivamente alla sua richiesta di concedere la garanzia”, ​​ha detto ieri il ministero dell’Economia. Tale garanzia sarà attuata previa approvazione della Commissione europea e del Parlamento nazionale, esattamente come accaduto per la concessione delle garanzie statali a Dexia, poiché la garanzia vede essere valutata ai sensi della normativa europea in materia di aiuti di Stato.

Il governo francese ha deciso di sostenere CIF, che è un istituto centenario, per evitare il panico su quello che è attualmente un grande emittente di credito in Francia. Perché se il CIF è una rete di filiali di piccole dimensioni (conta infatti circa 300 filiali), più di 30 miliardi di euro in prestiti portano la sua firma. Tuttavia, anche a causa del downgrade da parte di Moody, l’istituto si stava avviando rapidamente verso una crisi di liquidità. Venerdì sera, il consiglio di amministrazione di CIF ha tratto le conseguenze ed ha nominato Seve3z nuovo CEO. Il governo aveva appunto posto come precondizione necessaria il fatto di silurare l’ex chief executive, Claude Sadoun. Sevez è di fatto una nomina governativa e questo la dice lunga sul peso che ha ora lo Stato francese in CIF. CIF inoltre non può più prendere decisioni sui propri assets senza il preventivo parere governativo. In altre parole, CIF è stata nazionalizzata anche se i giornali francesi parlano piuttosto di uno scenario Dexia, ovvero l’istituto sarà solo temporaneamente mantenuto sotto la soggezione governativa e poi, una volta applicato il piano di risanamento che la stessa proprietà di CIF dovrà presentare a Bruxelles, tornerà ad avere piena autonomia.

In ogni caso, la crisi di CIF costituisce un grosso problema per il credito al mercato immobiliare francese. Che ora si trova in uno stato di choc.

In Mali gli islamisti di Ansar Dine pronti a trattare con ECOWAS

La situazione in Mali si è ulteriormente modificata in una modalità poco prevedibile e che ha visto il gruppo islamico jihadista di Ansar Dine, capeggiato da Iyad Ag Ghali, accettare la mediazione del Burkina Faso ed aprire ad una trattativa sul destino del nord del paese che da Aprile è separato dalla capitale Bamako in seguito alla insurrezione Tuareg del MNLA.

L’ECOWAS, sorta di comunità economica africana, ha raggruppato circa 3000 uomini ai confini, in attesa di un mandato Onu, ma il Consiglio di Sicurezza è poco interessato alla vicenda e soprattutto non intende avallare il piano francese di un attacco contro i rivoltosi, un “intervento abbastanza ravvicinato” per usare i termini impiegati da François Hollande durante la visita del primo ministro maliano, Diarra, avvenuta negli scorsi giorni. L’obiettivo di Parigi è chiaro: attaccare il nord per liberarlo dai gruppi islamici e dai tuareg per “popolarlo” con le sue multinazionali (Total in primis). La Francia è stata in conflitto di interessi sin dal principio poiché si sospetta che dietro il gruppo MNLA ci sia la mano dell’emiro del Qatar, a sua volta grande amico dell’ex presidente francese Sarkozy. Sarkozy avrebbe lasciato fare all’emiro con l’obiettivo di aprire parte del Sahel al mercato francese e farne un territorio di salvaguardia delle terre rare, diventate motivo di contesa con la Cina, a sua volta molto presente nell’area dell’Est Sahara con acquisizione di concessioni di sfruttamento delle terre presso i governi locali (si legga per approfondimento Arturo Gallia IL RUOLO DELLA CINA IN AFRICA TRA INTERESSI ECONOMICO-POLITICI, SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE NATURALI E CONFLITTI SOCIALI, Intervento presentato alla Conferenza di Studi Africanistici, 30 settembre – 2 ottobre 2010).

La politica cinese è “in netto contrasto con l’approccio allo sviluppo perseguito dai governi occidentali” (Gallia, cit.) in quanto è una politica senza condizioni, mentre quella occidentale è una politica di insediamento economico che presuppone l’accettazione delle priorità degli Occidentali: se ciò non avviene, essi procedono con i propri mezzi militari alla demolizione dello status quo per l’edificazione di strutture istituzionali presunte “democratiche” ma opportunamente addomesticate sul piano delle relazioni internazionali. Ciò ha indotto gli osservatori a parlare di un Beijing consensus in contrasto proprio con il Washington consensus, fondato sulle priorità imposte da Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e investitori occidentali. Il Beijing consensus tende a promuovere l’integrità sovrana degli stati africani laddove il Washington consensus tende a sostituirla.

Quanto sta accadendo in Mali può essere inteso o come un tentativo francese di mettere un freno a questa espansione “incondizionata” cinese (il gruppo MNLA appare così disorganizzato militarmente e poco potente politicamente da far pensare che sia solo una scatola vuota, una sigla costruita altrove) o come un effetto diretto di questa espansione. L’idea di fondo è che la Francia, per mezzo del Qatar, abbia alimentato la rivolta per poi giustificare un suo intervento militare; che Ansar Dine si sia trovata solo per caso nel mezzo degli scontri e che la conquista di Gao da parte degli jihadisti sia stata solo un caso, giustificato dalla estrema debolezza delle forze armate maliane. E che ora, messi in mezzo i gruppi qaedisti di AQMI e Mujao, la situazione sia sfuggita completamente di mano, producendo le condizioni per la creazione di un Afghanistan a due passi dall’Europa.

La prospettiva Hollande

La prospettiva Hollande spaventa i mercati. Hollande, l’uomo normale della sinistra normale. Un socialista, uomo medio e forse mediocre. Uno che non suscita passioni, che non è affiliato alla Mala delle Banche, né al dogmatismo germanico del rigor mortis del monetarismo deflattivo. Con il crollo della Borsa di oggi, il segnale è dato: la Francia verrà messa a ferro e fuoco dal tritacarne dello Spread e sarà la fine dell’Eurozona. A meno che il progetto di governance creativa dei Banksters non venga prontamente dirottato su Berlino. In questo clima non ci sono amici e nemici, tutti possono finire nell’occhio del ciclone, compreso Monti.

Quindi la prospettiva Hollande spaventa i mercati. Hollande, quello della spesa pubblica. Hollande, quello che romperà l’asse con Frau Merkel. Ma i mercati sanno che il dogma del rigore di bilancio è mortifero e sta trascinando tutti in un gorgo muto. L’Europa, dicono, ha bisogno di crescita. Poi arriva l’uomo della crescita e vendono i titoli. Ciò che spaventa oggigiorno non è Hollande, ma la reazione di Berlino. Se Hollande deciderà di farsi carico del problema europeo, di far passare il Fiscal Compact per il vaglio di un Referendum popolare o di riformarlo sminuendone i caratteri deflattivi, o  di mettere la politica di bilancio sotto l’ombrello della Commissione e quindi sottrarla alla dinamica intergovernativa dell’Ecofin come è avvenuto sinora, allora Berlino potrebbe decidere di chiamarsi fuori, e il destino dell’Euro e della Unione Europea si farà sempre più incerto.

Fa strano vedere come la prospettiva Hollande, una prospettiva democratica in cui un popolo sceglie alle urne, liberamente, il proprio presidente, collida fortemente con quanto atteso dai mercati. I mercati prevedono una Germania isolata, quella Germania portatrice di una politica sanzionatoria e punitiva. E allo stesso tempo temono la deflazione e la decrescita. Se non è schizofrenia questa… Merkel e il rigorismo monetario – non Sarkozy – sono i veri sconfitti di ieri:

The French delivered a loud non to Berlin’s euro policies, handing a first-round victory to the socialist François Hollande, whose central campaign pledge was to reopen Chancellor Angela Merkel’s eurozone fiscal pact, an international treaty signed by 25 EU leaders and currently being ratified. Almost one in five French also voted for the europhobic Front National of Marine Le Pen, who wants the single currency scrapped and the French franc restored (Ian Traynor, The Guardian).

L’onda lunga dell’opposizione alla schizofrenia monetarista si sta diffondendo per l’Europa e ha investito ieri l’Olanbda, con la dipartita dal governo dello xenofobo neonazista Geert Wilders e le conseguenti dimissioni del primo ministro Mark Rutte. Piazza Wencelsao a Praga, è stata testimone della più grande manifestazione in Repubblica Ceca dalla Rivoluzione di Velluto del 1968, riferisce Traynor. E’ la crisi delle élite europee? No, è la rivolta contro il formalismo tedesco e contro la fedeltà cieca alla politica monetarista della Bundesbank. Traynor accomuna la dipartita di Sarkozy a quella dei capi di governo di Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia, Finlandia, Slovacchia e Italia. La caduta di tutti questi governi è sintomo della crisi delle élite. Niente di meno vero: le élite di governo non sono messe in crisi dal voto, bensì dall’unilateralismo tedesco e, almeno in un caso, ovvero in quello dell’Italia, il cambio del governo è stato eterodiretto dall’esterno per mezzo della leva dello spread. Così non si può dire della Francia e della Spagna, dove invece sono gli elettori ad aver defenestrato i propri capi di governo. Gli elettori, questi terribili e imprevedibili elettori.

Se in Spagna gli elettori hanno espulso dal sistema i socialisti emblema del Riformismo europeo, in Francia è il pomposo Sarkò a perire: una chiara ed evidente tendenza anticiclica che destituisce i governanti e rompe gli schemi partitici permettendo l’avanzamento di neonate formazioni partitiche aventi funzione antisistemica, come lo sono FN in Francia, il movimento di Wilders in Olanda, o il M5S in Italia. Diversi i loro argomenti e le loro propagande, ma simili le genesi e le carriere elettorali.

Le proteste contro l’obbligo di austerità invadono l’Europa ma non la Germania. Per quanto tempo Berlino resterà il paradiso in terra e fino a quando i tedeschi potranno continuare a crescere tenendo mezzo continente sotto i propri piedi?

Il codice segreto di #Radiolondres: come twittare le presidenziali francesi

[Dalle ore 20 exit poll su twitter con hashtag #Radiolondres]

In Francia non si può parlare delle elezioni presidenziali su Twitter e in generale sui social network. Lo stabilisce una legge che vieta espressamente di divulgare informazioni circa i risultati del primo turno elettorale prima della chiusura dei seggi, posto alle ore 20 di questa sera. La legge in questione esiste già da qualche anno e non è corretto parlare di censura. Le autorità preposte per vigilare sulla regolarità del voto come faranno a prevenire la diffusione incontrollata e prematura degli exit poll? Semplice. Gli exit poll sono commissionati alle agenzie di sondaggio. Se venissero divulgati i dati prima delle otto, le agenzie rischiano multe salatissime; i francesi l’annullamento del voto.

Pensate che ciò basti mettere il bavaglio a Twitter? C’è chi ha inventato il codice di  #Radiolondres: come durante la seconda guerra mondiale, quando la radio clandestina parlava in codice alle forze resistenti al nazismo, così i francesi si scambieranno le informazioni sugli exit poll anche prima della chiusura dei seggi. Il codice #Radiolondres è stato inventato da @BouLoulouduu77:

Libia, la Lega bombarderebbe a tappeto, il PD non sa dove stare

Attenti a non farvi ingannare: le ragioni profonde dell’opposizione della Lega Nord alla decisione del governo di bombardare in Libia non è dovuta a questioni di pacifismo. Fosse per la Lega si bombarderebbe a tappeto tutta la Libia, pur di non avere un solo profugo in Padania. Ci sono sottosegretari che hanno ipotizzato di sparare ai barconi di disperati. Questa la loro forza, l’idiozia.

La Lega lamenta il lassismo di Berlusconi dinanzi alla Grandeur di Sarkozy. Il Nostro si è ammosciato davanti al presidente francese. Berlusconi è uscito dal vertice con Parigi a mani vuote. Soprattutto sui respingimenti francesi, Berlusconi nulla ha potuto se non firmare una lettera congiunta con Sarkozy il cui valore è prossimo a zero. In più il governo ha calato le braghe con Lactalis – troppo alta la sua offerta per i modesti investitori italiani – e sul nucleare non ha potuto rompere in alcun modo i contratti con EDF, la società elettrica francese. Insomma, una disfatta. Evidentemente le barzellette non hanno fatto ridere nessuno. Ridevano i francesi, e soprattutto i loro portafogli.

La Lega avrebbe detto sì ai bombardamenti in cambio di una 2contropartita tecnica” all’altezza: niente accoglimenti degli immigrati tunisini, niente aerei. Ma Berlusconi si è trovato conle spalle al muro. Chissà quale il tono di chiamata di Obama, l’altro giorno. Un governo veramente debole in politica estera. I cablogrammi svelati da Wikileaks hanno mostrato come il governo già nel 2009 fosse genuflesso dinanzi all’amministrazione Obama quando venne richiesta collaborazione per lo smistamento dei carcerati di Guantanamo. L’Italia dovette gestire due tunisini, poi espulsi, e per fare ciò Frattini fece carte false con la Lega. La Lega era ritenuta dall’ambasciatore USA una vera incognita, un elemento che poteva gettare i rapporti con Roma nell’incertezza.

Questo il capitolo “Lega”. Non sta meglio il PD. Sappiate sin da ora che la spaccatura nella maggioranza sulla Libia sarebbe avvenuta anche a parti invertite, ovvero con una coalizione PD-IDV-SeL. Insomma, un problema cronico fra atlantistismo e pacifismo che attanaglia il centro-sinistra sin da quando esso stesso ha cominciato a prefigurarsi come maggioranza di governo. I governi Prodi, D’Alema hanno vissuto sulla loro pelle tensioni terribili. E i governi di allora, quando si trattò di rifinanziare le missioni in Iraq o di bombardare la Serbia, impiegarono acrobazie verbali non dissimili da quelle impiegate dai berluscones in queste ore.

Ecco perché anche oggi il PD sulla Libia non ha una linea politica: gli inviati di Bersani non fanno che evidenziare le incongruenze della maggioranza ma dimenticano di dire quel che pensano sulle bombe. Da che parte sta Bersani? Le bombe sono il naturale sbocco della strategia adottata a Marzo? Oppure abbiamo alternative?

Arriva arriva la nube di Fukushima

La nube radioattiva di Fukushima arriverà anche in Italia. Seguirà all’incirca questa evoluzione:

Oggi la Iaea, l’agenzia atomica dell’Onu, ha avvisato che la fuoriuscita di radiazioni dalla centrale di Fukushima è costante e “allarmante”: di fatto si sospetta la parziale fusione delle barre in due/tre reattori, fra cui il temibile reattore tre, che contiene plutonio (equivale a dire che stanno diffondendo cancro nucleare nell’atmosfera e nei mari). La Iaea ha anche detto che non si comprende quale sia l’effettiva origine della emissione. Una dichiarazione disarmante.

Dicevo che la nube sta entrando nei cieli dell’Europa: ha fatto il suo ingresso da nord, dall’Islanda. Quali le ripercussioni sul nostro paese? I media avvertono che sarà una schiocchezza. Per arrivare sin qui ha solcato i cieli di mezzo mondo, quindi se non ha fatto danni altrove non li farà nemmeno da noi. Intanto i dati della vicina Svizzera non mostrano alcuna variazione:

unità di misura nSv/h

unità di misura nSv/h

[fonte dati https://www.naz.ch/it/aktuell/messwerte.html]

Sarebbe interessante comparare le dichiarazioni delle autorità e i titoli dei giornali di oggi con quelli del 1986. All’epoca qualcuno profetizzò la gigantesca operazione di cover up (di copertura) del reale impatto che la nube di Chernobyl ebbe sul nostro paese:

PRIMO MAGGIO 1986, cinque giorni dopo l’incidente di Chernobyl

“BISOGNA ASPETTARSI, PER I GIORNI CHE VERRANNO, UN COMPLOTTO INTERNAZIONALE DEGLI ESPERTI UFFICIALI PER MINIMIZZARE LA STIMA DELLE VITTIME CHE CAUSERÁ QUESTA CATASTROFE. IL PERSEGUIMENTO DEI PROGRAMMI CIVILI E MILITARI IMPONE ALL’ASSEMBLEA DEGLI STATI UNA TACITA COMPLICITÁ CHE OLTREPASSA I CONFLITTI IDEOLOGICI O ECONOMICI” (Estratto di un articolo di MADAME BELLA BELBEOCH, fisico, contenuto nella rivista “Ecologie”, n° 371, maggio 1986).

Esiste uno studio, denominato Progetto Humus, realizzato da André Paris fra il 1999 ed il 2001, una mappatura del sud della Francia e del Nord Italia del contaminamento residuo di Cesio137, il prodotto della fusione del nocciolo di Chernobyl. Si tratta di una “visione leggermente deformata e sottovalutata della situazione del 1986 tenuto conto, da una parte, del decadimento fisico del cesio137 (meno del 30%) e, dall’altra, di una disparità supplementare legata al tipo di terreno ed al suo utilizzo”, quindi non i dati reali del contaminamento del 1986. Si può stimare che “sulla maggioranza dei suoli della Francia continentale presi in considerazione nell’atlante, il livello di contaminazione di cesio137 doveva essere, nel 1986, almeno due volte più importante che le cifre riportate nell’atlante, tenuto conto del decadimento fisico del cesio137 e della sua eliminazione per trasferimento” (Progetto Humus).

Ebbene, ne è uscito “il Nord dell’Italia e l’Austria sono stati e restano più contaminati che la Francia, ma anche che vaste porzioni dell’est del territorio francese – situate pertanto a più di 2.000 km da Chernobyl, sono più colpite che i settori studiati dell’Ungheria o della Slovenia”; le Alpi “che erano considerate un ambiente preservato dalla contaminazione, si sono, al contrario, rivelate tra i posti più colpiti dal fall out di Chernobyl” (Progetto Humus, cit.).

Sulla sommità del Colle del Piccolo San Bernardo, sui grandi prati, la contaminazione uniformemente ripartita è stata misurata ad un valore di 5.300 Bq/m². 180 metri sotto, dalla parte italiana, la contaminazione uniformemente ripartita, misurata sui grandi prati, si attesta sul valore di 10.700 Bq/m². Sotto il borgo di La Thuile in direzione di Colle San Carlo, su terreno boschivo, la contaminazione uniformemente ripartita, mostra un valore di 14.000 Bq/m². A Cogne, sotto il villaggio, il valore della contaminazione uniformemente ripartita è misurato ad un valore di 16.500 Bq/m². È pressoché simile a quello rilevato a La Thuile (ibidem).

Questa una cartina:

Cartina radioattività residua 1999-2001 Val Pellice-PineroloIl nostro paese, le Alpi, furono i più colpiti dalla nube di Chernobyl. Forse saremo soltanto sfiorati da questa nuova catastrofe. Per darvi un’idea della portata del disastro giapponese, “spinaci raccolti a quasi cento chilometri dalle centrali hanno evidenziato qualcosa come 54.000 Bq/Kg, ovvero oltre 50 volte il limite massimo consentito e ben 27 di quello stabilito dal Governo locale. I livelli per il Cesio radioattivo, invece erano ben 190 volte oltre la norma” (Pietro Cambi su Nuove Tecnologie Energetiche).

Resta il fatto che dobbiamo vigilare su quel che accade.

La Libia, l’ENI e quel miliardo a fondo perduto

Petrolio. Ne scrisse un libro, un giorno, un uomo, e dopo morì in circostanze misteriose. Si chiamava Pierpaolo Pasolini. Aveva romanzato la storia dell’ENI e del suo padre storico, Enrico Mattei, morto in un incidente aereo che ha ben poco dell’incidente.

L’ENI, sempre l’ENI, la ritroviamo oggi, co-protagonista della sceneggiata libica, la nuova ennesima guerra per la difesa dei diritti umani. ENi non spara, preleva. Preleva barili di oro nero, di gas naturale. Per questo paga al regime libico una quota altissima, il prezzo più salato per una compagnia estera in Libia. ENI trattiene a malapena il 12% della produzione di greggio, il 40% di gas, il resto rimane in mano libica, che commercializza per proprio conto. Questo perché negli anni ’70, quando Gheddafi era socialista e faceva la rivoluzione alla testa delle masse libiche, petrolio e gas sono stati nazionalizzati. Alla medesima maniera di Chavez in Venezuela. Una misura che è sin giusta, se ci pensate: che diritto hanno le compagnie estere di venire nel nostro paese e di sfruttarne le risorse al prezzo imposto da loro? In fondo anche l’ENI è una ‘National oil Corporation’, una compagnia di bandiera, controllata cioè dal governo, che opera all’interno dei propri confini in regime di monopolio o di semi-monopolio, al contrario di Bp, Total, ExxonMobil, multinazionali che rispondono soltanto al proprio interesse e a quello dei loro investitori.

Wikileaks ci ha permesso di conoscere le relazioni pericolose di ENI e NOC, la compagnia nazionale libica. Ce lo ricordano Debora Billi su Il Fatto (qui) e Gianni Cavallini sul suo blog (qui). ENI aveva un contratto standard, poi ha dovuto rinegoziare al ribasso, con una quota di produzione che è passata dal 35-40% al 12% come detto sopra. Dopo è partita la campagna della compagnia libica contro le altre imprese estere: tutti i nuovi contratti hanno adottato lo standard ENI, con notevole scorno per Total e soci:

23-07-2008: “Con il nuovo accordo, lo share di produzione per il consorzio europeo (quello che sviluppa la città di Marzuq, ndr) sarà ridotto dal 25% al 13%. Repsol, Omv, Total e Saga Petroleum hanno seguito altri maggiori attori in Libia nel cedere alle pressioni Noc verso il nuovo accordo Epsa IV, che prevede significative riduzioni di share per le compagnie internazionali. E se qualcuno dubita, ecco pronto un cablo in cui ci si lamenta proprio della della rigidità della Noc, e specialmente della gestione autocratica del responsabile Shukri Ghanem. Il quale, appena lo scorso anno, ha annunciato di voler estendere il fatidico accordo Epsa IV anche alle compagnie che finora hanno goduto di concessioni tradizionali (D. Billi, Il Fatto, cit.).

4. (SBU) Nell’ottobre 2007, l’ENI si è accordata con il NOC per convertire i contratti esistenti di produzione a lungo termine, che sono stati firmati a metà degli anni 1980 sotto le condizioni EPSA III, secondo il modello contrattuale più recente EPSA-IV (reftel). Tale accordo è stato presentato al Congresso Generale del Popolo Libico per l’approvazione e la ratifica, ed è stato ratificato il 12 giugno. Nell’ambito del nuovo accordo Eni ha ridotto la sua quota di produzione al 12% per il petrolio (35-50 per cento in meno per i suoi vari ambiti) e del 40% per il gas naturale (50 per cento in meno). La quota per la produzione di gas scenderà al 30% dopo il 2018. In cambio il NOC ha esteso di 25 anni i contratti EPSA III ad ENI, ha approvato un’espansione di 3 miliardi di metri cubi (BCM) per il Gasdotto della Libia occidentale (WLGP), e la costruzione di un nuovo impianto da 4 milioni di tonnellate l’anno di LNG (gas naturale liquido) a Mellitah. Eni ha accettato condizioni fiscali meno attraenti per i suoi blocchi (il suo portafoglio complessivo è sceso al 42% a causa di più base quote di produzione), e ha fatto un miliardo dollari di pagamenti a fondo perduto. Le licenze Eni sono state convertite al modello EPSA IV che ora scadrà nel 2042 (per il petrolio) e nel 2047 (per il gas) – (G. Cavallini blog, cit.).

Sappiamo – sempre per merito di Wikileaks – che anche sul fronte del gas russo l’ENI ha stretto accordi al ribasso: ne abbiamo parlato su questo blog già a dicembre. Allora emerse un quadro oscuro di società off-shore in cui si presagiva la presenza del nostro caro Presidente del Consiglio. In quella storia, ENI apriva il mercato italiano “all’ingrosso” del gas metano, di cui è praticamente monopolista, a una società facente riferimento a Gazprom. Praticamente un suicidio commerciale. Sul fronte libico, ENI ha barattato un presunto aumento di capacità di un gasdotto nonché la costruzione di un secondo tutta da definire. In aggiunta, ENI ha versato un miliardo di dollari – diconsi dollari – a fondo perduto!

A questo punto viene da domandarsi chi comanda la NOC libica. Le ‘personalità chiave’ della compagnia sono Shukri Ghanem, presidente della compagnia nonché ex Segretario Generale del Comitato del Popolo cioè del governo libico; Faraj Mohamed Said, vicepresidente; Ahmed Elhadi Aoun, Amministratore. Questi signori mettono il piede nel consiglio di amministrazione di tutte queste società (il grafico potrebbe non essere recente poiché riporta il nome di Agip):

NOC è posseduta per intero dal governo libico. L’accordo ENI è del 2007: in Italia governava Prodi. ENI era presieduta da Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’azienda dal 2005. Scaroni è stato definito il “vero” amico dei libici. Interpellato dalla stampa, ha ribadito chei rapporti fra ENI e NOC non sono affatto compromessi:

“Absolutely not, I do not think they are compromised,” said Eni Ceo Paolo Scaroni about Eni’s relations with Libya on the sideline of an audition at the lower Chamber. Scaroni said: “We are maintaining our relations with the National Oil Corporation, our natural contact there. Any political system set up in the future will have its NOC which has contracts with us, so we will continue doing business with it.” Scaroni concluded:” I don’t see any reason for our relations to be jeopardized.” (AdnKronos).

Scaroni pensa che qualsiasi sia il governo libico del futuro, NOC continuerà ad esistere e così i contratti che ENI ha con esso. Che sciocchezze: è fin troppo chiaro che il prossimo governo libico dovrà accettare la “linea francese”, che sarà forse quella della liberalizzazione del mercato del petrolio e del gas in Libia. E quel miliardino di dollari si sarà perso nel canale di Sicilia.

Oui, la Gauche! Italia e Francia sindacati in piazza

La crisi non c’è ma in Europa si riempiono le piazze. E’ un Ottobre rosso. In Italia, la manifestazione della Fiom in difesa del Contratto Nazionale, della democrazia e dei diritti dei lavoratori, conta da sola almeno più di cinquecentomila persone. Un corteo infinito, che Piazza S. Giovanni stenta a contenere. In Francia, la manifestazione generale del sindacato contro la riforma delle pensioni voluta dal governo e dal presidente Sarkozy – pensate, si tratta dell’aumento dell’età pensionabile da 60 anni a 62… Si sono così svolte manifestazioni in tutto il paese: Le Monde parla di tre milioni di persone.

foto di Le Monde e La Repubblica

No Sarkozy Day: germi di Popolo Viola in Francia, ma quante difficoltà, quante differenze.

Ieri si è svolto il primo “No Sarkozy Day”. Qualcosa di familiare? Certo, gli organizzatori si sono largamente ispirati al “modello italiano” del No Berlusconi Day, il famoso raduno del popolo dei senza partito, del popolo senza capo, profondamente antiberlusconiano non soltanto quindi in opposizione alle politiche ma contro il corpo, la persona, l’immagine dell’uomo che occupa abusivamente la scena politica italiana.
E che dire della versione francese? Essi sono viola ma non violano nessun muro dell’omertà. Essi scendono in piazza, e i giornali e le tv ne parlano, anche se sono in numero nettamente inferiore alle adesioni del gruppo su Facebook. In Italia, il Popolo Viola è stato trattato dal Tg1 né più né meno che come una scampagnata di tre(centomila) amici.
Sarkozy è decisamente un presidente della Repubblica che interpreta il proprio ruolo nell’alveo tracciato dalla Costituzione della Quinta Repubblica. Berlusconi è un presidente del Consiglio, un ‘primus inter pares’, un primo fra pari, un capo del governo con poteri molto ridotti, costituzionalmente parlando, ma che invece esercita la propria funzione in maniera autoritaria, travalicando il dettato costituzionale, con estensione del dominio sui mezzi dell’informazione televisiva.
Sarkozy è criticato in patria, per le politiche e per l’immagine. La critica è permessa ed è parte della funzione della formazione dell’opinione pubblica. In Italia, il pardone non permette critica, telefona ai commissari delle Autorità di Garanzia, suoi ex dipendenti, per indurli ad agire contro l’unica voce libera – e critica – del panorama dell’informazione televisiva italiana (Annozero), i quali obbediscono e riescono poi a tappare la bocca a tutti con il famoso regolamento sulla par condicio della Vigilanza.
Inoltre, la campagna elettorale per le Regionali in Francia si è consumata sui temi preminenti, sulla crisi oscena che ha messo in ginocchio interi settori produttivi del paese. In Italia, ancora una volta, la campagna e il voto sono stati trasformati nel consueto plebiscito sulla persona di Mr b. I problemi reali, la crisi, la disoccupazione, la precarietà del lavoro, la delocalizzazione delle fabbriche, la concorrenza minacciosa dei cinesi in ogni ambito del manufatturiero, ma anche la deriva videocratica, sono aspetti del reale che la logica berlusconiana ha cancellato dalla mente delle persone. I dati sull’affluenza delle elezioni in corso sono solo apparentemente simili a quelli francesi: gli astenuti in Francia sono maggioranza, in Italia no. Sono una minoranza esclusa, che si fa governare da una gerontocrazia che attua il voto di scambio per perpetuare sé stessa.

Sul Popolo Viola francese:

    • L’onda viola francese è riuscita a mobilitare le masse più sul web che nelle piazze. Ad una settimana dalle regionali dove ha dominato l’astensione, il primo ‘No Sarkozy day’ è stato ampiamente disertato nei cortei.
    • Erano 400 a Marsiglia, 300 a Grenoble, 250 a Nantes, 50 a Bordeaux e ad Ajaccio, alcune decine a Lilla. “È un buon inizio”, ha commentato all’ANSA Benjamin Ball, uno degli organizzatori del corteo nella capitale, ma nella voce del giovane blogger si percepisce una punta di delusione. Nei giorni scorsi si attendevano 100.000 persone in tutto il Paese, almeno 50.000 a Parigi.
    • Nell’euforia della vigilia qualche militante aveva lanciato il più ottimista dei pronostici, prevedendo un milione di persone nelle strade. “Certo avremmo preferito una maggiore partecipazione, ma non fa niente. Siamo molto fiduciosi – ha continuato Ball – l’onda viola ormai si è levata e nessuno potrà fermarla”.
    • Il ‘No Sarkozy Day’ è nato sul web per iniziativa di 55 blogger francesi seguendo il modello del ‘No Berlusconi Day’ italiano dello scorso dicembre. Il passaparola è andato su Facebook, Twitter, MaySpace, sui blog. Oggi il gruppo Facebook conta 387.977 membri, mentre in calce alla petizione anti-Sarkozy è comparsa una lista di 7.000 firme.
    • mentre a Parigi hanno sfilato slogan che denunciano il fallimento della politica economica del governo, le ingerenze sulla giustizia, le pratiche poliziesche dello stato, un sondaggio di oggi conferma l’opposizione crescente alla politica del capo dello Stato: se oggi i francesi dovessero votare per l’Eliseo, vincerebbe la socialista Martine Aubry.