Incandidabilità condannati, quanto è tenue il DL Anticorruzione

Tanto rumore per nulla. L’incandidabilità di cui all’art. 10 del Disegno di legge anti-corruzione è una chimera. Innanzitutto perché contiene una delega al Governo per emanare un decreto legge che regoli e armonizzi la materia, un decreto da fare entro un anno. In secondo luogo perché riguarda soltanto quei soggetti per i quali è già stata emessa una sentenza definitiva. Che dire, ci saranno anche stati casi di deputati o senatori candidati quando già condannati, ma il male del nostro sistema riguarda quelle “care” persone che, pur avendo procedimenti penali a carico, si candidano alle elezioni e si fanno eleggere (scusate, nominare – grazie al Porcellum) per usufruire delle immunità istituzionali. L’articolo 10 del DL Anticorruzione non affronta questo problema neanche in lontananza.

Quindi, perché ci affanniamo a dichiarare che l’incandidabilità dei condannati sarà operativa fin dal 2013 (vero, ministro Patroni-Griffi)? Non si tratta forse di un problema marginale rispetto invece a tutti quei deputati e senatori sottoposti a indagine e per i quali sono stati emessi mandati di cattura che invece sono difesi dal Parlamento? Non sarebbe il caso anche di riesaminare e meglio specificare tutta la dottrina in materia di fumus persecutionis?

Ecco il contenuto della norma sulla Incandidabilità:

Art. 10.

(Delega al Governo per l’adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguente a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi).1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente e di componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all’articolo 114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, di presidente e di componente degli organi esecutivi delle comunità montane.

2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 provvede al riordino e all’armonizzazione della vigente normativa ed è adottato secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici, prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;

b) in aggiunta a quanto previsto nella lettera a), prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale ovvero per altri delitti per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni;

c) prevedere la durata dell’incandidabilità di cui alle lettere a) e b);

d) prevedere che l’incandidabilità operi anche in caso di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale;

e) coordinare le disposizioni relative all’incandidabilità con le vigenti norme in materia di interdizione dai pubblici uffici e di riabilitazione, nonché con le restrizioni all’esercizio del diritto di elettorato attivo;

f) prevedere che le condizioni di incandidabilità alla carica di deputato e di senatore siano applicate altresì all’assunzione delle cariche di governo;

g) operare una completa ricognizione della normativa vigente in materia di incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all’articolo 114 del testo unico di cui al citato decreto legislativo n. 267 del 2000, presidente e componente degli organi delle comunità montane, determinata da sentenze definitive di condanna;

h) valutare per le cariche di cui alla lettera g), in coerenza con le scelte operate in attuazione delle lettere a) e i), l’introduzione di ulteriori ipotesi di incandidabilità determinate da sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale;

i) individuare, fatta salva la competenza legislativa regionale sul sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, le ipotesi di incandidabilità alle elezioni regionali e di divieto di ricoprire cariche negli organi politici di vertice delle regioni, conseguenti a sentenze definitive di condanna;

l) prevedere l’abrogazione espressa della normativa incompatibile con le disposizioni del decreto legislativo di cui al comma 1;

m) disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 1 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all’affidamento della carica.

3. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1, corredato di relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, è trasmesso alle Camere ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che sono resi entro sessanta giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto. Decorso il termine di cui al periodo precedente senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, il decreto legislativo può essere comunque adottato.

 

La Lega Nord che salvò De Gregorio

Nonostante tutto, nonostante Belsito, Rosy Mauro, la faida interna con i maroniani, nonostante i soldi del finanziamento pubblico impiegati come “cazzo” vogliono, i senatori leghisti rimangono fedeli alla linea del Pdl e, anche affermando il contrario, salvano il senatore De Gregorio dall’arresto. Leggere le dichiarazioni di voto del leghista Mura, tutt’altro che forcaiole:

Signor Presidente, gentili colleghi senatori, credo sia superfluo ricordare – è stato detto più volte – come oggi in quest’Aula il nostro compito non sia quello di valutare la fondatezza delle accuse rivolte al senatore De Gregorio. Il nostro esame deve concentrarsi su altro. Prima di tutto, con il nostro voto dovrà essere stabilito se esiste il fumus persecutionis, se esista quindi un intento persecutorio da parte della procura di Napoli che, come sostiene il senatore De Gregorio, avrebbe un quadro esclusivamente indiziario, molto debole e per fatti che riguardano sue presunte azioni risalenti al 2006 [una frase capolavoro, oscar del garantismo 2012]. Al riguardo credo sia importante per tutti sottolineare il dato temporale, che deve sicuramente far riflettere. È vero che si tratta di indagini complesse e che le procure hanno bisogno di tempo per il loro lavoro investigativo, quindi può sembrare sicuramente censurabile, ma bisogna tener presente che anche questo lasso temporale tra l’esaurimento dei fatti e la richiesta di arresti domiciliari in sei anni potrebbe anche essere giustificato da un lavoro che i magistrati hanno svolto in questi anni per gradi.

Ritengo però che un aspetto importante da evidenziare oggi sia quello delle fattispecie di reato. Quelli contestati al senatore De Gregorio esulano da quella che era fino a un recente passato una prassi che si è venuta a modificare col tempo. È stato ricordato anche dal collega Balboni come normalmente si sia sempre acconsentito all’arresto per reati di sangue o comunque per reati gravissimi come l’omicidio o le stragi. Questa è sempre stata la prassi parlamentare, sia alla Camera che al Senato, ma i recenti casi hanno modificato un po’ questa prassi per cui l’interpretazione che si dà a questo limite alle richieste di arresto è cambiata. Di conseguenza, la domanda è: si ritiene che i reati contestati al senatore De Gregorio potrebbero essere considerati reati di grave allarme sociale?

Sono stati recitati durante la sua relazione dal relatore, senatore Sanna: l’associazione per delinquere e il concorso in truffa e in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, il concorso in bancarotta fraudolenta, il concorso in emissione di fatture e altri documenti per operazioni inesistenti [ergo, non è omicidio, quindi non è reato grave; anche alcuni leghisti si sono macchiati di un reato simile, perciò è meglio esser cauti...].

Questi sono reati nei confronti dei quali è vero che l’evoluzione e la sensibilità dell’opinione pubblica sono montate in questi ultimi tempi per cui sono convinto debbano essere riviste anche con il nostro concorso quelle prassi parlamentare a cui ho accennato prima, andando ad estenderle a questo tipo di reati che generano un atteggiamento da parte dell’opinione pubblica che credo richieda da parte nostra un comportamento di estremo rigore.

Per concludere questo mio breve intervento, ritengo sia assolutamente importante creare quelle le condizioni per cui la procura di Napoli possa completare le sue indagini ascoltando il senatore De Gregorio e consentendogli di esercitare il suo diritto di difesa. Qui non accusiamo nessuno e tanto meno questo vuol essere un processo anticipato, bensì l’autorizzazione all’esecuzione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, nella convinzione, peraltro, che il diritto di difesa del senatore De Gregorio sia sacrosanto e inalterato e che vi siano tutte le condizioni per lui di dimostrare – come tutti noi auspichiamo – che il prosieguo delle indagini vedano chiarita la sua estraneità ai fatti che gli vengono contestati.

Come Gruppo Lega Nord confermiamo pertanto il nostro voto favorevole alla proposta della Giunta di concedere l’autorizzazione all’esecuzione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari e ad eseguire le perquisizioni dei locali utilizzati dal senatore De Gregorio (Senato, resoconto stenografico in corso di seduta, seduta n. 738 del 06/06/2012).

Un discorso che è ambivalente. Dichiarano di votare sì all’arresto, ma esprimono una posizione di estremo garantismo nei confronti di De Gregorio, quando invece le carte dell’inchiesta sono piuttosto chiare ed eloquenti. Non accusiamo nessuno, concordiamo sul fatto che si tratta di reati di bassa pericolosità sociale, è un quadro assolutamente indiziario (lo dice De Gregorio, quindi è così). Sembra evidente che i voti che hanno salvato il senatore arrivino proprio dai banchi della Lega Nord, dai compagni di merende del finanziamento pubblico dei partiti.

 

De Gregorio, Li Gotti e quell’intervista a Buscetta

De Gregorio è stato oggi salvato dai colleghi senatori dall’arresto per le accuse rivoltegli dai pm napoletani nell’ambito dell’affaire Lavitola-L’Avanti. Questo è accaduto nonostante il voto favorevole, all’unanimità, della Giunta per le Autorizzazioni. In Aula il senatore Saro ha chiesto lo scrutinio segreto, scelta difesa da Quagliarello (Pdl) e da tutto il suo gruppo. Nel segreto dell’urna, De Gregorio è stato riconosciuto vittima di fumus persecutionis, smentendo completamente la Giunta e l’evidenza delle carte.

De Gregorio ha preso – in maniera un po’ irrituale – la parola durante il dibattito e, per lunghi tratti, si è rivolto direttamente al senatore Li Gotti, suo ex collega di partito.

Che cosa avrei dovuto fare, senatore Li Gotti? Per ben due volte sono andato spontaneamente, senza sapere di che cosa fossi accusato, alla procura di Napoli; ho varcato personalmente la soglia della Guardia di finanza decine di volte e ho rinunciato alle prerogative parlamentari quando sono venuti a Roma i militari; li ho fatti entrare in casa mia, mettendo per iscritto la mia rinuncia; ho mandato il mio legale, l’avvocato Carlo Fabbozzo, in procura, la stessa mattina in cui venivano sequestrati quei container, con le chiavi di quei container, e mi viene detto che le garanzie costituzionali in quel caso non sono rinunciabili, e nell’istruttoria si parla di questi container come contenenti chissà cosa. Invece io voglio aprirli, perché dentro ci sono scrivanie, computer, giornali: tutto quello che è servito per fare un’attività che mi si contesta essere falsa, e non lo è, perché io non posso svendere la mia storia professionale. “L’Avanti” l’ho riportato in edicola; l’ho fatto, e nel 2006 l’ho abbandonato, come il GIP riconosce in quella ordinanza, dicendomi che la mia responsabilità non va oltre il 2006. In quegli anni, ho costituito una scuola di giornalismo che, per grazia di Dio, chi vi ha partecipato e l’ordine dei giornalisti mi riconoscono come una grande esperienza editoriale. Ebbene, rispetto a quella esperienza di giornalismo e di fatica fisica, dovrei riconoscere che si tratta di una storia criminale? (Senato, resoconto stenografico in corso di seduta, seduta n. 738 del 06/06/201).

Perché prendersela con il senatore Li Gotti? Perché questo duello fra i dure? Semplice, c’è un precedente. Bisogna risalire agli anni ’90. Li Gotti all’epoca era l’avvocato di Tommaso Buscetta, il super pentito di mafia. L’uomo dei segreti della Cupola che permise al giudice Falcone di ricostruire la mappa del potere mafioso.

De Gregorio nasce come giornalista e si evolve come editore televisivo di una tv strana, chiamata Italiani nel Mondo, poi diventa politico e crea un assurdo partitino che si chiama come la televisione che ha fondato. E arriva in Parlamento senza che nessuno – dico: nessuno! – sappia spiegare come.

Ebbene, il signore, prima di mettersi in affari con il Lavitola, prima di far cadere il governo Prodi, a quanto pare pagato profumatamente per questo, faceva il giornalista e fu protagonista di un mezzo scandalo: l’intervista a Tommaso Buscetta, scovato in crociera nel 1995. De Gregorio salì sulla medesima nave. Conosceva gli spostamenti di Buscetta. Sapeva che era in crociera e forse si prestò per una manovra finalizzata a far perdere la protezione sia a Buscetta che alla famiglia. “Un favore alla mafia”, disse Tommasino. Pensate le coincidenze: il difensore di Buscetta era appunto Luigi Li Gotti, oggi collega senatore di De Gregorio. De Gregorio è stato direttore de L’Avanti, nominato da Craxi, poi in Forza Italia, poi indipendente nel suo Movimento Italiani nel Mondo; quindi diventa a sorpresa (o forse no) direttore editoriale nell’Italia dei Valori. Un mistero che ancor oggi Di Pietro fa fatica a spiegare.

In ogni caso, nel lontano 1995, Li Gotti e De Gregorio stavano su sponde opposte. De Gregorio scriveva per Oggi e lavorava per TG2 Dossier. De Gregorio raggiunse sulla nave il Buscetta ma non si qualificò subito come un giornalista. Lo imbeccava con frasi del tipo: “Certo che dietro una grande fortuna c’è un grande crimine”. Voleva metter in bocca a Buscetta frasi che lui non aveva pronunciato. Ovvero che il giudice Caselli stava interrogando alcuni pentiti “sul conto di Berlusconi”. A causa di quel tiro, la vita di Buscetta e della famiglia fu messa in pericolo. Una nave della Marina militare lo prelevò e lo portò in una località segreta. All’epoca, Buscetta era “l’accusatore di Andreotti”.

Lo scopo di quella manovra era quindi suggerire ai lettori di Oggi che Caselli stava indagando Berlusconi. Uno schizzo di fango diretto a Caselli, un modo per far naufragare le indagini fin dalla partenza. Le indagini sullo stalliere di Arcore. Oppure no. De Gregorio non ha mai spiegato come fece a rintracciare Buscetta. Non ha mai rivelato la sua fonte. Anni dopo, voterà la sfiducia al governo Prodi II, determinando le condizioni per nuove elezioni nel 2008 e la vittoria di Berlusconi. Indiscrezioni giornalistiche narrano di un voto di sfiducia pagato molto caro da Berlusconi. Ma anche in questo caso la verità farà molta fatica ad emergere.