Dietro il golpe di Generali l’ombra di Montezemolo

Sono pochi i commentatori che si sono sbilanciati ad analizzare quanto accaduto ieri in Generali. Il pre-pensionamento di Geronzi, il capo-cricca, ha lasciato esterrefatti i più. A cominciare da Vittorio Feltri che, ieri sera a Otto e Mezzo su La7, era quasi interdetto e non sapeva che balbettare e ribalbettare alla domanda della Gruber. Geronzi giù da Generali equivale a dire Berlusconi giù dal Corriere della Sera. Da qualche mese si combatteva una guerra intestina all’interno del CdA, fra i consiglieri in quota Mediobanca – quindi Mediaset – e quelli orientati verso il cartello Fiat-Telecom-Tod’s-Benetton & Friends, oggi prevalente in Confindustria e malamente rappresentato dalla Marcegaglia, ovvero quel capitalismo radical chic che vuole cambiare le regole del paese a proprio piacimento ma che ha trovato in B. solo uno che si fa gli affaracci suoi. Si stava giocando una partita decisiva in Generali: se avesse prevalso Mediobanca, quindi il partito Mediaset, presto il governo avrebbe rimosso quella norma transitoria della legge Gasparri, quella che vieta ai proprietari di televisioni di possedere giornali. E via: con il controllo di Generali si può ben fare la guerra per il Corriere. Ma qualcosa è andato storto. Non si sa cosa. Mediobanca si è poi riallineata al parere prevalente nel CdA, ma non con il beneplacito di Mediaset (nella fattispecie rappresentata da Marina Berlusconi).

Nessuno o quasi ha osato dire che l’uscita di scena di Geronzi è una sconfitta per B. Si è detto che è solo una questione anagrafica: Geronzi è un anno più vecchio di Berlusconi. E’ un sintomo ma non è una previsione della imminente caduta del premier. In realtà, la caduta di Geronzi è il segno che il capitalismo italiano non è più con Berlusconi. Significa che si sono rotti gli indugi e che presto o tardi il partito Fiat si farà: presidente Montezemolo, collocazione centro-centro-destra, simbolo generico con richiamo alla Nazione. Lo diceva Massimo Cacciari: Fini, Casini e Rutelli sono leader compromessi con una stagione politica da superare. Il nuovo non può che promanare dalla élite di Confindustria. Scopo ultimo: cambiare le regole del mercato del lavoro. In primis, però, gli interessi personali:

Naturalmente ci sarà chi vedrà dietro la sfida di Della Valle un disegno più ampio che passa dalle intenzioni dell’amico e socio Luca di Montezemolo, sempre più tentato dall’avventura in politica, nel caso certamente con un profilo ostile al declinante status quo berlusconiano. Nel caso di discesa in campo, però, qualche conflitto d’interessi dovrà essere sciolto se è vero che Generali (nel cui consiglio Della Valle siede come indipendente) è tra gli azionisti di Ntv, la società per il trasporto ferroviario che si appresta a fare concorrenza nell’alta velocità alle Fs. Si spera che la scossa che arriva da Trieste non si limiti a sostituire nuovi conflitti di interesse ai vecchi (Europa).

Berlusconi va alla guerra del Corriere: Mediaset si comprerà Rcs?

C’è subbuglio. Un subbuglio che si fa fatica a comprendere, a percepire. Ma dietro le quinte si muovono ombre, ombre lunghe, ombre che affondano i piedi nella notte della Repubblica, quando il Corsera era appannaggio della P2 e nessuno sapeva, nessuno osava chiedere.

Alla fine qualcosa è affiorato a galla, prontamente evitato dai media. Della Valle alza la voce contro Geronzi. Basta personalismi, basta interessi di parte, dice il padrone di Tod’s. Il caso è scoppiato dopo il CdA dello scorso venerdì durante il quale è maturata la decisione, inizialmente proposta da Geronzi, di affidare la gestione delle partecipazioni sindacate (Telecom Italia, RCS, Mediobanca e Pirelli) al Group CEO, Giovanni Perissinotto, un manager Generali di lungo corso, con compenso quadrimilionario. Della Valle è sbottato a mezzo stampa dopo le dichiarazioni di Geronzi dello scorso sabato in cui si esprimeva criticamente contro gli atteggiamenti dello stesso Della Valle e soprattutto dopo l’intervista al Financial Times “in cui il presidente disegnava un ruolo di sistema per Generali con investimenti in banche e infrastrutture, dichiarazioni in contrasto con le strategie illustrate qualche tempo prima da Perissinotto alla comunità finanziaria” (Reuters):

Nonostante Geronzi “continui a dare alla questione una visione personalistica”, afferma Della Valle, “per quanto mi riguarda i rapporti tra me e lui non sono la questione centrale, è centrale invece il rispetto che si deve avere della governance delle Generali, del suo consiglio e dei suoi amministratori, nell’ambito delle deleghe che ognuno di loro ha, cosa che invece anche Geronzi ha disatteso clamorosamente prendendo posizione su argomenti che non gli competono” (corrispondenti.net).

Leonardo Del Vecchio, il fondatore di Luxottica, durante il medesimo CdA, ha rassegnato le proprie dimissioni da consigliere. Oggi sono emerse le ragioni. La causa non è Geronzi. Geronzi, secondo Del Vecchio, non avrebbe più potere in Generali – e quindi in Rcs.

Quindi, chi comanda davvero il colosso assicurativo? Una buona fetta di azioni sono in tasca di Mediobanca, ovvero di Marina Berlusconi. Mediobanca detiene un 13% di Generali. Scalando Generali, scalerebbe Rcs.

Soltanto la scorsa settimana in aual alla Camera si è disucsso animatamente circa la proroga del divieto di possedere assieme Televisioni e giornali contenuta nel decreto Milleproroghe. Il termine è slittato a fine Aprile. Dopodiché Berlusconi non avrà più bisogno del fratello per controllare Il Giornale e potrà puntare dritto sul Corriere. Uno scacco matto impensabile.