M5S, Federica Salsi e il risveglio dall’utopia

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L’utopia, sia chiaro, è la democrazia diretta. Che non lo è da ieri – di certo non da quando Grillo ha epurato Salsi o Pirini – considerata tale, ma ben da un centinaio di anni. Salsi ha scoperto oggi che nel M5S qualcosa non va: “Me ne sono resa conto solo quando le conseguenze della mia presenza a Ballarò mi sono cadute addosso. I cambi di statuto, dei regolamenti e delle procedure che intendevano colpire questa o quella persona si sono allargati a macchia d’olio diventando la somma di qualcosa che adesso ha un’altra natura rispetto a quando eravamo partiti”. Anche nella democrazia diretta, scrivevano gli elitisti – parlo di Gaetano Mosca (1858-1941) – esiste una minoranza numerica che esplicherà le funzioni di governo. Tanto più in un sistema è privo di regole chiare e condivise, tanto più il vertice autoproclamatosi tale tenderà ad esercitare un potere escludente verso chi esprime il dissenso. Il Movimento 5 Stelle non si può sottrarre a questa regola generale a cui qualsiasi gruppo numeroso, che sia interpretabile come organizzazione, è soggetto.

Al di là delle teorie politiche, Salsi forse non se ne è accorta, ma della scarsa o nulla democraticità del Movimento se ne parla dal 2010, da quando Giovanni Favia e Roberto Fico furono scelti dal vertice e non dalla base, da quando Favia orientò le ‘doparie’ permettendo la nomina a secondo consigliere del M5S il pur bravo Defranceschi anziché Sandra Poppi, la quale prese molte più preferenze di lui e che era “colpevole” unicamente di una passata militanza nei Verdi. Solo più tardi Favia si è reso conto di quanto la mancanza di regole e di struttura sia un deficit per il Movimento. Lui stesso, e Defranceschi, ha visto liquidare da Grillo il rito della verifica semestrale – un timido tentativo di regolamentare quell’idea campata per aria che i rappresentanti eletti siano revocabili – come un banale “applausometro”.

Tavolazzi è venuto più tardi. E’ stato intraprendente al punto da organizzare un meeting a Rimini in barba al vertice, allo Staff e alle bieche figure che si nascondono dietro. Tavolazzi ha forzato la mano, ha intuito che vi era del margine per mettere in crisi i teoremi di Grillo, quelle fesserie sul non-Statuto, che è tutt’altro che aria fritta, visto che sulla base di quel documento si nega l’identità giuridica del 5 Stelle come associazione e pertanto lo si sottrae alle regole del codice civile e se ne può detenere la proprietà del marchio, potendone così sfruttare i diritti economici.

Ma per Salsi, “fino a che il Movimento è stato locale questi aspetti non esistevano”. Eppure è la medesima Salsi a citare l’articolo 4 del non-Statuto:

ARTICOLO 4 del Non-statuto: “Il MoVimento 5 Stelle non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro. Esso vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi.”

Questa negazione della necessità di struttura, quindi di regole condivise, è l’elemento su cui poggia la guida carismatica. La regola non può che promanare dalla volontà del Capo, su cui fonda la propria legittimità, ed è regola ciò che piace al Capo. Grillo ha da sempre impiegato l’indignazione come elemento attrattivo. Non può indicare vie d’uscita dall’abisso sociale e politico in cui siamo finiti. E’ contro il suo interesse, che è poi quello di continuare a fomentare l’interesse verso il suo blog e la sua merce. Quando nel 2009 cercò di candidarsi a segretario del PD, molti sul suo blog gli suggerivano di sostenere la candidatura di Ignazio Marino. Era forse quella della Terza Mozione una occasione unica per occupare il partito, per farne un attributo collettivo e non elitario, ma egli disse che Marino era già compromesso con il sistema. Nessuno obiettò. Nessuno si pose la questione che Grillo non aveva interesse alcuno a cambiare il gruppo dirigente del PD; aveva solo interesse a suscitare l’indignazione verso di esso. Per accrescere il volume di contatti verso il suo blog, accumulare capitale in termini di reputazione, con lo scopo un giorno di catalizzarlo su un suo movimento politico. Il PD-menoelle.

Salsi: “Grillo e Casaleggio stanno anche facendo un uso di internet contrario all’etica della rete. Capisco solo adesso perché gli hacker di Anonymous hanno attaccato il suo blog. In rete le persone cooperano per trovare una soluzione migliore ai problemi e si preferisce essere in tanti perché i tanti possono meglio pensare che una o due persone.
Ora Grillo e Casaleggio stanno usando la rete per creare consenso elettorale, facendo leva sul malcontento che c’è in Italia. Aggregano tifosi utili a mettere una croce sulla scheda elettorale ma che difficilmente si metterebbero a scrivere un progetto di legge o a risolvere un problema. Finite le elezioni il tuo pensiero, che vale già poco adesso varrà ancora meno, perché se la pensi diversamente da lui “vai fuori dalle balle”.

Di fatto, l’uso della rete che hanno sinora perseguito, non è dissimile da quanto farebbe un troll. Non è dissimile da quel che ha fatto e fa tuttora Berlusconi con i media “mainstream” (parlo non della proprietà privata ma di quelle tecniche comunicative che funzionano sulla base di dichiarazioni iperboliche che generalmente dividono la platea degli ascoltatori in pro e contro; dividere è un modo efficace per portare gli ascoltatori dalla propria parte) . Non c’è intenzione di costruire una proposta politica. L’idea è quella di occupare degli scranni in parlamento. Far vedere che è possibile solo ed esclusivamente attraverso “la Rete” condizionare una opinione pubblica. E’ un grande test collettivo, portato avanti con lo scopo di vendere strategie di marketing politico. Il programma non serve: domani, appena Grillo si sveglia, vi detterà, tramite un post, l’agenda politica quotidiana.

Per chiudere, ancora Salsi: “Il Movimento, che adesso per me è una grande delusione, lo sarà anche per i cittadini italiani. Nonostante la buonafede di tanti Grillo è finzione.
Ringrazio tutti per la solidarietà e per offerte di candidatura fattemi in lungo e in largo. Ho deciso che al consiglio comunale di Bologna darò vita a un gruppo consiliare. Ma ho bisogno di un ufficio grande per accogliere per un thè tutti coloro che una volta eletti in Parlamento faranno la mia stessa fine, stipendio di 13mila euro permettendo. Scherzi a parte, il mio impegno sarà quello di lavorare, come ho sempre fatto, dalla parte dei cittadini”.

M5S, Favia e Salsi sono fuori

Con queste due righe, Giovanni Favia e Federica Salsi vengono sbattuti fuori dal Movimento 5 Stelle. Si è passati, nel corso di una nottata, dal “chi non è d’accordo se ne vada”, al “chi non è d’accordo lo caccio”. Differenze sostanziali e incomprensibili.

A Federica Salsi e Giovanni Favia è ritirato l’utilizzo del logo del Movimento 5 Stelle. Li prego di astenersi per il futuro a qualificare la loro azione politica con riferimento al M5S o alla mia figura. Gli auguro di continuare la loro brillante attività di consiglieri (via Repubblica.it).

Il M5S e il plebiscito di Ferrara

I consiglieri regionali a 5 Stelle dell’Emilia Romagna, Giovanni Favia e Andrea De Francheschi si troveranno mercoledì a Ferrara per il secondo voto di “riconferma” o di validazione delle attività assembleari. Il voto di Bologna, anziché tenersi il 14 Novembre, come erroneamente scritto da Pubblico Giornale, avrà luogo il 5 Dicembre.

Ferrara è la città della scomunica di Grillo. Se pensate che il gruppo della lista Tavolazzi e della lista di Cento verranno messi alla porta, vi sbagliate. Come è già avvenuto a Piacenza, Ferrara sarà un plebiscito per Favia e Defranceschi. Niente di nuovo, non è il primo riesame che superano. Ma le tensioni con il vertice del Movimento, gli ultimi accadimenti – il caso Salsi, l’editto contro alcuni giornalisti, la chiusura delle liste, le primarie blindate, la candidatura calata dall’alto per il Capidoglio di Oliviero Beha, giornalista de Il Fatto Quotidiano – stanno producendo nel M5S una sorta di crisi di rigetto e l’Emilia-Romagna ne è l’epicentro.

A Piacenza Favia e Defranceschi hanno raccolto un discreto plauso per l’attività sinora condotta in Regione. L’ortodossia grillina si è espressa in tre voti contro settantotto per così dire eretici (l’eresia di Favia, naturalmente). Soltanto in tre hanno smarrito, come Grillo, la fiducia in Favia. Prima di arrivare a Bologna e di scontrarsi con il gruppo raccolto intorno a Bugani, si svolgeranno altri tre voti, a Parma, a Reggio e a Rimini. Se durante tutti queste verifiche, Favia e Defranceschi dovessero essere riconfermati, il problema della direzione del partito/movimento non potrà più essere rimandato. Poiché potrebbe passare l’equivalenza che Grillo è minoranza nel Movimento e una minoranza sta decidendo le regole per tutti. Il problema della democrazia interna è ben lungi dall’essere risolto. E’ una lettera scarlatta che brucia sul petto. E’ il segno dell’ignominia. Della truffa. Della fregatura. Dov’è il portale nazionale? Perché le liste nazionali sono liste chiuse? E perché le primarie sono limitate ai soli iscritti e sono state messe al riparo – nella penombra – delle community online? Perché chiedere a Oliviero Beha se vuol fare il sindaco di Roma senza manifestare pubblicamente questo proprio pensiero?

Oggi il Blog di Grillo pubblica un pezzo particolarmente oscuro e ambiguo. E’ una sorta di contorsione discorsiva in cui si cerca di far passare l’idea che il mondo dell’informazione è tutto indistintamente pervaso da una sorta di ‘politically correct’ attraverso cui si anestetizza l’ascoltatore, rendendolo pertanto bisognoso di una intermediazione tecnica dell’indignazione. Grillo, l’esortatore, vi aiuta a odiare meglio. E’ un servizio che vi fornisce gratis, per ora, almeno finché libri e cd coprono le spese. La verità offende, dice Grillo, ecco perché la modificano. La edulcorano. E voi, seduti sulle vostre sedie, comprendete il profondissimo pensiero e percepite l’ambiguità del sistema e delle parole che sfuggono dal proprio originario senso. Ecco, è proprio così, dietro quello schermo azzurrino – non questo – siedono gli autori del complotto mondiale. Lo sapete che sono là. Ne siete anche un po’ intimoriti. E sperate di non fare la fine di quel tipo, quello che a Piacenza ha preso settantotto voti, uno di quei “novizi inconsapevoli di essere ripresi” (cfr. Blog Grillo) e che che dietro alla telecamera, non davanti, ha detto ciò che sappiamo sin dall’inizio: nel movimento non c’è democrazia (non c’è futuro?).

Fuorionda M5S: da Grillo+Casaleggio accuse a Telese, e il complotto è servito

Eh sì, l’autore di tanti post neocomplottardi è sempre lì. Firma con i riccioli grigi ma porta anche gli occhiali alla John Lennon. Una mente fervida, fantasiosa, ma anche oscura poiché riesce a trasformare in dietrologia anche le vicende più trasparenti di questo mondo. E’ stata fatta una intervista, poi il giornalista ha pescato il fuori onda, stop. Qualcuno aveva delle cose da dire e le ha dette. Cose sacrosante, fra l’altro. Mi chiedo perché non si risponde nel merito alle critiche (non volute) di Giovanni Favia.

Sul blog di Grillo compare l’articolo di un giornalista freelance, tale Maurizio Ottomano, che però è un affiliato al movimento pertanto la sua penna non è propriamente libera ma è una penna che tende a compiacere il capo. Nel lungo articolo, Ottomano rivela quella che è solo una sua impressione e che tale rimane, nonostante egli tenti in un certo qual modo di fornirci la prova provata di quel che dice: e cioè che Luca Telese e Formigli erano d’accordo, che Telese è un nemico del M5S perché si è venduto ai partiti e persino a Montezemolo. La verifica dei fatti, il nostro Ottomano, l’avrà certamente fatta ma non ce ne lascia alcuna evidenza:

Il sito è registrato a nome di Tommaso Tessarolo,definito come da suo blog, “il più giovane dirigente della storia del gruppo Fininvest” ed ex-consulente strategico per la TV Digitale Mediaset, nonchè direttore di Current TV Gruppo Sky [primo errore, Current tv non è del gurppo Sky ma è la tv di Al Gore]. Nella Pubblico Edizioni srl troviamo poi l’avvocato Feverati, che lavora per l’agente di Telese: i tre hanno insieme il 51% delle azioni della società. Il rimanente 49% è diviso tra Lorenzo Mieli, produttore televisivo (X-Factor) e cinematografico, figlio di Paolo Mieli nonchè fidanzato di Clementina Montezemolo, figlia di Luca Cordero. Con Lorenzo Mieli anche Marco Berlinguer (ex-Liberazione), figlio di Enrico e fratello della compagna di Telese, Laura Berlinguer. All’interno della società anche Mario Adinolfi*, giornalista saltato da Radio Vaticana al TG1, all’attivismo prima nella DC e poi nel PPI, per essere ora deputato in carica nel PD di Bersani con l’appoggio di Franceschini. In più, varie firme del giornalismo italiano tra cui lo stesso Corrado Formigli e Francesca Fornario ex “L’Unità”, che accusò duramente Daniele Luttazzi di plagio nel 2010 decretando praticamente la fine della carriera televisiva. Alla fine, di potenziale distanza dalla logica della partitocrazia, non se ne vede poi molta.

Telese, su Pubblico, si è fatto lunghe risate. Ed ha abbattuto il siluro di Grillo-Casaleggio-Ottomano con queste fantastiche parole:

il 5% di pubblico appartiene a una societá di produzione mediale di cui è amministratore Lorenzo Mieli. Ovvio che per Grillo sia l’emanazione del padre, Paolo, e – addirittura – l’anello di congiunzione con ben due temibili poteri forti contro di lui: l’Rcs e Montezemolo. Qui mi sono messo le mani nei capelli: perchè il giorno in cui lasciai il Fatto, Cinzia Monteverdi, amministratrice di quel giornale, urlava per i corridoi: “Ho parlato con Paolo Mieli… Mi ha detto che se suo figlio mettte un solo centesimo in quel giornale lo prende a calci in culo” (Pubblico.it).

Ottomano scrive che Telese sapeva dell’imminente scoop e ciò sarebbe dimostrato dal fatto che Pubblico scriveva del caso Favia già alle 22.23 quando il pezzo sarebbe andato in onda alle 22.27. Un dato inoppugnabile, si direbbe. Eppure mi viene da ridere lo stesso. Poiché è facilmente dimostrabile il contrario. Ma la parte migliore viene quanto Ottomano scrive di Favia e del corso audiovisivo che avrebbe frequentato anni addietro (nel senso: non poteva non sapere). Ecco spiegato l’arcano. Perché fin da oggi pomeriggio, almeno, qualcuno cercava sul web notizie del “curriculum Favia”. Dico questo perché queste parole risultano essere state impiegate sul web per fare ricerche sul consigliere regionale. Su Yes, political! si è parlato spesso di Favia ed ecco che una delle pagine che ho scritto è stata indicizzata da un motore di ricerca. La parola chiave risulta fra quelle che hanno portato traffico su questo sito. Strano, vero?

Fra le parole chiave che hanno portato traffico a questo sito, oggi, le parole “curriculum giovanni favia” e “notizie giovanni favia”, segnale forse che qualcuno sta cercando scheletri negli armadi.

Ed infatti, nel pezzo di Ottomano si specifica proprio la parola curriculum:

Favia non è lo sprovveduto che pensiamo in balia del giornalista cattivo e di una tecnologia sconosciuta. Non è un’anziana signora ottantenne, ignara di qualsiasi marchingegno elettronico, con il panico da telecamera e la voglia di salutare a casa. Il nostro Favia è abituatissimo alle interviste, dato che il suo presenzialismo in TV ormai è noto a tutti ma, soprattutto, conosce benissimo le dinamiche audiovisive! Infatti il suo curriculum recita tra l’altro:
– nel 2003 frequenta il corso professionale di tecnico di produzione audiovisive
– direttore della fotografia, titolare ditta individuale per la produzione di materiali audio-visivi e cinema indipendente.
Niente di meno! E’ questa sarebbe la persona che pensava di parlare ad un microfono spento?

Un’altra prova provata della colpevolezza di Favia è proprio la sua collateralità con Valentino Tavolazzi, l’espulso eccellente, il sovversivo che durante l’incontro di Rimini “discusse di opzioni come togliere il nome “beppegrillo” dal logo, aumentare le legislature possibili a più di due, accettare anche ex-appartenenti a partiti politici”. Fatti gravissimi, senz’altro. Naturalmente il movente di questa storia “così ben congegnata” è da ricercarsi nella fine di mandato, che per Favia è imminente, essendo egli alla seconda legislatura – ma questi da quando cominciano a contare? Favia è alla prima legislatura in Regione, in Comune a Bologna ne avrà fatta mezza – e pertanto sotto sotto deve esserci senz’altro la promessa di un “do ut des”, una dare avere – tu mi sputtani il Grilloleggio e io ti candido alle prossime elezioni. Il partito coinvolto, manco a dirlo, il Partito Democratico.

Formigli ha smentito qualsiasi coinvolgimento di Telese. Nessuno conosceva il contenuto del servizio di Pecoraro.

Ma naturalmente fra i grilloleggi il complotto è una malapianta che attecchisce subito. E’ proprio ciò che vogliono sentirsi dire. Il cibo che desiderano ingoiare:

Se credete come @GabirPepi alle fesserie Ottomane, non leggete più questo blog, grazie.

Caos a 5 Stelle: tutti dicono Giovanni Favia

Giovanni Favia è sempre stato fra i più popolari fra i 5 Stelle. All’apice della contestazione contro Berlusconi e contro l’inerzia del Capo dello Stato, Favia pensò bene insieme ai 5 Stelle bolognesi di portare in piazza lo striscione “Napolitano dorme”, proprio durante una visita del presidente nel capoluogo emiliano. Fu quella la prima volta in cui si sentì parlare di lui. Ha avuto altri picchi di popolarità, ma mai come quello attuale. Confrontiamo questi due grafici, ripresi da Google Insight:

 

Negli ultimi giorni le ricerche sul motore di Mountain View hanno avuto un picco che ha persino superato il record di ricerche del Marzo 2010, mese in cui Favia fu eletto al consiglio regionale dell’Emilia Romagna. In una scala da 0 a 100, oggi fa registrare il massimo punteggio quando nel 2010 il volume di ricerca su di lui raggiungeva soltanto 86. L’incremento verticale degli ultimi giorni, innescatosi con il fuorionda di Piazzapulita, è meglio apprezzabile in questo secondo grafico:

 

Non si può certo dire la medesima cosa di Beppe Grillo. L’effetto del fuorionda non è ancora visibile nelle statistiche del motore di ricerca, ma tuttavia è evidente come il trimestre Marzo-Maggio (periodo di campagna elettorale per le amministrative) sia servito a riportare il suo nome in cima alla lista delle ricerche. Il grafico sottostante evidenzia come invece gli anni 2010-2011 hanno rappresentato una flessione dell’interesse (se così si può dire) del web italiano per Beppe Grillo. E’ evidente che portare il Movimento alle elezioni regionali, amministrative ecc., influisce positivamente sui volumi di ricerca legati alle parole chiave del blog.

Volume di ricerca originato dalla parola “beppe grillo” (Google Insight)

Volume di ricerca originato dalle parole “blog beppe grillo” (Google Insight)

Invece il nome Casaleggio sembra diventare trending topic solo e soltanto quando i riflettori della tv si posano su di lui. Capitava a Maggio con la reprimenda di Santoro (quando apostrofò Casaleggio con il nome di “piccolo fratello” di Grillo), capita oggi dopo lo scoop di Formigli:

 

M5S e fuorionda: un’analisi della versione di Favia

Fare una sorta di analisi dello schema argomentativo (e difensivo) impiegato da Giovanni Favia per non soccombere sotto la fatwa di Grillo-Casaleggio è indispensabile per non cadere nella trappola della imprecazione, al grido di “complotto! complotto!”, un grido tanto facile alle pletore dei fan del comico (e indirettamente del ventriloquo).

Favia scrive: “Nel mio sfogo del fuori onda, parlando di assenza di democrazia, non attaccavo il Movimento, ma un problema che oggi abbiamo e che presto dovrà risolversi. Ovvero la mancanza di un network nazionale dove poter costruire collettivamente scelte e decisioni, comprese le inibizioni e le attribuzioni del logo. Questa falla concentra tutto in poche mani, seppur buone e fidate, generando una contraddizione che spesso sul territorio ci viene rinfacciata. Non è un problema di sfiducia, è un problema d’efficienza, d’organizzazione e di principio”. Favia in questa frase mette in evidenza il punto cruciale del M5S: l’assenza di regole. Il non-statuto non specifica alcuna modalità operativa. Nulla. E’ stato detto e ridetto. Un movimento ha necessità di organizzazione per poter funzionare e prendere decisioni motivate da una discussione che sia quanto più estesa possibile. Ma il duo comico-più-ventriloquo vede le regole come fumo negli occhi. Senza regole hanno potuto drenare attraverso il web un potere gigantesco in termini di consenso. Un consenso che ora devono capitalizzare affinché sia pienamente remunerativo per la propria impresa di marketing comunicativo. L'”esperimento” del Movimento 5 Stelle è un caso da laboratorio e presto farà scuola. E’ la dimostrazione che il web può essere messo al servizio di ideologie e di anti ideologie, al fine di coinvolgere e sussumere l’individuo all’interno di categorie predefinite, quindi da renderne il comportamento assolutamente parametrizzato e pertanto prevedibile e prevenibile.

Favia bis: ” Il Movimento è un grande sogno, non è Favia, non è Casaleggio. L’ultima occasione per questo paese, per riscattarsi. Mesi fa incontrai un giornalista, mi intervistò in merito alla democrazia interna nel livello nazionale. Tavolazzi era stato un grande compagno di battaglie, come me, sin dagli inizi. Lo vidi piangere, dopo l’inibizione al logo. Ero arrabbiatissimo. In pubblico non ho mai voluto manifestare il mio disagio per non danneggiare la nostra battaglia. Da ormai 5 anni sto dando la mia vita per il movimento 5 stelle, contribuendo alla sua nascita. Ora ci sono dei problemi, li chiariremo tutti insieme”. Ecco, il caso Tavolazzi è stato ben più che la rimozione di un ostacolo. E’ stato, per così dire, un tradimento di quella regola tacita che però nel movimento è evidentemente condivisa. Una regola meritocratica, secondo la quale un signore come Tavolazzi, con spirito ed idee adeguate, non può esser mandato via perché non ha obbedito alla volontà del capo (nascosto). In una logica di orizzontalità, di “uno vale uno”, il licenziamento di Tavolazzi è uno sfregio. E’ di fatto la negazione stessa di questa tanto evocata orizzontalità. Rappresenta il fallimento del progetto. Poiché dinanzi al dilemma del numero, anche il Movimento 5 Stelle non ha potuto sottrarsi alla ferrea legge dell’oligarchia (cfr. Roberto Michels). Una organizzazione reagisce alla difformità della moltitudine individuando gerarchie fondate sul potere, nelle quali il potere medesimo è delegato dall’alto verso il basso secondo linee relazionali dipendenti dal grado di fedeltà al vertice. Potere in cambio di disponibilità e di asservimento è il mezzo migliore per tenere insieme una organizzazione così poco burocratizzata. Ed ecco che riemerge la figura carismatica, la guida simbolica, che non ha bisogno di regole poiché ogni regola è desunta dalla sua propria personale interpretazione di ciò che è bene per gli altri. La sua, solo la sua, ha validità poiché Egli ha capacità straordinarie di conoscere lo spirito del tempo. Qualcosa che la Storia ci ha insegnato più di una volta.

Intanto, il blog di Grillo, a parte uno scarno comunicato del vetriloquo Casaleggio, rimane in silenzio come una qualsiasi Pravda.

#Piazzapulita nel #M5S

Pubblicato su Storify: http://storify.com/yes_political/piazzapulita-nel-m5s

Nel movimento di Grillo non c’è democrazia. Queste le parole di Favia. Dovremmo sorprenderci o indignarci? Non è un fatto nuovo. Lo stesso Favia è stato indicato dal duo Grillo-Casaleggio per le regionali 2010. Poi il vertice del M5S gli ha preferito Bugani, consigliere comunale bolognese, come referente/informatore. Il Movimento, secondo il comico e il ventriloquo, deve essere comandato. Non c’è struttura né gerarchia né regole scritte. Le regole le scrivono loro. A loro piacimento. Che dire: questi sono fatti noti da tempo. Non serve un fuori onda per denunciarli. Sono due anni e forse più che se ne parla sul web. Anche Favia è stato spesso coinvolto in queste discussioni. Se oggi afferma che nel M5S non c’è democrazia, allora evidentemente se ne è accorto pure lui.

Che poi questa storia dell’intervista ad orologeria non regge. Formigli ne parla sul suo blog, specificando che l’inchiesta è stata svolta a fine Maggio e che l’ultima puntata di Piazzapulita della scorsa stagione televisiva è datata 7 giugno, troppo poco per finire di montare i servizi. Ma Favia sentiva odore di bruciato (intorno a sé). Se ricordate bene, già Santoro si lanciò in una durissima reprimenda sul duo Grillo-Casaleggio. Era il segnale che qualcosa stava cambiando. Il segnale di una rottura fra ambienti di sinistra e il comico-ventriloquo.

Il cleavage è evidente: da una parte i tipi de Il Fatto Quotidiano; dall’altra il gionalismo in quota sinistra-centro-sinistra (una galassia che da Il Manifesto passa per Telese, per La Repubblica e si chiude con quelli di Europa). La stessa frattura emersa con il caso Napolitano-Mancino. Non è un caso.

Ed attenzione, perché il ventriloquo lascia per un momento il suo pupazzo con i ricci grigi e pretende di parlare con la propria voce e persino di essere creduto. Surreale, no? La maschera è caduta e ancora una volta rimaniamo straniti: “pensavo che Oz avesse una grande testa” (Dorothy ne Il Mago di Oz, Frank Baum).

Mai inviato infiltrati. In pieno una smentita in stile berlusconiano. Mai avuto carie in vita mia.

Ed ecco Favia intervistato (a pagamento?) da Pataccini su Rete7 – Punto Radio

Così potete giudicare anche voi:

Altri post sulla vicenda interviste a pagamento:

Emilia-Romagna: anche i 5 Stelle pagano le interviste in Tv

Grillo grazia Favia per le partecipazioni televisive a pagamento

M5S e presenze in Tv: cosa non convince della risposta di Favia

Presenze in Tv, Il Fatto Quotidiano imbroglia su Casadei (PD)

[Poi, giuro, parlo d’altro].

 

M5S e presenze in Tv: cosa non convince della risposta di Favia

Jeremy Paxman, giornalista BBC

Giovanni Favia è coraggioso. Lotta, dal di fuori, contro “il partitone”, quel PD che in Emilia-Romagna è sempre stato forza di governo e che è un tutt’uno con la società civile, in primis con quella che conta economicamente, finendo giocoforza per fondersi con l’interesse privato. Lui pensa di poter cambiare questo piccolo mondo antico e crede nel mezzo televisivo per arrivare anche al “pensionato di montagna” che non ha mai cambiato il proprio voto dal 1948.

Il vecchio tubo catodico è in questo senso infallibile. L’unico problema è che “bisogna apparire”, come recita l’incipit del film Videocracy. Per apparire in Tv, che notoriamente è uno spazio contingentato e in mani altrui, Favia e gli amici dei 5 Stelle, comprano minuti di trasmissione. Come qualsiasi altro partito. Favia la chiama informazione.

Ecco, quando leggo la parola informazione nel post pubblicato oggi sul sito del 5 Stelle Emilia-Romagna, mi irrigidisco non poco. Possibile che sia così dura da capire? Se un’istituzione fa pubblicità al proprio operato, questa non è informazione bensì propaganda. Non c’è verso di trovare altra definizione. Poiché nel concetto medesimo di informazione è insito il concetto di critica. L’informazione è quello strumento che in un sistema sociale permette alla sfera pubblica di orientare la propria opinione circa l’operato del sistema politico, il quale agisce (ovvero discute e delibera) al fine della allocazione delle risorse comuni. Mi pare chiaro che non può essere il sistema politico ad impiegare questo strumento, essendo esso medesimo l’oggetto dell’informazione.

Favia comprende bene la distorsione del nostro sistema, così lontano dall’essere una democrazia liberale compiuta. Tutti noi sappiamo che l’informazione e la Tv sono gravate dal conflitto di interesse e sono schiacciate da un oligopolio difficile da demolire se non con atti riformatori che nel nostro contesto risulterebbero addirittura rivoluzionari. Favia però deve sapere che se appare in Tv, lui che è un consigliere regionale ed è quindi un attore di quella istituzione che è oggetto di informazione, avendo però la presunzione invece di farla lui l’informazione, allora si colloca proprio al centro di quel magma bollente che è il conflitto di interesse. Diventa cioè da oggetto passivo di informazione, quindi oggetto di critica, a soggetto di informazione su sé stesso  scavalcando a piè pari il terreno della critica. Egli, forse inconsapevolmente, si pone nei confronti del sistema informativo prevenendolo e diventando esso stesso curatore della informazione della propria attività istituzionale. Può decidere quindi di selezionare cosa rendere pubblico e cosa no, su quale atto impiegare più minuti e quale meno.

Certo, mi rendo conto che quanto sopra può essere evidenziato nei confronti di qualsiasi altro politico regionale o nazionale che sia. E’ vero. Non vi è nemmeno nulla di illecito, né di scandaloso in quanto da lui fatto. E inoltre il giornalismo locale è quanto di più si avvicini al mero pubblicismo e sovente gli editori di queste emittenti pendono dalle giacche di taluni gruppi politici. Pertanto è evidente che il campo della critica è spazzato via a prescindere. In ogni caso, Favia dovrebbe riflettere se non sia meglio per lui andare in un talk nazionale, a testa alta, senza pagare nulla, sottoponendosi al fuoco di fila delle domande – senza saperle prima, please – piuttosto che pagare per qualche minuto di trasmissione a 7Gold.

Anche perché se fossi al posto suo, sarei orgoglioso di me stesso se mi trovassi testa a testa contro un signor giornalista, che so, per esempio un giornalista come Jeremy Paxman. Paxman è possibile solo in Inghilterra, questo è chiaro anche ai sassi. Ma fossi in Favia, avrei fatto a gara per partecipare a una trasmissione Tv come BBCNewsnight e rispondere a domande come quelle che Paxman ha fatto a Cloe Smith, la Serracchiani dei Tories e Ministro del Tesoro del governo Cameron, caduta in disgrazia proprio dopo averlo incontrato:

dal minuto 6.30

 

Grillo grazia Favia per le partecipazioni televisive a pagamento

Con questo stringatissimo post Grillo dice la sua sulla questione delle partecipazioni televisive del consigliere regionale dell’Emilia Romagna Favia:

Pagare per andare in televisione per il MoVimento 5 Stelle è come pagare per andare al proprio funerale, anche se è certamente lecito. La mia è un’opinione molto radicata, altri magari ne hanno di diverse. Il M5S ha rifiutato ogni contributo elettorale. L’eventuale spesa per inserzioni televisive è coperta dalla differenza tra lo stipendio “auto ridotto” di un consigliere regionale del M5S, circa 2.500 euro, e lo stipendio “normale” di 10.000 euro e altri benefit. I soldi pubblici e il M5S sono inconciliabili. Per questo proporrò a tutte le prossime liste regionali, prima di presentarsi, di impegnarsi a restituire alla Regione, o a un istituto di pubblico interesse regionale, la differenza tra lo stipendio percepito e quello regionale (http://www.beppegrillo.it/2012/08/pagare_per_anda/index.html).

Quindi secondo Grillo le partecipazioni presso 7Gold e ètv sono state “coperte dalla differenza tra lo stipendio “auto ridotto” di un consigliere regionale del M5S e lo stipendio normale” ma in realtà sono spazi televisivi pagati coi denari messi a disposizione dalla Regione ai gruppi consiliari, e non direttamente dai consiglieri. Sebbene i 5 Stelle emiliano-romagnoli abbiano messo a bilancio alcune voci relative ad “acquisto spazi presso Punto Radio e Rete 7” (due per tutto il 2011), dalle inchieste giornalistiche pare che i politici abbiano pagato per ogni singola apparizione presso 7Gold, in particolar modo nella trasmissione mattutina di commento delle notizie e filo diretto con gli ascoltatori.

Grillo propone di pattuire con le prossime liste regionali (badate bene, regionali e non nazionali) di restituire alla Regione i denari in eccesso rispetto al limite di 2500 euro fissato per gli stipendi dei consiglieri. A sorpresa non propone nulla, dico nulla, per affrontare la faccenda adesso, al fine di stabilire con Favia un diverso “codice deontologico” per quanto concerne le comparsate in tv. Un codice che contenga giusto un paio di regole: non si comprano spazi televisivi, si va in tv solo per interviste in contraddittorio. Lo scandalo delle partecipazioni a pagamento non è tanto relativo all’impiego dei denari pubblici, bensì piuttosto sul fatto che Favia preferisce gli spot a pagamento in cui si possono esprimere dei “concetti” a delle interviste con domande. E soprattutto: che la famigerata orizzontalità dei 5 Stelle anche in questo caso è dimenticata.

Emilia-Romagna: anche i 5 Stelle pagano le interviste in Tv

Nella sostanza si tratta di contratti “regolari”: si firma, si fattura, ed è tutto in regola. Ma figuratevi, si parla di denaro pubblico impiegato per ottenere visibilità presso trasmissioni tv locali di emittenti quali 7Gold e ‘ètv’. Giovanni Favia, è scritto su alcuni siti web (link sulla foto), avrebbe “candidamente” rivelato di aver firmato uno di questi contratti. Presso 7Gold si devono pagare 200 euro per andare in trasmissione. Si capisce: 7Gold è una tv privata, dice il conduttore Dario Pataccini, e non riceve finanziamento pubblico (sarà vero?).

Così, parafrasando Favia, dal momento che l’informazione non è libera, la paghiamo affinché sia ancor meno libera. E’ proprio questo il punto focale del problema: la tv dovrebbe esser libera di non intervistare i 5 Stelle, invece li intervista e si fa pagare. Pertanto qualsiasi intento critico di tale presunta informazione viene meno. Non ci sarà mai nessun Pataccini che, intervistando un 5 Stelle, o un PdL o un UDC, o un SeL – perché così fan tutti, meno che quelli del PD, a quanto pare- gli farà mai una domanda. Dal momento in cui il politico paga lo spazio televisivo, quest’ultimo si trasforma da informazione a pubblicità del prodotto politico. E la pubblicità è notoriamente acritica, veicola messaggi preconfezionati, tende a procedere per slogan e ad ignorare la realtà.

E’ secondario che a tal scopo siano impiegati i denari dei gruppi consiliari. I 5 Stelle si difendono dicendo che è tutto trasparente, basta controllare sul loro sito. Infatti, nel bilancio 2011, compaiono ben due voci del tipo “Pubblicazioni” denominate “Acquisti spazi su Punto Radio e Rete 7” per una somma complessiva di euro 2223.50. Pochi denari e messi in chiaro. Quel che non è chiaro è la linea politica: da un lato si afferma che la tv è il diavolo, che i 5 Stelle non devono andare in televisione, pena la scomunica del duo Grillo-Casaleggio. Poi si firmano contratti per ottenere spazi pubblicitari veri e propri nelle tv locali. “Il problema sono i talk show nazionali, dove non riesci ad esprimere un concetto, condotti ad arte per disinformare”. Favia preferisce al contraddittorio la possibilità di un mini comizio in tv, senza le fastidiose interruzioni dei giornalisti. In questo aspetto è pienamente allineato con Grillo.

Ma la domanda delle domande è la seguente: che fine ha fatto la presunta superiorità del Web? Il 5 Stelle era un movimento che si sviscerava dalla interazione online più che dalla pubblicistica a pagamento. A questo punto, per i 5 Stelle dell’Emilia-Romagna, il web è un media come un altro, esattamente come per i partiti della vecchia Casta. In quest’ottica, esiste un solo modello informativo unidirezionale, che dai 5 Stelle procede verso gli utenti-elettori, e non viceversa. Già da questi aspetti si deduce che l’orizzontalità è smarrita e il “bisogno” di gerarchia e burocratizzazione si affaccia anche su questa nuova- nuovissima – organizzazione politica.

In difesa di Favia e Defranceschi (non del M5S)

Ora va di moda dagli addosso ai 5 Stelle. Dalle colonne di questo blog non sono mai mancate le critiche al M5S, sin dalle origini. La crescita esponenziale del Movimento, con le amministrative 2012 e dopo, in maniera del tutto virtuale, nei sondaggi, ha innescato un nuovo filone giornalistico. Trovare scheletri nell’armadio di Grillo, Casaleggio e di tutti i neofiti del M5S. L’importante è parlarne male, non argomentare bene le proprie tesi (ci sono un paio di post imperdibili di Mazzetta e il Nichilista, assolutamente da leggere e che costituiscono, a mio avviso, due esempi di buon giornalismo in materia di M5S e utopismo della democrazia diretta). Ma, a sorpresa o forse no, il nouveau divertissement non nasce sul web bensì sui giornali – il web ne fa solo un copia-incolla, nelle più comoda delle pratiche attira visitatori. Così, stamane, mi trovo a dover difendere i due consiglieri regionali dell’Emilia Romagna del M5S, non già per partito preso: solo e soltanto per il piacere di verificare i fatti.

Parto dal principio. Un blogger copia e incolla un articolo di Silvia Cerami su L’Espresso. In esso si sferra un colpo sotto la cintola a Favia in particolare, reo di esser presidente – da ben due anni – della Commissione Regionale VI “Statuto e Regolamento”. Un fatto noto. Favia, in quanto presidente, avrebbe “a disposizione due dirigenti e un funzionario, un budget annuale di oltre 100 mila euro, più eventuali spese di rappresentanza. Non manca, ovviamente, un emolumento mensile maggiorato per le incombenze del presidente, che nel 2011 ha incassato 125.239,68 euro” (Jack’s Blog). Naturalmente, nessuno del blog sopra citato ha pensato di dover verificare quanto scritto dalla Cerami. Si assume che sia vero perché l’ha scritto tale Cerami su L’Espresso. Nessuno mette in dubbio la buona fede di Cerami, semplicemente qui si crede che il suo pezzo valga tanto quanto gli articoli anti-Casta di Sallusti su Il Giornale. E dire che il M5S ha davvero tanti problemi, a partire da quell’idea forse irrealizzabile e utopica di “democrazia dal basso”, che peraltro nemmeno funziona, visto e considerato i casi di Parma e di Cento (Tavolazzi docet). L’attacco della Cerami contro Favia si impernia sul fatto che Favia avrebbe anzitempo bollato la Sesta Commissione come “uno spreco”. Poi ne è diventato presidente e spreco più non era. Quindi c’è il mistero della cifra – quelle 125.238,68 euro che, secondo Cerami, Favia avrebbe “incassato” nel solo 2011. Basterebbe quello per accecare tutti i fan del M5S di Bologna e dintorni. Il problema è che le parole della Cerami non permettono verifica. Infatti, sul sito dell’Assemblea Regionale dell’Emilia Romagna, alla pagina Trasparenza, sono pubblicate altre cifre, e diventa difficile se non impossibile capire da dove provengano quelle 125.000 euro di cui testimonia Cerami.

Emolumenti a favore dei Consiglieri regionali

Netto esclusi rimborsi a pié di lista e rimborsi di cui alla let.b art.52 del T.U.I.R. Rimborsi di cui alla lett.b art.52 del T.U.I.R.* Totali netti

Presidente Assemblea legislativa e Giunta Regionale

5.314,69 2.277,02 7.591,71

Vice Presidente Assemblea legislativa

4.591,16 2.277,02 6.868,18

Presidente Commissione Consiliare

4.012,32 2.277,02 6.289,34

Vice Presidenti Commissioni Consiliari

3.578,19 2.277,02 5.855,21

Consigliere Segretario e Segretario Questore del Consiglio

4.012,32 2.277,02 6.289,34

Capigruppo Gruppi Consiliari

4.012,32 2.277,02 6.289,34

Consigliere Regionale

3.288,78 2.277,02 5.565,80
(*) Nota: è compreso in questa voce: il rimborso forfetario delle spese sostenute per la partecipazione alle riunioni istituzionali e per le spese derivanti da attività connesse all’espletamento del mandato, previsto dalla La L.R. 42/1995 all’art. 6, comma 1, lettera a); Non è compreso in questa voce: il rimborso spese di trasporto previsto dalla L.R. 42/1995 all’art. 6, comma 1, lettera b) per lo svolgimento delle attività connesse all’esercizio del mandato, costituito da un rimborso chilometrico che tiene conto della distanza tra la residenza e la sede dell’Assemblea, corrisposto in base alla effettiva presenza, fino ad un importo massimo corrispondente a 12 presenze mensili. Tali importi sono variabili e corrisposti a fronte di spese sostenute e puntualmente certificate; non sono quindi riportati nella tabella di sintesi.

Se gli emolumenti che spettano a Favia in qualità di presidente di commissione sono effettivamente pari a 6289 euro netti al mese, allora nel 2011 dovrebbe aver “incassato” una somma pari circa a 75000 euro. In ogni caso, dovrebbe valere l’intenzione più volte espressa da Favia di trattenere solo i 2500 euro mensili. Nel suo Movimento sono piuttosto attenti a queste cose e polemiche erano già sorte sul destino della eccedenza che Favia e Defranceschi devono comunque percepire personalmente. Su questo punto non mi dilungo altrimenti. Se ne è parlato forse in eccesso. E’ ora di passare oltre.

Secondo aspetto degno di critica secondo Cerami: la commissione VI sarebbe alquanto inoperosa. Solo “ventiquattro sedute in tutto il 2011, con una media di due al mese, quasi trenta ore all’anno di duro lavoro”. Una Commissione “nata nel 2001 per riscrivere lo Statuto della Regione”, doveva durare trenta mesi, il tempo di approvare le modifiche statutarie. Ebbene, sono “trascorsi quasi dieci anni” poi “nel 2010 […], dopo le elezioni regionali, venne di nuovo costituita, per altri cinque anni” (Jack’s Blog, cit.). Ventiquattro sedute possono essere tante o poche, non è questo il modo corretto di argomentare. E’ chiaro che una Commissione sul Regolamento ha un minor tasso di attività rispetto per esempio ad una Commissione Bilancio, nella quale transitano quasi tutti i provvedimenti di un governo regionale. Bisognerebbe poi fare una valutazione della qualità del tempo speso dalla Commissione VI, che ha comunque una serie di compiti che vanno al di là delle semplici “modifiche statuarie”. La Commissione infatti deve occuparsi di:

−  proposte di modifica allo Statuto e al Regolamento interno;
−  legge elettorale, disciplina dei casi di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità;
−  leggi in materia di organismi e Istituti previsti dallo Statuto;
−  promozione della democrazia partecipativa e dei processi decisionali inclusivi;
−  promozione delle attività di controllo e valutazione delle leggi, clausole  valutative e missioni valutative;
−  semplificazione e qualità degli atti e dei procedimenti;
−  rapporto sulla legislazione. (Commissione VI – Statuto e regolamento).

Inoltre, dando un’occhiata alla composizione della Commissione, la cui esistenza è attribuita da Cerami quasi come una colpa a Favia, troviamo personaggi illustri e al di sopra di ogni sospetto della politica dell’Emilia Romagna, come l’avvocato di strada Antonio Mumolo (PD), il compianto Maurizio “Cev” Cevenini, Roberta Mori (PD), attuale presidente della Commissione per la Parità e attivissima sul fronte dei diritti delle Donne.

In ogni caso, questa “inutile” Commissione ha partorito 41 progetti di leggi regionali (ATTI Commissione VI). Fra di essi vi sono tre leggi molto importanti, che hanno distinto la Regione Emilia-Romagna nel paese:

494 – Progetto di legge d’iniziativa dei consiglieri Favia e Defranceschi: “Modifiche alla legge regionale 14 aprile 1995, n. 42 “Disposizioni in materia di trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere regionale”” (24 09 10). Vedi pdl 827– e 827 Progetto di legge d’iniziativa dei consiglieri Monari, Sconciaforni, Naldi, Mandini, Barbati, Mazzotti, Noè, Lombardi, Pollastri, Manfredini e Cevenini: “Modifiche alla legge regionale 14 aprile 1995 n. 42 “Disposizioni in materia di trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere regionale”” (06 12 2010), poi confluite nella Legge regionale n. 13 2010.

958 – Progetto di legge d’iniziativa dei consiglieri Favia e Defranceschi “Anagrafe pubblica degli eletti della Regione Emilia-Romagna. Disposizioni sulla trasparenza e l’accessibilità alle informazioni” (25 01 11), vedi pdl 262, poi diventato Legge regionale n. 1 2012.

1078 – Progetto di legge d’iniziativa dei consiglieri Favia e Defranceschi “Norme per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni mafiosi, criminali, illegali e per la promozione dell’educazione alla legalità” (18 02 11), vedi pdl 1117,  Progetto di legge d’iniziativa della Giunta: “Misure per l’attuazione coordinata delle politiche regionali a favore della prevenzione del crimine organizzato e mafioso, nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile” (delibera di Giunta n. 259 del 28 02 11), poi diventato Legge regionale n. 3 2011.

Si tratta di tre leggi che hanno avuto origine dall’iniziativa di Favia e Defranceschi – abrogazione vitalizio consiglieri regionali, anagrafe degli eletti e Contrasto fenomeni mafiosi. L’Emilia-Romagna è stata la prima regione a dotarsi di una legislazione per il contrasto alla infiltrazioni mafiose;  ed è la prima regione ad aver abolito il vitalizio dei propri consiglieri. Se non altro, la presenza di Favia e Defranceschi, nonché l’attività in Commissione VI di Favia medesimo, influenzano il dibattito consigliare della Regione Emilia-Romagna.

Non si spiega altrimenti, se non con una volontà calunniatoria, l’articolo di Silvia Cerami. Ripeto: di problemi e di aspetti poco chiari il M5S è pieno. Un corretto giornalismo dovrebbe cominciare da quelli: dal ruolo di Grillo e di Casaleggio (per favore senza indugiare nel complottismo); dall’idea di democrazia diretta applicata mediante la tecnologia del web – tecnoutopismo e democrazia; dall’aspetto legato alla perdita della caratteristica del professionismo della politica; dal problema annoso della mancata circolazione delle élites. Ma forse chiedo troppo.

Aggiornamento 24/06/2012:

Alla fine è arrivata la risposta di Favia, ma le risposte – quelle vere, quelle fattuali – erano già lì, sul sito istituzionale dell’Assemblea dell’Emilia Romagna.

Queste sono le tabelle citate da Favia, che potete esaminare e tenere sotto controllo voi stessi su http://www.assemblea.emr.it/assemblea-legislativa/trasparenza/commissioni

Giovanni Favia e Andrea De Franceschi, M5S Emilia-Romagna

Movimento 5 Stelle, che fare?

Giovanni Favia e Andrea De Franceschi, M5S Emilia-Romagna

Ho per giorni dubitato di doverne parlare. Poiché sulla natura dei problemi del Movimento Cinque Stelle mi sono già espresso in diversi post e per più tempo nel corso degli ultimi due anni. Per cui le ultime ‘novità’ relative allo scisma del Cinque Stelle del ferrarese e del riminese per via della scomunica nei confronti di Tavolazzi, non mi hanno entusiasmato in quanto a mio avviso si è verificata una inutile e pericolosa deriva dalla discussione sul metodo alla fedeltà alle regole, o alla linea del capo, o al non-statuto che dir si voglia. Dire questo è affrontare metà del problema: cosa servono gli appelli in favore di Tavolazzi o a sostegno di Grillo se non si capisce che la questione principale è darsi una organizzazione credibile e plausibile nel senso di una democrazia diffusa, orizzontale, meritocratica e fondamentalmente orientata a dipanarsi nelle nuove tecnologie connettive?

L’incontro dei (vecchi?) meet-up a Rimini del 3 e 4 Marzo scorsi, aveva l’indubbio merito di porre sul tavolo la questione della ‘modalità operativa’ della e-democracy. Nel documento-manifesto dell’incontro, veniva chiaramente sviscerato il tema della non completa sostituibilità della discussione viso a viso, delle assemblee fatte di persone in carne e ossa organizzate in ordini del giorno e relatori e pubblico che ascolta. Niente di diverso, si obietterà, da quanto succede in una normale Direzione Nazionale di Partito. E’ vero, è maledettamente vero, così come è sbagliato perseverare nella criminalizzazione della forma partito: non sono i partiti il male della politica nostrana, bensì i gruppi di interesse privati che li controllano. Proprio per evitare questo vizio capitale, il Movimento 5 Stelle dovrebbe garantire la partecipazione della base elettorale sia nella selezione dei candidati che dei programmi. La partecipazione diffusa non può fare a meno di una auctoritas altrettanto diffusa, una auctoritas non personificata ma – alla maniera di Habermas – ‘scolpita nelle regole’ (che è diverso da una fedeltà cieca al non-statuto, pateticamente propagandata dal Lidér Maximo tramite il blog).

La retorica dell’uno vale uno si scontra con il limite invalicabile dell’insindacabile giudizio di Grillo. Grillo ha la proprietà del marchio. Il M5S è un ‘prodotto ‘ di Grillo. Essere un prodotto si scontra con la libera discussione. Per ‘realizzare un prodotto’ serve gerarchia e certezza di comando, null’altro. Se il M5S vuole sottrarsi al destino di un prodotto (essere venduto?) deve rifondarsi dandosi finalmente la struttura organizzativa che garantisce la partecipazione diffusa: istituendo un anagrafe degli elettori, decidendo le proprie candidature e le proprie liste con primarie aperte, avviando sul web il progetto di una agorà virtuale in cui realizzare la discussione ragionata, la decisione e la deliberazione costante – non plebiscitaria – relativamente alle proposte politiche. Tutto ciò è ancora lungi dal venire e certamente il dibattito asfittico dei pro o dei contro Grillo non serve alla causa.

Leghismo a 5 stelle

Questa storia del post di Grillo contestato dai grillini sul suo stesso blog mi sembra una non notizia. La vera distrazione di massa l’ha messa in opera lui, riuscendo a far parlare di sé e non del problema della cittadinanza, delle presunte divisioni del Movimento 5 Stelle piuttosto che dei limiti impliciti del metodo da loro operato, così rigido verso il programma e a prassi di consultazione degli iscritti anche per decidere delle sciocchezze, come per esempio votare per aderire o meno a una manifestazione come quella de L’Italia sono anch’io.

In verità vi parlo di questa vicenda per due ordini di ragioni:

  1. non è vero che il web – ah, il popolo del web! – abbia reagito in maniera univoca contro la superficialità di Grillo;
  2. l’episodio evidenzia per la seconda volta (la prima è stata il caso dei lavoratori de l’Unità) la divergenza fra Grillo medesimo e i consiglieri regionali dell’Emilia Romagna, Favia e De Franceschi.

Punto primo: nei commenti al post si possono leggere, a giustificazione delle parole di Grillo (lui trova sempre dei volontari che lo interpretano e lo giustificano), argomentazioni tipiche del più becero leghismo, segno che la ‘base’ non è così omogenea come si vorrebbe far intendere. Anzi, l’assenza di una qualsivoglia analisi del problema della cittadinanza ai figli degli immigrati, il voler paventare a tutti i costi e in tutti gli ambiti l’idea del complotto, della manovra ad arte per distrarre le menti del popolo, ha avuto la funzione di detonatore mediatico. E’ la classica strategia del trollismo:

Un Troll è quell’individuo che interagisce con la comunità tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente stupidi, allo scopo di disturbare gli scambi normali e appropriati. Spesso l’obiettivo specifico di un troll è causare una catena di insulti  dettaflame war; una tecnica comune consiste nel prendere posizione in modo plateale, superficiale e arrogante su una questione già lungamente dibattuta, specie laddove la questione sia già tale da suscitare facilmente tensioni sociali (cfr. Il fenomeno del trollismo).

Forse non sarà la definizione più esaustiva di trollismo, ma aiuta a capire come agisce Grillo con il blog e la rete. In questo senso è un maestro e si sta caratterizzando sempre più nel verso di un trollismo antagonista e prettamente contrario alle idee liberali e progressiste. La sua ricetta è sempre la stessa: la politica è merda e deve essere abolita. Tutto è male e il complotto è sempre in agguato. Ma ‘l’odio è un carburante nobile’, l’odio alimenta un sentimento che è di volta in volta anti-giornalisti, anti-casta, anti-governo, anti-maggioranza e anti-opposizione, anti-banchieri, anti-immigrati, anti-stranieri, anti tutto:

Bene, così arriveranno barconi di donne gravide solo per far aver la cittadinanza ai loro figli. Mi spiace, ma questo non mi va bene!

Chissà perchè non arrivano mai norvegesi, danesi, australiani, ecc a chiedere la cittadinanza italiana, ma sempre quelli con le pezze al culo da mantenere. Svegliatevi!!!

La cittadinanza senza criteri seri è la fine della democrazia, nulla ha a che fare con i diritti degli immigrati. Vogliono solo riempire il territorio, Italiano o di qualunque altra nazione, di SCHIAVI da sfruttare e schiavizzare noi.

Il motivo in punto di diritto è semplicissimo: NOI NON VOTIAMO IN EGITTO O IN PERU’, non possiamo subire le scelte dei dittatori del terzo mondo (tratto dai commenti al blog di Grillo).

Punto secondo: sulla questione dell’adesione alla manifestazione L’Italia sono anch’io sono stati chiamati ad esprimersi in primis i consiglieri regionali e comunali in quota M5S di Piemonte ed Emilia-Romagna. Hanno in entrambi i casi scelto di votare a favore dell’iniziativa, pur con la precisazione che la cittadinanza è questione da dibattere a livello nazionale e non regionale o tantomeno comunale. Bertola in Piemonte ha addirittura ricevuto dalla base degli iscritti l’assenso all’adesione. Insomma, gli eletti lavorano all’interno delle istituzioni un po’ secondo coscienza e un po’ seguendo il metodo difficilissimo della condivisione delle decisioni. Poi, come una mannaia, cala il giudizio del capo: e come la scorsa volta con il caso della difesa dei giornalisti de l’Unità, vengono scritte sul blog quattro righe per sconfessare e delegittimare gli eletti e il loro operato nelle istituzioni. Perché?

Difficile dare una risposta. Forse il leader soffre la personalità del duo bolognese. Forse un M5S al 7% al livello nazionale è una “cosa” troppo grande e che può sfuggire di mano. Meglio allora sabotarla da dentro, farla collassare. Prima che si emancipi dal padre.

La crisi de L’Unità divide Il Mov 5 Stelle e Grillo

Sono bastati un articolo su L’Unità e un paio di post su alcuni blog per far emergere altre fratture nel Movimento 5 Stelle. Al punto da paventare una nuova e inaspettata scomunica da parte di Beppe Grillo.

Da una parte si trova la redazione bolognese de l’Unità, sempre in procinto di esser chiusa e da almeno due anni in bilico in attesa della decisione dell’editore Soru, il quale però versa in altri, e alquanto pessimi, guai (evasione fiscale); dall’altra l’interesse – legittimo – dei grillini bolognesi per la sorte dei lavoratori della redazione locale del giornale. Si dà il caso che i grillini e Grillo hanno da sempre sostenuto la necessità di abolire il finanziamento pubblico dei giornali che, detto per inciso, mantiene in vita l’Unità, giornale che ha visto dimezzare le copie vendute in poco più di due anni, almeno dalla dipartita di Travaglio e Padellaro.

Andrea De Franceschi, noto per esser divenuto consigliere regionale grazie alle contestatissime ‘secondarie’ (vedi 1, 2), ha avuto l’ardire di fare una interpellanza al consiglio regionale dell’Emilia-Romagna chiedendo a Errani di aprire un tavolo di trattative con l’editore: “Il quotidiano l’Unità rischia davvero di sparire questa volta e, se dovesse essere così, non sarebbe una buona notizia per nessuno. Per i lavoratori e per la pluralità d’informazione, prima di tutto” (l’Unità).

Intento onorevole, quello di De Franceschi, che però ha subito incontrato la minaccia di una Fatwa da parte di Grillo: il nuovo anno, scrive quest’ultimo, vedrà la fine del finanziamento pubblico dei giornali, fatto che viene presentato come una benedizione divina. Grillo non fa mai su questo argomento alcuna menzione sul difetto di sistema insito nell’informazione nostrana, che prende il nome di monopolio del mercato pubblicitario nelle mani di uno solo (sì, ancora Berlusconi). Non mi dilungo sugli effetti perversi dell’aiuto di Stato per l’editoria – quasi sempre – di partito, né sulla necessità di un dispositivo correttivo della concentrazione monopolistica nel settore pubblicitario. Mi soffermo invece su queste frasi di Grillo: “Tra le testate che attaccò (sì ha usato il verbo al singolare…) l’iniziativa [del Vday 2008], prima, dopo e durante, spiccò l’Unità”, “Ora è in crisi, si metta sul mercato, si faccia pagare dai lettori come il Fatto Quotidiano e, se non vende, chiuda i battenti”, “Se qualche esponente del MoVimento 5 Stelle la pensa diversamente non è un problema. Il Pdmenoelle lo accoglierà subito tra le sue braccia. Beppe Grillo“. Quindi, se ne deduce:

  1. l’Unità ha la ‘colpa’ di aver criticato l’iniziativa di Grillo del 2008;
  2. la giusta punizione per quella colpa è la chiusura;
  3. chi la pensa diversamente (De Franceschi) si faccia da parte.

Giglioli, su Piovono Rane, ha così titolato un suo post: “Kim Jong-Grill”. Grillo diventa una sorta di deposta che censura e epura tutti quelli che non si allineano alle sue direttive. Vittorio Bertola, uno dei ‘Magnifici 4’ del M5S s’affretta a organizzare, nei commenti al post di Giglioli, una difesa d’ufficio in cui l’argomento principale è “Grillo non sta imponendo a Defranceschi una sua posizione politica personale su un argomento mai discusso prima, gli sta imponendo di rispettare il contratto che ha firmato con gli elettori quando ha chiesto i voti!”. Bertola affibia a Grillo la patente di controllore dell’operato degli eletti. E’ la questione annosa del mandato imperativo che i grillini dicono di voler applicare per poter licenziare quegli eletti che non rispettano il programma presentato in campagna elettorale. Un potere che dovrebbe risiedere in capo agli stessi elettori e che invece loro mettono, di volta in volta, nelle mani o di una assemblea degli iscritti o addirittura – questa la versione di Bertola – nelle mani dello stesso Grillo, “uno che in teoria (come mi ripetete sempre voi) non conta più degli altri, non comanda, non impone” (A. Giglioli, cit.).

La confusione regna sovrana. De Franceschi ha dovuto pubblicare un post in cui parla della vicenda senza mai citare Grillo, l’autore dell’unica critica:

Qualcuno non è d’accordo nella tutela dei diritti dei lavoratori? Cosa c’entrano i finanziamenti pubblici all’editoria con le famiglie e le persone che rischiano? Forse dovremmo chiedere di togliere i rimborsi fiscali sulle accise della benzina e del gasolio per le imprese di autotrasporto, così poi vedremmo finire sul lastrico gli autotrasportatori che il camion lo guidano solo? (Sulla pluralità dell’informazione – Movimento Cinque Stelle Emilia-Romagna).

De Franceschi articola la sua risposta a Grillo affermando che “l’informazione “libera” su internet che molto spesso troviamo copiata e riadattata su migliaia di blog altro non è che il rimpasto del lavoro fatto a monte da un qualche giornalista, da qualche parte nel mondo, PAGATO da una qualche testata che gli ha anche messo a disposizione i mezzi per la diffusione”. De Franceschi è realista: “l’idea che su internet si faccia informazione a costo zero è molto romantica ma non veritiera“. Forse non è proprio vero che tutto quanto si scrive in rete è una ‘ribattuta’ dei lanci di agenzia o degli articoli della carta stampata. Ma bisogna dare adito a De Franceschi di aver centrato il problema: il giornalismo classico non è in crisi per la compresenza delle fonti di informazione su internet, né internet può essere la salvezza per i giornali in crisi; il giornalismo e l’editoria sono in crisi a causa del problema storico della concentrazione di potere nel mercato della pubblicità.

Mettere il bavaglio a De Franceschi con l’accusa di non rispettare il mandato elettorale è assurdo. Secondo Bertola, Grillo “non sta agendo da capo, ma da garante verso gli elettori, che quando hanno votato si sono fidati di lui (Defranceschi manco sapevano che faccia avesse)”. Questa frase è come un sasso lanciato dal cavalcavia: De Franceschi prese meno voti di Sandra Poppi del collegio modenese (poco più di trecento contro i settecento voti della Poppi), ma quella maledetta assemblea delle secondarie votò il binomio Favia-De Franceschi. Dire oggi che gli elettori “manco conoscevano la faccia di De Franceschi” vuol dire delegittimare tutto il processo di formazione del M5S. Di fatto, significa farne a pezzi la storia.

Aggiornamento del 05/01/12: De Franceschi annuncia la pausa di riflessione e i giornali si accorgono del pasticcio …