Quella critica ad orologeria sulle primarie del PD

Come inizia il 2011 in casa PD? Esattamente come era finito: parlando di sé nell’eterna disputa sulle primarie. Oggi è andato in scena un attacco simultaneo allo strumento delle primarie come metodo di selezione della leadership sia dalle colonne de Il Corriere della Sera, sia da quelle insospettabili di La Repubblica.

Il Corriere affida la filippica all’illustre politilogo professor Giovanni Sartori, il quale è notoriamente critico verso il panorama partitico italiano, figurarsi con il PD. La sua posizione in merito alle primarie nonché a tutte le innovazioni della politica italiana in fatto di sistemi elettorali e selezione delle classi dirigenti è nota. Sartori considera le primarie una scopiazzatura all’italiana del modello americano, una operazione di maquillage che non tiene in alcun conto le peculiarità di quel sistema politico: forma di stato federale, forma di governo presidenziale con elezione semi-diretta del presidente, sistema partitico aperto. La nostra democrazia è tutt’altro: la forma di stato è unitaria, la forma di governo è parlamentare in cui il capo del governo è un primus inter pares e il sistema partitico è chiuso in forme associative organizzate gerarchicamente. Due antipodi. E allora le primarie applicate al Partito Democratico sono da un punto di vista squisitamente teorico “una buona idea”, poiché danno “voce e peso effettivo all’elettorato nella scelta dei candidati”, ma si possono identificare tre ordini di ragioni contrarie alla loro applicazione:

  1. le primarie estremizzano la scelta del candidato: “chi va a votare alle primarie è di solito più coinvolto nella politica, quindi più intenso, più appassionato dell’elettore medio […] in tal caso il candidato scelto alle primarie è un candidato sbagliato, un candidato perdente. Se, per esempio, Vendola vincesse alla primarie, la mia previsione è che per il PD sarebbe una catastrofe”;
  2. le primarie producono all’interno del partito un forte frazionismo: per vincere, “i pretendenti debbono avere una propria organizzazione elettorale interna. La prima volta, o per un paio di volte, le primarie possono essere salutari: immettono aria fresca, svecchiano un partito troppo ingessato e intorpidito. Ma poi la frammentazione in correnti […] diventa inevitabile”;
  3. i partiti con le primarie dovrebbero piacere agli elettori di partiti che non le hanno, ma in Italia accade il contrario: “agli elettori di Berlusconi delle primarie non importa un fico” (G. Sartori, Corriere della Sera, 03/01/2011, p. 1).

Viene da chiedersi come una mente razionale come quella di Sartori possa cimentarsi in asserzioni del genere senza la necessaria evidenza empirica (ne ha scritto dei libri, ora dovremmo pretendere da lui che applichi tali principi scientifici anche a un argomento così faceto come le primarie). In ogni caso,

  • il punto 1 è evidentemente frutto di una considerazione personale: se vincesse Vendola, la mia previsione – scrive Sartori –  è una catastrofe per il PD. Verrebbe da aggiungere: cavoli del PD. Se si cerca di valutare razionalmente la vantaggiosità dello strumento delle primarie ci si deve astenere dalle opinioni. Dove è scritto che le primarie protendono per il candidato peggiore? Se votano soltanto coloro che sono più coinvolti nella politica, forse è proprio per la sfiducia nella possibilità di poter incidere realmente nella formazione della leadership del partito/coalizione. Il PD non ha vinto le primarie in Puglia, a Firenze, a Milano perché semplicemente ha sbagliato candidato, o non ha avuto la forza per aggregare consenso intorno al proprio candidato, malattia endemica che il PD ha ereditato dal duo PDS-Margherita. Il PD non è credibile nella proposizione dei propri candidati all’elettorato. Vi siete chiesti perché? Forse è a causa della inamovibilità della sua stessa classe dirigente? Del fatto che rimane imperterrita al suo posto nonostante le sconfitte elettorali accumulate negli anni? Esattamente ciò per cui sono nate le primarie: ovvero promuovere la circolazione delle vecchie classi dirigenti e consentire la partecipazione dell’elettore-cittadino alla definizione di quelle nuove.
  • il punto 2 è confuso: se il problema sono le correnti, non si può certamente imputarne la causa alle primarie. Le correnti partitiche sono una specialità italiana che il resto del mondo ci invidia. Forse il professor Sartori ha dimenticato le correnti della Democrazia Cristiana. Esse non erano certamente create dalle primarie bensì dai personalismi, dalla politica di professione che ha creato dei veri baronati con tanto di bacino di clientela da foraggiare con qualche elemosina al momento della discussione di una leggina. Le primarie servono allo scopo di rendere incerte le posizioni cumulate in anni di esercizio della “professione”.
  • il punto 3 è ancora più incomprensibile, dal momento che il PD ha grossi problemi a piacere in primis al proprio elettorato; ha problemi addirittura a definire i confini del proprio bacino elettorale di riferimento. Questo non è causato dalle primarie, bensì dalla questione identitaria del PD, che si barcamena fra posizioni filo-centriste e posizioni tipicamente progressiste. Se poi agli elettori di Berlusconi non piacciono le primarie, tanto peggio per loro: non è sulla base di ciò che piace ad essi che il PD deve calibrare la sua iniziativa politica.

Smontato lo schema argomentativo di Sartori, resta da chiarire il senso del sondaggio pubblicato da La Repubblica:

La domanda che mi pongo e che vi pongo è questa: che senso ha la risposta delle “primarie sì, ma qualche volta“? Che senso ha fare un sondaggio del genere? Ve lo dico io: significa introdurre un’etichetta per far ridurre la risposta affermativa “sempre”; significa confondere le carte. D’altronde quel 35.1 di elettori del PD che vuole le primarie ma soltanto qualche volta non lo si può nemmeno ascrivere ai contrari. In secondo luogo, appare chiaro che gli elettori di SeL vogliono le primarie “sempre” ben più di quelli del PD, eppure essi non le hanno. Ciò contraddice Sartori: le primarie piacciono a chi non le ha. Dipende forse dall’elettorato a cui ci si riferisce e dal grado di coinvolgimento del medesimo alla vita politica. Nei fatti, però, emerge che i pareri negativi sulle primarie fra gli elettori del PD sono solo del 14.2%: una minoranza. Sono ben più ostili alle primarie i votanti per Di Pietro, per esempio. Numeri su cui meditare, non c’è che dire.

Videocrazia di homini videns. La sfera pubblica applauditiva e le video-donne.

Un documentario sulla strana forma di Stato italiana: la videocrazia o la tecnocrazia mediatica. Una alterazione dell’assetto democratico che passa storicamente attraverso l’imbonimento mediativo della provocazione corporea. Il corpo della donna è contorno e centro, è oggettivizzato, reificato, reso disponibile attrraverso la sua immaginificazione e perciò reso fruibile come un prodotto qualunque.

Due opere a confronto: il documentario di Erik Gandini, intitolato “Videocracy”, nelle sale dal prossimo 4 Settembre; Homo videns, il saggio di Giovanni Sartori, datato 2000, in cui si teorizza l’erosione della cultura, della sua fine, della mancata trasmissibilità, della riduzione della conoscenza a semplice informazione.

  • Giovanni Sartori, Homo videns, Bari, Laterza, 2000; pp. 166
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    • Siamo in piena mutazione genetica. Video – viviamo. Concepiamo ed alleviamo video – bambini.

    • Quella che sembrerebbe una voce fuori campo che ci introduce alla visione di un nuovo film di fantascienza è invece realtà, quotidianità. E’ il mondo come ci viene dipinto da Giovanni Sartori, uno dei più grandi protagonisti del dibattito culturale italiano.
    • in “Homo videns”, con grande e giustificata preoccupazione, la trasformazione dell’ Homo sapiens, nato con la diffusione della stampa, in, appunto, Homo videns.
    • Nella nostra società regna infatti sovrano il primato dell’immagine: il visibile prevale sull’intelligibile; la capacità di astrarre, di capire e dunque di distinguere tra vero e falso è oramai atrofizzata. Questa agghiacciante realtà ha un unico ed apparentemente insospettabile artefice: la televisione.
    • E’ lei che distrugge più sapere di quanto ne produca. E’ lei che annienta la capacità simbolica dell’uomo – quel processo, cioè, grazie al quale l’essere umano comunica articolando suoni e segni “significanti”- e lo riavvicina così all’animale.
    • La nascita della televisione è stata acclamata come una nuova grande scoperta. Questo, per Sartori, non è progresso, ma semplicemente il suo contrario. “Sapere per immagini”, – ci dice -, non è democratico, come tanti sostengono: “sapere per immagini” non diffonde cultura, ne erode le premesse.
    • La televisione omogeneizza gli usi e le mode, ma allo stesso tempo, ci rinchiude in piccoli villaggi in conflitto tra loro. La quantità schiaccia sempre più la qualità. E se per un attimo ci illudiamo di essere liberi cittadini che vivono in un libero mercato, ci siamo forse dimenticati che i clienti della TV non siamo noi, ma le aziende che comprano gli spazi pubblicitari.
    • Che la televisione informi, non vi sono dubbi. Ma informazione non è conoscenza. La TV, più precisamente, sotto-informa perché riduce tutto alla sintesi più estrema, e disinforma, perché provoca la distorsione dell’informazione.
    • Eppure la prima scuola dei nostri figli, è proprio lei: eccoci allora di fronte a video – bambini che non leggono, che si esprimono con un “linguaggio – brodaglia”, che vivono in una “melassa mentale” e saranno per sempre predisposti al gioco.
    • La prospettiva per il futuro è ancora peggiore: il bambino multimedializzato di domani avrà un disintegrato, disfatto in personalità multiple e quindi nevrotico. I genitori dovrebbero correre ai ripari ma, purtroppo, non costituiscono più una struttura di autorità: sono anch’essi ex video – bambini.
    • Continuiamo a parlare di televisione, ma la televisione è già obsoleta. Il newmedia per eccellenza è oramai Internet. Fonte inesauribile di conoscenza non sostituirà mai, comunque, il libro. I veri studiosi, – ci suggerisce Giovanni Sartori -, accederanno alla rete solamente per avere alcune integrazioni ai loro studi; i giovani, invece, se ne serviranno solo per giocare: non avendo la capacità astraente che è stata tolta loro dalla televisione, non ne sapranno fare uso diverso.
    • Che futuro ci riserverà, allora, questa tecnologia che ha sottomesso il suo inventore? Vivremo in una , in una gestita da tecno – cervelli superdotati che daranno vita ad una tecnocrazia totalitaria. L’unica salvezza dal è la difesa delle letture e di tutta la cultura scritta.
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    • Il documentario Videocracy di Erik Gandini è riuscito a far parlare di sé ancora prima che qualcuno l’abbia visto. E già il giorno dopo la sua première al festival di Venezia si sa che 30 cinema italiani lo mostreranno a partire dal 4 settembre. E la lista di altri paesi che lo faranno è lunga. Erik Gandini non ha mai vissuto un momento così positivo come regista.
    • A distribuire il film è la stessa casa di produzione di Gomorra. In effetti io non mi ero neanche sognato di arrivare al pubblico italiano, ma adesso la cosa si è ribaltata, vogliono vedere il mio film a tutti i costi!
    • Chi ha visto la televisione italiana non può evitare di sbalordirsi di fronte ad un fenomeno ricorrente. Che si tratti di sport, politica o intrattenimento, seduti a discutere gli svariati temi ci sono sempre anziani e corpulenti uomini in giacca e cravatta, circondati da donne giovani, slanciate e seminude, che ballano e sorridono senza dire niente. Le cosiddette veline, una specie di donne di servizio.
      Nel film di Erik Gandini, Videocracy, una società in cui lo schermo ha il potere, otteniamo finalmente una spiegazione del fenomeno.
    • Secondo il film di Erik Gandini, tutto cominciò una sera del 1976 quando una stazione televisiva locale trasmise un gioco a quiz in cui gli spettatori potevano chiamare e rispondere alle domande. Alcune casalinghe erano state convinte a lasciare cadere indumento dopo indumento in diretta, ad ogni risposta esatta. Il gioco a quiz ottenne un successo tale da far fermare le fabbriche.
    • Allora nessuno poteva sospettare che quello show in bianco e nero sarebbe stato l’inizio di una rivoluzione televisiva guidata da Silvio Berlusconi, che oggi possiede l’azienda Mediaset, composta da tre canali TV nazionali che hanno circa la metà degli spettatori del paese. Oggi, per l’80 per cento degli italiani la televisione rappresenta la fonte primaria di informazione e di ispirazione nella loro vita.
    • Il contenuto dei canali di Berlusconi è stato gestito con molta consapevolezza, con l’intenzione di creare celebrità prendendole tra la gente comune. Il risultato è stato che la giovane generazione di italiani ha l’obiettivo di apparire in TV.
    • – Cominciavo a pensare che fosse venuta l’ora di saldare i conti, ridacchia Erik Gandini. – Di raccontare qualcosa dell’Italia che loro stessi non vedevano. Che il mondo venisse in Italia e di far vedere fino a che punto si è arrivati. È questo genere di cose che dà il la al mio lavoro. Rovesciare le prospettive. Non è necessario essere un regista aggressivo, può essere sufficiente lasciare che le persone raccontino. Io non cerco immagini diffamatorie.
    • – Ero sconvolto sul serio vedendo gli effetti di questo mondo. I miei amici italiani parlano tutti della TV come di un mostro. Io ho dato la mia versione di questo mostro. Ciò che mi spinge è la volontà di riconquistare la realtà. È così facile rivivere tutto attraverso le immagini degli altri. La realtà però ti sfugge dalle mani. Io invece le cose le voglio vivere di persona. Berlusconi ha creato un mostro che nemmeno lui riesce più a controllare. Il risultato è che l’Italia si trova nella parte bassa della classifica mondiale della parità tra i sessi e della libertà di espressione.

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