Il caso della mozione Giachetti

Intempestiva. Così Anna Finocchiaro ha etichettato la mozione Giachetti (potete leggerla qui, è un mero atto di indirizzo che vincola la Camera, non il governo) che pure era nota da settimane, oggi è diventata dirimente per la prosecuzione dell’esperienza di governo con il Pdl. Sarà l’effetto incoraggiante della “rivincita” di Bersani avvenuta nelle urne domenica e lunedì? Ai posteri l’ardua sentenza. A me, mero osservatore, è parso che le cariatidi del PD, categoria che a sua volta quasi certamente comprende i misteriosi 101, intendono spostare in là nel tempo, e con la soluzione blindatissima delle primarie fra soli iscritti, il congresso e la risoluzione del grande equivoco che ci perseguita dal 24-25 Febbraio. Per resistere, indomiti, e condizionare le dinamiche parlamentari al fine di prolungare la vita amara del governo Letta.

E’ bene ribadire che non vi è stata alcuna rivincita, che il PD è stato salvato localmente solo dalla bontà dei suoi candidati sindaco, che l’astensionismo ha falcidiato maggiormente i partiti liquidi e i movimenti liquidissimi. Detto ciò, l’accordo di ieri sul cronoprogramma delle riforme istituzionali ha palesato ancor di più la dipendenza di Letta dai desiderata di Berlusconi, Brunetta e soci, i quali hanno nuovamente operato per posticipare nel tempo, e forse stralciare, la riforma della legge elettorale. Qualcosa che abbiamo già sperimentato un anno fa, durante il governo dei tecnici. Sappiamo tutti come è andata. Lo sa anche Roberto Giachetti, il quale è andato ostinatamente per la sua strada, perdendo alcuni sostenitori, fra cui Civati (che dapprima ha appoggiato una risoluzione dubitativa sull’accordo di ieri circa la costituzione della Commissione dei 40, poi, consapevole dalla presa di posizione di Letta – ritirate la mozione! – ha votato conformemente alle indicazioni del gruppo). Ma bisogna sottolineare che il voto di oggi era abbastanza insignificante. Un atto di indirizzo verso l’aula, che il PD ha deciso di osteggiare. E senza il voto dei democratici, alla Camera non passa nulla.

Va da sè che stupiscono le impennate della Finocchiaro e l’inconsapevolezza di Epifani. Oramai si rasenta l’ipocrisia. Il vertice del Partito è ancor più indisponente e quella piccola vittoria di domenica, vittoria che si sono frettolosamente intestati (ricordate che Ignazio Marino aveva contro il partito, che lo voleva persino sostituire, tre settimane prima del voto), li ha ancor più ringalluzziti.

E stupisce pure il ritardo con cui il Movimento 5 Stelle si è allineato alla mozione Giachetti. Non sono riusciti a incidere in un dibattito parlamentare che per un giorno si è trasferito tutto all’interno di uno stesso partito.

Come deciderà la Giunta per le Elezioni sull’ineleggibilità di Berlusconi

Posso anticiparvi le conclusioni della Giunta per le elezioni per il caso della ineleggibilità di B. Il cavillo è stato più volte raccontato da giornalisti illustri. Più volte. La legge del 1957 è stata aggirata nel 1994, nel 1996, nel 2006. Eccetera. Andrebbe rivista nel senso di una maggiore specificazione delle figure responsabili di società concessionarie ritenute influenti nei meccanismi decisionali delle stesse. Naturalmente nessuno finora ci ha pensato. E pertanto non mi spiego come si possa pensare di poter ottenere un esito diverso dal 1994, dal 1996 e dal 2006, e proprio ora, con una Große Koalition così perversa come quella fra PD e Pdl.

Ribadisco un concetto: se davvero i 5 Stelle e Grillo volevano metter fuori gioco il Caimano, avrebbero dovuto accettare un governo (temporaneo, molto temporaneo) con PD e Sel. Hanno invece operato per distruggere questa prospettiva e in questi giorni lavorano all’esclusivo scopo di incrementare il consenso a discapito dei Democratici. L’ineleggibilità è impiegata come grimaldello per istigare il malcontento dell’elettorato di sinistra. Ritengo questo teatrino semplicemente disgustoso.

Invece, sul caso Zanda, non ho trovato parole migliori di quelle di Pippo Civati: “Sono molto freddo su questo punto. La vera questione e’ costruire un sistema di norme che impediscano la candidabilità per il futuro. Dire che adesso Berlusconi non e’ eleggibile come ha fatto Zanda in un cortocircuito totale, visto che siamo alleati, e’ una comica totale. Sarei un po’ piu’ razionale” (via http://www.italiachiamaitalia.it).

Impedire la candidabilità per il futuro. Eh. Il futuro.

Per ripassare:

Seduta della Giunta per le elezioni della Camera dei Deputati, XIII Legislatura, seduta del 17 ottobre 1996.

La Giunta, nella seduta del 20 luglio 1994, esaminò i ricorsi proposti avverso l’eleggibilità dell’onorevole Silvio Berlusconi. Il relatore del tempo ebbe a riferire che il Comitato per le eleggibilità e le incompatibilità aveva valutato all’unanimità infondati i ricorsi, ritenendo che l’articolo 10 del testo unico non fosse applicabile all’interessato in quanto l’inciso «in proprio» doveva intendersi «in nome proprio», e quindi non applicabile all’onorevole Berlusconi, atteso che questi non era titolare di concessioni radiotelevisive in nome proprio e che la sua posizione era riferibile alla società interessata solo a mezzo di rapporti di azionariato. Nella discussione si evidenziò, da parte di vari componenti, che in materia di diritti soggettivi pubblici e, in particolare, di elettorato passivo, non sono consentite interpretazioni estensive e che l’espressione «in proprio», di cui alla norma di legge, non si riferisce al fenomeno delle società e tantomeno può essere richiamato nei casi di partecipazioni azionarie indirette. Tali posizioni risultavano coerenti con le sentenze della Corte costituzionale. La Giunta di allora, di conseguenza, respinse a maggioranza i ricorsi proposti. Osserva che, ad oggi, il Comitato per le eleggibilità e le incompatibilità, in sede di esame preliminare di alcuni dei reclami presentati, ha convenuto a maggioranza sui principi richiamati ed ha quindi preso atto dell’insussistenza di ipotesi di ineleggibilità per i ricorsi ex articolo 10, commi 1 e 3, del citato testo unico, in considerazione dell’assenza di titolarità «in proprio» delle posizioni giuridiche interessate dalla norma. Il Comitato ha preso altresì atto della non ricorrenza, per i deputati interessati, dei presupposti di fatto per configurare ipotesi di ineleggibilità. Per tali motivi comunica che il Comitato propone l’archiviazione per manifesta infondatezza dei reclami presentati avverso l’eleggibilità dei deputati Berlusconi, Berruti, Dell’Utri, Martusciello, Previti e Sgarbi (Camera dei Deputati, Giunta per le elezioni, XIII Legislatura).

Un governo neo democristiano. Con qualche furbizia

Nel governo Letta ci sono i rappresentanti di tutte le correntine del PD che hanno contribuito a formarlo: c’è un renziano (Del Rio), un dalemiano (Massimo Bray, membro della fondazione Italianieuropei), un franceschiniano (nella persona proprio di Dario Franceschini), un giovane turco (Andrea Orlando), e quindi i lettiani. Del PdL, Enrico Letta è riuscito a scegliere il meno peggio. Letta ha scelto in casa poiché, per esempio, Beatrice Lorenzin è iscritta a Vedrò, il think tank (che diamine, ci sarà un termine in italiano?) di Letta medesimo. Nunzia Di Girolamo è moglie di Francesco Boccia (che passerà alla storia per quella famosa frase: “chi non vota la fiducia al governo Letta è fuori dal PD”), pure lui un lettiano di stretta osservanza. Letta ha scelto fra i suoi simili. Ha scelto nella grande famiglia Letta, la cui rete di rapporti si estende al di là e al di qua del muro dell’antiberlusconismo.

Diranno che questo governo può piacere perché agli Esteri è stata nominata Emma Bonino. Diranno che non è male la presenza femminile. Che c’è un ministro donna e di colore. Che Josefa Idem è l’unica con una qualche legittimazione popolare, essendo stata eletta con le primarie per i parlamentari. Diranno che, nonostante tutto, l’attacco berlusconiano è stato sventato in quanto gli impresentabili non sono stati accettati, che i vari Brunetta, Gelmini e Brambilla non hanno ricevuto alcun ministero (ma restano in lizza per i posti da sottosegretario, eh).

Quel che non vi diranno più è che i vostri voti, espressi in un fine settimana di Febbraio, non contano più, che con i vostri voti si può fare un governo che durante la campagna elettorale veniva dipinto come il sogno di un pazzo. Che, a furia di grattare il fondo, si può ritrovare quel comune destino democristiano che nei corridoio del Transatlantico non si era mai completamente dissipato.

Le distanze fra Civati e Renzi sul governo Letta

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Delle tante foto strappate del centrosinistra quella fra Matteo Renzi e Pippo Civati si arricchisce di altri, inamovibili, motivi. E mi pare che, sul governo Letta, i due si trovino su sponde diametralmente opposte e non è un mare nostrum quello che li circonda.

Renzi sembra quanto mai favorevole alla soluzione PD+PdL. A posteriori, le vicende che hanno portato alla rielezione di Napolitano, devono essere rilette prendendo in considerazione i frettolosi (o no?) riposizionamenti di alcuni Democratici di questi giorni. Personalmente sono stupito dalle dichiarazioni del sindaco di Firenze, il quale, da sostenitore del cambiamento, si è dapprima posizionato in aperta antitesi rispetto alla soluzione di larghe intese con il M5S. Ha più volte detto che non ci si deve accodare a Grillo, eccetera. Ha però poi contribuito a proporre Prodi e si è indignato per la fine che i franchi tiratori gli hanno riservato. 

Ma ora, anziché porsi di traverso sul progetto di un governissimo pienamente politico e coabitato con la peggiocrazia del berlusconismo, lui, che aveva pur detto di desiderare un Berlusconi in pensione, fa dichiarazioni molto ambigue come le seguenti:

Renzi/1: L’idea che già qualcuno dica ‘io a prescindere non ti voto’ è sbagliata. Invito tutti i deputati del Pd ad ascoltare quello che Letta ha da dire.

Renzi/2: Credo che la maggioranza del Pd voterà la fiducia, poi vedrà il partito. Certo che se non si vota la fiducia è un problemino.

Renzi/3: Bersani ha vinto le primarie ma la sua linea è stata sconfitta. Il partito vuole vincere con una linea diversa? Io ci sono.

Sembra che la sconfitta della linea politica di Bersani sia effettivamente la sconfitta della linea politica del ‘mai con il PdL’. Lo stesso Renzi, qualche giorno prima del voto per la Presidenza della Repubblica, attaccava il segretario chiedendogli di ‘fare in fretta’. E fare in fretta, mentre Berlusconi e soci si dicevano disponibili a qualsiasi governo con Bersani, voleva dire fare appunto l’inciucio.

Tutto questo resoconto serve semplicemente a riassumere alcune verità, ovvero che Renzi è favorevole al governo con B., che lo preferisce a quello ipotetico con il M5S, che ha osteggiato tanto Marini quanto Rodotà.

L’esatto contrario di ciò che ha fatto e detto pubblicamente Pippo Civati. Ricordatevelo, quando si tratterà di votare al congresso.

Cercasi Badoglio Disperatamente

Chi sono i candidati? Questa domanda alberga sulla scena politica italiana come una nube nera. Chi dopo B? Non Fini, che non troverebbe nessuno all’interno del PdL pronto a votarlo. Non Casini, che fa troppo Terzo Polo. Non sia mai Pisanu, lui che non è un traditore, ma pensa troppo con la propria testa ed è chiaramente in opposizione al federalismo di stampo leghista, in ogni modo una carta da giocarsi in chiave anti-Bossi. C’è un rischio da evitare: che PdL e Lega diventino improvvisamente opposizione di un governissimo Terzo Polo-PD e che lo usino come una preziosa leva elettorale. Allora per Fini e soci è necessario tenere la Lega dentro il governo. Serve un Badoglio, urgentemente.

Due i nomi che circolano insistentemente: Gianni Letta, per un governo da maggiordomi; Roberto Maroni, per un inedito governo di garanzia leghista, ipotesi suffragata dalle prese di posizione antitetiche a Bossi del Ministro dell’Interno (Europa). Pare che questa sia la sola alternativa spendibile dei terzopolisti con Berlusconi. Se sarà invece, come probabile, sfiducia con rottura delle trattative Fini-Casini-Berlusconi, quest’ultimo getterà la polpetta avvelenata ai due che dovranno prendersi la responsabilità della decisione: governissimo con il PD o elezioni. Nel primo caso, il nome candidato per eccellenza alla guida di un nuovo esecutivo con una nuova maggioranza non elettorale, è quello di Mario Draghi. Un revival dell’operazione Ciampi del 1993.

Infine c’è il Partito Democratico. Il quale deve guardarsi bene dall’entrare in un esecutivo che gli farebbe perdere altri elettori e gli getterebbe addosso l’onta del collaborazionismo, già ventilata da più parti soprattutto in ambienti IDV. Certo, la pressione a sinistra si fa sempre più pesante. Vendola con SeL è al 7%, secondo gli ultimi sondaggi. La disponibilità del PD per un governo di responsabilità nazionale è – dicono – “fuori discussione”. Quelle vecchie canaglie di Ferrero e Diliberto soffiano sul fuoco: «un eventuale governo di transizione permetterebbe di nuovo a Berlusconi di fare la vittima e di candidarsi a vincere le prossime elezioni». «Nuove elezioni, non c’è alternativa minimamente decente» (Europa). Non mancano le frecciate di Di Pietro, il quale, forse in affanno nei sondaggi, vista l’arrembanza di Vendola che porta via consensi a tutti a sinistra del PD,e certamente in ritardo sui tempi della mobilitazione in vista del voto di sfiducia del 14 Dicembre, ha organizzato una manifestazione al Paladozza di Bologna per questo venerdì, 10 Dicembre. Ci saranno tutti i paladini dell’antiberlusconismo di ferro: da Travaglio a Vauro, a Dario Fo. E’, diciamolo, un tentativo in extremis per oscurare la manifestazione del PD prevista per sabato 11 Dicembre, per la quale si prevede una adesione record: la riparazione al danno fatto al partito medesimo con quella decisione cervellotica di non aderire al No Berlusconi Day dello scorso anno.

[Questo blog seguirà entrambe le manifestazioni].