Produttività, i punti cruciali dell’accordo Governo-Parti sociali

Così il Governo Monti istituzionalizza il sistema ‘Fabbrica Italia’. Quello che segue è un estratto del comunicato stampa del governo; da leggere con attenzione il terzo punto (regolamentazione contrattuale per settori specifici), il quarto punto (equivalenza delle mansioni), il quinto (fabbrica degli esodati), il sesto (defiscalizzazione del salario di produttività), l’ottavo (il problema della rappresentanza sindacale e delle relazioni industriali).

L’intesa raggiunta tra la Parti firmatarie

• attribuisce alla contrattazione collettiva nazionale, la cui funzione è quella di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori rientranti nel settore di applicazione del contratto, l’obiettivo mirato di tutelare il potere di acquisto dei salari assicurando che la dinamica degli effetti economici, superata ogni forma di automatica indicizzazione, nei limiti fissati dai principi vigenti sia sempre coerente con le tendenze generali dell’economica, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e degli andamenti specifici del settore;

• valorizza la contrattazione di secondo livello affidandole una quota degli aumenti economici eventualmente disposti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali con l’obiettivo di sostenere, negli specifici contesti produttivi, efficaci e mirate misure di incremento della produttività;

• consente di adeguare la regolamentazione contrattuale dei rapporti di lavoro alle esigenze degli specifici contesti produttivi di riferimento, anche con riguardo alle materie che possono incidere positivamente sulla crescita della produttività quali gli istituti contrattuali che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro;

• contiene, tra l’altro, l’esplicito impegno delle Parti firmatarie ad affrontare in sede di contrattazione, in via prioritaria, le tematiche relative all’equivalenza delle mansioni, all’organizzazione del lavoro, all’orario di lavoro ed alla sua distribuzione flessibile, all’impiego di nuove tecnologie;

• conferma la volontà, condivisa dal Governo, di individuare soluzioni che, in una logica di “solidarietà intergenerazionale”, agevolino la transizione dal lavoro alla pensione;

• crea il presupposto perché vengano introdotte, nell’ambito della legislazione vigente e nei limiti delle risorse disponibili, stabili e certe misure di defiscalizzazione del salario di produttività finalizzate ad incoraggiare selettivamente le intese che siano concretamente idonee, negli specifici contesti produttivi di riferimento, a sostenere l’incremento della produttività intervenendo in via prioritaria nelle materie già individuate tra le Parti firmatarie;

• permette pertanto alla contrattazione di secondo livello di incrementare i salari netti percepiti dai lavoratori facendo scattare le misure di defiscalizzazione per le quote di incrementi salariali che verranno concretamente legate, negli specifici contesti produttivi, all’incremento della produttività.

• individua nel termine del 31 dicembre 2012 la data entro la quale le Parti firmatarie dell’accordo interconfederale 28 giugno 2011 completeranno il quadro delle nuove regole in materia di rappresentanza, con ciò dando auspicabilmente vita ad un sistema di relazioni industriali più stabile ed efficace;

Per sostenere la defiscalizzazione del salario di produttività, il Governo ha proposto nella legge di Stabilità uno stanziamento complessivo di 1,6 miliardi di euro per il periodo 2013/2014 per la detassazione del salario di produttività – stanziamento che si è poi ulteriormente esteso nel tempo e rafforzato a 2,1 miliardi per effetto degli emendamenti approvati alla Camera.

La CGIL non ha firmato questo accordo. I punti discriminanti sono stati chiaramente il problema della rappresentanza e soprattutto la dequalificazione del lavoratore – che nel testo del comunicato del governo è nascosta dietro la formula della “equivalenza delle mansioni”. Il problema della equivalenza delle mansioni nasce con l’art.13 della legge n.300 del 1970, il quale stabilisce che il datore ha la facoltà di modificare le mansioni assegnate al lavoratore nel rispetto di alcuni limiti inderogabili: il lavoratore “non può essere adibito a mansioni inferiori, ma soltanto a mansioni superiori ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione” (Diritto & Diritti).

Recentemente la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale ai fini della valutazione della sussistenza di un corretto esercizio dello ius variandi da parte del datore …..  il giudice deve stabilire se le mansioni effettivamente svolte finiscano per impedire la piena utilizzazione e l’ulteriore arricchimento della professionalità acquisita nella fase pregressa del rapporto, tenendo conto che non ogni modifica quantitativa delle mansioni, con riduzione delle stesse, si traduce automaticamente in una dequalificazione professionale, in quanto tale fattispecie implica una sottrazione di mansioni tale, da comportare un abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con una sottoutilizzazione delle capacità dello stesso acquisite e un conseguente impoverimento della sua professionalità (Diritto & Diritti).

In realtà, la giurisprudenza in materia si è approfondita a tal punto da specificare che il lavoratore possa essere riposizionato in una mansione pregressa, per la quale non serve una vera e propria riqualificazione. Non si capisce come questo aspetto possa divenire oggetto di contrattazione quando la normativa in materia è stata per lunghi anni così discussa e riesaminata e dibattuta in giurisprudenza. Possono davvero le parti derogare rispetto all’articolo 13 della legge 300/1970? Può la contrattazione fra le parti firmatarie derogare a norme di legge e a sentenze della Corte di Cassazione? La dequalificazione è un’arma che il datore di lavoro può impiegare in senso intimidatorio verso il singolo lavoratore. Ma è anche una tutela troppo rigida che rischia di ingessare il tessuto organizzativo di una azienda e impedisce la cosiddetta flessibilità interna.

Alessandria nella notte nera del default

Il governo dispone lo sblocco di fondi per 420 milioni, ma nemmeno un euro per la città di Alessandria. Ognuno dei 420 milioni di euro sono finiti in Sicilia che il 28 Ottobre prossimo venturo andrà al voto.  La Sicilia di Lombardo, dei ventimila dipendenti pubblici, della pletorica guardia forestale. La Sicilia che sfora il patto di stabilità, e non appena ciò accade, Roma decide di tamponare le falle: erano fondi da usare per lo sviluppo, ma sono stati distribuiti anche a Comuni e imprese che lavorano nel campo dei rifiuti.

Ci sono pure 25 milioni per gli straordinari dei regionali. Nella busta paga di novembre, subito dopo le elezioni regionali, arriveranno somme comprese fra 150 e 600 euro, secondo la categoria cui il dipendente appartiene.  C’è un giallo per quel che riguarda il possibile finanziamento della cassa integrazione destinata a frenare l’emergenza rappresentata dalla Gesip, società partecipata dal Comune di Palermo, un carrozzone con 1.800 dipendenti, pronti a mettere sottosopra il capoluogo dell’Isola se rimarranno senza lavoro e soprattutto senza stipendio. Il sindaco, Leoluca Orlando, si era impegnato a far sbloccare la situazione fino a dicembre e sembrava quasi fatta, ma alla Regione, dove non amano molto il primo cittadino dipietrista, frenano (cfr. La Stampa, 16/10/2012).

Se la Sicilia è tecnicamente fallita senza che questo costituisca una colpa per nessuno, Alessandria è una città che è stata trascinata nel gorgo del default da una amministrazione fuori-legge. Il sindaco di centro-destra, Piercarlo Fabbio, insieme al ragioniere capo e all’assessore al bilancio, ha adottato provvedimenti illegittimi che hanno portato il Comune dinanzi al giudizio della Corte dei Conti. Giudizio che non poteva essere che di condanna visto che per ben due volte nel corso di novembre 2011 e di gennaio 2012, l’amministrazione comunale non aveva recepito le raccomandazione dei giudici. Il dissesto è divenuto un passo obbligatorio per la nuova amministrazione, guidata dal PD:

Diciannove virgola quattro milioni di euro di disavanzo, anticipo di cassa impiegato sistematicamente dal 2008, finanza creativa per mezzo di partecipate che dovevano vendere il patrimonio comunale e invece l’hanno svenduto, fallendo sistematicamente ogni obiettivo minimo, 0.95 centesimi di euro di disponibilità di cassa al 21 Giugno 2012. Dopo la pronuncia della Corte dei Conti che ha stabilito il dissesto del comune (è il primo caso dopo la riforma di settembre 2011), il consiglio comunale di Alessandria stasera vota la delibera, passaggio obbligato per evitare il commissariamento. La precedente amministrazione PdL-Lega ha distrutto uno dei comuni più facoltosi del nord d’Italia. Una associazione a delinquere che ha affossato tutto, cominciando dalle multiutility, avviate al medesimo destino fallimentare del comune, violando il patto di stabilità per due anni consecutivi e cercando di mascherarlo (Yes, political!, 12/07/2012).

Il sindaco Maria Rita Rossa ha cercato in più circostanze di ottenere visibilità e soprattutto denari per mantenere in piedi l’insieme delle partecipate del Comune che danno lavoro a 2500 persone. Si tratta di cooperative dei servizi e degli operatori socio-assistenziali, delle partecipate per la raccolta dei rifiuti, per il servizio di gestione dell’acqua e del gas. Questo mese resteranno senza stipendio. E nel mentre, la spending review del governo Monti ha imposto alla Provincia del medesimo capoluogo di ristrutturare la propria pianta organica, pertanto dal 31 Dicembre 2012 tutti i contratti a termine dei lavoratori precari che operano all’interno di essa non verranno rinnovati.

Il sindaco ha chiesto al governo non trasferimenti diretti bensì risposte pratiche, quali quella di ricevere l’intera percentuale dell’Imu, o l’anticipo dell’Irpef a novembre anziché a marzo. Il governo, rispondendo di no, e dando seguito agli stanziamenti diretti in Sicilia, ha così implicitamente legittimato la minaccia di rivolte anziché l’impegno politico di un sindaco che sta semplicemente cercando di acciuffare la propria città prima che sia troppo tardi.

Ieri, circa quattromila cittadini hanno sfilato per la città di Alessandria testimoniando il proprio dissenso contro la decisione del governo. Senza necessità di rivolte o di violenze.

Spending Review: grazie ai Senatori l’addizionale regionale IRPEF aumenterà del 220%

Mario Monti - Caricature

Mario Monti – Caricature (Photo credit: DonkeyHotey)

E meno male che doveva essere solo un provvedimento di revisione della spesa pubblica. Invece. Capita che le Regioni siano con l’acqua alla gola. Alcune, non tutte. Niente paura. Per poter continuare a foraggiare la propria clientela attraverso le forniture alla Sanità Pubblica, i senatori del PdL Esposito, Calabrò e Palma hanno proposto e fatto approvare in Commissione Bilancio questo emendamento:

DDL n. 3396

Emendamento 16.95

ESPOSITOCALABRÒPALMA

Dopo il comma 12 aggiungere il seguente:

«12-bis. Le Regioni sottoposte al piano di stabilizzazione finanziaria di cui all’articolo 14, comma 22, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, possono disporre, con propria legge, l’anticipo all’anno 2013 della maggiorazione dell’aliquota dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche di base prevista dall’articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68».

Che significa aumento delle tasse. Che significa incremento del 220% dell’addizionale regionale IRPEF (fate anche voi due conti: supponendo una base imponibile di 1000 euro, con l’aliquota attuale paghereste 5 euro; con l’aliquota massimizzata all’1.1%, la tassa salirebbe a 11 euro. In rapporto a quanto si paga ora, si tratta proprio del 220%).

Questa, è vero, è una notizia di ieri. Ma è stata veicolata così, tanto per dire qualcosa. L’ennesimo aumento. Ma il valore di uno 0.6% in più nell’aliquota su un reddito fisso lordo di 22000 euro annui significa circa 242 euro di addizionale regionale. E non dite che è Monti il vampiro. Pur di non scontentare le lobbies della sanità privata, caricano sul decretone della Spending Review l’onere di una maggiore pressione fiscale.

La Concertazione come “origine dei mali”: storia di un modello di relazioni industriali

1983 – 2013 La Concertazione come “origine dei mali”.

I Sindacati senza accordi e il Governo atonale del prof. Monti

di Matteo Laurenti, Giovine Europa now (http://www.linkiesta.it/blogs/giovine-europa-now), ricercatore, archivista, bibliotecario e collaboratore del Centro di documentazione sindacale e biblioteca della Camera del Lavoro di Biella.

"L’inflazione è quella forma di tassazione che può essere imposta senza legislazione."

Le spese del governo ammontano al 45% circa del prodotto interno lordo. Secondo quest’analisi, il governo possiede il 45% dei mezzi di produzione che fanno il PIL. Gli USA sono oggi al 45% socialisti. (da Noi abbiamo il socialismo, New York Times, 31 dicembre 1989)

Milton Friedman (1912-2006)

L’Italia in quegli anni ha rischiato grosso… la battaglia ci ha assorbito completamente. Cosí, non abbiamo visto con la chiarezza necessaria il resto. (da Intervista sul mio partito; citato in Ginsborg 1989, p. 68)

Luciano Lama (1921 – 1996)

La geometria non è un reato”

Renato Zero (1950 – vivente)

Anno 1993, giorno 23 del mese di luglio, l’allora Presidente del “Governo tecnico di transizione” Carlo Azeglio Ciampi, primo presidente non parlamentare della storia della Repubblica firma, attraverso la pratica triangolare della concertazione, il protocollo che tenta di mettere fine alla crisi economica endogena dello stato italiano culminata solo pochi mesi prima con la dissoluzione politica della prima Repubblica. La crisi del biennio 1992-93 tratta della “resa dei conti” di oltre due decenni di politiche economiche figlie della temperie sociale e politica iniziata alla fine degli anni ’60 e perdurata per tutto il decennio ’70. Politiche economiche volte a sedare l’inquietudine della società del tempo con l’eroina dell’inflazione. Nel contesto internazionale il fallimento negli anni ’70 delle politiche di bilancio "dal lato della domanda", nel ridurre l’inflazione e nel produrre crescita, spianò la strada per un nuovo cambiamento nella politica economica che mise al centro delle responsabilità delle banche centrali la lotta all’inflazione. Secondo le tipiche teorie economiche, questo avrebbe dovuto essere accompagnato da trattamenti shock di austerità, così come generalmente raccomandato dal FMI.

Inflazione…il generale aumento dei prezzi, di beni e servizi in un dato periodo di tempo che genera una diminuzione del potere d’acquisto della moneta.

Tradotta in sostanza liquida in Italia è stata una spirale di dipendenza creata dall’indennità di contingenza (la Scala Mobile) fortemente voluta, nel 1975, dall’allora Segretario confederale della CGIL Luciano Lama, d’accordo con Bruno Storti (Segretario CISL), Raffaele Vanni (Segretario Uil)e dell’allora presidente di Confindustria Giovanni Agnelli. Essa fu successivamente abrogata tra il 1984 ed il 1992 dai governi di Bettino Craxi e Giuliano Amato con l’accordo degli stessi sindacati che l’avevano creata, scavalcando il referendum abrogativo del 1985 voluto dal PCI di Enrico Berlinguer. La cosiddetta “soluzione” dell’inflazione infatti misurava la stessa tenendo conto dell’aumento dei prezzi ma senza considerare un altro parametro economico: l’aumento del PIL.

Anno 1983, giorno 22 del mese di gennaio, l’allora Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale Vincenzo Scotti pose la firma, per conto del governo, ad una trattativa durata un anno e mezzo. Essa verteva su un accordo, in cui il governo era “mediatore”, che impegnava la fine dello scontro sociale tra sindacati ed industria. Con la firma dell’accordo i sindacati si impegnarono a sospendere la contrattazione integrativa mentre Confindustria sbloccò il rinnovo dei contratti le cui trattative erano state sospese. L’obbiettivo principale era, guarda caso, combattere l’inflazione. Per tutti gli anni Ottanta il sistema così impostato funzionò a dovere e nel 1993 si decise di ampliarlo e di inserire nuove regole. In particolare, nel tentativo di concertare, ovvero metter d’accordo, sindacati e industriali, venne stabilito un incremento minimo salariale pari al tasso di inflazione programmata e un rinnovo dei contratti ogni due anni. Di fatto si diede inizio alla “politica dei redditi”, una politica di accrescimento dei salari sulla base dell’aumento della produzione e degli utili di impresa. Attraverso la politica dei redditi le imprese si impegnano a non aumentare i prezzi, i lavoratori si impegnano, in cambio, a non chiedere aumenti dei salari slegati dall’aumento della produttività. Il Governo dal canto suo offre servizi alle imprese (maggiore efficacia ed efficienza nella pubblica amministrazione, potenziamento delle infrastrutture quali strade, porti, ferrovie, telecomunicazioni), ed ai lavoratori (miglioramento dei servizi sociali alle famiglie:asili nido, buoni scuola, ammortizzatori sociali quali cassa integrazione, sussidi di disoccupazione, mobilità ecc.

La politica dei redditi necessita di un basso tasso di conflittualità sociale e di forte autorevolezza e credibilità del Governo.

Almeno sulla carta dunque la concertazione è servita a farci uscire dalla crisi tutta italiana che ci ha investito venti anni fa (quasi) esatti…In altre parole il modello di concertazione, inteso come dialogo tra gli attori contrattuali con una forte mediazione dello stato, non ha fallito. Ciò che ha fallito è la volontà da parte degli organi dello Stato preposti a far rispettare questo modello, basti pensare ad esempio ai continui scioperi di categoria legati al mancato rinnovo dei contratti nazionali…a distanza di due decenni il sistema ha mostrato i suoi limiti, soprattutto dopo l’adesione dell’Italia alla moneta unica europea. La rincorsa all’euro è stata perseguita con precisi atti di volontà politica, apparsi addirittura temerari tanta era la distanza da recuperare in pochissimo tempo. Si tratta pertanto di un successo indubbio della politica economica, che ha prodotto, come pure abbiamo ricordato, incalcolabili benefici in termini di sradicamento dell’inflazione, bassi tassi d’interesse, bassi costi di transazione soprattutto da incertezza, disintossicazione delle imprese dalla droga delle svalutazioni competitive. Quel successo è oscurato però da due ombre: la distanza che occorreva colmare per rientrare nei parametri di Maastricht, un vero baratro, si era aperta a causa delle scelte, invece assai colpevoli, che la politica economica aveva compiuto nel ventennio precedente; inoltre, i metodi sbrigativi con cui la rincorsa è stata fatta (essenzialmente, accentuando la pressione fiscale e facendo ampio ricorso a misure con effetti temporanei) ha finito col rappresentare uno degli handicap che hanno frenato la rincorsa.

Anno 2013, futuro prossimo, prossime elezioni. A 30 anni dalla prima concertazione pensata e scritta e a 20 da quella che salvò l’Italia da se stessa, avrà ancora senso “richiedere” l’intervento delle parti sociali là dove ormai si attua una programmatica svalutazione del loro ruolo?

Il sindacato (e nella fattispecie la CGIL) ha giocato il suo ruolo o è in stato collaterale con il monetarista Monti attuando una strategia “fantasma” o ancora peggio un’assenza di strategia nell’accettazione di una subalternità alla razionalità economica del capitale produttivo e finanziario nella speranza che questo li faccia accettare come interlocutori riconoscibili?

E’ forse consapevole Susanna Camusso, al pari di Luciano Lama, Bruno Trentin e Sergio Cofferati nei loro rispettivi mandati, che le loro dichiarazioni “stridono” con quanto ha fatto il sindacato nella pratica contrattuale, nei contratti nazionali e in quelli aziendali?

I vincoli e i limiti posti dalle “regole del gioco” che la Cgil ha fatto sue hanno messo i lavoratori nell’angolo nel conflitto di classe?

Di fatto le politiche concertative degli ultimi 30 anni sono nei fatti degli arretramenti contrattuali che hanno fatto perdere potere d’acquisto producendo uno spostamento di una grossa fetta di reddito nazionale dai salari ai profitti e in modo particolare verso le rendite. La CGIL, rompendo con Cisl e UIL (nel 2009) segnava una discontinuità che è risultata di facciata.

Ma se i sindacati sono appunto senza “accordi”, il Governo, ancora una volta “tecnico” e di transizione vuole suonare una musica in un concerto dove esso stesso “definisce autonomamente le regole per la realizzazione del brano”.

Che ognuno torni alla sua parte allora, compresa Confindustria, rea dal punto di vista di Monti di aver dato corda ai sindacati nell’attuazione della cassa integrazione, adatto a solo certi tipi di impresa, come unico strumento del Welfare.

D’altronde Milton Friedman era convinto che la libertà avesse soprattutto due categorie di nemici: gli industriali e gli intellettuali. I primi vogliono la libertà per gli altri ma non per sé. Sono entusiasticamente favorevoli alla concorrenza e al libero mercato per gli altri, per sé preferiscono chiedere sussidi, sgravi fiscali e, soprattutto, protezioni doganali e tariffarie. Gli intellettuali, invece, sono intransigenti difensori delle proprie libertà – nessuno deve dir loro cosa scrivere, dipingere, musicare, eccetera, ma molto meno propensi a che gli altri siano liberi di decidere cosa, quanto e come produrre quello che gli pare. Agli altri cosa fare deve essere se non imposto almeno suggerito dal potere politico.

Tanto nel 2013 l’inflazione tornerà sotto il 2%…parola della BCE.

Spending Review, la bozza del decreto

Spending Review, la bozza del decreto (via LA STAMPA) – spesa_pubblica_revisione2012

Dati ISTAT: la corsa del deficit/PIL all’8%

Qualche grafico ISTAT, tanto per gradire:

Produzione industriale

Commercio al dettaglio

Tasso disoccupazione

Prezzi alla produzione

Dulcis in fundo, il rapporto Deficit/PIL, schizzato all’8% (linea rossa nel grafico):

Pil 2012 Italia, la crisi a forma di “M”

I grafici che seguono sono molto chiari nella testa di chi ci governa e forse rappresentano il loro (il nostro?) peggiore incubo. La crisi italiana si appresta a assumere la forma bruta di una “M”, il che significa che siamo sulla buona strada per ripetere le sorti del 2009.
Questo l’andamento del trend di crescita del Pil degli ultimi cinque trimestri:

Questo l’andamento del trend di crescita su base annua. Per ora si prevede a fine anno un -1.3:

Delega Fiscale, ed è già “panico tasse”

Il governo approva la Delega Fiscale e sui giornali oggi esplode il panico da tasse. Sì, perché revisionare le rendite catastali (oggi ferme ai valori del 1990!) è una mezza rivoluzione e, come tutte le rivoluzioni, anche la Delega Fiscale farà delle “vittime” (metaforicamente parlando, ci si augura). Sappiate che nella Delega Fiscale si nasconde una vera e propria Patrimoniale. La redistribuzione del carico fiscale avverrà così: prima con un aggravio sui proprietari di case e terreni; dopo, ma solo dopo (la scadenza è a fine mandato legislativo, ovvero fra circa nove mesi), tramite un ulteriore provvedimento, detraendo il surplus di entrate con uno sconto sulla tassazione dei redditi da lavoro. Vuol dire che se volete lo sconto fiscale sui redditi, dovrete tenervi il governo Monti sino all’ultimo dei giorni di questa dannatissima legislatura. E sperare che la Delega Fiscale produca gli effetti sperati, cioè il “tesoretto” da impiegare per ridurre il famigerato “cuneo fiscale”.

Ecco come ce lo racconta il governo medesimo nel comunicato di ieri sera:

Il disegno di legge delega fiscale vuole correggere alcuni aspetti critici del sistema fiscale italiano per renderlo più equo, trasparente ed orientato alla crescita economica. Un primo punto importante del disegno di legge delega approvato in data odierna dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, è quello di dare maggior certezza al sistema tributario e migliorare i rapporti con i contribuenti. A questo si aggiunge la volontà di proseguire nel contrasto all’evasione e all’elusione e nel riordino dei fenomeni di erosione fiscale. Sul fronte dell’equità, un contributo sarà assicurato dalla riforma del catasto dei fabbricati, mentre su quello della crescita emerge la fiscalità ambientale.
La delega verrà attuata a parità di gettito e quindi non si attende alcun aumento di pressione fiscale. Ovviamente, razionalizzare il prelievo in funzione dell’equità e della rimozione di distorsioni comporterà una redistribuzione del prelievo, ma questa resterà confinata all’interno dei singoli comparti. Ad esempio, la riforma del catasto persegue in primo luogo l’obiettivo di una maggiore equità, avvicinando le singole rendite catastali ai valori effettivi di mercato; ma alla revisione delle rendite si accompagnerà, contestualmente, quella delle aliquote, in modo da mantenere invariato il carico fiscale complessivo sui fabbricati. La razionalizzazione della tassazione dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo e delle agevolazioni fiscali comporterà aumenti o riduzioni di carico impositivo sui singoli contribuenti, ma per il complesso delle imprese il carico fiscale resterà invariato. Anche il riordino dei fenomeni di erosione fiscale non comporterà aumenti del prelievo complessivo, essendo finalizzato alla razionalizzazione del sistema, a parità di gettito. Anche dalla tassazione ambientale non conseguiranno aumenti di pressione fiscale: anch’essa è infatti finalizzata alla redistribuzione del carico fiscale esistente e alla revisione del finanziamento degli interventi per le fonti rinnovabili. L’entrata in vigore della nuova tassazione ambientale sarà comunque legata al recepimento della disciplina armonizzata decisa a livello europeo.

Di seguito, in sintesi, le informazioni principali relative ai tre capitoli del disegno di legge:
1) Il capitolo “equità e razionalità del sistema” prevede la revisione del catasto dei fabbricati, che sarà attuata in collaborazione con i Comuni e l’Agenzia del territorio, con l’obiettivo di attribuire a ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e la rendita. Con la riforma si vuole ridefinire i fabbricati in base non solo a valori ma anche a criteri più aggiornati: localizzazione, qualità dell’immobile e superficie in metri quadri. Per le unità immobiliari urbane saranno applicati i seguenti principi e criteri direttivi: (1) riferimento ai rispettivi valori medi ordinari espressi dal mercato in un arco temporale triennale antecedente alla nuova determinazione; (2) definizione degli ambiti territoriali del mercato immobiliare; (3) rideterminazione delle destinazioni d’uso catastali ordinarie e speciali; (4) determinazione del valore patrimoniale medio ordinario. La rendita media ordinaria per le unità immobiliari sarà valutata attraverso l’analisi delle statistiche sui valori di mercato; inoltre sono previsti meccanismi di adeguamento periodico dei valori e delle rendite delle unità immobiliari. Infine, per evitare che la revisione delle rendite catastali causi un aggravio del carico fiscale, è prevista la contestuale riduzione delle aliquote.
La delega, inoltre, definisce metodologie di stima e rilevazione dell’evasione di tutti i principali tributi, attraverso il confronto tra i dati di contabilità nazionale con quelli dall’anagrafe tributaria; questi risultati saranno calcolati e pubblicati ogni anno, con partecipazione dell’ISTAT, dell’Amministrazione finanziaria e di altre Amministrazioni pubbliche. Il provvedimento introduce anche l’obbligo di redigere un rapporto annuale, all’interno della procedura di bilancio, sulla strategia seguita e sui risultati conseguiti.
Nell’ambito del monitoraggio e riordino dell’erosione fiscale, viene istituto l’obbligo di redigere, all’interno della procedura di bilancio, un rapporto annuale sulle spese fiscali (dove, per spese fiscali si intende qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta, regime di favore) che sarà confrontato con i programmi di spesa. Si prevede la possibilità di costituire una commissione indipendente e di eliminare, ridurre o riformare le spese fiscali che appaiono in tutto o in parte ingiustificate alla luce delle mutate condizioni socio-economiche. E’ comunque fatta salva la tutela dei diritti fondamentali e delle finalità meritevoli: la famiglia, la salute, le situazioni di svantaggio economico o sociale, il patrimonio artistico e culturale, la ricerca e l’ambiente. Verrà anche razionalizzato e stabilizzato l’istituto del 5 per mille.
2) Il secondo capitolo della delega interviene sui rapporti tra fisco e contribuente, introducendo una definizione generale di abuso del diritto che, recependo la giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione, sarà unificata con quella dell’elusione, rendendola applicabile a tutti i tributi. Inoltre saranno introdotte specifiche regole procedimentali, che garantiscano un efficace confronto con l’amministrazione fiscale e salvaguardino il diritto di difesa del contribuente. Verrà anche attuata una revisione del sistema sanzionatorio penale secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti. In proposito verrà dato più rilievo al reato tributario per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa; mentre si prevede l’esclusione della rilevanza penale per i comportamenti ascrivibili all’abuso del diritto e all’elusione fiscale. Viene prevista, inoltre, la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio, in modo da correlare le sanzioni stesse all’effettiva gravità dei comportamenti, introducendo la possibilità di ridurre le sanzioni in casi di minore gravità o di applicare sanzioni amministrative anziché penali. Si prevede che il principio del raddoppio del termine di accertamento in caso di denuncia penale si applichi solo ove la denuncia sia inoltrata in riferimento ai termini di decadenza dell’accertamento.
I controlli saranno mirati e rafforzati attraverso l’utilizzo delle banche dati e la collaborazione con altre autorità pubbliche; sarà potenziata la tracciabilità dei pagamenti e l’utilizzo della fatturazione elettronica. Nell’ambito del contenzioso tributario è prevista la procedura stragiudiziale per liti di modesta entità; l’estensione della conciliazione alla fase di appello e al giudizio di revocazione, la ridefinizione della distribuzione delle Commissioni tributarie sul territorio, salvaguardando l’articolazione provinciale, per razionalizzare l’utilizzazione del personale amministrativo e dei Giudici. Sarà rivista la riscossione dei Comuni.
Nell’intento di migliorare il rapporto tra fisco e contribuente, secondo l’impostazione della enhanced relationship incoraggiata dall’OCSE, per i soggetti di maggiori dimensioni è prevista l’introduzione di sistemi aziendali di gestione e controllo del rischio fiscale. Alle aziende che attiveranno questi sistemi interni di controllo saranno garantiti una serie di incentivi in termini di minori adempimenti, riduzione delle sanzioni e minori accertamenti; mentre per le imprese di minori dimensioni sarà rivisto ed ampliato lo strumento del tutoraggio.
Sarà avviato un processo di semplificazione degli adempimenti superflui o di scarsa utilità per l’Amministrazione finanziaria.
3) La terza parte della delega rivede la tassazione in funzione della crescita, dell’internazionalizzazione delle imprese e della tutela ambientale. Si prevede che la tassazione dei redditi prodotti dalle imprese commerciali e dai lavoratori autonomi venga assoggettata ad un’unica imposta. In proposito si stabilisce la deducibilità dalla base imponibile di questa imposta dalle somme prelevate dall’imprenditore, dal professionista o dai soci come remunerazione. Queste ultime concorreranno alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF personale del singolo imprenditore. Per i contribuenti di minori dimensioni, invece, si prevede la possibilità di introdurre il pagamento a forfait di un’unica imposta in sostituzione di quelle dovute.
Con la delega, inoltre, si introducono criteri chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio per determinare il momento del realizzo delle perdite su crediti; si rivede la disciplina dell’imposizione fiscale delle operazioni transfrontaliere per adeguarla alle migliori pratiche internazionali; si razionalizzano l’IVA e le altre imposte indirette come quelle di registro, di bollo, ipotecarie e catastali, sulle concessioni governative, sulle assicurazioni e sugli intrattenimenti, con l’obiettivo di semplificare gli adempimenti e razionalizzare le aliquote.
Verrà rivista la tassazione dei giochi e il loro regime, con la finalità prevalente di prevenire la ludopatia, tutelare i minori e inibire forme di pubblicità
Il provvedimento, infine, in sintonia con le politiche adottate dall’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile, punta ad un riordino della fiscalità al fine di preservare e garantire l’equilibrio ambientale (green taxes); si rivedrà inoltre la disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio, come previsto dalla proposta di Direttiva del Consiglio europeo in materia di tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. Il gettito derivante dall’introduzione della carbon tax è destinato prioritariamente alla revisione del sistema di finanziamento delle fonti rinnovabili. L’entrata in vigore delle disposizioni riguardanti la fiscalità ambientale sarà coordinata con la data di recepimento della disciplina armonizzata decisa a livello europeo.

Governo Monti, questo il testo della Riforma Lavoro

Download: La riforma del mercato del lavoro del governo Monti

unpopperuno

Scuse alla Diliberto e caos alla Di Pietro

 

unpopperuno

Passi per strada e ti fotografano accanto ad una signora con una maglietta necrofila e vieni catapultato nel tritacarne post mediatico (ah, questi new media così democratici e repentini e) senza avere il tempo per capacitartene. Le tue scuse non sono più di un cinguettio e sembri sempre più goffo ogni volta che “appari”. Ecco, è il segno del vuoto che hai prodotto, tu insieme a tanti altri. Ma che tristezza il fatto che non te ne sei nemmeno reso conto, nemmeno per sbaglio.

Le scuse alla Diliberto permettono per un attimo lo svelarsi di una verità che avevamo troppo in fretta archiviato (dopo i fasti novembrini): che siamo ridotti a parlare di miserie mentre qualcuno cambia per noi – noi che non lo sapevamo fare – le regole della vita comune, le regole del lavoro e del tempo del riposo. Quella che chiamavamo ‘politica’ ora è ridotta a stampare magliette, a creare slogan da ‘terzo anello’. Se potesse, avrebbe già buttato motorini dagli spalti, avrebbe menato i celerini e incendiato i cassonetti, questa politica. Il linguaggio che oggi intrattiene lo spettatore-elettore, volutamente violento e indisciplinato, è il linguaggio privo di parole e di significati, pieno di sensi unici, solo in apparenza caotico ma sotterraneamente volto alla solita vecchia pratica della distrazione di massa.  Abbiamo imparato bene, purtroppo, da chi nei diciassette anni precedenti ha dominato e plasmato la sfera pubblica, riducendola a mera platea acclamativa. “Il problema, in altre parole, non è la bossizzazione dei cosiddetti ‘moderati’ – ma quella del dibattito e, di conseguenza, dei cittadini”, scrive Fabio Chiusi su IlNichilista.

Per l’appunto, il caos del linguaggio si accompagna al caos della prassi politica. Laddove ci si schiera e si creano alleanze, laddove ci si propone alla cittadinanza in una consultazione elettorale per la scelta del candidato sindaco e si perde, succede che si rompe il patto di alleanza pur di non mettere il proprio partito al servizio del candidato scelto alle primarie. Illogico e surreale. Si rinnegano le regole, quelle regole a cui ci si è volontariamente assoggettati. Così fa Italia dei Valori, a Palermo. Il nuovo candidato dell’Idv è Leoluca Orlando, il non scelto liberamente dai cittadini dal (secondo? terzo?) meno democratico dei partiti. Quale valore ha ispirato questa scelta dell’Italia dei Valori? Perché questo continuo vilipendio della parola e delle regole (e dei cittadini)? Leoluca Orlando non è altro che il secondo e più importante leader dell’Idv. Un barone, in Idv. E’ in politica dagli anni Ottanta. Ha vissuto almeno tre diverse distinte stagioni della politica. Ed è già stato, in tempi remoti ma attualissimi, sindaco di Palermo. No, non è una resistenza democratica (Di Pietro, in IlNichilista, cit.) che può giustificare questo cambio di carte in tavola. Soprattutto, è ora di decidere chi e cosa volete essere. Se preferite ‘alimentare’ il vostro partito con la linfa vitale che lo ha sempre alimentato, l’indignazione e l’odio – questo carburante nobile – oppure uscire dalla dinamica emergenziale degli appelli alla difesa dei diritti e cominciare a definire la propria proposta per il paese. Tanto per cominciare, per esempio, si sarebbe potuto andare ad una trattativa sulla Riforma del Mercato del Lavoro con un proprio documento, uno straccio di bozza, un memorandum di tutta la sinistra che avesse coinvolto i sindacati. E invece no, tutti in ordine sparso, sbraitando al golpe non appena si dice ‘riforma’. Ma questa ‘politica’ ha in vista solo la sua medesima sopravvivenza. Null’altro.

#100monti e l’Agenda Digitale

Nel documento riassuntivo dell’operato del governo Monti pubblicato sul sito del governo si narra di qualcosa che ancora non c’è: l’Agenda Digitale. Non più di un enunciato, non più di una bozza, non più di una manciata di idee. Ma ricordiamoci ancora una volta che dovevamo ripartire da Gogol…

AGENDA DIGITALE PER L’ITALIA DI DOMANI

Sulla base della strategia definita nel 2010 dalla Commissione europea “Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, è stata predisposta l’Agenda digitale italiana che mira a rendere liberamente disponibili i dati delle pubbliche amministrazioni, incentivando la trasparenza, la responsabilità e l’efficienza del settore pubblico; puntando ad alimentare l’innovazione e stimolare la crescita economica.
Il termine ultimo per la realizzazione è il 2020. Entro questa data dovranno essere portati a compimento tanti, e diversi, obiettivi. Tra questi, l’uso sociale della tecnologia, la realizzazione delle reti di nuova generazione e, più in generale, l’alfabetizzazione digitale. Da oggi, per tradurre in pratica questi obiettivi è stata istituita una cabina di regia. A questa spetterà il compito di coordinare l’azione delle amministrazioni centrali e territoriali: i Ministeri, le Regioni, gli Enti locali e le Autorità indipendenti. La cabina di regia opererà su cinque fronti:

Banda larga e ultra-larga. Per “banda larga” si intende il sistema di connessione che permette di inviare informazioni a una velocità che varia dai 2 ai 20 Mbps (megabit per secondo). La “banda ultra-larga”, invece, viaggia a velocità superiore: tra i 30 ai 100 Mbps. Nonostante gli sforzi compiuti finora l’Italia è ancora indietro rispetto ai partner occidentali. I dati parlano chiaro: quasi 5,6 milioni di italiani si trovano in condizione di divario digitale, difettano cioè delle nozioni di base per poter usufruire dei benefici del web. Mentre sono almeno 3000 le località nel Paese che soffondo di un ‘deficit infrastrutturale’ – sono cioè prive delle infrastrutture necessarie per godere dei benefici della banda larga e ultra-larga – soprattutto nel Mezzogiorno, nelle aree rurali e in quelle lontane dai grandi centri urbani.

Smart Communities/Cities. Le città “smart” sono spazi urbani entro i quali le comunità residenti (la community) possono incontrarsi, scambiare opinioni, discutere di problemi comuni, avvalendosi di tecnologie all’avanguardia. La community funziona anche da stimolo per realizzare ricerche e progetti utili alle pubbliche amministrazioni. L’Agenda digitale italiana stanzia nuovi finanziamenti per realizzare le piattaforme tecnologiche necessarie a consentire alle città di adottare la filosofia smart.

Open data. L’open data – letteralmente “dati aperti” – è un nuovo approccio alla gestione dei dati e delle informazioni in possesso delle istituzioni pubbliche, interamente gestito attraverso le tecnologie telematiche. Il governo inglese e quello statunitense sono stati i primi a sperimentare questo sistema. Ma il numero di governi che adotta questo approccio è in continua crescita. Con l’open data tutte le informazioni delle istituzioni pubbliche vengono “liberati” e diventano accessibili e interscambiabili online. L’adozione del formato open è un’opportunità importante anzitutto per le amministrazioni, che superano così gli schemi rigidi e burocratici di accesso ai dati e di gestione delle risorse informative. Si pensi che, nella sola Europa, il “valore” dell’informazione pubblica ammonta a circa 140 miliardi di euro l’anno. Ma il formato open è un’opportunità anche per i cittadini. L’immensa mole di dati resi pubblici permette di avvicinarli alle istituzioni, rendendoli più partecipi al loro operato.

Cloud Computing. La “nuvola di dati” è una delle novità più importanti dell’evoluzione tecnologica. Nel caso delle pubbliche amministrazioni, con cloud si intende la possibilità di unire e condividere informazioni provenienti da istituzioni diverse. Questo processo permette la maggiore interoperabilità dei dati, con vantaggi evidenti per la rapidità e la completezza dei processi amministrativi.

E-government. Ultimo, ma non per questo meno importante, è il principio del governo digitale, o e-government. Con l’Agenda digitale si creano nuovi incentivi per l’utilizzo delle tecnologie digitali nei processi amministrativi per fornire servizi ai cittadini. Ne beneficiano l’efficienza, la trasparenza e l’efficacia. Un esempio concreto è quello degli appalti pubblici, con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Le imprese, dal 1 gennaio 2013, presenteranno alla Banca tutta la documentazione contenente i requisiti di carattere generale, tecnico ed economico

Operazione trasparenza: pubblicati i redditi dei ministri del governo Monti

Con un po’ di ritardo, forse dovuto alla mole documentale prodotta, i ministri del governo Monti mantengono la promessa e pubblicano sui siti dei relativi ministeri la propria posizione patrimoniale. Che adesso sarà interessante passare al setaccio.

Provo a fare un elenco:

Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio
Antonio Catricalà (segretario del Consiglio dei Ministri): 2010 740.000 euro, 2011 200.000
Giampaolo D’Andrea (Rapporti con il Parlamento): reddito complessivo 2010 245.691,00 (comprensivo del Trattamento pensionistico INPDAP‐Università), COMPENSO ANNUO LORDO: €. 188.868,91 ( al lordo della contribuzione previdenziale e delle ritenute erariali). N.B. Con decorrenza dall’1/12/2011 è stata sospesa l’erogazione dell’assegno da parte del Senato della Repubblica e con la medesima decorrenza è stata richiesta la sospensione del vitalizio corrisposto dalla Regione Basilicata, pur non essendo prevista dalle normative vigenti. In data 2/12/2011 è stata operata la rinuncia al contratto di insegnamento di Storia Economica presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi della Basilicata e al compenso maturato.
Antonio Malaschini (Rapporti con il Parlamento): ha optato in data 9 dicembre 2011 per il trattamento di cui alla legge 9 novembre 1999, n. 418, previsto per i membri del Governo non parlamentari. Tale trattamento ammonta, nella sua misura netta annuale, a 106.005,09 (lordo 188.868,91) euro. Come Segretario Generale in quiescenza del Senato della Repubblica percepirà per l’anno in corso una pensione netta annuale di 277.120,70 (lordo 519.015,45) euro. Ha in deposito titoli CCT e BTP e giacenze di conto corrente per un ammontare complessivo di 285.000 euro. Non è titolare di quote di società per azioni, né di obbligazioni.
[Carlo Malinconico (Editoria)] (dimissionario dal 10 gennaio 2012);
Paolo Peluffo (Informazione, Comunicazione, Editoria e Coordinamento amministrativo): Corte dei Conti 130.846,49 – Consulente del Presidente del Consiglio per le celebrazioni dei 150 anni €. 79.555,55 – Compenso Corte dei Conti € 130.000,00 – Compenso Sottosegretario di Stato €.
53.639,39.

Ministri senza portafoglio

Affari europei
Ministro: Enzo Moavero Milanesi
Affari regionali, turismo e sport
Ministro:Piero Gnudi – segui link – Unico 2011: reddito imponibile 1.717.187
Coesione territoriale
Ministro: Fabrizio Barca730/2011:
Rapporti con il Parlamento
Ministro: Piero Giarda – 501.411 in beni mobiliari e immobiliari, reddito 262.288
Cooperazione internazionale e l’integrazione
Ministro:Andrea Riccardi – come ministro: 199.778,25; pensione professore universitario: 81.154,58
Pubblica amministrazione e per la semplificazione
Ministro: Filippo Patroni Griffi: reddito imponibile 2011 504.367 euro

Ministri con portafoglio

Affari Esteri
Ministro: Giuliomaria Terzi di Sant’Agata: 203.653,44 come ministro, ha una Harley-Davidson 883
Interno
Ministro: Anna Maria Cancellieri, come ministro 183.084
Giustizia
Ministro: Paola Severino Di Benedetto: come ministro, 195.255,20 euro; reddito 2011: 7.005.649,00; possiede in leasing  una imbarcazione da diporto Aqua 54’ Cruiser Baia anno immatricolazione 2009.
Difesa
Ministro: Giampaolo Di Paola: come ministro, 199.778,25 euro; possiede azioni Enel, Finmeccanica e Deutesche Telekom.
Economia e Finanze
Ministro: Mario Monti (ATTESA)
Vice Ministro: Vittorio Grilli: compenso annuo lordo € 197.709,85
Sviluppo Economico e Infrastrutture e Trasporti
Ministro: Corrado Passera, reddito imponibile 2011: 3.529.602 euro

Questo slideshow richiede JavaScript.


Vice Ministro: Mario Ciaccia (Infrastrutture e Trasporti)
Politiche Agricole, Alimentari e Forestali
Ministro: Mario Catania: il reddito 2010 (dichiarazione 2011) ammontava a 213.700 euro, interamente ascrivibili alla retribuzione da lavoro; dipendente presso il Ministero. I risparmi sono investiti in titoli di Stato (450.000 euro).
Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare
Ministro:Corrado Clini: come ministro, 199.778,25 euro; Redditi 2010 173.383,00, DIRETTORE GENERALE MINISTERO AMBIENTE
Lavoro e Politiche sociali con delega alle Pari opportunità
Ministro: Elsa Fornero (ATTESA)
Vice Ministro: Michel Martone
Istruzione, Università e Ricerca
Ministro: Francesco Profumo (ATTESA)
Salute
Ministro: Renato Balduzzi  (ATTESA)

Decreto Semplificazioni, tutti gli articoli

Qui di seguito la bozza del Decreto Legge, tuttora all’esame di Napolitano, sulle Semplificazioni normative approvato venerdì scorso dal Consiglio dei Ministri del governo Monti.

Decreto Semplificazioni

Questo l’elenco delle leggi abrogate dal suddetto decreto (fonte Quotidiano.net)

Decreto liberalizzazioni, tutti gli articoli. Ritocchi su incentivi fotovoltaico e tassazione rendite finanziarie

Download Bozza Decreto Liberalizzazioni (con Indice degli Articoli)

Acqua pubblica: come ti smonto il referendum – le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali

In rete circolano ancora copie delle bozze del Decreto Liberalizzazioni approvato ieri dal Governo Monti. Il comunicato stamp del governo, emesso ieri in tarda serata, non è sufficientemente esaustivo. Il Governo si è preoccupato di riassumere e rendere comprensivo un provvedimento molto articolato che interessa anche la politica ambientale, non solo quella economica.

I documenti pubblicati da Repubblica e Corriere della Sera sono incompleti e corredati qua e là di omissioni e refusi (i commenti lasciati in bozza, tipo “RIVEDERE GRILLI” o ATTENDERE SEVERINO”). Pur non essendo certo che il decreto abbia davvero questa formulazione, ritengo comunque i file messi in circolazione del materiale interessante su cui poter iniziare una discussione.

Per esempio: sui giornali non sono emerse con la necessaria rilevanza due modifiche apportate dal decreto su materie diametralmente opposte. Da un lato gli incentivi al fotovoltaico; dall’altra le modifiche all’unificazione della tassazione sulle rendite finanziarie introdotte da Tremonti con la manovra di Agosto 2011.

Vediamo di che cosa si tratta.

Art . 65 Impianti fotovoltaici in ambito agricolo

1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, per gli impianti solari fotovoltaici con moduli  collocati a terra in aree agricole, non è consentito l’accesso agli incentivi statali di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28.

2. Il comma 1 non si applica agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole che hanno conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del presente decreto o per i quali sia stata presentata richiesta per il conseguimento del titolo entro la medesima data, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

3. Agli impianti i cui moduli costituiscono elementi costruttivi di serre così come definite dall’articolo 20, comma 5 del decreto ministeriale 6 agosto 2010, si applica la tariffa prevista per gli “impianti fotovoltaici realizzati su edifici”. Al fine di garantire la coltivazione sottostante, le serre – a seguito dell’intervento – devono presentare un rapporto tra la proiezione al suolo della superficie totale dei moduli fotovoltaici installati sulla serra e la superficie totale della copertura della serra stessa non superiore al 50%.

4. I commi 4, 5 e 6 dell’articolo 10 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 sono abrogati.

L’articolo non ha bisogno di molte spiegazioni. Gli incentivi al fotovoltaico hanno innescato un fenomeno perverso e pericoloso di consumo di suolo agricolo. Gli impianti fotovoltaiciche sono sorti su terreni agricoli sono eri e propri impianti industriali: comportano inquinamento del suolo, inquinamento luminoso (alcuni impianti sono addirittura illuminati, di notte, per scongiurare i furti di rame), inquinamento delle falde (per estirpare le erbacce, anzhiché una buona pratica agricola, vengono sparsi i diserbanti). Il Governo ha voluto giustamente porre un freno a questa tendenza: abbiamo tantissime aree industriali, tetti di capannoni fatiscenti. Possono essere agevolmente convertiti.

Art. 95 (Modifiche alla unificazione dell’aliquota sulle rendite finanziarie)

1. All’articolo 2 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sono apportate le seguenti modifiche:

a) al comma 7, le parole: “, ovvero sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria” sono soppresse; (Art. 2 c. 7 D.L. 138/2011: La disposizione di cui al comma 6 non si applica sugli interessi, premi e ogni altro provento di cui all’articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e sui redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), ovvero sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria del medesimo decreto nei seguenti casi […]; in sostanza viene abrogata l’esclusione dei redditi da capitale e di natura finanziaria dalla equiparazione al 20% della ritenuta.

b) al comma 8, dopo le parole: “di cui all’articolo 27,” inserire le seguenti: “comma 3, terzo periodo e”; Art. 2 c. 8 D.L. 138/2011: La disposizione di cui al comma 6 [ritenuta al 20%] non si applica altresi’ agli interessi di cui al comma 8-bis dell’articolo 26-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, agli utili di cui all’articolo 27 comma 3, terzo periodo (Ritenuta sui dividendi spettanti a persone fisiche residenti all’estero) e comma 3-ter, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, al risultato netto maturato delle forme di previdenza complementare di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.

c) al comma 13, alla lettera a), numero 3), dopo le parole “operano sui predetti proventi una ritenuta con aliquota del 20 per cento” sono inserite le seguenti: “ovvero con la minore aliquota prevista per i titoli di cui alle lettere a) e b) del comma 7 dell’articolo 2 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.”; c. 13 , a) punto 3) il comma 3-bis e’ sostituito dal seguente: “I soggetti indicati nel comma 1 dell’articolo 23 [Ritenuta sui redditi da lavoro dipendente], che corrispondono i proventi di cui alle lettere g-bis) e g-ter) del comma 1, dell’articolo 44 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero intervengono nella loro riscossione operano sui predetti proventi una ritenuta con aliquota del 20 per cento ovvero con la minore aliquota prevista per i titoli di cui alle lettere a) e b) del comma 7 dell’articolo 2 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.

d) dopo il comma 18 è aggiunto il seguente: “18-bis. Nel decreto-legge 20 giugno 1996, n. 323, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1996, n. 425, il comma 9 dell’articolo 7 è abrogato.

Art. 7 c. 9 D.L. 323/1996: 2. Di fatto viene abrogato il prelievo del 20% automatico da parte della banca per i proventi derivanti da depositi di denaro, di valori mobiliari e di altri titoli diversi dalle azioni e da titoli similari  effettuati presso soggetti non residenti senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Ora, detto ciò, in questo articolo a mio avviso c’è qualcosa che non quadra – se da un lato si equipara la ritenuta sui redditi da lavoro dipendente a quella sui dividendi, i redditi da capitale e di natura finanziaria, vengono però esentati tutti quei soggetti che non hanno residenza sul territorio dello Stato. Perché? Qual è il senso di questa norma? Cosa c’entra con le liberalizzazioni?

Direttiva Bolkestein, la protesta degli ambulanti contro le liberalizzazioni

[tratto dal Comunicato dell’associazione GOIA]

Nel pacchetto di liberalizzazioni annunciate dal Governo italiano c’è la temuta direttiva europea chiamata “Bolkestein”. Se dovesse passare così come è stata presentata, produrrebbe un danno enorme in termini di disoccupazione (sono quasi 2 milioni i posti di lavoro a rischio compreso l’indotto) alla categoria di lavoratori più antica della storia umana. Gli ambulanti oggi lavorano sulle piazze e le strade di tutta Italia grazie alle concessioni decennali rilasciate dai Comuni. Circa una metà di commercianti queste concessioni le ha acquisite oppure le ha ereditate da genitori che hanno sempre e puntualmente pagato le relative tasse che garantivano la legalità per svolgere il proprio lavoro. Chi ha acquistato queste concessioni, oltre al danno rischia la beffa perché si è dovuto accollare anche spese notarili, bolli e tutta la burocrazia di competenza, senza parlare delle visite capillari dell’Ufficio delle Entrate. Essendo attività commerciali a tutti gli effetti sono infatti sottoposte a studi di settore, quindi hanno l’obbligo di pagare tasse sulle transazioni delle concessioni in base al valore che stabilisce l’Ufficio delle Entrate e non al valore di mercato reale.

Con la direttiva Bolkestein, tutto il passato e la storia orgogliosa di ogni singolo ambulante rischia di essere archiviata per sempre. Essa prevede che i Comuni non rinnovino più le concessioni ai vecchi possessori cancellando quindi “i diritti acquisiti” fino ad ora.

La Bolkestein è una legge retroattiva e anticostituzionale; una volta approvata la direttiva i Comuni avranno la libertà di mettere all’asta le concessioni e la partecipazione alle aste verrà ristretta agli ambulanti e aperta alle grandi multinazionali, società e cooperative. In pratica chi offre di più lavora, mentre chi si è sacrificato per una intera vita alzandosi tutte le mattine alle 5, mettendo a repentaglio anche la propria salute, rimane a casa intraprendendo la nuova carriera da disoccupato.

Per fare un esempio, potrebbe succedere che in una qualsiasi manifestazione fieristica o mercato su aree pubbliche arrivi un grande gruppo che offra al Comune cifre esorbitanti per tutti i posteggi della fiera o mercato lasciando a casa circa 200 operatori (questo è mediamente il numero di operatori per mercati e fiere nelle grandi città) che da secoli tramandano di generazione in generazione tradizioni, costumi e servizi ai cittadini.

Se tutto questo dovesse accadere, le multinazionali acquisirebbero ulteriore potere commerciale, decidendo cosa dobbiamo e cosa non dobbiamo comprare. In altri casi si potrebbe verificare che società di servizi acquisterebbero interi pacchetti di concessioni per poi subaffittarle in un secondo momento agli stessi ambulanti che ne hanno subito l’esproprio. Naturalmente tutto questo andrebbe a danno dell’ambulante perché si potrebbe subaffittare a prezzi maggiorati. In pratica la direttiva Bolkestein aprirebbe la strada a personaggi che vivono lucrando sul lavoro altrui.

A Torino grazie alla tenacia di alcuni ambulanti e nato gruppo denominato G.O.I.A. (gruppo libero da ideologie politiche e non vincolato dalle caste commerciali) che in brevissimo tempo grazie ai nuovi mezzi di comunicazione di massa (social network) ha fondato un gruppo su Facebook che sta riscuotendo molto successo. Il gruppo si chiama “CARO BOLKESTEIN, SIAMO IL G.O.I.A, IL MERCATO NON SI TOCCA” e sta continuando a ricevere adesioni da ogni parte d’Italia.

Il GOIA scende in piazza in questi giorni: mercoledì 18 ci sarà una manifestazione a Cuneo, il 22 seguente a Roma.

Per conoscere gli effetti della Bolkestein, leggete questo post: Arriva l’onda liberalizzatrice della Direttiva Bolkestein.

Oppure seguite il Gruppo di GOIA su Facebook: http://www.facebook.com/groups/126578900757038/