L’ultima lettera di Gheddafi per Berlusconi

Gheddafi scrisse a Berlusconi lo scorso 5 Agosto pregandolo di intercedere per lui con i suoi “nuovi amici e alleati” affiché la Nato cessasse i bombardamenti contro il popolo libico. Il messaggio, lo scrive lo stesso Gheddafi, doveva essere recapitato a B. per mezzo di nostri connazionali che a detta dello stesso Gheddafi sono andati in Libia a sostenere il paese. Un documento straordinario pubblicato da Paris Match oggi. il testo in italiano è stato tradotto dal sottoscritto (perdonate qualche errore o inesattezza).

Il documento era rivolto all’attenzione di Abdallah Mansour. Mansour è un generale libico che dirigeva la televisione nazionale. E’ ricercato dal Tribunale Internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità. Questo signore doveva in qualche maniera far pervenire il messaggio a B.

“Caro Silvio.
Io ti invio questa lettera attraverso tuoi connazionali che sono venuti in Libia e che ci sostengono in un momento difficile per il popolo della Grande Jamahiriya.
Sono rimasto sorpreso dall’atteggiamento di un amico con cui ho stretto un trattato di amicizia a favore dei nostri due popoli. Avevo sperato da te almeno che ti fossi interessato ai fatti e che avessi tentato una mediazione prima di dare il vostro sostegno a questa guerra.
Io non ti biasimo per ciò di cui non sei responsabile, perché so che non eri a favore di questa azione dannosa che non onora né te né il popolo italiano.
Ma credo che avete ancora la possibilità di fare marcia indietro e di tutelare gli interessi dei nostri popoli.
Siate certi che io e il mio popolo siamo disposti a dimenticare e voltare questa pagina nera dei rapporti che legano il popolo di Libia e il popolo italiano.
Fermate i bombardamenti che uccidono i nostri fratelli libici e i nostri figli. Parlate con i vostri nuovi amici ed alleati (1) per ottenere una soluzione che garantisca al grande popolo libico la totale libertà di scelta di chi lo dirige e che cessi questa aggressione continua contro Il mio paese (1).
Spero che Dio Onnipotente vi guiderà sulla via della giustizia per fermare il massacro subito da mio paese, la Libia”

(Nel testo stampato del progetto di lettera, il colonnello Gheddafi aveva aggiuntola seguente mano:
“Per l’attenzione di Abdallah Mansour: inviare il messaggio come proveniente dame attraverso questo documento, e dopo la correzione. “)

(1) aggiunto a mano.

Testo originale via Paris Match

« Cher Silvio.

Je te fais parvenir cette lettre par l’intermédiaire de tes concitoyens, qui sont venus en Libye nous apporter leur soutien dans un moment aussi difficile pour le peuple de la Grande Jamahiriya.

J’ai été surpris par l’attitude d’un ami avec qui j’ai scellé un traité d’amitié favorable à nos deux peuples. J’aurais espéré de ta part au moins que tu t’intéresses aux faits et que tu tentes une médiation avant d’apporter ton soutien à cette guerre.

Je ne te blâme pas pour ce dont tu n’es pas responsable car je sais bien que tu n’étais pas favorable à cette action néfaste qui n’honore ni toi ni le peuple italien.

Mais je crois que tu as encore la possibilité de faire marche arrière et de faire prévaloir les intérêts de nos peuples.

Sois certain que moi et mon peuple, nous sommes disposés à oublier et à tourner cette page noire des relations privilégiées qui lient le peuple libyen et le peuple italien.

Arrête ces bombardements qui tuent nos frères libyens et nos enfants. Parle avec tes [nouveaux (rayé)] amis et vos alliés (1) pour parvenir à [une solution qui garantisse au grand peuple libyen le choix en totale liberté de qui le dirige (rayé)] ce que cesse cette agression à l’encontre de mon pays (1).

J’espère que Dieu tout-puissant te guidera sur le chemin de la justice [dans le but d’arrêter ce bain de sang que subit mon pays la Libye (rayé)]. »

 

(Au texte imprimé de ce projet de lettre, le colonel Kadhafi avait ajouté la mention manuscrite suivante (en ht à g. de la lettre) :

« A l’attention d’Abdallah Mansour : faire parvenir ce message comme venant de moi par le biais de ce document et ce après correction. »)

 

(1) ajouté à la main.

Michael Walzer, perché la guerra di Libia è ingiusta

Michael Walzer, filosofo politico che insegna a Princeton, autore del famoso libro ‘Guerre giuste e ingiuste’, intervistato da La Repubblica, spiega perché non sussistono nel caso della Guerra in Libia i crismi di una ‘guerra umanitaria‘ – il grande ossimoro di questo scorcio di secolo.

In primis, “non spetta alla comunità internazionale intervenire ogni volta una rivolta democratica non raggiunge il suo obiettivo”, altrimenti si dovrebbe intervenire continuamente e ovunque. Questo non può essere la ragione che motiva l’intervento. L’intervento è un errore: a cominciare dal fatto che non è stato definito alcun obiettivo, abbattere il Tiranno o favorire la tregua. In ogni caso si andrà incontro ad esiti nefasti: se il Tiranno resiste – è impensabile deporlo con i soli bombardamenti – allora saà un bagno di sangue; se cade sarà guerra civile, quindi un bagno di sangue.

Può allora l’intervento dei ‘volenterosi’ essere umanitario? E’ forse l’estrema ratio per evitare tale massacro? Evidentemente no, poiché l’intervento medesimo può portare al massacro e non può in alcun modo prevenirlo.

La Repubblica, 24.03.2011, p. 53

Una guerra per fermare il martirio, questa è una guerra giusta. Ma se si sganciano bombe su centrali elettriche, su ponti, se gli obiettivi sono strategici ma non strettamente militari, è ancora una guerra giusta? Rispolvero una vecchia intervista sempre di Walzer, rilasciata a Maurizio Viroli nel 1992. Allora l’intervento militare che suscitava dubbi era la Prima Guerra del Golfo:

Come è noto, la guerra, prima di iniziare a terra, fu combattuta per la maggior parte del tempo in cielo, e si diresse per lo più alle infrastrutture civili della società irachena. Si tratta di obiettivi che solo in alcuni casi possono essere considerati legittimi, là dove, ad esempio, si è trattato di ponti che consentivano i rifornimenti ad una armata sul campo. Al contrario, la distruzione di centrali elettriche o di impianti per il rifornimento d’acqua, costituendo un attacco ingiustificato alla società, non rientra affatto tra i casi previsti e giustificati dallo ius in bello (M. Walzer intervistato da M. Viroli, 1992).

In Libia si stanno bombardando centri strategici o solo obiettivi strettamente militari? La risposta è dirimente sulla questione della legittimità dell’attacco occidentale alla Libia di Gheddafi. “La prima regola di un interventismo democratico”, dice Walzer oggi a La Repubblica, “è quello di non cercare di riportare in vita un movimento di opposizione che non ce la fa a sostenere i suoi obiettivi, autonomamente, sul campo”. E invece il neonato consiglio di Bengasi militarmente non sta in piedi, né pare sufficientemente radicato e organizzato per poter subentrare a Gheddafi alla guida del paese.

 

La Repubblica, 24.03.2011, p. 53

C’è chi invece tifa per la guerra di liberazione libica e per l’aiuto americano. “Perché dopo averle a lungo auspicate, le rivolte per la libertà non hanno trovato l’appoggio incondizionato dei democratici europei? Dov’è l’Europa, dove sono le forze riformiste, dove sono i movimenti pacifisti? […] Non possiamo più essere spettatori passivi. O peggio, custodi e cultori della caricatura cinica di una realpolitik che ormai appartiene al passato”, così disse Walter Veltroni qualche giorno fa. Come chiedere ai movimenti pacifisti di tifare per una guerra, che non è nemmeno umanitaria – quindi, di fatto, è una guerra ingiusta?

Piccola bibliografia di M.Walzer

Guerre giuste e ingiuste. Un discorso morale con esemplificazioni storiche, 1990, Ed. Liguori

La libertà e i suoi nemici nell’età della guerra al terrorismo, 2003, Laterza

Sulla tolleranza, 2003, Laterza

La Libia, l’ENI e quel miliardo a fondo perduto

Petrolio. Ne scrisse un libro, un giorno, un uomo, e dopo morì in circostanze misteriose. Si chiamava Pierpaolo Pasolini. Aveva romanzato la storia dell’ENI e del suo padre storico, Enrico Mattei, morto in un incidente aereo che ha ben poco dell’incidente.

L’ENI, sempre l’ENI, la ritroviamo oggi, co-protagonista della sceneggiata libica, la nuova ennesima guerra per la difesa dei diritti umani. ENi non spara, preleva. Preleva barili di oro nero, di gas naturale. Per questo paga al regime libico una quota altissima, il prezzo più salato per una compagnia estera in Libia. ENI trattiene a malapena il 12% della produzione di greggio, il 40% di gas, il resto rimane in mano libica, che commercializza per proprio conto. Questo perché negli anni ’70, quando Gheddafi era socialista e faceva la rivoluzione alla testa delle masse libiche, petrolio e gas sono stati nazionalizzati. Alla medesima maniera di Chavez in Venezuela. Una misura che è sin giusta, se ci pensate: che diritto hanno le compagnie estere di venire nel nostro paese e di sfruttarne le risorse al prezzo imposto da loro? In fondo anche l’ENI è una ‘National oil Corporation’, una compagnia di bandiera, controllata cioè dal governo, che opera all’interno dei propri confini in regime di monopolio o di semi-monopolio, al contrario di Bp, Total, ExxonMobil, multinazionali che rispondono soltanto al proprio interesse e a quello dei loro investitori.

Wikileaks ci ha permesso di conoscere le relazioni pericolose di ENI e NOC, la compagnia nazionale libica. Ce lo ricordano Debora Billi su Il Fatto (qui) e Gianni Cavallini sul suo blog (qui). ENI aveva un contratto standard, poi ha dovuto rinegoziare al ribasso, con una quota di produzione che è passata dal 35-40% al 12% come detto sopra. Dopo è partita la campagna della compagnia libica contro le altre imprese estere: tutti i nuovi contratti hanno adottato lo standard ENI, con notevole scorno per Total e soci:

23-07-2008: “Con il nuovo accordo, lo share di produzione per il consorzio europeo (quello che sviluppa la città di Marzuq, ndr) sarà ridotto dal 25% al 13%. Repsol, Omv, Total e Saga Petroleum hanno seguito altri maggiori attori in Libia nel cedere alle pressioni Noc verso il nuovo accordo Epsa IV, che prevede significative riduzioni di share per le compagnie internazionali. E se qualcuno dubita, ecco pronto un cablo in cui ci si lamenta proprio della della rigidità della Noc, e specialmente della gestione autocratica del responsabile Shukri Ghanem. Il quale, appena lo scorso anno, ha annunciato di voler estendere il fatidico accordo Epsa IV anche alle compagnie che finora hanno goduto di concessioni tradizionali (D. Billi, Il Fatto, cit.).

4. (SBU) Nell’ottobre 2007, l’ENI si è accordata con il NOC per convertire i contratti esistenti di produzione a lungo termine, che sono stati firmati a metà degli anni 1980 sotto le condizioni EPSA III, secondo il modello contrattuale più recente EPSA-IV (reftel). Tale accordo è stato presentato al Congresso Generale del Popolo Libico per l’approvazione e la ratifica, ed è stato ratificato il 12 giugno. Nell’ambito del nuovo accordo Eni ha ridotto la sua quota di produzione al 12% per il petrolio (35-50 per cento in meno per i suoi vari ambiti) e del 40% per il gas naturale (50 per cento in meno). La quota per la produzione di gas scenderà al 30% dopo il 2018. In cambio il NOC ha esteso di 25 anni i contratti EPSA III ad ENI, ha approvato un’espansione di 3 miliardi di metri cubi (BCM) per il Gasdotto della Libia occidentale (WLGP), e la costruzione di un nuovo impianto da 4 milioni di tonnellate l’anno di LNG (gas naturale liquido) a Mellitah. Eni ha accettato condizioni fiscali meno attraenti per i suoi blocchi (il suo portafoglio complessivo è sceso al 42% a causa di più base quote di produzione), e ha fatto un miliardo dollari di pagamenti a fondo perduto. Le licenze Eni sono state convertite al modello EPSA IV che ora scadrà nel 2042 (per il petrolio) e nel 2047 (per il gas) – (G. Cavallini blog, cit.).

Sappiamo – sempre per merito di Wikileaks – che anche sul fronte del gas russo l’ENI ha stretto accordi al ribasso: ne abbiamo parlato su questo blog già a dicembre. Allora emerse un quadro oscuro di società off-shore in cui si presagiva la presenza del nostro caro Presidente del Consiglio. In quella storia, ENI apriva il mercato italiano “all’ingrosso” del gas metano, di cui è praticamente monopolista, a una società facente riferimento a Gazprom. Praticamente un suicidio commerciale. Sul fronte libico, ENI ha barattato un presunto aumento di capacità di un gasdotto nonché la costruzione di un secondo tutta da definire. In aggiunta, ENI ha versato un miliardo di dollari – diconsi dollari – a fondo perduto!

A questo punto viene da domandarsi chi comanda la NOC libica. Le ‘personalità chiave’ della compagnia sono Shukri Ghanem, presidente della compagnia nonché ex Segretario Generale del Comitato del Popolo cioè del governo libico; Faraj Mohamed Said, vicepresidente; Ahmed Elhadi Aoun, Amministratore. Questi signori mettono il piede nel consiglio di amministrazione di tutte queste società (il grafico potrebbe non essere recente poiché riporta il nome di Agip):

NOC è posseduta per intero dal governo libico. L’accordo ENI è del 2007: in Italia governava Prodi. ENI era presieduta da Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’azienda dal 2005. Scaroni è stato definito il “vero” amico dei libici. Interpellato dalla stampa, ha ribadito chei rapporti fra ENI e NOC non sono affatto compromessi:

“Absolutely not, I do not think they are compromised,” said Eni Ceo Paolo Scaroni about Eni’s relations with Libya on the sideline of an audition at the lower Chamber. Scaroni said: “We are maintaining our relations with the National Oil Corporation, our natural contact there. Any political system set up in the future will have its NOC which has contracts with us, so we will continue doing business with it.” Scaroni concluded:” I don’t see any reason for our relations to be jeopardized.” (AdnKronos).

Scaroni pensa che qualsiasi sia il governo libico del futuro, NOC continuerà ad esistere e così i contratti che ENI ha con esso. Che sciocchezze: è fin troppo chiaro che il prossimo governo libico dovrà accettare la “linea francese”, che sarà forse quella della liberalizzazione del mercato del petrolio e del gas in Libia. E quel miliardino di dollari si sarà perso nel canale di Sicilia.

Libia, tu chiamala se vuoi guerra

Guerra di Libia 1911

Guerra di Libia 2011

No, non è peace keeping. Non è un intervento umanitario. E’ guerra, anche se ufficialmente – lo dice Napolitano – non siamo in guerra. Otto caccia bombardieri nostrani stanno sorvolando i cieli di Tripoli sganciando il loro pesante bagaglio. I nostri cieli testimoniano il transito degli aerei inglesi e francesi. Un rimbombo sinistro, molto frequente in mattina: chi abita a nord come me se ne sarà accorto. I nostri cieli sono cieli di guerra, e non l’avevamo previsto.

La decisione del governo di concedere le basi (nonché il voto di un parlamento prono e privo di opposizione) è stata repentina, priva della necessaria riflessione circa i rischi, altissimi, di rappresaglia libica contro le nostre navi mercantili, o persino in terra, qui da noi, nelle stazioni, negli aeroporti. A pensarci bene, l’avvallo all’attacco è un gesto da irresponsabili, soprattutto da parte di chi aveva stretto mani e baciato anelli. Non siamo più amici della Libia, poiché mai lo siamo stati. Eravamo amici del dittatore, questo sì, già sufficientemente vergognoso. Ora siamo anche messi dalla parte dei traditori, e questo la dice lunga sulla nostra libertà – pari a zero – in materia di politica estera. D’altronde i cablogrammi di Wikileaks hanno rivelato il giudizio di Washington su Berlusconi. Il pagliaccio è manovrabile, è da tener buono poiché utile al raggiungimento dei loro obiettivi geopolitici.

In Libia si combatte una nuova guerra del liberismo: un altro mercato da liberalizzare, quindi da colonizzare con le multinazionali occidentali. C’è posto per produzioni che qui da noi costano, c’è manodopera abbondante: alle spalle c’è un deserto che vomita disperati che si accontenterebbero di una paga da miseria. Certo meglio dei lager del Rais. Siete sorpresi del ruolo di primo piano dell’Unione Europea? E’ frutto del multilateralismo obamiano. Gli europei si prendano la parte di costi per la liberalizzazione della Libia, non soltanto i benefici. Noi sorvoliamo i cieli libici perché in terra abbiamo già l’ENI e non possiamo permettere che Total e Bp la scalzino: meglio una spartizione. Un pozzo a ciascuno. Intanto Frattini ipotizza: si andrà avanti finché Gheddafi non cadrà. Con un ministro degli esteri così c’è poco da star tranquilli. Berlusconi ci tiene a tranquillizzare tutti: Gheddafi non ha la tecnologia necessaria per colpire le nostre isole: Lampedusa, Linosa, Pantelleria. Poi lo scopriamo alla testa di una cordata con Putin con lo scopo di ricomporre le parti, come se noi non fossimo pienamente coinvolti nella alleanza dei volenterosi occidentali griffata ONU. Una specie di sclerosi della visione dei rapporti internazionali: le iperbole di un vecchio governante esautorato e privo di dignità.

Lampedusa è il fronte di questa guerra, o meglio la più immediata retrovia: un’immensa isola campo-profughi. Chi, che cosa potrà partorire una situazione tanto simile?

Due anni fa nessuno previde che Mohamed Game, cittadino libico residente da anni in Italia, si sarebbe fatto esplodere di fronte alla caserma Santa Barbara di Milano per protesta «contro il governo e Silvio Berlusconi responsabile della politica estera» (Corriere.it).

Esiste una circolare del capo della Polizia Manganelli che invita prefetti e questori a innalzare il livello di attenzione per gli obiettivi sensibili, in particolar modo le frontiere marittime e terrestri, nonché i luoghi simbolo. Non serve ipotizzare armi chimiche: l’unica arma più pericolosa – e che può attuare la vera rappreseglia contro i civili – potrebbe essere già fra di noi. E questa è una della ragioni per cui la chiamiamo guerra.