
Ministro della Difesa La Russa, oggi, 05/01/2011, ai giornalisti italiani: [Matteo Miotto] “E’ stato ucciso da un gruppo di insorti durante un vero e proprio scontro a fuoco e non da un cecchino isolato” spiega il ministro parlando con i giornalisti. L’uccisione di Miotto, aggiunge La Russa, è opera “di un gruppo di terroristi, di ‘insurgent’, non so quanti, che avevano attaccato l’avamposto” (Repubblica.it).
L’operazione Glasnost di La Russa, pur degna di nota, manca di spiegare perché, nei minuti e nei giorni immediatamente successivi alla morte dell’Alpino, sia stata divulgata una versione radicalmente diversa da quanto detto oggi. Forse si sta nascondendo qualcosa? I militari italiani vengono descritti come nell’atto di difendersi da un attacco. Dislocati “in villaggi come Bala Murghab o nel Gulistan”, ogni giorno devono difendersi dagli attacchi. Spiega La Russa che ora siamo lì, prima “ci passavamo e basta”, “ora siamo negli avamposti con turni che durano anche 14 giorni di fila”. Capito? Avamposti. Non retrovie. I nostri militari non svolgono attività di addestramento, ma difendono avamposti del fronte americano. Non soccorrono bambini. Non si tratta di alcuna operazione umanitaria. E pertanto, qualcuno, almeno inizialmente ha rilasciato una prima ricostruzione dei fatti nella quale si fa specifica menzione di un cecchino isolato che colpisce Miotto. La figura del cecchino ritorna anche nella versione del Ministro,che però è di fatto incompatibile con la presenza di cecchini. Un cecchino è un tiratore scelto nascosto in una buona posizione dalla quale può far mira con facilità senza essere tuttavia immediatamente rintracciato. Posizioni tipiche sono palazzi abbandonati (l’esempio tipico è quello di Sarajevo, laddove i tiratori sui tetti miravano ai passanti per la strada). Nel caso di Miotto non è così:
Il caporal maggiore, in base a una prima ricostruzione, faceva parte di una “forza di reazione rapida” ed era salito sulla torretta di guardia, dove poi è stato colpito, a dare man forte. Erano in due sulla torretta e sparavano a turno: uno sparava e l’altro si abbassava. Proprio mentre Matteo si stava abbassando è stato colpito da un cecchino che ha puntato un fucile di precisione, ex sovietico, degli anni ’50, un Dragunov, reperibile anche al mercato nero di Farah” (Republica.it, cit.).
Miotto è sulla torretta. Se l’attacco, come si presume, è avvenuto frontalmente alla base degli italiani – tanto che i nostri militari si difendono tirando dalla torretta, quindi dall’alto verso il basso – la presenza di un cecchino piazzato pare alquanto improbabile, tanto più che Miotto è stato colpito alla base del collo, mentre si abbassava all’interno della torretta. Insomma, la dinamica come descritta, non convince. E’ presumibile che gli italiani siano stati colpiti da un attacco ben più massivo, durato – secondo il medesimo La Russa – alcune decine di minuti. Il Ministro della Difesa si è poi affrettato a precisare che “la versione sulla morte di Matteo Miotto non e’ cambiata ma solo integrata”. Certamente, quanto rivelato oggi dal Ministro dovrebbe porci dinanzi alla domanda del perché sia stata divulgata la versione del cecchino solitario. Che cosa è stato nascosto per sei lunghissimi giorni?
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