Cosa ha detto @civati in #direzionepd

Che non l’ha detto nessuno, nemmeno la super diretta twitter di Europa Quotidiano.

Pochi tweet, ma è tutto ciò che abbiamo. Quella cosa che si chiama indifferenza, eh?

[in aggiornamento]

Anche sul blog http://www.ciwati.it/2013/07/26/le-cose-che-ho-detto-che-non-vi-avevo-detto/

Congresso PD, Renzi avalla il Lodo D’Alema

Il lodo D’Alema è quella formula molto particolare che trasformerebbe la regola dello statuto PD, secondo la quale il segretario è anche il candidato premier, in una opzione ‘diversamente’ praticabile, a scelta, seguendo le circostanze politiche del momento. E’ una formula melliflua che intende far passare agli elettori/iscritti che il prossimo segretario potrebbe essere candidato premier ma anche no, dipende dalla condizione di salubrità del governo Letta, sembra scritto fra le righe. Una formula che sembra godere dell’appoggio del sindaco di Firenze, non obbligato quindi a disarcionare Letta per prendere il partito, suo nuovo e malcelato obiettivo. 

Guglielmo Epifani si è autodichiarato presidente della Commissione pre-Congressuale, o per meglio dire, un presidente ombra: non è ufficialmente tale, ma lo è nella prassi. Agirà in coordinazione con i segretari regionali Bonaccini (PD Emilia-Romagna ex bersaniano) e Lupo (PD Sicilia, franceschiniano). Tanto per rinfrescare agli smemorati che le correnti son sempre quelle.

Epifani ha dettato i tempi per la revisione delle regole dello Statuto. Ancora una volta ha suggerito l’idea che le primarie congressuali si debbano tenere su una base ristretta e selezionata di elettori-iscritti. Ha riesumato la storia dell’albo, di bersaniana memoria. Se così fosse, bisognerebbe ricordare al segretario che di albo ce n’è già uno, quello di Ottobre 2012, che conta quasi tre milioni di elettori. Una buona base, si potrebbe dire, se di quei tre milioni ne fosse rimasta almeno la metà disponibile a votare nuovamente per il Partito Democratico. Epifani la mette giù così, un po’ dimenticandosene, di quelle primarie di Ottobre (potere della Sconfitta). A lui piace come fanno gli ammericani: “visto che parliamo di primarie andrei a lezione dai maestri: lì per votare ci si iscrive in albi, chi è iscritto a quell’albo vota il suo candidato alle primarie”, dirà stasera durante Porta a Porta (europaquotidiano.it).

Le altre modifiche statutarie dovrebbero accogliere l’idea di Civati, Barca e altri, secondo i quali l’ordine della discussione deve essere invertito e perciò deve promanare sempre dai circoli verso la Direzione Nazionale e non viceversa, come invece di consuetudine. In secondo luogo, aspetto degno di revisione potrebbe essere anche la composizione dell’Assemblea Nazionale, l’organo che materialmente elegge il segretario e che è composta dei delegati eletti con le primarie congressuali: si prevede una riduzione consistente del numero dei suoi componenti, che potrebbero essere eletti dalle assise regionali.

Epifani ha comunque assicurato che il congresso si terrà entro l’anno. Qualche buontempone suggerisce le date del 29 e 30 Dicembre.

Il caso della mozione Giachetti

Intempestiva. Così Anna Finocchiaro ha etichettato la mozione Giachetti (potete leggerla qui, è un mero atto di indirizzo che vincola la Camera, non il governo) che pure era nota da settimane, oggi è diventata dirimente per la prosecuzione dell’esperienza di governo con il Pdl. Sarà l’effetto incoraggiante della “rivincita” di Bersani avvenuta nelle urne domenica e lunedì? Ai posteri l’ardua sentenza. A me, mero osservatore, è parso che le cariatidi del PD, categoria che a sua volta quasi certamente comprende i misteriosi 101, intendono spostare in là nel tempo, e con la soluzione blindatissima delle primarie fra soli iscritti, il congresso e la risoluzione del grande equivoco che ci perseguita dal 24-25 Febbraio. Per resistere, indomiti, e condizionare le dinamiche parlamentari al fine di prolungare la vita amara del governo Letta.

E’ bene ribadire che non vi è stata alcuna rivincita, che il PD è stato salvato localmente solo dalla bontà dei suoi candidati sindaco, che l’astensionismo ha falcidiato maggiormente i partiti liquidi e i movimenti liquidissimi. Detto ciò, l’accordo di ieri sul cronoprogramma delle riforme istituzionali ha palesato ancor di più la dipendenza di Letta dai desiderata di Berlusconi, Brunetta e soci, i quali hanno nuovamente operato per posticipare nel tempo, e forse stralciare, la riforma della legge elettorale. Qualcosa che abbiamo già sperimentato un anno fa, durante il governo dei tecnici. Sappiamo tutti come è andata. Lo sa anche Roberto Giachetti, il quale è andato ostinatamente per la sua strada, perdendo alcuni sostenitori, fra cui Civati (che dapprima ha appoggiato una risoluzione dubitativa sull’accordo di ieri circa la costituzione della Commissione dei 40, poi, consapevole dalla presa di posizione di Letta – ritirate la mozione! – ha votato conformemente alle indicazioni del gruppo). Ma bisogna sottolineare che il voto di oggi era abbastanza insignificante. Un atto di indirizzo verso l’aula, che il PD ha deciso di osteggiare. E senza il voto dei democratici, alla Camera non passa nulla.

Va da sè che stupiscono le impennate della Finocchiaro e l’inconsapevolezza di Epifani. Oramai si rasenta l’ipocrisia. Il vertice del Partito è ancor più indisponente e quella piccola vittoria di domenica, vittoria che si sono frettolosamente intestati (ricordate che Ignazio Marino aveva contro il partito, che lo voleva persino sostituire, tre settimane prima del voto), li ha ancor più ringalluzziti.

E stupisce pure il ritardo con cui il Movimento 5 Stelle si è allineato alla mozione Giachetti. Non sono riusciti a incidere in un dibattito parlamentare che per un giorno si è trasferito tutto all’interno di uno stesso partito.

Il rapporto fra Matteo Renzi e l’IMU dalla preistoria ad oggi

Il posticipo dell’IMU? Per Matteo Renzi è una cambiale pagata a Berlusconi. Strano che dica ciò. Matteo Renzi non ha mai cambiato idea sull’IMU. Guardate qui:

5 Febbraio 2013: Renzi sposa la tesi di Berlusconi secondo il quale l’IMU deve essere abolita e si deve restituire quando ricavato dalla tassa nel 2012. C’è anche il video: http://www.formiche.net/2013/02/05/renzi-via-limu-fattibile-ma-berlusconi-non-credibile/

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18 Novembre 2012, periodo di primarie: l’IMU? Deve Restare, ma il paese muore di tasse.

Matteo Renzi al suo esordio nel confronto tv su Sky tra i candidati alle primarie del centrosinistra rivendica i risultati ottenuti come sindaco di Firenze in fatto di taglio delle tasse: “Chi si candida ha
l’obbligo di dire quello che ha già fatto, non solo sull’Imu ma anche sull’addizionale Irpef a Firenze le tasse le abbiamo abbassate da 0,3 a 0,2 – ha ricordato il sindaco -, perchè? Perchè penso che di tasse il paese sta morendo. C’è bisogno di combattere l’evasione ma anche di cambiare le regole del gioco,proponiamo che lo Stato mandi a casa la dichiarazione dei redditi precompilata, e così il cittadino dialoga, discute e conclude la transazione” con lo Stato (http://www.ilmondo.it/politica/2012-11-12/primarie-cs-renzi-imu-deve-restare-ma-paese-muore-tasse_137204.shtml).

Insomma, sull’onda della campagna elettorale e dietro la spinta populista di B. che in quei giorni di Febbraio lanciò la proposta choc della restituzione, il sindaco di Firenze, che pure si era schierato al fianco di Bersani, aveva scavalcato il segretario per correr dietro all’Impresentabile. Per ribadire, lo scorso 8 Febbraio, Renzi era a Napoli e dice altre parole, raccolte dall’AdnKronos:

Napoli, 8 feb. – (Adnkronos) – “La detassazione non può essere solo un tema di campagna elettorale”. Lo dichiara Matteo Renzi, sindaco di Firenze, a Napoli per una manifestazione elettorale del Pd. “Nella mia citta’ – aggiunge Renzi – ho abbassato Imu e Irpef ma vedo un Governo centrale che le ha alzate e che solo in campagna elettorale fa battaglia per abbassarle. Ben venga che qualcuno proponga di restituire una rata dell’Imu, ma vorrei che restituissimo la speranza e la fiducia agli italiani”.

[Tutto ciò non è per difendere il governo Letta, sia chiaro].

Operai Fiat e Nuovo Modello di Relazioni Industriali

Pietro Ichino, giuslavorista, senatore del PD, insiste: Marchionne ha sollevato una giusta questione. L’arrembaggio del Professore arriva sia dalle colonne del CorSera, che da quelle di Repubblica. Ma è un tentativo solitario: si percepisce – profonda – la distanza fra le sue proposte e la segreteria Bersani, volta esclusivamente alle gestione della fase di crisi di governo.

Ichino ha in mente un nuovo Modello di Relazioni Industriali che attui il superamento della “conflittualità permanente, i cui fasti si sono celebrati negli anni ’70, e che oggi in Italia è praticata ancora soltanto nel settore dei trasporti e in quello metalmeccanico” (La Repubblica, 12/08/10, pag. 9).

Sul caso Fiat, Ichino dà la sua interpretazione sulla sentenza del giudice che ha reintegrato i tre lavoratori di Melfi, accusati di aver interrotto i carrelli automatici, vale a dire di aver operato un sabotaggio nei confronti dell’Azienda:

la Fiat avrebbe potuto anche vincere la causa: il giudice ha ritenuto, in via provvisoria, il licenziamento ingiustificato solo perché ha considerato che l’istruttoria sommaria non avesse dimostrato il dolo dei lavoratori, cioè la loro volontà di ostruire il flusso dei carrelli automatici. Con questo, lo stesso giudice implicitamente avverte che, se invece nel giudizio di merito quella volontà risultasse dimostrata, il licenziamento potrebbe essere convalidato (Repubblica, cit.).

Il suo parere contrasta con quello di Epifani, segretario generale CGIL, secondo il quale la sentenza riporta “verità e giustizia” sul un provvedimento che i lavoratori avevano subito.

Sapevamo che non c’era stato boicottaggio che è un accusa pesante se rivolta a dei lavoratori di un’azienda del Mezzogiorno che lottano per mantenere la produzione e il posto di lavoro. Abbiamo ancora altri due casi di licenziamenti in piedi. Ma spero che intanto l’azienda rispetti la sentenza del Tribunale di Melfi e si torni a discutere in un ambito di correttezza (Corsera, 12/08/2010, p. 29).

Epifani si dice anche disponibile a riaprire il dialogo con Fiat, ma solo su assenteismo e sui 18 turni. E’ evidente che i due punti di vista sopra esposti non collimano. Può Epifani abbracciare il più ampio discorso di riforma delle relazioni Industriali come ipotizzato da Ichino?

Il lavoro del sen. Ichino in Parlamento è fermo in Commissione da un anno. Il motivo è molto semplice: il governo non è interessato a riforme, vuole fare a pezzi ciò che resta del sindacato e lascia pertanto carta bianca a Fiat. Il testo unificato, opera della Commissione Lavoro, doveva esser approvato lo scorso anno. Si componeva di quattro diversi disegni di legge di iniziativa parlamentare sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese. Ichino si augura che l’iter parlamentare possa riprendere, ma visti i tempi, si può ben credere che il progetto si diriga verso il binario morto e alla decadenza per fine legislatura.

Il testo unificato bipartisan indica nove diverse forme possibili di partecipazione dei lavoratori nelle imprese, da quella più elementare consistente nell’esercizio di diritti di informazione, alla presenza dei lavoratori nel Consiglio di sorveglianza, alla partecipazione agli utili, fino alla partecipazione azionaria, disponendo alcune agevolazioni fiscali per queste ultime ipotesi, in linea con le migliori esperienze straniere (Ichino, Corsera, cit.).

L’idea di base, ispirata al più moderno giuslavorismo, è quello di integrare il lavoratore all’impresa secondo diversi gradi, che sono: l’informazione, la sorveglianza, la codecisione, per finire con il più alto grado di connessione, realizzato con la partecipazione agli utili. Il modello ha trovato ampia applicazione in Germania e Nord Europa. Si vorrebbe realizzare, così, quell’ideale utopico che è la democrazia sindacale/aziendale.

Il progetto di legge non prevedeva alcun obbligo per aziende e sindacati di adottare una o più di queste forme di partecipazione:

il principio cardine è quello della volontarietà, che si concreta nella necessità di un «contratto aziendale istitutivo», stipulato secondo regole di democrazia sindacale. L’obiettivo non è di promuovere questo o quel modello di partecipazione, ma di promuovere la fioritura di una grande pluralità di esperienze in questo campo, lasciando che modelli diversi si confrontino e competano tra loro (ibidem).

E’ chiaro che il modello decentra la responsabilità della contrattazione e le affida ai lavoratori nelle fabbriche, ovvero ai loro organi di rappresentanza. Apre cioè al contratto aziendale, depotenziando il contratto nazionale. Un aspetto che CGIL non accetterà e che Ichino aveva ben previsto, agevolando perciò l’introduzione nel testo di una norma che acconsentirebbe sì a deroghe rispetto al CCNL (come nel caso di Pomigliano), ma attribuendo la facoltà di contrattazione all’organo sindacale più rappresentativo dei lavoratori, che nella maggior parte delle aziende è ancora CGIL (quando invece, con il modello attuale, a Pomigliano CGIL è stata messa in minoranza).

L’efficacia dell’accordo stipulato in quello stabilimento (Pomigliano) da Cisl e Uil senza la Cgil, in mancanza di quel principio di democrazia sindacale, è gravemente in forse per via della deroga al contratto nazionale; per questo la Fiat sta progettando di trasferire lo stabilimento a una nuova società (la «newco») non iscritta a Confindustria, quindi sottratta al campo di applicazione del contratto nazionale dei metalmeccanici, in modo che l’accordo aziendale in deroga possa applicarsi nello stabilimento senza problemi. La Cgil, così, resterebbe esclusa dal sistema di relazioni industriali della nuova impresa (ibidem).

La vicenda appare alquanto controversa. Riforme che conducano verso una effettiva applicazione del principio democratico all’interno delle aziende, per il tramite di organi e responsabilità che concretizzino la partecipazione dei lavoratori al destino aziendale, corrisponderebbero a una idealità fin qui insperata; d’altro canto, se l’alternativa sono le NewCo, pare che non ci sia scampo e che non si possa far altro che procedere verso tale riforma. Il governo ha ceduto il campo a Fiat, la quale è decisa a rompere con Confindustria e a procedere verso la più completa deregulation. E’ questo che necessitiamo? Quale proposta ha CGIL?

Il sindacato è chiamato a un’opera non facile: immaginare il futuro delle relazioni industriali. E a farlo liberandosi il più possibile della logica antagonista. Epifani, nell’intervista al Corsera, devia sulle consuete considerazioni: “il confronto si dovrebbe svolgere su riorganizzazione produttiva, diritti dei lavoratori e piano industriale con gli investimenti per l’innovazione e la nuova offerta di prodotti su cui si gioca la sfida competitiva”. Ma non è solo questione di prodotti; è anche questione di come produrli, di farlo cioè in una forma economicamente competitiva con il resto del mondo. Dove spesso le regole e i diritti non esistono.