
Pietro Ichino, giuslavorista, senatore del PD, insiste: Marchionne ha sollevato una giusta questione. L’arrembaggio del Professore arriva sia dalle colonne del CorSera, che da quelle di Repubblica. Ma è un tentativo solitario: si percepisce – profonda – la distanza fra le sue proposte e la segreteria Bersani, volta esclusivamente alle gestione della fase di crisi di governo.
Ichino ha in mente un nuovo Modello di Relazioni Industriali che attui il superamento della “conflittualità permanente, i cui fasti si sono celebrati negli anni ’70, e che oggi in Italia è praticata ancora soltanto nel settore dei trasporti e in quello metalmeccanico” (La Repubblica, 12/08/10, pag. 9).
Sul caso Fiat, Ichino dà la sua interpretazione sulla sentenza del giudice che ha reintegrato i tre lavoratori di Melfi, accusati di aver interrotto i carrelli automatici, vale a dire di aver operato un sabotaggio nei confronti dell’Azienda:
la Fiat avrebbe potuto anche vincere la causa: il giudice ha ritenuto, in via provvisoria, il licenziamento ingiustificato solo perché ha considerato che l’istruttoria sommaria non avesse dimostrato il dolo dei lavoratori, cioè la loro volontà di ostruire il flusso dei carrelli automatici. Con questo, lo stesso giudice implicitamente avverte che, se invece nel giudizio di merito quella volontà risultasse dimostrata, il licenziamento potrebbe essere convalidato (Repubblica, cit.).
Il suo parere contrasta con quello di Epifani, segretario generale CGIL, secondo il quale la sentenza riporta “verità e giustizia” sul un provvedimento che i lavoratori avevano subito.
Sapevamo che non c’era stato boicottaggio che è un accusa pesante se rivolta a dei lavoratori di un’azienda del Mezzogiorno che lottano per mantenere la produzione e il posto di lavoro. Abbiamo ancora altri due casi di licenziamenti in piedi. Ma spero che intanto l’azienda rispetti la sentenza del Tribunale di Melfi e si torni a discutere in un ambito di correttezza (Corsera, 12/08/2010, p. 29).
Epifani si dice anche disponibile a riaprire il dialogo con Fiat, ma solo su assenteismo e sui 18 turni. E’ evidente che i due punti di vista sopra esposti non collimano. Può Epifani abbracciare il più ampio discorso di riforma delle relazioni Industriali come ipotizzato da Ichino?
Il lavoro del sen. Ichino in Parlamento è fermo in Commissione da un anno. Il motivo è molto semplice: il governo non è interessato a riforme, vuole fare a pezzi ciò che resta del sindacato e lascia pertanto carta bianca a Fiat. Il testo unificato, opera della Commissione Lavoro, doveva esser approvato lo scorso anno. Si componeva di quattro diversi disegni di legge di iniziativa parlamentare sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese. Ichino si augura che l’iter parlamentare possa riprendere, ma visti i tempi, si può ben credere che il progetto si diriga verso il binario morto e alla decadenza per fine legislatura.
Il testo unificato bipartisan indica nove diverse forme possibili di partecipazione dei lavoratori nelle imprese, da quella più elementare consistente nell’esercizio di diritti di informazione, alla presenza dei lavoratori nel Consiglio di sorveglianza, alla partecipazione agli utili, fino alla partecipazione azionaria, disponendo alcune agevolazioni fiscali per queste ultime ipotesi, in linea con le migliori esperienze straniere (Ichino, Corsera, cit.).
L’idea di base, ispirata al più moderno giuslavorismo, è quello di integrare il lavoratore all’impresa secondo diversi gradi, che sono: l’informazione, la sorveglianza, la codecisione, per finire con il più alto grado di connessione, realizzato con la partecipazione agli utili. Il modello ha trovato ampia applicazione in Germania e Nord Europa. Si vorrebbe realizzare, così, quell’ideale utopico che è la democrazia sindacale/aziendale.
Il progetto di legge non prevedeva alcun obbligo per aziende e sindacati di adottare una o più di queste forme di partecipazione:
il principio cardine è quello della volontarietà, che si concreta nella necessità di un «contratto aziendale istitutivo», stipulato secondo regole di democrazia sindacale. L’obiettivo non è di promuovere questo o quel modello di partecipazione, ma di promuovere la fioritura di una grande pluralità di esperienze in questo campo, lasciando che modelli diversi si confrontino e competano tra loro (ibidem).
E’ chiaro che il modello decentra la responsabilità della contrattazione e le affida ai lavoratori nelle fabbriche, ovvero ai loro organi di rappresentanza. Apre cioè al contratto aziendale, depotenziando il contratto nazionale. Un aspetto che CGIL non accetterà e che Ichino aveva ben previsto, agevolando perciò l’introduzione nel testo di una norma che acconsentirebbe sì a deroghe rispetto al CCNL (come nel caso di Pomigliano), ma attribuendo la facoltà di contrattazione all’organo sindacale più rappresentativo dei lavoratori, che nella maggior parte delle aziende è ancora CGIL (quando invece, con il modello attuale, a Pomigliano CGIL è stata messa in minoranza).
L’efficacia dell’accordo stipulato in quello stabilimento (Pomigliano) da Cisl e Uil senza la Cgil, in mancanza di quel principio di democrazia sindacale, è gravemente in forse per via della deroga al contratto nazionale; per questo la Fiat sta progettando di trasferire lo stabilimento a una nuova società (la «newco») non iscritta a Confindustria, quindi sottratta al campo di applicazione del contratto nazionale dei metalmeccanici, in modo che l’accordo aziendale in deroga possa applicarsi nello stabilimento senza problemi. La Cgil, così, resterebbe esclusa dal sistema di relazioni industriali della nuova impresa (ibidem).
La vicenda appare alquanto controversa. Riforme che conducano verso una effettiva applicazione del principio democratico all’interno delle aziende, per il tramite di organi e responsabilità che concretizzino la partecipazione dei lavoratori al destino aziendale, corrisponderebbero a una idealità fin qui insperata; d’altro canto, se l’alternativa sono le NewCo, pare che non ci sia scampo e che non si possa far altro che procedere verso tale riforma. Il governo ha ceduto il campo a Fiat, la quale è decisa a rompere con Confindustria e a procedere verso la più completa deregulation. E’ questo che necessitiamo? Quale proposta ha CGIL?
Il sindacato è chiamato a un’opera non facile: immaginare il futuro delle relazioni industriali. E a farlo liberandosi il più possibile della logica antagonista. Epifani, nell’intervista al Corsera, devia sulle consuete considerazioni: “il confronto si dovrebbe svolgere su riorganizzazione produttiva, diritti dei lavoratori e piano industriale con gli investimenti per l’innovazione e la nuova offerta di prodotti su cui si gioca la sfida competitiva”. Ma non è solo questione di prodotti; è anche questione di come produrli, di farlo cioè in una forma economicamente competitiva con il resto del mondo. Dove spesso le regole e i diritti non esistono.
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