La situazione in Mali si è ulteriormente modificata in una modalità poco prevedibile e che ha visto il gruppo islamico jihadista di Ansar Dine, capeggiato da Iyad Ag Ghali, accettare la mediazione del Burkina Faso ed aprire ad una trattativa sul destino del nord del paese che da Aprile è separato dalla capitale Bamako in seguito alla insurrezione Tuareg del MNLA.
L’ECOWAS, sorta di comunità economica africana, ha raggruppato circa 3000 uomini ai confini, in attesa di un mandato Onu, ma il Consiglio di Sicurezza è poco interessato alla vicenda e soprattutto non intende avallare il piano francese di un attacco contro i rivoltosi, un “intervento abbastanza ravvicinato” per usare i termini impiegati da François Hollande durante la visita del primo ministro maliano, Diarra, avvenuta negli scorsi giorni. L’obiettivo di Parigi è chiaro: attaccare il nord per liberarlo dai gruppi islamici e dai tuareg per “popolarlo” con le sue multinazionali (Total in primis). La Francia è stata in conflitto di interessi sin dal principio poiché si sospetta che dietro il gruppo MNLA ci sia la mano dell’emiro del Qatar, a sua volta grande amico dell’ex presidente francese Sarkozy. Sarkozy avrebbe lasciato fare all’emiro con l’obiettivo di aprire parte del Sahel al mercato francese e farne un territorio di salvaguardia delle terre rare, diventate motivo di contesa con la Cina, a sua volta molto presente nell’area dell’Est Sahara con acquisizione di concessioni di sfruttamento delle terre presso i governi locali (si legga per approfondimento Arturo Gallia IL RUOLO DELLA CINA IN AFRICA TRA INTERESSI ECONOMICO-POLITICI, SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE NATURALI E CONFLITTI SOCIALI, Intervento presentato alla Conferenza di Studi Africanistici, 30 settembre – 2 ottobre 2010).
La politica cinese è “in netto contrasto con l’approccio allo sviluppo perseguito dai governi occidentali” (Gallia, cit.) in quanto è una politica senza condizioni, mentre quella occidentale è una politica di insediamento economico che presuppone l’accettazione delle priorità degli Occidentali: se ciò non avviene, essi procedono con i propri mezzi militari alla demolizione dello status quo per l’edificazione di strutture istituzionali presunte “democratiche” ma opportunamente addomesticate sul piano delle relazioni internazionali. Ciò ha indotto gli osservatori a parlare di un Beijing consensus in contrasto proprio con il Washington consensus, fondato sulle priorità imposte da Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e investitori occidentali. Il Beijing consensus tende a promuovere l’integrità sovrana degli stati africani laddove il Washington consensus tende a sostituirla.
Quanto sta accadendo in Mali può essere inteso o come un tentativo francese di mettere un freno a questa espansione “incondizionata” cinese (il gruppo MNLA appare così disorganizzato militarmente e poco potente politicamente da far pensare che sia solo una scatola vuota, una sigla costruita altrove) o come un effetto diretto di questa espansione. L’idea di fondo è che la Francia, per mezzo del Qatar, abbia alimentato la rivolta per poi giustificare un suo intervento militare; che Ansar Dine si sia trovata solo per caso nel mezzo degli scontri e che la conquista di Gao da parte degli jihadisti sia stata solo un caso, giustificato dalla estrema debolezza delle forze armate maliane. E che ora, messi in mezzo i gruppi qaedisti di AQMI e Mujao, la situazione sia sfuggita completamente di mano, producendo le condizioni per la creazione di un Afghanistan a due passi dall’Europa.