Alfano che siede alla destra dell’ndrangheta

Angelino Alfano è segretario di quel partito che si è visto azzerare una giunta comunale per collusione con l’ndrangheta. Ma è anche segretario di quel partito che governa al Palazzo della Lombardia per mezzo del governatore seriale, alias Roberto Formigoni, che annovera fra i propri assessori un tale di nome Zambetti, eletto con i voti ‘ndranghetisti. Oggi, il segretario ha avuto il coraggio di commentare la scelta del governo di sciogliere il Consiglio Comunale di Reggio Calabria. E a sorpresa ha espresso la propria solidarietà agli amministratori del capoluogo reggino. Vale a dire si è detto solidale con alcuni signori ritenuti, da una attenta e scrupolosa indagine del Viminale, collusi con l’ndrangheta. Ignorati dieci anni di progressi, ha tuonato.

Lo scioglimento di Reggio è direttamente correlato con quanto si sta scoprendo a Milano. E la linea rossa che connette i due capoluoghi di regione, attraversa come una ferita il partito dell’ex presidente del Consiglio Berlusconi. La relazione del Viminale accenna a un collegamento fra la società ‘mista’ Multiservizi del Comune di Reggio Calabria e un ufficio di Milano, sito in via Durini  14. La Multiservizi fu sciolta a Luglio poiché la Prefettura le revocò il certificato antimafia e il Comune, guidato dal pidiellino Demetrio Arena, ha dovuto giocoforza prendere tale decisione. L’impresa era infiltrata dalla cosca guidata dal boss ex latitante Giovanni Tegano. Gli Interni hanno evidenziato come la direzione di questa società, posseduta per il 51% dal Comune, fossero collegate all’ufficio di via Durini. Che è anche sede delle attività di tale Bruno Mafrici, avvocato, già noto alle cronache per esser stato il consulente finanziario del tesoriere della Lega Nord, Francesco Belsito.

Trentasette anni e un bigliettino da visita sul quale c’è scritto avvocato, anche se Mafrici, calabrese di Condofuri, non si è mai abilitato alla professione. Il suo quartier generale è nella centralissima via Durini a Milano. Qui si incontravano tutti. Leghisti, affaristi, uomini fortemente in “odore” di ‘ndrangheta come Romolo Girardelli, l’ammiraglio, vecchi arnesi dell’estremismo di destra riciclati e diventati pezzi grossi della Milano da bere. […] Entra nelle grazie di Francesco Belsito, il tesoriere della Lega, che lo fa nominare consulente del ministero per la Semplificazione di Roberto Calderoli, ma cura anche i rapporti con esponenti del Pdl (Malitalia.it).

Il nome di Mafrici entra più volte nella relazione del Viminale, spesso in relazione con tale Pasquale Guaglianone. Guaglianone è un commercialista ed è titolare dello studio Mgimi. E’ sempre stato legato ad ambienti di estrema destra (“nel 1992 è stato condannato per associazione sovversiva e banda armata per il suo ruolo nei Nar”, Il Fatto Quotidiano, 13 Aprile 2012). Dopo la condanna, si è reinserito in società aprendo bar e palestre, ma è indicato come un uomo molto vicino all’ex ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Si è anche candidato con Alleanza Nazionale per le elezioni comunali di Milano del 2005.

Ritrovare il nome di Mafrici nell’inchieste su Belsito e ora nella relazione del Viminale fa un po’ specie. E solleva un sospetto: che il gruppo di potere che è passato sotto il nome di centro-destra sia stato in realtà un canale relazionale che ha permesso alla criminalità organizzata calabrese (ma non solo) di insediarsi stabilmente nelle regioni del Nord. E’ solo un sospetto che però le parole di Umberto Bossi di oggi tendono a tramutare in indizio. La sua difesa della poltrona di Formigoni, ora che è emerso il sistema di compravendita di voti all’ndrangheta, fa a pugni con lo spirito giustizialista che ha (o avrebbe) sempre animato la Lega Nord.

Unità d’Italia, La Russa e Alemmanno fischiati da Piazza Venezia

Davanti al Vittoriano. In piazza Venezia. Per degli ex fascisti è una nemesi impietosa. Proprio la sera delle celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità d’Italia. La Russa e Alemanno coperti di fischi e buuu. La faccia terrea della Arcuri, presentatrice della manifestazione televisiva:

 

Miotto ucciso da insorti afghani, non fu un cecchino: perché mentire?

Ministro della Difesa La Russa, oggi, 05/01/2011, ai giornalisti italiani: [Matteo Miotto] “E’ stato ucciso da un gruppo di insorti durante un vero e proprio scontro a fuoco e non da un cecchino isolato” spiega il ministro parlando con i giornalisti. L’uccisione di Miotto, aggiunge La Russa, è opera “di un gruppo di terroristi, di ‘insurgent’, non so quanti, che avevano attaccato l’avamposto” (Repubblica.it).

L’operazione Glasnost di La Russa, pur degna di nota, manca di spiegare perché, nei minuti e nei giorni immediatamente successivi alla morte dell’Alpino, sia stata divulgata una versione radicalmente diversa da quanto detto oggi. Forse si sta nascondendo qualcosa? I militari italiani vengono descritti come nell’atto di difendersi da un attacco. Dislocati “in villaggi come Bala Murghab o nel Gulistan”, ogni giorno devono difendersi dagli attacchi. Spiega La Russa che ora siamo lì, prima “ci passavamo e basta”, “ora siamo negli avamposti con turni che durano anche 14 giorni di fila”. Capito? Avamposti. Non retrovie. I nostri militari non svolgono attività di addestramento, ma difendono avamposti del fronte americano. Non soccorrono bambini. Non si tratta di alcuna operazione umanitaria. E pertanto, qualcuno, almeno inizialmente ha rilasciato una prima ricostruzione dei fatti nella quale si fa specifica menzione di un cecchino isolato che colpisce Miotto. La figura del cecchino ritorna anche nella versione del Ministro,che però è di fatto incompatibile con la presenza di cecchini. Un cecchino è un tiratore scelto nascosto in una buona posizione dalla quale può far mira con facilità senza essere tuttavia immediatamente rintracciato. Posizioni tipiche sono palazzi abbandonati (l’esempio tipico è quello di Sarajevo, laddove i tiratori sui tetti miravano ai passanti per la strada). Nel caso di Miotto non è così:

Il caporal maggiore, in base a una prima ricostruzione, faceva parte di una “forza di reazione rapida” ed era salito sulla torretta di guardia, dove poi è stato colpito, a dare man forte. Erano in due sulla torretta e sparavano a turno: uno sparava e l’altro si abbassava. Proprio mentre Matteo si stava abbassando è stato colpito da un cecchino che ha puntato un fucile di precisione, ex sovietico, degli anni ’50, un Dragunov, reperibile anche al mercato nero di Farah” (Republica.it, cit.).

Miotto è sulla torretta. Se l’attacco, come si presume, è avvenuto frontalmente alla base degli italiani – tanto che i nostri militari si difendono tirando dalla torretta, quindi dall’alto verso il basso – la presenza di un cecchino piazzato pare alquanto improbabile, tanto più che Miotto è stato colpito alla base del collo, mentre si abbassava all’interno della torretta. Insomma, la dinamica come descritta, non convince. E’ presumibile che gli italiani siano stati colpiti da un attacco ben più massivo, durato – secondo il medesimo La Russa – alcune decine di minuti. Il Ministro della Difesa si è poi affrettato a precisare che “la versione sulla morte di Matteo Miotto non e’ cambiata ma solo integrata”. Certamente, quanto rivelato oggi dal Ministro dovrebbe porci dinanzi alla domanda del perché sia stata divulgata la versione del cecchino solitario. Che cosa è stato nascosto per sei lunghissimi giorni?

Afghanistan, Fassino apre sulle bombe. Ma a nome di chi parla? Bersani lo smentisce

Il caso scoppia (è proprio il caso di dirlo) durante il programma di Lucia Annunziata, In 1/2 h. Presenti il ministro della Difesa, La Russa e Piero Fassino (PD). La Russa pare colto da dubbi etici, è giusto o non è giusto negare ai militari italiani in Afghanistan l’uso dei bombardieri? Così il ministro:

In Afghanistan tutti i contingenti internazionali presenti hanno i bombardieri con l’armamento previsto, cioè le bombe. L’Italia no, per mia decisione. Ora, di fronte a quello che sta accadendo, non me la sento più di prendere questa decisione da solo e chiedo alle Camere di decidere (fonte L’Unità).

Il dibattito, anziché orientarsi sulla discussione circa il chiaro malcontento dei militari italiani – “cosa ci stiamo a fare qui”, ha scritto il militare ferito – è incentrato sul solito rimpallo maggioranza-opposizione. Ma Fassino cade nel medesimo errore di sempre, errore che dovrebbe consigliargli una diversa occupazione, piuttosto che questa dannosa perseveranza. Il responsabile Esteri del PD sembra appoggiare La Russa:

È giusto che il Parlamento valuti se l’attuale livello di sicurezza dei nostri soldati in Afghanistan è adeguato o meno (L’Unità, cit.).

Immediata la semplificazione: il PD apre sulle bombe.

Repubblica – Bombe sugli aerei: il PD discutiamone

L’Unità – Fassino: è giusto che il Parlamento valuti la cosa

Corriere della Sera – Disponibilità del Pd: «Pronti a confrontarci, ma vanno esclusi provvedimenti propagandistici»

La Stampa -Fassino: “Sì a dibattito serio in Parlamento”

Possibile che Fassino non abbia pensato prima di parlare? La Guerra in Afghanistan è così incomprensibile per l’opinione pubblica. Si avverte solo che in Afghanistan si muore perché là c’è la guerra. E noi che ci stiamo a fare, che la guerra dovremmo ripudiarla? In Afghanistan non si può parlare più di missione di pace. Basta con questa ipocrisia. Per La Russa non si può nemmeno parlare di ritiro anticipato, poiché si tratterebbe di sciacallaggio politico. Fassino si guarda bene dall’assumere su di sé l’onta dello sciacallaggio, così offre la guancia a La Russa. Ma è davvero così irresponsabile chiedere al governo di rivedere la nostra posizione in Afghanistan? Lo ha detto, con parole non tanto dissimili, ieri Bersani:

Afghanistan/ Bersani:Situazione difficile,riflettere su strategia

Fassino forse durante la diretta si è accorto di aver commesso una grave leggerezza. E cerca invano di correggersi, addirittura ammettendo la sua insipienza in fatto di “cose” belliche:

non essendo in grado di fare una valutazione tecnica non essendo un militare o un esperto di cose militari, mi propongo assieme al mio gruppo parlamentare di fare tutte le valutazioni di merito. Sulla base di queste valutazioni assumeremo in Parlamento al decisione che riterremo più giusta (L’Unità, cit.).

E allora ci è voluto Bersani, intervistato da Fazio per Che Tempo Che Fa, a correggere la mira sbilenca di Fassino. Il rilancio di agenzia è di soli tre minuti fa:

AFGHANISTAN: BERSANI, INVECE CHE BOMBE CHIARIAMO NOSTRO RUOLO

Vorrei che l’Italia invece di decidere su una bomba cercasse di capire meglio la questione e cercasse di decidere l’anno prossimo cosa succede […] I punti fondamentali secondo Bersani sono quattro:

  1. “Quanta credibilita’ ha il ritiro annunciato a meta’ del 2011”
  2. “Cosa succede in Pakistan anche in vista della stabilizzazione dell’Afghanistan”
  3. “Come si coinvolgono i Paesi che in questo momento se ne lavano le mani come la Russia e la Cina”
  4. “Quali sarebbe i compiti degli italiani in una nuova fase di transizione” (AgiNews).

Pur ribadendo che “non si può fuggire dall’Afghanistan”, la posizione espressa dal segretario pare più ragionevole e articolata, più prudente e scettica nei confronti del governo di quella manifestata in maniera scellerata da Fassino, oggi pomeriggio. Il distinguo con le posizioni di Vendola (ritiro subito) rimane, ma con una migliore esposizione comunicativa che invece è mancata a Fassino. Possibile che il PD non riesca a parlare con una sola voce?

La conferenza stampa di Berlusconi. L’insofferenza verso le domande e la verità.

Per Berlusconi, i dirigenti del partito non hanno sbagliato. Il pasticcio delle liste è colpa dei Radicali e dei giudici. Della sinistra complottista. La conferenza stampa di stamane ci ha mostrato un (finto) premier in crisi, nervoso (“chiudete la porta”, sbraita ad un certo punto per la corrente d’aria che lo investe). Ha la voce arrochita e tesa. Il giornalista free lance Rocco Carlomagno viene brutalmente accompagnato fuori dalla sala stampa, con l’aiuto energico del Ministro della Difesa (ad personam), Ignazio La Russa:

Questo il video dell’intervento di La Russa, finito in prima pagina sul Novelle Observateur con il titolo “Il Ministro della Difesa Italiano mette a tacere un giornalista”. Il video è già cliccatissimo su Youtube. “Adesso vieni con me”, gli intima La Russa, mentre Carlomagno  gli dà del picchiatore fascista:

Il sondaggio pubblicato da La Repubblica di oggi mostra che il gradimento del Governo è sceso al 38%, mentre quello del Berlusconi al 44%, con uno scarto negativo rispetto allo scorso mese del 2%. Un ulteriore sondaggio elettorale parla di aumento degli astensionisti: la crisi delle liste rischia di diventare per il PdL un danno ingentissimo.

Questi i video tratti da Sky e ripresi da La Repubblica.it.

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Lista Formigoni, respinto il ricorso. Elezioni Lombardia a rischio posticipo.

Come era previsto, l’Ufficio Centrale della Corte d’Appello di Milano, tornato a pronunciarsi sulla ammissione o meno della lista di Formigoni, ha ribadito il proprio giudizio sulle irregolarità nelle firme raccolte. Formigoni è ancora una volta “fuori” dai giochi. Ora cosa accadrà? Proviamo a immaginarlo:

  1. Con una buona dose di probabilità, i pidiellini lumbard ricorreranno al Tar:
    Il vice coordinatore regionale del Pdl, Massimo Corsaro, annuncia l’intenzione di ricorrere al Tar, dopo il rigetto del ricorso presentato dalla lista di Roberto Formigoni per chiedere la riammissione alle elezioni regionali. “Questa decisione -spiega Corsaro- è stata presa dalle stesse persone che avevano deciso due giorni fa e quindi, in qualche modo, poteva essere attesa. Adesso ricorreremo al Tar e siamo molto sereni sulla decisione finale”. “Adesso ne parleremo con il presidente Formigoni, ma l’unico rimedio contro questa decisione è il ricorso al Tar. Sappiamo che abbiamo ragione” dichiara Giancarlo Giorgetti, segretario della Lega Lombarda (Lista Formigoni, respinto il ricorso | Milano la Repubblica.it). Lo faranno comunque anche se sanno di aver truccato le firme. Insieme al ricorso al Tar, probabilmente verrà chiesta la sospensiva dell’iter delle elezioni regionali al Prefetto, in attesa della pronuncia del Tribunale Amministrativo, che potrebbe arrivare troppo a ridosso del voto.
  2. Secondo scenario, di scarsissima probabilità: rinuncia all’ulteriore ricorso al Tar. Formigoni è escluso dalle elezioni. Il voto avviene regolarmente il 28-29 Marzo. Formigoni non potrà essere rieletto presidente della Lombardia.
  3. Terzo scenario: il PdL ricorre al Tar il cui verdetto giunge in tempi strettissimi. Se la lista di Formigoni verrà ritenuta regolare, probabilmente, sull’emozione suscitata dalla riammissione, la stessa otterrà un plebiscito bulgaro al voto del 28-29 Marzo. Ma, poco dopo, il Tar si pronuncerà sul ricorso UDC-Radicali contro il terzo mandato del Governatore Seriale con il rischio delle immediate dimissioni del Governatore e lo scioglimento del Consiglio Regionale, ai sensi dell’art. 126 della costituzione.
  4. Quarto scenario: il Tar giudica in tempo per il voto nel senso della riammissione. Formigoni è eletto, ma l’ulteriore ricorso dei Radicali al consiglio di Stato, dà ragione a questi ultimi con la conseguenza delle dimissioni del Presidente e lo scioglimento del Consiglio Regionale. Il governo affida allo stesso ex presidente Formigoni la gestione amministrativa straordinaria nell’interesse dei cittadini.
  5. Quinto scenario, fantapolitico: Maroni viene portato in una stanza di Palazzo Chigi, convinto con la forza a metter mano a un decretino d’urgenza con il quale si salva “capra e cavoli”, Formigoni in Lombardia (e con esso i voti della Lega, che rischiano di rimanere senza candidato), nonché la Polverini nel Lazio, vittima della medesima sorte:
Ignazio La Russa minaccia: “Non vorrei fare la parte dell’eversivo ma lo dico chiaro e tondo: noi attendiamo fiduciosi i verdetti sulle nostre liste, ma non accetteremo mai una sentenza che impedisca a centinaia di migliaia di nostri elettori di votarci alle regionali. Se ci impediscono di correre siamo pronti a tutto’ (‘Respinto ricorso di Formigoni Polverini, attesa per lista Pdl La Russa minaccia Bonino: “No a solidarietà” – Italia – l’Unità.it).
Tutto ciò lo affermo, visti e considerati i precedenti storici:
    • Nel 2000 le regionali in Molise furono annullate dal Tar, e si tornò a votare l’anno dopo. Nel 2005 quelle della Basilicata furono rinviate, a tre giorni dal voto, perché una sentenza amministrativa aveva riammesso una lista prima esclusa. E sempre nel 2005, e anche in quella occasione nel Lazio, l’esclusione della lista di Alessandra Mussolini fu al centro di un querelle giuridica che arrivò al consiglio di Stato, che infine la riammise.
    • Il primo marzo 2000 i giudici del Tar di Campobasso, ritennero fondata la denuncia di irregolarità nelle elezioni che si erano svolte in aprile. A vincere era stato Giovanni Di Stasi (Ds). In particolare, era stata ammessa al voto una lista dei verdi e dei Comunisti Italiani che non avevano l’autentica delle firme di presentazione. Il consiglio di Stato, nel giugno del 2001 confermò la sentenza, precisando che “la partecipazione delle liste che avrebbero dovute essere escluse ha inciso sull’esito elettorale”.
    • Il consiglio regionale venne quindi sciolto ed il governo affidò allo stesso ex presidente Di Stasi “la gestione amministrativa straordinaria nell’interesse dei cittadini”.
    • A Potenza, invece, la riammissione della lista di Unità Popolare, esclusa in un primo momento per mancanza di un modulo nella presentazione, costrinse il prefetto a firmare, a tre giorni dal voto, un decreto con il quale le elezioni regionali in Basilicata furono rinviate di 15 giorni, dal 5 e 6 aprile al 17 e 18. Questo perché la decisione del Consiglio di Stato di riammettere la lista era giunta a ridosso del voto, e non aveva permesso ai candidati di svolgere la campagna elettorale.

    • A Potenza, invece, la riammissione della lista di Unità Popolare, esclusa in un primo momento per mancanza di un modulo nella presentazione, costrinse il prefetto a firmare, a tre giorni dal voto, un decreto con il quale le elezioni regionali in Basilicata furono rinviate di 15 giorni, dal 5 e 6 aprile al 17 e 18
    • sempre alle regionali del 2005, le elezioni nel Lazio furono segnate dal cosiddetto “Laziogate”, quando si scoprì che alcune firme a sostegno della lista “Alternativa Sociale” di Alessandra Mussolini erano state falsificate
    • La lista fu quindi esclusa dalla competizione per mancanza del numero necessario di firme. Il ricorso al Tar del Lazio della Mussolini fu rigettato, ma il Consiglio di Stato riammise la lista, non entrando nel merito della questione, ma stabilendo che fino a prova contraria le firme erano state in un primo momento accettate dall’ufficio elettorale e quindi valide.

Difesa Servizi SpA, metti la Centrale Energetica in Caserma.

Avrete letto l’articolo di L’Espresso, Tutta la gestione della Difesa passa in mano a una società per azioni, a frma di Gianluca Di Feo: ebbene, la società Difesa Servizi SpA avrà delle prerogative uniche al mondo. Un vero e proprio cavallo sciolto che potrà operare sia in fatto di servizi amministrativi legati alla finalità del ministero che la istituisce, ovvero la Difesa, il dicastero presieduto da La Russa, vero deus ex machina della istituenda società, sia in fatto di concessioni in locazione dei siti militari con finalità di installazione di impianti di produzione energetica, che al comma 23 octies vengono limitate a quegli impianti che impiegano solo fonti rinnovabili, senza però alcuna specificazione riguardo al “rinnovabili”. Ma non solo: l’agenzia potrà “commercializzare” gli stemmi e le divise delle forze dell’ordine, compresi i Carabinieri, “mediante concessioni o contratti, nel rispetto delle finalità istituzionali e dell’immagine delle Forze armate”. Sarà un soggetto di diritto pubblico che opera in “piena autonomia contabile”, ovvero non dovrà rispondere ad alcuno dell’utilizzo delle risorse a disposizione, “avvalendosi anche degli strumenti di diritto privato”, e il suo assetto organizzativo sarà determinato dal ministero della Difesa tramite decreto.

  • La privatizzazione di un intero ministero passa inosservata mentre introduce un principio senza precedenti. Che pochi parlamentari dell’opposizione leggono chiaramente come la prova generale di un disegno molto più ampio: lo smantellamento dello Stato. “Ora si comincia dalla Difesa, poi si potranno applicare le stesse regole alla Sanità, all’Istruzione, alla Giustizia: non saranno più amministrazione pubblica, ma società d’affari”, chiosa il senatore pd Gianpiero Scanu.
    • PDL 2936 c.23. Ai fini dello svolgimento dell’attività negoziale diretta all’acquisizione di beni mobili, servizi e connesse prestazioni strettamente correlate allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’Amministrazione della difesa e non direttamente correlate all’attività operativa delle Forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, da individuare con decreto del Ministro della difesa di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nonché ai fini dell’articolo 7 della legge 24 dicembre 1985, n. 808, nonché delle attività di valorizzazione e di gestione, fatta eccezione per quelle di alienazione, degli immobili militari, da realizzare anche attraverso accordi con altri soggetti e la stipula di contratti di sponsorizzazione, è costituita la società per azioni denominata «Difesa Servizi Spa», con sede in Roma
    • In sede di commissione parlamentare Difesa, il comma 23 è stato sostituito con il seguente:
      23. È istituita, conformemente a quanto previsto dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, l’ «Agenzia risorse difesa», con personalità giuridica di diritto pubblico e una dotazione finanziaria pari a 1 milione di euro. L’Agenzia opera in piena autonomia contabile e amministrativa, avvalendosi anche degli strumenti di diritto privato, sulla base degli indirizzi definiti dal Ministro della difesa
  • Questa holding potrà spendere ogni anno tra i 3 e i 5 miliardi di euro senza rispondere al Parlamento o ad organismi neutrali. In più si metterà nel portafogli un patrimonio di immobili ‘da valorizzare’ pari a 4 miliardi. Sono cifre imponenti, un fatturato da multinazionale che passa di colpo dalle regole della pubblica amministrazione a quelle del mondo privato.
  • avrà altre prerogative abbastanza singolari. Ed elettrizzanti. Potrà costruire centrali energetiche d’ogni tipo sfuggendo alle autorizzazioni degli enti locali: dal nucleare ai termovalorizzatori, nelle basi e nelle caserme privatizzate sarà possibile piazzare di tutto. Bruciare spazzatura o installare reattori atomici? Signorsì! Segreto militare e interesse economico si sposeranno, cancellando ogni parere delle comunità e ogni ruolo degli enti locali.
    • 23-quinquies. L’Agenzia, al fine di realizzare risparmi di spesa e reperire risorse aggiuntive, svolge i seguenti compiti:
      a) gestione dell’utilizzazione economica delle denominazioni, degli stemmi, degli emblemi e dei segni distintivi di cui al comma 23-nones;
      b) promozione, ai sensi di quanto previsto dalle disposizioni di cui all’articolo 14- bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni della legge 6 agosto 2008, n. 133, di attività utili alla valorizzazione del patrimonio immobiliare del demanio militare, coadiuvando gli organi titolari di prerogative e competenze in materia;
    • 23-octies. Il Ministero della difesa, sulla base di progetti formulati dall’Agenzia, può affidare in concessione o in locazione, per un periodo non superiore a venti anni, a soggetti pubblici o privati, i siti militari, le infrastrutture e i beni del demanio militare o a qualunque titolo in uso o in dotazione alle Forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, con la finalità di installarvi impianti energetici esclusivamente alimentati da fonti rinnovabili, con esclusione di quelle assimilate.
  • dopo oltre un anno di dibattiti, il parto è avvenuto con un raid notturno che ha inserito cinque articoletti nella Finanziaria. “In diciotto mesi la maggioranza non ha mai voluto confrontarsi. Noi abbiamo tentato il dialogo fino all’ultimo, loro hanno fatto un blitz per imporre la riforma”, spiega Rosa Villecco Calipari.

Tutto ciò grazie all’esautorazione del Parlamento per mezzo del voto di fiducia e al dispregio del dibattito intercorso in commissione Difesa.

Caso Cucchi, La Russa difende i Carabinieri. E la procura di Roma indaga su “ignoti”.

La morte di Stefano Cucchi ha in sé qualcosa di sconvolgente: non solo per l’ostensione del corpo, per i segni di una morte orrenda lasciati su di esso, per la pochezza delle ragioni che hanno condotto al suo arresto – 20 grammi di droga.
Ciò che lascia esterrefatti è il codazzo della politica che si accorge della portata deviante della notizia e accorre al capezzale della procura di Roma: Alfano telefona al procuratore generale, La Russa s’inerpica in una dichiarazione in difesa dell’Arma quando nessuno ha ancora formulato un’accusa concreta. Scusatio non petita, accusatio manifesta, Sginor Ministro. Giustamente il sindacato di Polizia Penitenziaria è insorto chiededo al Ministro di rettificare le sue dichiarazioni. Sostenere che i carabinieri non hanno repsonsabilità senza conoscere i fatti, significa difendere unilateralmente la propria corporazione e scaricare i sospetti sulle guardie carcerarie, non le sole ad aver avuto a che fare con il ragazzo.
Cosa c’entra la politica con la morte di Stefano? Al di là della ovvia richiesta di giustizia che può anche provenire da esponenti dei partiti, perché mai il Ministro della Difesa si affretta a scagionare i suoi? Perché il Ministro della Giustizia telefona alla procura? Di cosa si deve preoccupare? Forse che la procura non stia facendo il suo dovere? E il pm che ha formulato il capo d’accusa, omicidio preterintenzionale a carico di ignoti, ha provveduto a ciò prima o dopo la telefonata di Alfano? Perché indaga su ingnoti? Il corpo di Stefano ha fratture alla spina dorsale, al coccige, alla mandibola, e lividi sul volto e su tutto il corpo. Qualcuno ha scritto che è morto per "morte naturale". E’ ignoto il nome di questo medico? Si cominci a indagare da lui, per esempio. Perché ha scritto morte naturale? Non si è forse accorto degli occhi infossati, della schiena rotta? Che tipo di indagine ispettiva ha condotto sul cadavere? Sono ignoti i nomi di chi lo ha avuto in custodia nelle ore dopo l’arresto? Per il maggiore Paolo Unali, comandante della Compagnia Roma Casilina, di cui fanno parte i militi che hanno arrestato Stefano, stiamo parlando di un ragazzo debilitato, con un passato di tossicodipendenza. Io non ho mai visto un ex tossicodipendente spezzarsi la schiena da solo.
Venti grammi di droga. Per venti grammi non si muore così. Non si può coprire un abuso per la sola ragione di appartenenza alla medesima caserma. Affinché non si abusi del potere, occorre che il potere arresti il potere.

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    • la procura di Roma ha deciso di procedere per il reato di "omicidio preterintenzionale" (che prevede la reclusione da dieci a diciotto anni), al momento a carico di ignoti

    • Il pm Vincenzo Barba vuole vederci chiaro e sta indagando per capire se il ragazzo 31enne sia stato effettivamente vittima di un pestaggio

    • Nell’attesa delle conclusioni della consulenza del medico legale, il magistrato proseguirà le audizioni

    • Altro tassello di un’inchiesta avviata di iniziativa dalla Procura, nonostante l’assenza di una denuncia e un primo certificato di morte che attestava come questa fosse avvenuta per "presunta morte naturale"

    • Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha telefonato al procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara per dare "pieno sostegno alle indagini e celerità nell’accertamento della verità e dei colpevoli" e per esprimere "vicinanza alla famiglia Cucchi"

    • Alfano ha voluto ribadire "fiducia nell’operato della Polizia Penitenziaria

    • Ma la decisione del pm Barba non è piaciuta al legale della famiglia Cucchi: "Si procede a carico di ignoti ma credo che coloro che l’hanno avuto in custodia o in cura non sono ignoti. Mi aspetto indagati, mi aspetto che queste persone vengano a dare una spiegazione"

    • Nel frattempo i familiari non si danno pace. Vogliono capire come mai sia morto in carcere dopo l’arresto dei carabinieri che lo hanno sorpreso con una ventina di grammi di droga

    • Vogliono una spiegazione a quelle fratture alla spina dorsale, al coccige, alla mandibola, a quei lividi sul volto e su tutto il corpo.

    • "Non ho strumenti per dire come sono andate le cose, ma sono certo del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione" ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa.

    • dopo la diffusione delle foto, la vicenda è esplosa in tutta la sua gravità

    • Parole che indispettiscono il segretario del Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, Donato Capece: "Il ministro ha perso una buona occasione per tacere. Ha detto che non ha elementi per dire come andarono i fatti però sostiene che l’intervento dei carabinieri è stato corretto. Su quale basi lo dice? Chi sarebbe stato scorretto, allora?"

    • "Verità e legalità per tutti, ma proprio tutti: in fondo è semplice" si leggeva in un corsivo del periodico online della Fondazione Farefuturo presieduta da Gianfranco Fini. "Uno stato democratico non può nascondersi dietro la reticenza degli apparati burocratici – continuava il corsivo – Perché verità e legalità devono essere ‘uguali per tutti’, come la legge. Non è possibile che, in uno Stato di diritto, ci sia qualcuno per cui questa regola non valga: fosse anche un poliziotto, un carabiniere, un militare, un agente carcerario o chiunque voi vogliate. Non può esistere una ‘terra di mezzo’ in cui si consente quello che non è consentito, in cui si difende l’indifendibile, in cui la responsabilità individuale va a farsi friggere in nome di un ‘codice’ non scritto che sa tanto, troppo, di omertà tribale".

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    • Noi rispondiamo di quello che abbiamo fatto, abbiamo un referto medico che dice che il ragazzo ha rifiutato le cure sul posto e l’accompagnamento in ospedale. Se avesse voluto sfuggire ad eventuali percosse sarebbe andato con l’ambulanza, non crede?”. A difendere l’Arma dei carabinieri è il maggiore Paolo Unali, comandante della Compagnia Roma Casilina, i cui uomini, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre, hanno arrestato Stefano Cucchi.

    • sul comportamento dei militari, a livello disciplinare, non sono emerse responsabilità. Anche se il vaglio interno è sempre in atto. A livello penale, aspettiamo il lavoro della magistratura

    • Il maggiore ricostruisce quanto accaduto quella notte, “quelle poche ore in cui abbiamo avuto in consegna il soggetto.

    • Lo abbiamo fermato a tarda notte e, dopo una perquisizione domiciliare, l’abbiamo trattenuto.

    • Intorno alle 3 di notte, il ragazzo ha avuto un malore e abbiamo immediatamente chiamato l’ambulanza”

    • “Cucchi ha rifiutato le cure sul posto e l’accompagnamento in ospedale. Anzi, ha chiesto di lasciarlo dormire. E’ tutto scritto nel referto medico: le convulsioni, il tremore e, se non ricordo male, un malore diffuso. Nessun segno, nessun ematoma, niente di anomalo. Se avesse voluto sfuggire a presunte percosse, si sarebbe fatto portare in ospedale”. Il referto medico, consegnato alla Procura, è delle 5

    • Stefano è stato svegliato e accompagnato in Tribunale per il processo per direttissima. In aula, ha raccontato la famiglia del ragazzo, aveva però gli occhi tumefatti. “Io non sono un medico, non so cosa possa essere successo – spiega ancora Unali – ma il ragazzo aveva dormito solo poche ore. E comunque le nostre camere di sicurezza, che sono quelle regolamentari, non sono certo un albergo a cinque stelle. Poi stiamo parlando di un ragazzo debilitato, di uno che aveva avuto problemi di tossicodipendenza e che, a 30 anni, pesava 40 chili. E comunque è arrivato in tribunale con le sue gambe e ha partecipato all’udienza. Era lucido. Del resto, se avesse avuto qualcosa da dire, lo avrebbe detto”

    • il padre lo ha sentito chiedere in aula perchè gli fosse stato assegnato l’avvocato d’ufficio e non il suo legale di fiducia

    • “Non ne so nulla, non ero lì – prosegue il maggiore – so soltanto che lui non ha lamentato accuse nei nostri confronti. Del resto ci sono i verbali di udienza”

    • “Non lo so -conclude Unali- noi lo abbiamo “trattato” solo per poche ore. Poi lo abbiamo consegnato alla polizia penitenziaria”. Ma neanche la polizia penitenziaria sembra saperne nulla

    • “I colleghi si sono limitati al servizio di controlloevigilanzachespettava loro per legge – risponde Donato Capece, segretario generale del Sappe

    • era in un ospedale, sotto il controllo dei medici. Questo esclude qualsiasi tipo di intervento. In ogni caso ci auguriamo che la magistratura faccia piena luce su questa vicenda

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