Gli Scanzi del mestiere

Dispiace cominciare questo post con un gioco di parole, ma tant’è, oramai l’ho fatto: ed è così perché ho – ancora – qualcosa da dire circa la caracollante critica di Andrea Scanzi a Pippo Civati.

Il giornalista esperto in pentastellati, ieri su Facebook, ha scritto che “la cancellazione (finta) dell’Imu sanciva un’altra sconfitta” di Civati. Ne è seguito un botta e risposta in cui Scanzi ha precipitosamente ribadito che la battaglia di Civati nel PD è una battaglia persa, è “masochismo”:

O Civati è masochista, o il suo martirologio è calcolato. In entrambi i casi, o esce dal partito (dopo essersi tolto lo sfizio di arrivare secondo o terzo nella corsa per diventare il “Segretario di Pirro” alla corte di Renzi) o si copre definitivamente di ridicolo. Giustificando peraltro le accuse di carrierismo furbino (I dolori del sondatino Civati, Il Fatto Q).

Saprete della prosa scanziana, molto affine alla cifra stilistica di Travaglio e di Grillo (o chi per esso): nomignoli, analogie ventilate, parolette, parolacce, e via discorrendo. Ecco, a me tutto questo glossario arzigogolato, questa necessità di voler inserire in ogni riga uno “zebedei” (cito, testuale: “Tirali fuori, prima o poi, gli zebedei. Esci dal Pd, mettiti in gioco e prova a costruire qualcosa di realmente alternativo. Se ce la fai”), sembra più assimilabile al lessico di un cabarettista astioso che a quello di un giornalista. Che tipo di giornalismo è quello che cerca in tutti i modi di far passare un tentativo di rinnovamento del PD in qualcosa di deprecabile? Rispondo subito: è militanza, non giornalismo. Ma il caro Scanzi non ve lo dice mai.

Scanzi tratteggia Civati assorto nei suoi raziocinanti progetti di un “carrierismo furbino”, sempre tentennante fra la scelta di uscire dal PD e far successo personale fondando un micro partito a sinistra, e il successo personale che otterrebbe con la vittoria di Pirro alle primarie congressuali. Mi sembra semplicemente falso. Mi sembra una rappresentazione terroristica, la sua: dinanzi alla possibilità che l’elettorato e i militanti di base del Partito Democratico facciano realmente contare il proprio peso al prossimo Congresso, il giornalista prospetta al lettore la possibilità che i propri eventuali sforzi nel sostegno a Civati vadano a sbattere contro l’arcinemico, l’Apparato, ovvero l’inamovibile (e “fantozziana”) classe dirigente del PD che – ricorda Scanzi – comanda il partito da vent’anni. Inutile spiegare a voi che accettate aprioristicamente il disegno scanziano, che se quella dirigenza è ancora al suo posto, è semplicemente perché (quasi) nessuno ha mai cercato di cacciarla, soprattutto mai nessuno ha chiesto a voi personalmente – come invece fa Civati – di partecipare a questo processo storico di rimozione delle macerie del passato.

E qui che risiede la novità – taciuta, passata sotto silenzio, ammantata di un personalismo di cui contemporaneamente se ne lamenta l’assenza: la mozione Civati vuol essere collettiva, vuol mettere gli esclusi al centro del partito, vuol aprire le sacre (e vuote) stanze degli arrugginiti circoli del Partito Democratico e far sì che contino nel processo decisionale.

Non mi sembra così di esser altrettanto partigiano. Ma la prospettiva scanziana della formazione di un neo-corpuscolo partitico a sinistra mi ricorda molto Paolo Flores D’Arcais e la sua storia politica, il suo lobbismo disperato per la ricostituzione di una minoranza laburista. E mi sembra, allo stesso tempo, un piano strategico affinché il PD rimanga sempre quello che è ora, al fine di poter ripetere – come un mantra religioso – “sono tutti uguali, sono tutti da mandare a casa” e così capitalizzare ancora sulla rabbia e sull’indignazione.

La dietrologia e il ticket Grillo-Di Pietro

Secondo alcuni, almeno i più distratti, Report avrebbe fatto a pezzi l’IDV. Anzi, è lo stesso Di Pietro a dire che l’IDV è finita a Report. Ma i pasticci del partito personale dell’ex pm di Mani Pulite sono noti da tempo. Almeno dal 2010. Anche la stampa berlusconiana si era servita di queste “incongruenze” fra i valori dell’Italia dei Valori e quanto effettivamente fatto in termini di candidature e di trasparenza nella gestione del partito (tag #Di Pietro). In una parola: scheletri nell’armadio, e persino impolverati. Perché questa operazione? Perché Report ha parlato proprio ora – e soltanto ora – dei mali dell’IDV? Il partito è uscito a pezzi dalle elezioni siciliane di domenica scorsa. Non è stato in grado di ripetere l’exploit delle amministrative di Palermo, ma quel successo era legato strettamente alla discussa figura di Leoluca Orlando e al noto caos delle primarie che il PD palermitano non era riuscito a domare.

Era fin troppo chiaro che, dopo la caduta di Berlusconi, IDV necessitasse una revisione profonda poiché, al di là del deficit democratico che un partito personale porta in dote, l’opposizione al berlusconismo era il suo solo asse portante. Troppa confusione sulla collocazione del partito, troppa confusione soprattutto a livello locale. Spesso i consiglieri comunali o provinciali o regionali dell’IDV sono dei fuoriusciti dal centrodestra; spesso questa ambiguità è stata portata sino in Parlamento. Anche Di Pietro è stato spesso ondivago (nel 2011 addirittura annunciò la svolta verso il centro). Di Pietro aveva già sofferto l’arrembaggio di Sel; aveva scartato a sinistra quando nessuno si filava la FIOM, aveva scarto a destra quando Bersani scelse Vendola. Poi Sel ha perso lo slancio, a causa dei guasti giudiziari del governatore pugliese. La foto di Vasto aveva permesso a Di Pietro stesso di autorappresentarsi come parte di un complemento del Partito Democratico. Poi la vicenda del Quirinale ha spezzato il felice quadretto. Di Pietro ha scelto di stare dalla parte dei pm di Palermo, dalla parte di Ingroia e delle intercettazioni; il PD ha difeso il capo dello Stato. Dopo la rottura, IDV è rimasta nel limbo. Una costruzione sul nulla. Bisognava darle “uno spintone”, anche a costo di sacrificare il fondatore storico.

Adesso capisco meglio. Fin dove potesse arrivare l’antipatia di Antonio Padellaro per Napolitano. Perché la furia ideologica di Travaglio si scatenasse contro il capo dello stato. Come sia stato possibile, per colpire il Quirinale, fidarsi ciecamente delle “rivelazioni” di Ciancimino. Quale sfondo avesse il network tra qualche pm di procura e l’ex pm in politica (Stefano Menichini, Il Post).

Menichini sostiene che la strategia dei tipi de il Fatto Q era quella di attaccare il capo dello Stato per dividere IDV dal PD e preparare la fusione con il Movimento 5 Stelle. Pur rispettando Menichini, che è una penna sempre molto lucida, credo che questo ragionamento puzzi troppo di dietrologia. Non credo che ciò sia vero. Ma gli indizi dell’esistenza di un progetto di partito nuovo ci sono, e non giungono solo dalla intuizione di Menichini. L’idea diabolica di Paolo Flores D’Arcais di votare Renzi per distruggere il PD (e quindi creare, con la costola sinistra, il partito di Giustizia e Libertà) potrebbe essere rivalutata in quest’ottica. Qualcuno lavora per condensare in una sola entità, i giustizialisti di IDV, l’eventuale sinistra esule del PD e il Movimento 5 Stelle. Insomma, un patchwork.

La denuncia di Donadi credo sia giunta fuori tempo massimo. Il partito de Il Fatto Q sposerà la causa di Di Pietro capolista del M5S alle politiche 2013. Con buona pace di Grillo, che così vedrà risolto il problema (se dovesse restare il Porcellum) dell’indicazione del candidato premier. Certo, Grillo pretenderà lacci e lacciuoli per tenere il pm a bada. In questo senso, la chiusura delle liste del M5S ai soli iscritti che fossero già stati inseriti in qualche lista elettorale, è il viatico naturale per portare a termine l’esperimento. Un vero trapianto d’organi. Fondere un movimento senza testa e uno tutta testa.

Ma chissà, forse è tutta fantapolitica.

Presenze in Tv, Il Fatto Quotidiano imbroglia su Casadei (PD)

Thomas Casadei ospite a Salotto Blu

[La foto soprastante è relativa ad una partecipazione televisiva di Casadei, ma “Salotto Blu” non e’ pagamento. E’ infatti generalista e su temi vari. E’ di un’altra emittente tv rispetto a Teleromagna che manda in onda La mia Regione].

Diciamo subito che si tratta di una guerriglia giornalistica neanche troppo convincente. Da una parte Repubblica, che titola su Favia e i 5 Stelle e Grillo che parla di funerali quando non serve e di televisioni e radio locali che organizzano dibattiti a pagamento senza specificarlo;  dall’altra Il Fatto Quotidiano, che spara in home page le presunte dichiarazioni del consigliere regionale del PD, Thomas Casadei, il quale avrebbe ammesso che anche le apparizioni tv dei consiglieri regionali democratici avvengono a pagamento.

“Non poteva mancare il PD”, scrivono. E’ bastato “fare un viaggio furori dalle porte di Bologna”, sulla A14, specificano. Come dire: voi di Repubblica non fate le verifiche dei fatti. Noi del Fatto invece sì. Ce l’abbiamo nel titolo. Capirai. Citano Teleromagna e Telerimini, i cui uffici commerciali avrebbero venduto spazi tv a consiglieri regionali “di tutti i partiti”, PD compreso. Questa sconcertante rivelazione merita il Pulitzer, c’è da giurarlo. Se si tratta di propaganda, nulla di anomalo. Succede, soprattutto in tempi di campagna elettorale. Durante il 2012 deve essere senz’altro accaduto. Per via delle amministrative, eccetera.

Il problema è far passare questa affermazione per una ammissione di “colpevolezza”. Il messaggio che si vuol veicolare è analogo a quello imbastito da Repubblica sulle spalle di M5S, SeL, Lega, PdL. Vi ingannano, vanno in Tv ma niente di autentico: è tutto preconfezionato su misura dal partito, che paga con i soldi dell’istituzione regionale. Addirittura trovano in Thomas Casadei, consigliere regionale del PD, la “gola profonda” che smentisce il capogruppo Richetti, secondo cui la prassi seguita dal M5S “è immorale”.

La stessa emittente [Teleromagna] mette a disposizione un programma di circa 15 minuti, in cui gli eletti hanno la possibilità di spiegare cosa fanno e cosa hanno intenzione di fare. Si chiama “La mia Regione” ed è utilizzato anche dal gruppo regionale del Pd. “Abbiamo un regolare contratto – conferma il consigliere regionale del Pd Thomas Casadei, più volte seduto negli studi di Teleromagna – ma viene sempre indicato che si tratta di una trasmissione a cura del nostro gruppo politico” (Il Fatto Quotidiano).

Thomas Casadei ha risposto oggi con una nota stampa. Secondo Casadei l’articolo del Fatto presenta delle inesattezze. A mio avviso, tali inesattezza producono nel lettore la sensazione voluta, alla maniera dell’articolo di Repubblica nei confronti del M5S. Si tratta in fondo di bassa pratica di bottega. Repubblica attacca i 5 Stelle; il Fatto risponde contro il PD. Sapete quindi come si sono scelti la parte, entrambi.

In ogni caso Casadei specifica che

una modalità è quella di veicolare il proprio messaggio politico e istituzionale, con specifico riferimento a provvedimenti, progetti e proposte, mediante forme strutturate, con titoli, contenuti e format mirati, entro campagne istituzionali e d’informazione tramite i vari mezzi di comunicazione (giornali, radio, televisioni, social network). In questo caso è chiaro lo specifico intento di servizio ai cittadini su ciò che viene realizzato o sui problemi aperti, con riferimenti espliciti al partito di appartenenza e alle finalità della comunicazione, con procedure regolamentate con appositi contratti e attingendo ai fondi che la Regione mette a disposizione delle «attività di comunicazione» dei diversi gruppi.

Prosegue Casadei affermando di aver partecipato, nella veste di consigliere regionale del PD, ad una trasmissione Tv progettata e mirata a queste funzioni, dal titolo “La mia Regione”, i cui contenuti “sono legati alle campagne istituzionali e di informazione promosse dal Gruppo PD”.  Ogni trasmissione era focalizzata su singoli temi specifici ed era evidente il richiamo al simbolo del partito.

Che a questa attività si accompagnino saltuariamente, per i singoli consiglieri, presenze a invito in singole puntate di trasmissioni generaliste o legate alla cronaca quotidiana rientra nella normale modalità di confronto e informazione politica. Per quel che ci riguarda ciò deve avvenire, e avviene, senza alcun pagamento da parte dei consiglieri. E così è sempre stato per quel che mi riguarda. Singole interviste a pagamento in trasmissioni televisive generaliste, che non distinguono il momento dell’informazione da quello più propriamente di propaganda, rischiano di configurare una pratica non appropriata e che presenta elementi di non chiarezza per i telespettatori.

Con queste righe Casadei pone un discrimine evidente, che Favia ha fatto molta fatica a individuare. Da un lato vi sono trasmissioni a carattere pubblicistico, create con lo scopo di divulgare il messaggio politico istituzionale. Dall’altro le trasmissioni quotidiane in cui si è invitati per parlare degli eventi di cronaca o simili.

Va da sé che i giornalisti del Fatto, Liuzzi e Zaccariello, affermano di aver visto alcune puntate de “La mia Regione”, reperite “in rete”. Ho voluto vederle anche io e non le ho trovate (vedi prossimo paragrafo). Ma sarà sicuramente un problema di inesperienza, loro che sono giornalisti avranno altri potenti motori di ricerca. Noi comuni mortali abbiamo Google e poco altro. Vi allego i link alle mie infruttuose ricerche:

Ricerca “teleromagna la mia regione” su sezione video di Google (ho cercato sino alla pagina 10, senza successo) : link

Ricerca video Youtube (appena sei risultati) – “teleromagna la mia regione”: link

Ricerca sul sito di Teleromagna: link

Grazie alla segnalazione di Giovanni Stinco sulla pagina Fb di Yes, political! è possibile vedere alcune puntate di ‘La Mia Regione’, quelle in cui è presente Casadei. Potete trovare i video nella pagina Youtube del consigliere PD, sotto il titolo “Politica in Movimento”. Sono evidentemente spazi di comunicazione politica dedicati a politici forlivesi, dal sindaco ai consiglieri comunali sino a Casadei. E’ chiaramente una trasmissione orientata a pubblicizzare le iniziative politiche dell’amministrazione di Forlì. A turno, gli invitati vengono introdotti a specifici argomenti come il futuro dei giovani o delle istituzioni locali. Negli ultimi filmati pubblicati non sono presenti, né in testa né in coda, riferimenti alla tipologia di comunicazione politica a pagamento ma non è chiaro se siano registrazioni complete o se in coda siano stati operati dei tagli. In apertura del filmato compare la scritta “un programma a cura della redazione politico-economica di Teleromagna” e il programma medesimo è condotto da Pier Giorgio Valbonetti. In quelli meno recenti, a circa due minuti e mezzo dall’inizio del filmato compare la scritta in sovraimpressione che specifica si tratti di “messaggio a pagamento”.

Ecco la foto che lo prova (in piccolo, sotto la scritta La politica in movimento):

Casadei, La Mia Regione, indicazione del “messaggio politico a pagamento”, Gruppo Assembleare PD E-R

Potete visionare voi stessi.

La mia Regione:

Fra l’altro, il titolo “La Politica in movimento” è uno slogan di Casadei: campeggia infatti sul suo sito, nella sezione dedicata, dove sono presenti i link alle puntate del 2011.

Non credo sia buon giornalismo quel giornalismo che nasconde le fonti (a meno che non si mettano in pericolo delle vite, ma non è questo il caso). Tanto più se lo fa per raccontare una realtà aggiustata. Ho già espresso la mia sul caso dei 5 Stelle e potete prenderne atto leggendo gli ultimi post in merito (qui, qui e qui). Mi sono focalizzato sui 5 Stelle, sebbene sia una pratica, quella di pagare per apparire, in voga un po’ in tutta l’opposizione (intendo PdL, Lega, UDC). La precisazione di Casadei non equivale ad una ammissione, come ci vuol far credere il Fatto Q e come hanno ribattuto tutti gli altri quotidiani (Il Giornale: la doppia morale del PD). Casadei ha specificato che vi sono due livelli, uno informativo in senso pubblicistico, di divulgazione propagandistica delle attività istituzionali, spesso focalizzato su specifiche argomentazioni; l’altro meramente di informazione televisiva legata alla cronaca politica.

Potete comprendere come un articolo ben costruito – ma facilmente “falsificabile” (cioè smascherabile) – come quello de Il Fatto costituisca una pezza d’appoggio per la difesa dei 5 Stelle, ma rischia di essere in un certo senso controproducente. Poiché le parole di Favia erano chiare: “noi” dei 5 Stelle paghiamo ma siamo trasparenti, quelli del PD chissà come spendono i soldi pubblici dei gruppi consiliari. Poi arrivano i giornalisti de Il Fatto e ci spiegano che anche quelli del PD pagano. Allora dov’è il marcio? Se pagano per andare in Tv, dietro regolare contratto, come i 5 Stelle, l’allarme di Favia – indagate su di loro! – è assolutamente pretestuoso. E’ come gettar acqua su un incendio mai scoppiato. Complimenti per la sinergia.

Infatti, Favia è già partito a testa bassa contro Casadei:

Non si è fatta attendere – pure in questa occasione – la replica del consigliere regionale del Movimento 5 stelle, Giovanni Favia (anch’egli coinvolto nello scandalo-interviste), che dice: ‘’E’ un fatto gravissimoAvevano detto di essere gli unici che non acquistavano. Mi sentiro’ con gli altri capigruppo per le iniziative da prendere. Il Pd si vergogni. Ora voglio vedere se si fara’ un’operazione verita’, se Bianca Berlinguer e gli altri tg daranno con lo stesso peso questa notizia. Se avessi mentito io o nascosto i fatti, cosa avrebbero detto di me?’’ (Il Resto del Carlino).

[Post aggiornato]

Beppe Grillo e l’incubo di governare il paese

Dall’intervista di Marco Travaglio a Beppe Grillo, pubblicata stamane su Il Fatto Q, emerge che:

1) Grillo ha il terrore che il M5S diventi partito di maggioranza relativa, poiché con il Porcellum avrebbe la maggioranza parlamentare, quindi dovrebbe far eleggere circa 500 deputati e senatori (e dove li trova, visto che il Movimento non ha alcuna struttura e che mobilita in maniera attiva soltanto poche migliaia di persone?);

2) Grillo non vuol neppure “sentir parlare di strutture”, ergo il Movimento è scalabile, può essere infiltrato da qualsiasi gruppo politico e poi distrutto dall’interno una volta entrato nelle istituzioni; è effettivamente a rischio di “balcanizzazione”, nelle forme già esperite dal PdL dopo l’uscita di scena parziale di Berlusconi. Grillo afferma di non volersi mai candidare. Di non voler entrare nelle istituzioni (“sono un franco tiratore”). Ma forse, a causa di quella vecchia condanna per l’incidente stradale, non potrebbe nemmeno candidarsi. Di fatto, però, senza una leadership carismatica e operativa all’interno delle istituzioni, e senza una struttura organizzativa che selezioni e ben definisca le responsabilità, il futuro del Movimento è quello di dividersi:

3) E poi, soprattutto, il M5S farà le alleanze…

Non si tratta forse di una linea politica diversa rispetto a quella che è stata propagandata fino ad oggi? Voi che partecipate al Movimento, siete stati interpellati su questa nuova impronta del M5S? Giusto per sapere.

Patto finanziario Lega-Berlusconi: ecco le prove

Puntate precedenti (per chi se le fosse perse):

Il patto finanziario stilato fra Berlusconi e Lega Nord

Lega Nord e i ladroni delle Quote Latte

Storia della Lega Nord: quando Berlusconi comprò lo spadone

Mentre la scorsa settimana Lettera43 intervistava Facco, l’autore di Umberto Magno, e pubblicava copia della lettera di Dell’Elce, amministratore delegato di Forza Italia, alla Banca di Roma con la quale si dava mandato di aprire un credito di due miliardi in favore della Lega Nord, oggi il fatto Quotidiano pubblica altri documenti su movimenti bancari poco chiari e che fecero transitare altri miliardi di lire dalle casse di Forza Italia a quelle del Carroccio tramite l’apertura di linee di credito sempre presso la Banca di Roma. Due miliardi, esattamente come richiesto nella lettera di Dell’Elce. Oggi sappiamo che questo passaggio di denaro c’è stato veramente. La domanda, che può essere politica ma che potrebbe avere risvolti sul penale, è: a che scopo?

Tratto dall’articolo di Giorgio Meletti e Paola Zanca de Il Fatto Q:

 

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Dal Canone Rai al Canone Santoro e la webtv che non c’è

L’entusiasmo per Annozero finalmente scevro da censure e presunte tali, un Annozero diventato webtv senza padroni, che parla una lingua libera e sceglie la forma ‘social’ per condividere temi e destino con quello che sino ad ora è un pubblico passivo che guarda e paga, si può dire che finisce qui.

Nel pomeriggio ha fatto il suo debutto il sito Servizio Pubblico, sorta di piattaforma di raccolta fondi per finanziare il progetto di ‘Comizi d’Amore’, la nuova trasmissione di Santoro. Compare, in apertura sito, un messaggio di Santoro ai netizen, una preghiera riassumibile in una parola: finanziatemi. E Michele chi? chiede 10 euro a testa come contributo volontario. Lui afferma che la sua trasmissione è servizio pubblico e non doveva essere cancellata. Fa rivivere attraverso le parole quel sentimento di indignazione che si insinuava in ognuno di noi nei giorni delle trame di Saxa Rubra e Via Teulada fra Mauro Masi e i ‘cani’ del padrone, volti a zittire la scomoda trasmissione televisiva. Santoro osa spingersi sino a paragonarsi a Bouazizi, “quel tunisino da cui è nata la rivolta nel maghreb”, una esagerazione come sottolinea Fabio Chiusi, un peccato di vanagloria che l’eroe antiberlusconiano poteva anche risparmiarCi.

Ma ciò che veramente dà da pensare è la forma della nuova creazione. Che pretende di comunicare sul web ma che ignora le sue regole, che sono la partecipazione e la condivisione. Nel sito serviziopubblico.it, Santoro vi appare in un videomessaggio, esattamente come accade sul vituperato forzasilvio.it. Santoro ha soltanto adesso cercato di comunicare con il web, a parte per qualche striminzito messaggio su Facebook. E la prima cosa che si ha chiesto non è di partecipare alla creazione dei contenuti, bensì di pagare una specie di canone per i “cacciati dalla tv pubblica”.

Il nuovo Comizi d’Amore avrà una sua redazione di (certamente ottimi) giornalisti professionisti – seppur precari – che lavorerà esattamente come ha lavorato per anni in Rai; una redazione a cui hanno installato il telefono da “appena due ore” (!). E allora vien da credere seriamente che il web per Santoro sia un elettrodomestico surrogato della tv, un canale di comunicazione unidirezionale, l’esatto opposto della filosofia 2.0, dove il singolo è occhio e al tempo stesso voce (ovvero spettatore passivo e attore) di una dinamica discorsiva che è molteplice e si disloca su innumerevoli e infiniti piani.

Santoro invece è rimasto fermo alla vecchia tv di denuncia nella quale il ruolo di attore spetta al giornalista, colui che confeziona il pacchetto informativo – che è insieme racconto del fatto e giudizio – e lo sottopone allo spettatore, senza però riceverne alcun ritorno se non in termini di ascolto, di ‘auditel’. La tv che cerca di finanziare è la solita ‘tivvù’ , scritta così, come la pronuncerebbe un qualsiasi Pippo Baudo.

La webtv è altro: è creatività senza budget e senza finanziatori, è apertura al contributo a alla condivisione. Santoro aveva in mano l’occasione per fornire la sua professionalità alla webtv e invece preferisce convogliare il già visto – seppur nella forma corretta di Raiperunanotte – piuttosto che osare. Osare è il verbo del futuro, direbbe lo Steve Jobs che si nasconde in tutti noi. Ma in questo paese il futuro si è smarrito, o si annoia profondamente.

[Naturalmente possa sbagliarmi. Voi cosa ne pensate?]

Il Giornale vs. Marcegaglia: ecco le telefonate fra Porro e Arpisella

Rispondente al sondaggio di Yes, political!:

Il Fatto Quotidiano pubblica l’audio delle telefonate intercorse fra Porro e Arpisella. Ascoltate:

Rai, contratto di Servizio o contratto di asservimento?

Il contratto di servizio conterrà una norma che istituisce un Comitato di Valutazione Qualitativa, definito Qualitel, che avrebbe il compito di valutare la programmazione Rai in termini qualitativi e di rispondenza ai termini del contratto di servizio stesso. L’indiscrezione è comparsa su Il Fatto Quotidiano, nell’edizione di oggi. L’Agcom si è affrettata a smentire l’interpretazione del gionalista de Il Fatto: Qualitel non è altro che il medesimo – già esistente – Comitato Scientifico, ora nominato in buona parte dalla Rai stessa, domani invece composto da soggetti nominati dall’Agcom stessa, in accordo con il Mnistero dello Sviluppo Economico, ovvero con l’attuale ministro Claudio Scajola (a volte ritornano).
L’anomolia della nomina governativa è in questo caso soltanto travestita: anche l’Agcom è di nomina governativa – il suo presidente lo è – e pertanto si presume che esso non agirà contro il volere del governo che lo ha messo nel posto in cui si trova. Pertanto suggerirà al comitato Agcom le nomine ispirate dal governo e si adopererà in modo da farle approvare.
Il presunto ex comitato scientifico valuterà qualità e rispondenza ai termini del contratto di servizio dell’offerta Rai: più volte esponenti del governo hanno impiegato questo criterio per attaccare la trasmissione di Annozero. Quando Santoro mise in onda l’intervista alla D’Addario, lo stesso Scajola il giorno dopo si esprimeva con toni duri e chiedeva all’Agcom stessa di verificare la congruità della trasmissione con le norme del contratto. Sottoporre la Rai alla verifica di un comitato esterno, significa sottoporla a un tipo di controllo che mira a essere censorio, e questo anche in forma preventiva. Chi si esporrà a fare trasmissioni giornalistiche critiche nei confronti del governo, sapendo che l’indomani dovrà temere la scure del Qualitel? Tutto ciò in barba alle sentenze della Consulta che prevedono l’assoggettabilità della Rai al controllo del solo Parlamento.

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    • "L’Autorità – aggiunge Tecce – si confonde sapendo di farlo: il contratto di servizio 2007/09 prevedeva un Comitato scientifico composto da sei membri, scelti tra personalità di notoria indipendenza di giudizio e di indiscussa professionalità, di cui tre designati dalla Rai, uno designato dal Consiglio Nazionale degli Utenti, uno designato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e uno designato dal Ministero, con funzioni di Presidente del Comitato. Una previsione – continua – ben diversa da un sistema di valutazione della qualità – come si legge nelle linee guida approvate dall’Autorità -, un organismo nominato dalla Rai ma scelto dall’Agcom e dal ministero"

    • L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni esprime in una nota "grande sorpresa per alcune notizie di stampa relative alle linee guida del contratto di servizio della Rai 2010-2012 inviate al ministero per lo Sviluppo economico per il prescritto concerto

    • "la tesi secondo cui, attraverso l’istituzione di un organismo di controllo, non indipendente, ma nominato dal Governo, si – imbavaglierà l’informazione ancor di più di quanto non sia adesso- -, risulta del tutto infondata; anzi, si tratta di una ricostruzione tendenziosa che rovescia la realtà dei fatti"

    • la previsione di un organismo di valutazione riguarda esclusivamente la qualità dell’offerta dei programmi e non l’informazione radiotelevisiva

    • "Le nuove linee guida – continua l’Autorità – rafforzano anzi l’indipendenza di tale organismo, il quale sarà nominato dall’Autorità d’intesa con il ministero, mentre il contratto di servizio attuale prevedeva che il presidente del Comitato fosse direttamente nominato dal ministero

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    • L’Autorità allarga la sua influenza per restringere la libertà della Rai, subordinata al controllo di un comitato esterno all’azienda, selezionato su parere del ministero dello Sviluppo economico. Volontà di Claudio Scajola.

    • Articolo 3, punto 31: “Il sistema di valutazione della qualità dell’offerta – si legge – dovrà essere realizzato sulla base degli appositi indicatori previsti dal contratto di servizio e dovrà essere sottoposto alla vigilanza di un organismo esterno, composto da esperti qualificati in materia, scelti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni d’intesa con il ministero e nominati dalla Rai”

    • Il presidente Corrado Calabrò intende picchettare il deserto, ridisegnare l’autonomia della Rai e asservirla al Consiglio dei ministri: “Compete all’Autorità la mancata osservanza da parte della Rai degli indirizzi impartiti”

    • l’Agcom esonda per favorire il governo e sterilizzare la commissione di Vigilanza parlamentare

    • “L’affidamento dei poteri all’Agcom e al ministero delle Comunicazioni finisce per attribuire al governo un potere di intervento sull’informazione e la programmazione televisiva, in contrasto con i principi ripetutamente affermati dalla Corte Costituzionale, secondo cui l’emittente pubblica deve essere soggetta soltanto al controllo del Parlamento. Con la creazione dell’organismo esterno si realizzerebbe l’obiettivo di reincarnare, dopo 70 anni, il defunto MinCul-Pop”

    • Il messaggio è obliquo eppure chiaro: attenzione, voi che fate informazione – Annozero? – se pronunciate un pensiero “a” dovete ritrattarlo con un pensiero “b”. Non basta? “Ciò esige un’applicazione attenta della deontologia professionale del giornalista, coniugando il principio di libertà con quello di responsabilità”

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