Incandidabilità di Berlusconi, spunta la “linea Guzzetta”

Giovanni [Giuseppe nel testo] Guzzetta viene definito dal Giornale come un “giurista assai lontano dal Pdl”. Avrebbe partorito l’idea secondo la quale il decreto Monti, che stabilisce l’incandidabilità alla carica di deputato o di senatore per i condannati a pene maggiori di due anni non sarebbe applicabile alla fattispecie berlusconiana poiché le leggi “non sono retroattive” (ilgiornale.it). Il decreto Monti è stato, secondo il professore, il casus belli della sfiducia (solo minacciata) dichiarata da Alfano alle Camere lo scorso Dicembre, fatto che fece deflagrare la maggioranza che sosteneva il governo dei Tecnici.

Secondo l’autore dell’articolo sopra citato, che a sua volta interpreta il pensiero di Guzzetta, “è ben vero che il decreto stabilisce la decadenza automatica dalle cariche per i condannati: ma il decreto è dell’anno scorso mentre i reati del Cavaliere risalgono invece a dieci anni fa. E le leggi non possono essere retroattive”.

Una teoria più bislacca non s’è mai sentita e sono pronto a giurare che – consideratane l’assurdità – verrà fatta propria dai parlamentari del Pdl e impiegata come colonna d’appoggio per sostenere l’inapplicabilità del decreto Monti al momento della discussione in Senato. Secondo Guzzetta la legge non è retroattiva ma la medesima legge, a differenza di quanto scrivono sul Giornale, non parla di reati ma di condanne:

Art. 1

1. Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore:
a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;
b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale;
c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell’articolo 278 del codice di procedura penale (D. Lgs. 235/2012, Gazzetta Ufficiale).

Tutti voi, persino se siete lettori de Il Giornale, concorderete che la condanna definitiva è giunta almeno sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto Monti:

Art. 18  – Entrata in vigore
1. Le disposizioni del presente testo unico entrano in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale  [05/01/2013] della Repubblica italiana.

Molto importante, infine, la durata di tale ‘divieto’ di candidarsi, che è contenuta nell’articolo 13:

Art. 13 – Durata dell’incandidabilità

1. L’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna per i delitti indicati all’articolo 1, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice [che nel caso di Berlusconi è da rideterminare ma non sarà superiore a tre anni]. In ogni caso l’incandidabilità, anche in assenza della pena accessoria, non e’ inferiore a sei anni.

Per la cronaca, il giurista ‘assai lontano’ dal Pdl, Giovanni (non Giuseppe) Guzzetta, è stato capo di Gabinetto, dal giugno 2011, del ministero della Funzione Pubblica del IV Governo Berlusconi, scelto – pensate – da Renato Brunetta (“Una scelta fatta in casa, quella di Brunetta, visto che Guzzetta dal maggio del 2010 è tra i consulenti del ministro”, Italia Oggi).

Guzzetta è noto per essere uno dei promotori dei referendum elettorali del 2009. E’ un costituzionalista ed è docente ordinario di Diritto pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Non sarà vicino al Pdl ma certamente è di estrazione liberale e cattolica. In gioventù, fu presidente del FUCI. Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Nel 2010 ha fondato un movimento politico di stampo liberale, con il nome di ‘Scelgo l’Italia’ (wikipedia).

Nel 2012, insieme ad Arturo Parisi, si fece promotore di una petizione al Parlamento Italiano affinché fosse indetto un “referendum costituzionale sulla forma di governo” (ricordo che i referendum in Italia sono solo di tipo abrogativo). Secondo il giurista, “la crisi ha colpito di più l’Italia perché il suo sistema istituzionale è fatiscente. L’Italia non ha la più bella Costituzione del mondo”. L’iniziativa di un referendum propositivo sarebbe fattibile poiché “ci sono precedenti visto che la prima Repubblica è nata dal referendum su monarchia repubblica del 1946 e la seconda dal referendum del 1993 sul sistema elettorale maggioritario” (Comitato Referendum Elettorale). Evidentemente, l’ingegneria costituzionale di cui si fa portavoce, è la medesima che vorrebbe trasformare la nostra Repubblica da Parlamentare a Presidenziale. La medesima che, nel segreto del foro interiore, crede che vi sia un solo Presidente. E che una sentenza della Cassazione sia un atto contrario alla democrazia.

Sallusti arrestato, è già evaso

Lo annuncia Nicola Porro su Twitter:

http://twitter.com/CesareOrtis/status/274851320920408065

Questa la homepage de Il Giornale, proprio adesso:

ilgiornale

Caso Sallusti, un Betulla non vale un Dreyfus

Ha fatto lavorare un giornalista radiato, una spia, un agente del servizio segreto. Ha pubblicato un articolo in cui il famigerato Dreyfus, alias Renato Farina, scrive delle falsità, anzi, diffama gravemente un magistrato, tale Giuseppe Cocilovo. Quest’ultimo, quando la causa era ancora pendente presso la Procura della Repubblica, aveva banalmente chiesto una rettifica, quindi in seguito un risarcimento di ventimila euro. Sallusti ha rifiutato. Sallusti non ha mai nemmeno rivelato l’identità del giornalista occulto. Farina ha fatto outing stamane, alla Camera dei Deputati, svegliata in gran fretta per parlare del caso. La “confessione” ha naturalmente acceso il dibattito fra i giornalisti su Twitter:

Farina infame? E Sallusti? Il Direttore ha protetto il suo anonimato ad oltranza. E’ normale che un Direttore di giornale faccia lavorare un giornalista radiato? La domanda è retorica. Ci siamo indignati contro una macchina giuridica senza pietà, che schiaccia la libertà di opinione e mette in galera chi ha semplicemente espresso un’opinione. La realtà non è questa. E’ pur vero che le norme del Codice che regolano la libertà di stampa sono antiquate e che la galera applicata ai reati d’opinione è fortemente intimidatoria. Ma qui ci troviamo di fronte a un ex giornalista che, sotto uno pseudonimo, continua ad esercitare la professione che gli è stata negata in quanto uomo al soldo del servizio segreto (caso Pio Pompa).

Dice Farina di avere ubbidito. Si accordava con Pompa. Era “preparato” da Pompa. Era pagato da Pompa. Trentamila euro in due anni. Sempre in contanti, sempre dietro ricevuta. Qualche volta firmata “Betulla”, qualche volta “Renato Farina”. Denaro per le spese vive. Gli aerei, i soggiorni. Non che potesse aggravare il giornale, “Libero“, dei costi del suo lavoro doppio […] E’ Pompa che gli consegna quel dossier che dovrebbe inchiodare Romano Prodi agli accordi Europa-Stati Uniti che consentono i voli degli aerei “coperti” della Cia. E’ un falso. Farina lo pubblica (repubblica.it).

Farina diffamò Prodi su richiesta del servizio segreto (falso caso dell’appoggio di Prodi alle extraordinary renditions dell’era George W. Bush). Per questa ed altre falsità, Farina fu cacciato dall’ordine dei giornalisti. Vittorio Feltri – sì, lo stesso uomo che lo ha pubblicamente accusato di essere l’anonimo Dreyfus del caso Cocilovo – gli ha permesso di continuare a scrivere per il giornale Libero per ben due anni. Feltri si guadagnò così sei mesi di sospensione dall’ordine. Secondo Feltri, Farina doveva continuare a scrivere “in base alla Costituzione, che consente fino ad ora la libera espressione del pensiero” (Wikipedia). E’ libera espressione del pensiero quanto scritto da Farina sul caso Cocilovo? E Sallusti poteva permettere che un giornalista radiato e pagato per mentire continuasse a scrivere notizie false sulle colonne del giornale da lui diretto? Perché sia Feltri che Sallusti hanno tenuto Farina al proprio posto pur sapendolo corrotto?

L’art. 57 del codice penale, lo stesso codice penale applicato nel caso  Ruby (nota per Travaglio, n.d.r.), impone al direttore di controllare l’attività dei giornalisti per evitare che un reato si verifichi: nel giornale da lui diretto – si chiama per questo “responsabile” – chi scrive non può fare quello che gli pare, ma deve attenersi a determinate regole di correttezza, verità, continenza e il direttore ne è il garante. Se il direttore se ne infischia,   o chiude un occhio o abbozza un ghigno di fronte allo sciacallo che si appresta a macellare di fronte a centinaia di migliaia di lettori una persona perbene sia  un giudice onesto sia un signor nessuno, allora la responsabilità – per niente oggettiva – è, anche,  sua. Non come autore del reato ma per aver violato il suo obbligo di controllo, permettendo così lo scempio.  Doveva controllare, e non lo ha fatto, doveva evitare il danno e non lo ha fatto: una menzogna è stata diffusa e invece doveva restare chiusa nella balda mente del suo autore (youreporternews.it).

Un agente Betulla non può esser nemmeno lontanamente accostato al caso Dreyfus.

Hanno ucciso l’uomo calvo – dalla prima pagina de Il Giornale

 

Tutto mi sarei aspettato, tranne che di scrivere questo articolo. Mi tremano le mani sui tasti della Olivetti. Così comincia l’articolo di prima pagina del condirettore de Il Giornale, Vittorio Feltri. La vicenda è relativa ad una causa per calunnia esercitata da un giudice, tale Giuseppe Cocilovo, per un articolo comparso su Libero quando di Libero Sallusti era direttore responsabile. L’autore del pezzo firmò con uno pseudonimo, ma per il giudice a pagare deve essere il direttore responsabile. Il quale venne condannato in primo grado alla pena pecuniaria di cinquemila euro la quale, in secondo grado, fu tradotta in pena detentiva per un anno e due mesi. Il 26 Settembre si terrà l’esame di regolarità formale da parte della Cassazione. Come saprete, la Cassazione non entra nel merito della sentenza di secondo grado ma semplicemente si esprime sulla regolarità del procedimento. Quindi Sallusti rischia la galera. Questo perché a Sallusti non si applicherebbe la sospensione della pena per gli incensurati, in quanto egli ha già ricevuto condanne per diffamazione o calunnia. Naturalmente Feltri si spertica in un lungo j’accuse contro la democrazia italiana e contro le leggi sulla stampa: “siamo l’unico paese occidentale in cui i reati a mezzo stampa sono valutati dalla giustizia penale anziché da quella civile”. I colpevoli di tutto ciò? Non è con i magistrati che Feltri intende polemizzare ma con quei “dementi” che dopo sessanta anni tengono in vita – “per accidia e menefreghismo” – un pezzo del Codice Fascista.

Una sola osservazione ho da fare: il carissimo direttore emerito de Il Giornale si accorge solo ora che la normativa italiana sulla stampa è fortemente illiberale. Quando alcuni dei suoi amici politici, per i quali ha scritto sinora lunghe e noiose agiografie acritiche (almeno prima che defenestrassero Silvio da Palazzo Chigi e prima che il vento dell’anticastismo soffiasse così forte anche in Via Negri), intendeva estendere quelle assurde regole anche al web e soprattutto ai blog, non mi pare che Feltri avesse gridato allo scandalo della democrazia italiana. Ricordassero, lui e il suo compare calvo, questi aspetti e queste regole repressive quando pigiano i tasti delle loro vetuste Olivetti. E facessero un mea culpa sul pessimo giornalismo di cui sono autori.

Dopo ITA-GER: Il Giornale e Libero, prime pagine (in)dimenticabili

Ecco come rendersi assolutamente detestabili dopo la partita di ieri sera (in senso estensivo, anche ai tavoli di trattativa in sede di Consiglio Europeo, come la vulgata giornalistica l’ha intesa in questi giorni):

E Libero non vuol essere da meno:

Perché il Giornale e Libero negano la Trattativa Stato-Mafia

Come spesso accade, anche sul tema della trattativa Stato-Mafia, Il Giornale e Libero hanno titoli simili e propongono interpretazioni altrettanto simili, se non gemelle. La Procura di Caltanissetta ha disposto arresti cautelari per quattro persone e su Libero ci vanno giù duro, facendovi intendere – falsamente? – la sproporzione fra la misura cautelare e il reato, che si è compiuto vent’anni or sono. Così Davide Giacalone non vi dice che tre di queste quattro persone arrestate sono già detenute: Salvatore Madonia, secondo la Procura il mandante della strage; Vittorio Tutino, autore del furto della 126 che fu tramutata in autobomba; il presunto basista Salvatore Vitali e Calogero Pulci, ex pentito. Per Il Giornale, Salvatore Madonia è un “presunto boss”. Il curriculum vitae di questo presunto boss lo potete ascoltare su Radio Radicale:

  1. in qualità di imputato: Processo per l’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi
  2. in qualità di testimone: Processo per l’omicidio del giudice Rocco Chinnici (Riina ed altri)
  3. in qualità di imputato: Maxiprocesso a “Cosa nostra”

Secondo Salvo Palazzolo (Repubblica.it) Salvatore o Salvino Madonia è un “capomafia pluriergastolano“, “accusato di aver partecipato nel dicembre 1991 alla riunione della Cupola in cui si decise l’avvio della strategia stragista”. Di presunto non c’è più nulla su un ergastolano, per giunta plurimo. Se vi pare poco.

Secondo Gian Mario Chiocci e Mariateresa Conti, autori del pezzo su Il Giornale, la Procura di Caltanissetta ha alle spalle venti anni di insuccessi e di “innocenti in galera”. Si riferiscono alle false dichiarazioni del pentito Scarantino, che hanno permesso all’epoca ai magistrati di chiudere in fretta e furia l’inchiesta su via D’Amelio. Scarantino viene impiegato dai due giornalisti come argomento contro l’attuale procura di Caltanissetta e non contro i magistrati del 1992, con i responsabili dell’ingiustizia, coloro che imbastirono le accuse false imbeccati da chissà quale fonte “oscura”. Il pentito Scarantino mentiva? Colpa dei magistrati di oggi che pure lo hanno scoperto.

Continua Giacalone: “partiamo dalla fine […] io non faccio indagini e non istituisco processi, ma resto convinto che Borsellino muore, dopo che era stato ammazzato Falcone, perché era un ostacolo all’insabbiamento e dell’archiviazione dell’inchiesta mafia e appalti, immediatamente distrutta dopo la sua morte”. Giacalone ha una teoria e della realtà se ne frega. Ha questa teoria e piega i fatti al servizio del suo intendimento. Tutte balle, il 41 bis non c’entra. Ora, sarà strano ma anche in questo caso l’informazione che vi ha dato il buon Giacalone è incompleta. E, manco a dirlo, è la solita vulgata che circola nei media di destra. Perché allora far saltare il magistrato con una autobomba? Se il movente erano gli appalti, non bastava una pallottola, come peraltro la mafia sapeva fare e ha fatto in tantissime altre circostanze? Ed è altrettanto lampante il disegno stragistico che dal Maggio del ’92 prosegue con le cosiddette ‘stragi sul continente’. Per Giacalone tutto questo è irrilevante. Irrilevante che il ministro dell’Interno del ’92, Vincenzo Scotti, un mese prima di Capaci, disse pubblicamente che era in atto una strategia destabilizzante. Poi, in una notte, fu misteriosamente deposto da Andreotti. Ma Giacalone spiega l’attentato in stile Beirut in via D’Amelio con il fatto isolato dell’inchiesta mafia e appalti. Poi c’è quell’intervista, l’ultima, quella in cui Borsellino parla per la prima volta dei ‘cavalli’ di Mangano e di un flusso di denari che passava dalla Sicilia in direzione Nord. Naturalmente nessuna traccia. Nessuna menzione su questo fatto. Invece Chiocci e Conti, su Il Giornale, abbozzano una teoria comportamentista su Borsellino: se Borsellino sapeva della Trattativa, allora perché non la denunciò, “perché non la tradusse in atti formali, come era suo costume?” Se dubitava del capo del Ros, Subranni – disse alla moglie che era punciutu – perché continuò a lavorare insieme a lui fianco a fianco sino all’ultimo giorno? Subranni era il comandante dei Ros ed era il diretto superiore del colonnello Mario Mori, l’ufficiale – poi diventato capo dei servizi segreti nel penultimo governo Berlusconi – che è a processo a Palermo (con il colonnello Mauro Obinu) per avere favorito Provenzano in una latitanza lunga quarantatré anni.

Secondo il testimone d’accusa, colonnello Michele Riccio, smentito e querelato dai denunciati, furono Mori e Obinu ad avergli impedito di catturare Provenzano in un casolare di Mezzojuso (PA), indicato dal mafioso suo confidente Luigi Ilardo, poi assassinato da “cosa nostra” subito dopo aver accettato di collaborare con la giustizia (cfr. Wikipedia alla voce Mario Mori).

Mentre su Il Giornale viene dato qualche credito alla vicenda dell’ammorbidimento del 41 bis, il regime di carcere duro, giustapposta per insinuare dubbi sulla condotta dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e sul ministro della Giustizia Giovanni Conso, certamenti non immuni da ombre – Conso ha dichiarato di aver “autonomamente” disposto nel 1993 la sospensione del 41 bis a circa quattrocento detenuti mafiosi – su Libero viene contestato apertamente al teorema del 41 bis un certo grado di illogicità. Poiché la trattativa sul carcere duro giustifica la strage di Via D’Amelio e non l’attentato di Capaci. Allora perché ammazzare Falcone e moglie con tutta la scorta, facendo esplodere una autostrada? Il carcere duro, spiega Giacalone, fu imposto dopo la morte di Falcone, e non prima. Perché intavolare una trattativa anzitempo? Giacalone difetta di inquadramento storico: siamo nel 1992, ok? E’ morto Lima, ammazzato per strada. E’ quello il casus belli fra mafia e politica. E’ la ‘goccia che fa traboccare il vaso’. Al nord si affacciava una nuova forza politica, la Lega Nord, federalista e secessionista, il peso dei partiti tradizionali stava diminuendo, Mani Pulite sarebbe iniziata da lì a poco. Al Sud era tutto un proliferare di strane Leghe meridionaliste, con dietro le quinte personaggi ambigui come Licio Gelli. L’omicidio Lima è stato un atto di guerra. La guerra Stato-Mafia presupponeva una trattativa di pace. Un trattato di non belligeranza. La sensazione che dietro quelle stragi e tentate stragi non ci fosse solo la mafia rimane sempre molto alta, al di là delle dichiarazioni dei pentiti. Ciò che sorprende è il silenzio e i “non ricordo” dei protagonisti della politica del biennio  ’92-’93. Il Giornale e Libero non si spingono più in là delle loro tesi e, a parte sospettare di Scalfaro e Ciampi, nulla dicono del sospetto che la Seconda Repubblica – la variante videocratica della Prima Repubblica – sia il frutto malato di quella trattativa – l’opera ingegneristica di un gruppo di pavidi signori scesi a compromessi con la controparte mafiosa.

Per approfondire:

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=1BW173

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=1BW154

Rutelli su Il Giornale parla alla destra: no allo ius solis, è invito ai clandestini

Farneticante. L’ombra di sé stesso. Oppure il disvelamento di ciò che è sempre stato e che ha tenacemente nascosto per anni. Francesco Rutelli, leader dell’API (e del partito ombra della Margherita, grazie al quale può godere di rimborsi elettorali doppi, ricordatevelo), in una intervista a Il Giornale, si scaglia contro lo ius solis con dichiarazioni choc.

Rischiamo di trasformare l’isola di Lampedusa nella più clamorosa clinica ostetrica d’Europa”: questa frase, detta da uno dei fondatori del PD, dimostra quanto poco serio e preparato sia il personale politico italiano. Rutelli è ignorante. E’ talmente ignorante che chi lo va ad intervistare diventa complice di questa ignoranza. Si può discutere di ius solis e di cittadinanza per i nati sul territorio italiano – quindi di bambini, ripeto, bambini – non con questo genere di osservazioni semplicistiche e dettate dall’esigenza di fomentare paura nel lettore. Già, poiché la strategia dell’ex sindaco di Roma è puramente di marketing politico. Cosa gli interessa dello ius solis? Gli interessa caratterizzare il proprio movimento politico in una cornice di centro-destra per permette a sé stesso e al suo gruppo di interesse una qualche chance di sopravvivenza in un quadro partitico sempre più vacuo e indistinguibile. Ecco, la sua mossa – maldestra, inopportuna, direi quasi ridicola – è quella di scavalcare Fini a destra. Vuol parlare al ceto ultra-conservatore.

Lo ius solis è una norma di civiltà. Ed esiste già in Italia, ma si tratta di un meccanismo che si innesca solo su domanda, per i nati in Italia (da genitori non cittadini italiani) che hanno risieduto nel nostro paese ininterrottamente fino al compimento dei 10 anni di età. Rendere più facile ottenere la cittadinanza per dei bambini (ripeto, bambini!) non deve esser argomento utilizzato per mere beghe partitiche.

Traditori, su Il Giornale i ‘conti’ non tornano

Dieci traditori? O otto? A Il Giornale vogliono far cadere due teste in più rispetto a quelle indicate da Berlusconi (che erano otto). Per Via Negri sono traditori:

  1. Antonione;
  2. Gava;
  3. Malgieri
  4. Destro

E poi? Nucara, ma Nucara è veramente malato. Quindi è traditorie sì o no? Malgieri era al cesso. Calogero Mannino, Giancarlo Pittelli, Luciano Sardelli, Francesco Stagno D’Alcontres e Santo Versace erano già fuori, comunque assenti al voto.

E allora il giallo si infittisce: chi sono gli altri quattro traditori?

Chi è l’amico di Bechis? Il Giornale si butta su Crosetto, la ‘gola profonda’

Quella testa di cazzo, dicono nell’audio divulgato da Libero, quella testa di cazzo. Non è importante che la ‘Voce’ abbia rivelato che B. si dimette domani – oggi no, è troppo impegnato a Milano per questioni aziendali. Ma il solo aver descritto, nominato, il Capo, riducendolo a ‘testa di cazzo’, questo sì che è segno del vile tradimento.

Lo psicodramma dei media fedeli alla Linea del Non mi dimetto è tragico ma non serio. Domani ci sarà il voto sul Rendiconto 2010 – sì ancora fermi al Rendiconto siamo – ma le opposizioni non vogliono ingolfare ulteriormente il processo decisionale sulle materie finanziarie, pena il sommovimento dei mercati (una volta erano le piazze a sovvertire i governi, oggi sono i mercati, quelli che non si svolgono in piazza ma in banca). Allora la strategia dell’opposizione è una sola: aspettare che il cadavere passi. Si parla di una mozione di fiducia, ma dovrebbero passare altri due-tre giorni fra dibattito e dichiarazioni di voto. Significa far cadere B. soltanto lunedì/martedì prossimi. Un’eternità intollerabile.

Berlusconi non è uno che si lascia dettare la linea politica molto facilmente. Anche nella resa riesce a decidere lui i tempi e i modi, sebbene tutto l’impianto della maggioranza, puntellato dalla campagna acquisti del 14 Dicembre scorso, stia oramai cedendo su tutti i fianchi. Il timing della Caduta è descritto molto bene da John Hooper su The Guardian:

Il voto di domani non è un voto di fiducia, quindi in teoria – anche se perde – Berlusconi non sarà costretto a dimettersi. Ma quando, e dove, si terrà il voto di fiducia cruciale non è ancora chiaro.  Libero sostiene che il test dovrebbe tenersi alla Camera dei Deputati, dove il governo è più vulnerabile. Ma quando? Secondo alcune interpretazioni, Berlusconi ha in programma di trasformare la sessione di domani sui conti pubblici del 2010 in un voto di fiducia. Altri credono che chiamerà una votazione separata e successiva a decidere se la vita o la morte del suo governo. Entrambi i casi, potrebbero permettergli di strappare via l’iniziativa all’opposizione, che ha minacciato una mozione di sfiducia per farlo cadere.

Quindi non saranno dimissioni. Almeno non subito. B. promette per domani fuoco e fiamme in Parlamento. Probabilmente chiederà di parlare alla Camera, ma non è escluso che invece scelga il Senato per tentare il colpo di mano (a Palazzo Madama i numeri lo tengono ancora in piedi). Nessuno lo sa. Certo, per una tragica uscita di scena, la Camera è il proscenio naturale. Lui, la testa di cazzo secondo la gola profonda di Bechis, doveva andare da Napolitano già oggi. Invece, con lo spread Btp-Bund che schizza a 488 punti base, se ne va a Milano per incontrare i figli e forse Bossi in serata. Non è normale. Non è responsabile. E’ altresì preoccupante. Domani, B. potrebbe veramente essere destabilizzante.

Il ciclone dei Guantanamo Files? Roba tropicale

La stampa italiana dedica forse al massimo un articoletto sui Guantanamo Files. Robetta troppo esotica per suscitare l’interesse nostrano. Da noi è un gran disquisire sulla festa del 25 Aprile e di quella Liberazione che fu. E’ certamente un target da bocciofila – con tutto il rispetto per le bocciofile – quello dei vari direttori, da Calabresi a Feltri/Belpietro, passando per De Gregorio e Sallusti. Mentre nel mondo The Guardian, Le Monde, The New York Times continuano a divulgare i segreti dell’amministrazione USA, soffiandoli a Wikileaks con una triangolazione che neanche i mercanti di diamanti, noi si discute di riconciliazione post 1945, di rossi contro neri, di fascismo e di libertà, di guerra civile libica a cui abbiamo deciso di contribuire sganciando qualche bombetta, “naturale sviluppo” dell’impegno preso in sede ONU e Nato, così disse Napolitano.

La Repubblica si sforza di collocare “il ciclone” dei Guantano Files a pagina quattordici – 14!:

Nel pezzo di Federico Rampini Repubblica e L’Espresso sono compartecipi della grande operazione editoriale globale di disvelamento della verità su Guantanamo. Meravigliosa acrobazia, la sua. Certo, i fatti incalzano e il sito di Repubblica deve occuparsi della contingenza, per gli approfondimenti van bene le riviste. Questo è The Guardian oggi:

E questa è la prima pagine de Il Giornale – accostamento ovvio, direte voi: è vero, ma fa impressione:

PdL, il pesce puzza dalla testa

Come si suol dire, il pesce puzza dalla testa. E il PdL puzza tutto intero. Di cadavere. Un tanfo talmente maleodorante che sta facendo mobilitare anche i topi di fogna più rintanati della Camera dei Deputati, gente che non ha mai nemmeno alzato il ditino, gente che di nome fa Ceroni Remigio, volontari della leggina ad personam.

Questo affacendarsi per lustrare il nome del capo, questo immolarsi innanzi all’altare della Verità Unica dei folgorati sulla via di Arcore, nasconde il fragore di una guerra intestina, un Vietnam di palazzo. Tutti cercano di riposizionarsi. Non ci sarà un domani, altrimenti. Non per loro. Lo scenario muta di giorno in giorno e si rischia di trovarsi al di qua del fronte, sottoposti ai cannoneggiamenti, ai colpi di mortaio, alle bombe a grappolo. Tocca a Lassini, quello dei manifesti del Vie le BR dalle Procure, morire per la causa. Ma la Moratti ha rischiato di finire sotto il fuoco amico. Lui, da Palazzo Grazioli, non ha affatto gradito il tono impiegato dalla ‘sciura’ nello scaricare Lassini. In fondo, di chi è il nome del primo candidato in lista a Milano? Si legge Berlusconi, non Moratti.

Ecco, ci sono almeno tre fazioni, tre tribù – alla maniera libica: quella dei verdiniani, costituita da un manipolo di mercenari; quella degli scajolani, un gruppetto di ‘contra’ ingaggiati dall’ex ministro per la vendetta tremenda vendetta (ricordate la questione della casa? e se fosse stata un’imboscata dei verdiniani? e se fosse il casus belli di questa guerra di bande?); infine gli ex-An, depravati, ridotti a umile servitù, corrotti da vino, droghe e donne, una pattuglia molliccia e neanche tanto coesa che fa capo a quello sclerato di La Russa.

Poi capita che un tiro scappa anche a Tremonti. Un tiro maldestro, forse. Un danno collaterale. Ma la matrice è chiara. La pistola fumante è in mano nota. Tanto più che si è scelto il palcoscenico de Il Giornale per questa messinscena. Stasera Tremonti è stato due ore di fila a Palazzo Grazioli. Chissà se ha minacciato le dimissioni. Chissà se qualche leghista ha inviato messaggi terroristici. Se si attacca Tremonti, la Lega affonda il governo. E per i berluscones, intenti a menarsi fra di loro, scatterebbe l’ora della fine. Senza esser riusciti minimamente a ottenere una carica, un titolino, una onorificenza. Tanto per passare alla storia.

Fukushima verso l’inesorabile fusione del nocciolo nucleare

Per Il Giornale l’incidente nucleare di Fukushima sarebbe poca cosa rispetto alla catastrofe generale. Si sbagliano. Poiché ci sono tutti i segni di una imminente fusione:

  1. la presenza di Cesio nell’atmosfera circostante: il cesio è “un prodotto della reazione nucleare e non è solitamente presente nel vapore o nel circuito di raffreddamento, dove sono invece presenti altri isotopi a breve vita. La sua presenza indica che, con tutta probabilità LE BARRE DI COMBUSTIBILE NUCLEARE SONO STATE O SONO ESPOSTE ALL’ARIA“;
  2. l’esplosione è dovuta allo sviluppo di idrogeno, ma “l’idrogeno si forma quando il vapore surriscaldato a temperature vicine o oltre i mille gradi si dissocia. Se le cose stanno cosi il nocciolo del reattore ha già raggiunto queste elevatissime temperature e quindi, con ogni ragionevolezza, l’esplosione ha danneggiato anche la struttura di contenimento vera e propria, se non l’ha direttamente coinvolta. A temperature cosi elevate anche l’acciao ed il cemento armato piu robusti diventano assai poco resistenti”;
  3. l’impiego di acqua marina è l’estrema ratio: “e’ una misura assolutamente disperata che si fa quando è chiaro che la reazione non è più frenata dalle barre di controllo, cosa dle resto provata dall’esplosione stessa” (per l’analisi tecnica rimando al dettagliato post di Pietro Cambi su Crisis? What Crisis?).

Quel che qui preme di sottolineare è la risposta dei media italiani alla catastrofe nucleare imminente:

L’intervista al fisico Tullio Regge – scusate il fin troppo facile gioco di parole – non regge: il fisico afferma che le radiazioni se l’è portate via il vento, e ciò dovrebbe rassicurarci? Significa che sono sulla testa di qualcun altro. E poi conclude: “Ricordiamoci sempre che uccide di più il fumo di sigaretta che un incidente del genere. Temo una nuova esplosione di rabbia antinucleare, ma quello che serve, ora, sono analisi adeguate di quante radiazioni siano state assorbite e dove siano andate a finire”. E prosegue ricordando che Chernobyl fu una bomba, che le nuove centrali sono state costruite secondo criteri di sicurezza che l’impianto ucraino nemmeno lontanamente immaginava. Peccato che l’impianto di Fukushima sia non di nuova generazione e che la presenza di cesio nell’aria sia il segnale inequivocabile che il combustibile nucelare sia fuoriuscito dalla gabbia e che la gabbia non sia intatta così come dice il governo giapponese.

In un altro articolo sempre de Il Giornale la stoccata politica:

Specula la sinistra ma l’ordine perentorio da destra è: no allarmismi. Fate vedere che il nucleare è un simbolo di sicurezza. E tutto il resto no.

Guerra alla Giustizia/1: anche Yara usata come bastone contro i magistrati

La vergogna dovrebbe assalire gli scriba di casa Mediaset, anche quelli fintamente indipendenti. Il caso Yara viene ora impiegato come una clava contro la magistratura: nella fattispecie l’attacco ha riguardato la pm di Bergamo, Letizia Ruggeri, rea di essersi presa due settimane di ferie durante il scomparsa della ragazza, come se il successo o il fallimento dell’intera inchiesta dipendesse solo e soltanto dalla sostituto procuratore quando invece una procura è composta da un procuratore della Repubblica, affiancato da sostituti procuratori della Repubblica ed eventualmente da uno o più procuratori aggiunti della Repubblica. Cosa volete che possa cambiare la presenza o meno di un sostituto? Eppure per Libero la vicenda ha i tratti dello scandalo. Sentite che prosa:

10 dicembre. Gli inquirenti rompono il silenzio e organizzano una conferenza stampa nell’ufficio del procuratore aggiunto Massimo Meroni. Arrivano giornalisti da tutta Italia, si fa fatica a trovare spazio, ma i taccuini non annotano una notizia che sia una. Il motivo è semplice: non c’è nulla da dire, al di là di un pronotisco che si rivelerà tragicamente sbagliato: «Yara è viva? Per noi sì, non ci sono indicazioni contrarie» afferma Meroni.

La Ruggeri già non c’è. Ha salutato tutti per andare in ferie, con la speranza di tornare più rilassata e pronta a risolvere il caso. Purtroppo, le indagini faranno registrare novità solo il 26 febbraio, col ritrovamento del cadavere in un campo di Chignolo d’Isola. A poche centinaia di metri dal comando della polizia locale che era stato trasformato in centro di coordinamento delle ricerche. Da lì, sono piovute critiche contro i molti volontari bergamaschi ritenuti incapaci di scovare il corpicino. Anche loro, effettivamente, si erano presi dei giorni di ferie dopo la drammatica scomparsa della giovane. Ma per cercarla, gratis (Libero-News.it).

Un giusto tocco di moralismo allo scopo di accendere gli animi casomai non si sia compreso che si va alla guerra contro i magistrati e i giudici di tutte le procure e di tutti i tribunali d’Italia. A rinforzare la truppa di scriba si è aggiunto da lunedì tal Maurizio Costanzo ex Show, ora soltanto più Talk, che dalle frequenze di Raidue inscena un teatrino populista con tanto di trama occulta: dargli ai giudici, chiunque essi siano, impiegando qualsiasi caso, anche i più spinosi. L’ordine perentorio: difendere il Capo. E allora può essere agevole una intervistina strappalacrime alla moglie di Busco, il presunto omicida di Via Poma. Tutto va bene. Basta menare duro contro i magistrati.

Meglio ha fatto Il Giornale pubblicando email private di magistrati:

Naturalmente nell’articolo non compaiono i nomi di nessuno di magistrati delle inchieste di Milano he vedono coinvolto Berlusconi. Trattasi di nomi semi sconosciuti o conosciuti per l’attività sindacale all’interno del corpo della magistratura medesima, come quello di Armando Spataro. In una parola, “fuffa”. Sarebbero parole scritte al vento se non fosse che le hanno stampate.

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E buon Metodo Boffo per tutti! Dalla prima pagina de Il Giornale ai berlusconiani

Metodo Boffo per tutti. La prima pagina de Il Giornale di stamattina è qualcosa di incredibile. Solo un catenaccio, molto piccolo sulla Libia. Il resto è bastone. A volontà. In primis per umberto Eco, reo di aver affermato che anche Hitler è stato eletto dal popolo, perciò una democrazia non è tale solo in virtù del voto popolare. Apriti o cielo: Eco “userebbe” la marocchina come un’arma. Che fantasia.

Il veleno peggiore è riservato per Saviano, altro protagonista del Palasharp:

“Luigi Saviano è imputato, insieme ad altri medici e professionisti, con l’accusa di truffa, ricettazione, corruzione e concussione ai danni dell’Asl” di Napoli […]  “L’imbarazzo del paladino della legalità”.“Nelle contestazioni mosse a Luigi Saviano, nero su bianco si parla del ‘suo ruolo in seno all’organizzazione, in particolare quello di assicurare ai gestori di tali centri un ingiusto profitto derivante da una serie cospicua di ricette riportanti prescrizioni fittizie di analisi cliniche’. (…) I fatti risalgono al periodo 2000-2004, ma il 19 maggio prossimo il tribunale di Santa Maria Capua Vetere dovrà decidere se accorpare al procedimento riguardante il papà dello scrittore un secondo filone, nel quale vengono contestati gli stessi reati che sarebbero stati commessi fino al 2006 e che vede alla sbarra gli stessi imputati”[…] “La parola passa ora al tribunale, anche se il processo sembra destinato a finire in prescrizione. Giuridica, non medica”.

La vicenda è vecchia, ma così è il Metodo Boffo: si rimesta nel cestino dell’immondizia alla ricerca di qualche notizia datata cheserve allo scopo di sporcare la figura di chi critica il Padrone. Il solito copione che questa volta è incentrato su un’inchiesta del 2004, mentre nel titolo non c’è alcuna evidenza di questo. Il fatto è noto e ne potete trovare traccia negli archivi del Corriere del Mezzogiorno. Nemmeno un cenno, poi, al fatto che “i rapporti fra lo scrittore e sue padre si sono interrotti ben prima che l’uomo fosse inquisito (e imputato)” (Corriere.it, cit.).

Rapporti che hanno portato lo scrittore a vivere da solo a Napoli, nei Quartieri Spagnoli a ridosso di via Chiaia, laurearsi tra mille difficoltà, anche economiche, diventare uno dei migliori allievi del professor Alfonso Barbagallo, a cominciare a scrivere per il «Bollettino sulla camorra» e le illegalità del Corriere del Mezzogiorno a partire dal gennaio 2005. Roberto aveva rotto con il padre, non lo tratta bene nel suo libro «Gomorra» (basta leggerlo per capire il distacco tra i due) e con lui non ha avuto rapporti da quando c’è stata la frattura. Chi, approfittando del fatto che il 19 maggio ci sarà l’udienza per decidere se «fondere» il procedimento che riguarda fatti del 2000-2004 a quelli che sono stati commessi in seguito, oggi riporta la notizia non scopre niente di nuovo (ibidem).

Poi in questa torbida prima pagina c’è pure spazio per la Boccassini, rea di aver voluto arrestare Garibaldi, ma non l’eroe dei due mondi, sia chiaro, bensì la nipote. Un titolo furbino che fa riferimento ad una vicenda precedente addirittura a Mani Pulite, processo Duomo Connection:

La pronipote dell’Eroe dei due mondi: “Quand’ero nel Psi venne la Digos a casa mia dicendomi che ero implicata in un giro di tangenti e traffico d’armi. Rimasi sotto il torchio della pm fino all’alba: voleva che facessi il nome dell’ex sindaco Pillitteri. Le accuse? Svanite…” (Il Giornale.it).

Di che cosa è accusata ora la Boccassini? Di aver fatto il suo mestiere? Se ci fate caso ce n’è anche per i magistrati del caso Scazzi e per quelli del tabaccaio giustiziere. Insomma, un capolavoro di ignoranza.


Il dossier sulla Boccassini prelevato al Csm da un leghista

Quanti servitori per due quattrini. I leghisti non sono da meno. Ricordate l’attacco perpetrato giusto ieri da Il Giornale al magistrato Ilda Boccassini? Sallusti aveva sbattuto in prima pagina a caratteri cubitali una storia vecchia di trent’anni: “amori segreti”, scrivevano ieri, “verità nascoste”, lasciando immaginare al distratto e annoiato lettore di centrodestra chissà quali scandali nel passato della Boccassini.

Trattasi di un procedimento disciplinare che il magistrato subì per esser stata sorpresa in atteggiamenti amorosi con un giornalista di Lotta Continua. La Boccassini all’epoca aveva trent’anni. Era innamorata di un giornalista “rosso”. Era maggiorenne ed erano gli anni di piombo. Il procuratore capo, tale Mario Gresti, fece rapporto al procuratore generale che a sua volta trasmise gli atti al CSM. La Boccasini fu difesa da Armando Spataro, oggi procuratore della Repubblica aggiunto presso il tribunale di Milano nonché coordinatore del Gruppo specializzato nel settore dell’antiterrorismo, e fu assolta. Non era venuta meno al vincolo di segretezza. Certo, Sallusti e soci vi hanno raccontano solo un pezzo della verità, solo quella che gli conveniva. Soprattutto non vi hanno raccontato come sono venuti in possesso del “dossier Boccassini”.

Dovete sapere che i procedimenti disciplinari, all’epoca dei fatti, nel 1982, erano secretati. Non sono atti a disposizione di tutti. Qualcuno deve aver consegnato a Sallusti questo carteggio scottante. Chi?

Di servi ne è pieno il Parlamento. e pure il CSM. La talpa dei berluscones è un leghista, tale Matteo Brigandì, messinese ma operante in Piemonte (un leghista siciliano, che anomalia…), membro laico del CSM. Fra il 18 e il 20 Gennaio scorsi, Brigandì si sarebbe rivolto alla sezione disciplinare del CSM ed lì ha scovato quel vecchio fatterello che riguarda Ilda la rossa. Ora al CSM vogliono punirlo in maniera esemplare. Ma a lui cosa può interessare: può assurgere finalmente alla corte dei berluscones di ferro, ai martiri di Arcore. Largo, passa Brigandì.