Leghismo a 5 stelle

Questa storia del post di Grillo contestato dai grillini sul suo stesso blog mi sembra una non notizia. La vera distrazione di massa l’ha messa in opera lui, riuscendo a far parlare di sé e non del problema della cittadinanza, delle presunte divisioni del Movimento 5 Stelle piuttosto che dei limiti impliciti del metodo da loro operato, così rigido verso il programma e a prassi di consultazione degli iscritti anche per decidere delle sciocchezze, come per esempio votare per aderire o meno a una manifestazione come quella de L’Italia sono anch’io.

In verità vi parlo di questa vicenda per due ordini di ragioni:

  1. non è vero che il web – ah, il popolo del web! – abbia reagito in maniera univoca contro la superficialità di Grillo;
  2. l’episodio evidenzia per la seconda volta (la prima è stata il caso dei lavoratori de l’Unità) la divergenza fra Grillo medesimo e i consiglieri regionali dell’Emilia Romagna, Favia e De Franceschi.

Punto primo: nei commenti al post si possono leggere, a giustificazione delle parole di Grillo (lui trova sempre dei volontari che lo interpretano e lo giustificano), argomentazioni tipiche del più becero leghismo, segno che la ‘base’ non è così omogenea come si vorrebbe far intendere. Anzi, l’assenza di una qualsivoglia analisi del problema della cittadinanza ai figli degli immigrati, il voler paventare a tutti i costi e in tutti gli ambiti l’idea del complotto, della manovra ad arte per distrarre le menti del popolo, ha avuto la funzione di detonatore mediatico. E’ la classica strategia del trollismo:

Un Troll è quell’individuo che interagisce con la comunità tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente stupidi, allo scopo di disturbare gli scambi normali e appropriati. Spesso l’obiettivo specifico di un troll è causare una catena di insulti  dettaflame war; una tecnica comune consiste nel prendere posizione in modo plateale, superficiale e arrogante su una questione già lungamente dibattuta, specie laddove la questione sia già tale da suscitare facilmente tensioni sociali (cfr. Il fenomeno del trollismo).

Forse non sarà la definizione più esaustiva di trollismo, ma aiuta a capire come agisce Grillo con il blog e la rete. In questo senso è un maestro e si sta caratterizzando sempre più nel verso di un trollismo antagonista e prettamente contrario alle idee liberali e progressiste. La sua ricetta è sempre la stessa: la politica è merda e deve essere abolita. Tutto è male e il complotto è sempre in agguato. Ma ‘l’odio è un carburante nobile’, l’odio alimenta un sentimento che è di volta in volta anti-giornalisti, anti-casta, anti-governo, anti-maggioranza e anti-opposizione, anti-banchieri, anti-immigrati, anti-stranieri, anti tutto:

Bene, così arriveranno barconi di donne gravide solo per far aver la cittadinanza ai loro figli. Mi spiace, ma questo non mi va bene!

Chissà perchè non arrivano mai norvegesi, danesi, australiani, ecc a chiedere la cittadinanza italiana, ma sempre quelli con le pezze al culo da mantenere. Svegliatevi!!!

La cittadinanza senza criteri seri è la fine della democrazia, nulla ha a che fare con i diritti degli immigrati. Vogliono solo riempire il territorio, Italiano o di qualunque altra nazione, di SCHIAVI da sfruttare e schiavizzare noi.

Il motivo in punto di diritto è semplicissimo: NOI NON VOTIAMO IN EGITTO O IN PERU’, non possiamo subire le scelte dei dittatori del terzo mondo (tratto dai commenti al blog di Grillo).

Punto secondo: sulla questione dell’adesione alla manifestazione L’Italia sono anch’io sono stati chiamati ad esprimersi in primis i consiglieri regionali e comunali in quota M5S di Piemonte ed Emilia-Romagna. Hanno in entrambi i casi scelto di votare a favore dell’iniziativa, pur con la precisazione che la cittadinanza è questione da dibattere a livello nazionale e non regionale o tantomeno comunale. Bertola in Piemonte ha addirittura ricevuto dalla base degli iscritti l’assenso all’adesione. Insomma, gli eletti lavorano all’interno delle istituzioni un po’ secondo coscienza e un po’ seguendo il metodo difficilissimo della condivisione delle decisioni. Poi, come una mannaia, cala il giudizio del capo: e come la scorsa volta con il caso della difesa dei giornalisti de l’Unità, vengono scritte sul blog quattro righe per sconfessare e delegittimare gli eletti e il loro operato nelle istituzioni. Perché?

Difficile dare una risposta. Forse il leader soffre la personalità del duo bolognese. Forse un M5S al 7% al livello nazionale è una “cosa” troppo grande e che può sfuggire di mano. Meglio allora sabotarla da dentro, farla collassare. Prima che si emancipi dal padre.

Permessi di soggiorno, Malmstrom bacchetta Maroni e lui: non c’è niente di nuovo

Lei, Cecilia Malmstrom, è la commissaria europea agli Affari Interni. Ha inviato una lettera a Maroni, venerdì scorso, il cui contenuto è emerso solo in serata. La Malmstrom ha avvisato che Schengen non scatta in maniera automatica con il decreto legge del governo italiano sul permesso temporaneo. La normativa europea parla chiaro:

Direttiva 2001/55/CE: (14) L’esistenza di un afflusso massiccio di sfollati dovrebbe essere accertata con decisione del Consiglio, obbligatoria in tutti gli Stati membri nei confronti degli sfollati cui si riferisce. È altresì opportuno stabilire i casi e modi in cui cessano gli effetti della decisione stessa.

Regolamento CE 56/2006 (Schengen): punto 4.c  – i cittadini di paesi terzi che non soddisfano una o più delle condizioni di cui al paragrafo 1 possono essere autorizzati da uno Stato membro ad entrare nel suo territorio per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali.

Quindi: 1. è dirimente la decisione del Consiglio, il quale attesta la presenza di questo “massiccio” flusso migratorio; 2. l’autorizzazione “ad entrare” vale per lo Stato che la emette e non per gli altri (cito testuale “entrare nel suo territorio” che è diverso dal dire “entrare nel territorio dell’Unione Europea”).

Bastano questi due commi per spiegare che il nostro paese da solo non può decidere, assegnando il permesso temporaneo, di attribuire i privilegi di Schenghen ai migranti. In primis deve ottemperare ai doveri umanitari di ospitalità. Poi dovrà sollevare la questione all’interno delle istituzioni europee, ovvero nel Consiglio, in cui si accerta la presenza di una crisi umanitaria, di una “massiccio” numero di sfollati. La Germania, infatti, ci contesta proprio questo: il numero dei migranti non è tale da prevedere un intervento normativo ‘speciale’. Non c’è l’emergenza, che semmai è causata dalla impreparazione italiana (il CIE di Lampedusa era chiuso ed ha comuque un numero di posti insufficiente a contenere il principale afflusso di migranti in Italia). Insomma, è una questione di numeri. I migranti sono troppo pochi. Non per i media italiani, secondo cui il canale di Sicilia è invece un crocevia di barconi e zattere. Questione di realtà percepita: in Germania evidentemente possono contare su fonti – diciamo così – autentiche.

Il clima generatosi con le dichiarazioni di Berlusconi di ieri – l’Europa? Meglio dividersi se non c’è solidarietà – nonché la furbata maroniana del permesso temporaneo, rischiano di far saltare lo spazio europeo – infatti i lander tedeschi, dinanzi al lassismo italiano nel concedere diritti di circolazione poco giustificabili secondo le norme, già minacciano la sospensione di Schengen. La Merkel lamenta il fatto che l’Italia è abbastanza restia a concedere asilo politico. Alla base del guasto odierno c’è, ancora una volta, la scarsa armonizzazione delle politiche dell’immigrazione e delle procedure di concessione dell’asilo. Esiste un piano della Commissione diretto a modificare sostanzialmente la disciplina in merito al fine di armonizzare le politiche di asilo:

  • modifica della direttiva sulle condizioni di accoglienza (ES) (DE) (EN) (FR), occupandosi dell’elevato livello di discrezionalità degli Stati membri. La direttiva modificata dovrebbe permettere di ottenere una maggiore armonizzazione e migliori norme sull’accoglienza, tra cui quelle sulle garanzie procedurali per la detenzione;
  • modifica della direttiva sulle procedure d’asilo (ES) (DE) (EN) (FR), al fine di eliminare regimi procedurali eccessivamente disparati negli Stati membri. L’armonizzazione di queste garanzie permetterà di assicurare parità di condizioni di accesso alla protezione nell’Unione europea (UE);
  • modifica della direttiva sulla qualifica di rifugiato, per risolvere il problema delle diverse interpretazioni della direttiva da parte degli Stati membri causato dalla formulazione di alcune disposizioni. La modifica della direttiva permetterebbe inoltre di promuovere l’introduzione di status uniformi (Commissione UE).

Non è vero che l’Europa non è solidale in materia di immigrazione: la Commissione lavora per questo. Sono invece i governi nazionali, e in special modo il nostro, a essere reticenti in fatto di armonizzazione delle normative in merito. La ragione è politica: così come Sarkozy deve fronteggiare Le Pen sul piano del fenomeno migratorio, così Berlusconi deve pagare pegno ai leghisti ben sapendo che l’istigazione alla paura del diverso è un’arma molto redditizia in periodo elettorale (ricordate le elezioni del 2008?).

Invece di adottare un nuovo strumento globale per promuovere la solidarietà tra gli Stati membri, la Commissione intende stabilire una serie di meccanismi di solidarietà. A tal fine, la Commissione proporrà di:

  • lanciare uno studio per valutare le possibilità di trattamento congiunto a livello UE delle domande di asilo;
  • creare gli strumenti per sospendere temporaneamente l’applicazione delle norme di Dublino per il trasferimento dei richiedenti asilo;
  • creare un gruppo di esperti sull’asilo nell’ambito dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, per assistere gli Stati membri nel trattamento delle richieste;
  • elargire finanziamenti per il reinserimento all’interno dell’UE di eventuali beneficiari di protezione internazionale (Commissione UE).

Una più stretta cooperazione europea si fa all’interno delle istituzioni europee, non minacciando fuoriuscite clamorose e dannose per il paese. A Berlusconi, domani a Bruxelles, non basteranno le barzellette per cavarsi d’impiccio. L’Italia è già ai margini della politica europea, ora rischia persino di causare una crisi delle istituzioni dell’Unione, già prima non proprio in buona salute.

Balle a Lampedusa, non ville

Berlusconi non ha comprato nessuna villa a Lampedusa. Sappiate che era una balla di un pessimo clown da circo.

«Conosco il proprietario di quella villa che è una delle più belle di Lampedusa e so per certo che non è stata acquistata da Berlusconi, è una bugia»: lo ha affermato ieri sera Paolo Mieli durante la trasmissione di Raitre, Ballarò.

“Lampedusa? Facciamola diventare un grande Centro di Espulsione”

Dopo il Fora di Ball bossiano, è in atto un concorso pubblico di idee per la risoluzione del “problema” Lampedusa. E qualcuno è giunto a livelli di idiozia mai raggiunti sinora. Naturalmente aspettando lo sbarco di Silvio Forever sull’Isola della Disperazione:

“I più scatenati sono […] gli ex An, che sentono la concorrenza del Carroccio sul tema della sicurezza. La bresciana Viviana Beccalossi è drastica: ‘Io farei evacuare gli italiani da Lampedusa e trasformerei l’intera isola in un grande centro di espulsione’” (IMGPress).

Viviana Beccalossi, ex An, attualmente ricopre l’incarico di vicepresidente e assessore all’agricoltura nella giunta lombarda guidata da Roberto Formigoni.

Ruby, straniera, minorenne e prostituta? Quando l’immigrazione fa bene

Che fine ha fatto la lotta all’immigrazione clandestina? La Lega non sarà soddisfatta dell’operato del (finto) premier. Qui si parla di minorenni marocchine. E le minorenni italiane? Sono forse passate di moda?

Lei si chiama Ruby e ha fatto parte del carrozzone di Lele Mora. Fu portata a bordo di una Mercedes ad Arcore. Lì l’ha vista pure Emilio Fede, che di Mora è amico inseparabile. E’ subito entrata nelle grazie di Papi (sì, ci tocca rispolverare l’ormai desueto nomignolo). Ma quando viene fermata dalla polizia senza documenti, al centro di una lite con la sua coinquilina, lei inizia il suo lungo racconto di soldi e sesso. Scappa più volte dalle case-famiglia gestite da religiose, prima a Milano, poi a Genova, finché non viene interrogata dal pm milanese, Pietro Forno. A quel punto il suo racconto prende la forma di un verbale, un verbale che scotta. Mora manda avanti la figlia per chiedere Ruby in adozione. Sembra che sia stata direttamente la Presidenza del Consiglio, su intercessione della consigliera regionale lombarda, Nicole Minetti, a fare pressione sulla Questura di Milano, quando Ruby viene fermata, affinché non venisse schedata:

Secondo il quotidiano diretto da Ezio Mauro, Ruby viene fermata in Corso Buenos Aires a Milano lo scorso 27 maggio. E’ accusata di furto in casa di un’altra ragazza che l’ha precedentemente ospitata. Ma Ruby non viene né fotografata né identificata. Secondo Repubblica, infatti, alla questura arrivano telefonate direttamente da Palazzo Chigi. Sul posto si precipita anche Nicole Minetti, ex igienista dentale eletta alla Regione Lombardia, ora indagata secondo il quotidiano per favoreggiamento della prostituzione insieme a Emilio Fede e Lele Mora. Sono quasi le tre del mattino del 28 maggio quando le due lasciano la questura. La Minetti chiama immediatamente Berlusconi al telefono. Anche Ruby parla con il premier (Il Fatto Quotidiano).

Stasera, notizia ANSA, la Questura di Milano ha smentito di aver avuto trattamenti di favore verso la giovane. Indirettamente ha però confermato di aver ricevuto la telefonata da Palazzo Chigi.

Intanto si scopre che Emilio Fede e Lele Mora sono indagati, nell’ambito della stessa vicenda, per il reato di favoreggiamento della prostituzione. Fede, poc’anzi, alle 19, è regolarmente in onda, nonostante sia scoppiato lo scandalo. La scaletta del suo telegiornale è una gelida architettura costruita al fine di lamentare la persecuzione giudiziaria nei suoi confronti, nonché in quelli del suo Capo. Parla di Acerra, dell’inceneritore e della visita odierna di Berlusconi; del meteo, di Avetrana e della fuga di notizie (non dei testimoni e avvocati ad uso e consumo delle televisioni); quindi il salto carpiato, il non-detto fra le righe. Le fughe di notizie, questa barbarie. Bisogna stare attenti, intima, poiché si può sapere di essere indagati dai giornali, così, all’improvviso, svegliandosi una bella mattina:

Berlusconi in serata – durante la conferenza stampa di Acerra – ha fatto una mezza ammissione: aiuto da sempre chi ne ha bisogno. Tutto il resto è spazzatura mediatica. Altra spazzatura che non può essere messa negli inceneritori. Pensate, però: il governo, quella sera in cui Ruby viene fermata dalla polizia, si mobilita per salvare una minorenne marocchina. Mentre, quando altri minorenni marocchini sono annegati nel Canale di Sicilia, hanno mandato le vedette della Guardia di Finanza solo per certificare che fossero tutti morti. Minorenni marocchini, nigeriani e quant’altro, soffocano ogni giorno nei Centri di Identificazione ed Espulsione. Per loro il governo ha in serbo solo i legni della polizia. E non parlo di Terzigno e Boscoreale, che nemmeno sono paesi marocchini. Lì, il governo mette la spazzatura. Lo fa con il metodo della forza. E loro, i cittadini, devono considerarlo un aiuto.

Più che la mafia, Berlusconi combatte l’immigrato. A Reggio Calabria nuova contestazione.

Gli immigrati non servono se non a serrare le fila della criminalità. Questa la pronta equazione che sovviene alla mente sentondo Berlusconi parlare dei nuovi provvedimenti anticriminalità, annunciata oggi con il CDM in trasferta a Reggio Calabria.
Il nucleo del discorso risiede in quella frase, che di botto ci offre la fotografia esatta della considerazione governativa dei fatti di Rosarno. Colpa dell’immigrazione clandestina, colpa dell’immigrato irregolare, dell’extracomunitario, che affronta viaggi della disperazione per raccogliere arance per un euro l’ora, se a Rosarno si sfrutta la manodopera irregolare. Se non ci fossero clandestini, disposti a lavorare nei campi per paghe da fame, non ci sarebbero sfruttatori. E’ una logica presa in prestito dal Ministro dell’Interno? Loro pontificano, parlano di lotta alla criminalità, quando i provvedimenti annunciati a Reggio Calabria sono gli stessi descritti mesi orsono: Agenzia nazionale per i beni sequestrati, ri-sequestro dei beni se il mafioso li ricompra, divieto di fiction sulla mafia (meglio che non se ne parli, secondo una logica ancora e sempre omertosa – la mafia? la mafia non esiste, nemmeno a Milano). Una vera e propria “stretta” contro la criminalità organizzata. Così certamente finirà il conflitto Stato-ndrangheta, poiché l’ndrangheta diverrà Stato. E con un tempismo perfetto, al Senato decidono per lo stralcio della norma, contenuta in una legge delega, che serviva a favorire l’emersione dell’immigrato clandestino dal limbo dello sfruttamento attraverso l’assegnazione di permessi di soggiorno temporanei. Ancora schiavitù della maggioranza, che svolge il compito attribuitogli dal governo senza fare una piega. Quanto durerà ancora questo penoso parlamento?
Intanto però a Reggio Calabria si fa nuovamente sentire la contestazione:

così hanno accolto i Ministri in pullman:

Vodpod videos no longer available.

(fonte Il Popolo Viola, gruppo su Fb)

    • Reggio Calabria, 28 gen. – Una piccola contestazione ha accolto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, questo pomeriggio, davanti alla sede del nuovo sistema di gestione delle risorse idriche della citta’ di Reggio Calabria, da lui inaugurata. I contestatori erano una decina di giovani di diverse associazioni cittadine che hanno accolto il Premier con uno striscione sul quale si leggeva: “tessera P2 numero 1816″. La contestazione si e’ ripetuta quando il Presidente ha lasciato la struttura. I giovani hanno scandito slogan antigovernativi.
    • Stop alle norme contro chi fa lavorare immigrati clandestini. L’aula del Senato decide lo stralcio dell’articolo 48 del disegno di legge comunitaria che prevedeva una delega al governo per l’attuazione di una direttiva europea sull’emersione del lavoro nero, comprese sanzioni per i datori di lavoro che impiegano cittadini extracomunitari irregolari.
    • permesso di soggiorno temporaneo per i lavoratori extracomunitari che avessero denunciato alle autorità competenti la loro posizione irregolare e la non applicazione delle sanzioni per i datori di lavoro che, autodenunciandosi, avessero regolarizzato i dipendenti stranieri irregolari
    • Abbiamo fatto un grande lavoro per riassettare tutti gli impianti legislativi. Abbiamo dato il via libera al piano, c’è un codice delle leggi antimafia per favorire una maggiore attività di contrasto
    • la riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno a ingrossare le schiere dei criminali
    • stop alle fiction sulla mafia e lanciando una frecciata ai media: “Questa è l’Italia vera, diversa da quella descritta dai mezzi di informazione”
    • “Per battere la mafia bisogna aggredire il patrimonio mafioso. Metteremo questo obiettivo al centro dell’attività di contrasto. E se i mafiosi ricomprano i beni, noi li risequestriamo un’altra volta”
    • istituisce l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati che si insedierà “entro 15 giorni”
    • “I risultati sui nostri contrasti all’immigrazione clandestina sono molto positivi”
    • “riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno a ingrossare le schiere dei criminali”
    • il governo metterà in atto “un’azione molto forte” sulla Ue che deve farsi carico” dei costi della vigilanza che i paesi costieri sopportano”

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A Rosarno i veri liberi sono i ribelli. Decadenza calabra e nuovi ghetti.

Già: il degrado. Tutta colpa del degrado. Del permissivismo. Certo. A chiudere entrambi gli occhi potremmo anche esser d’accordo. Loro, i rivoltosi, immigrati senza permesso, quindi più delinquenti di quelli che li sfruttano, secondo una logica perversa e autolesionista. Loro, gli unici capaci di (re)agire in una regione, la Calabria, sottomessa al dominio di un’organizzazione criminale. Loro, i neri, loro sono i veri cittadini liberi della Calabria. Poiché alzano la testa dagli agrumeti, dagli slums di cartapesta in cui vengono relegati senza alcuna dignità, e reagiscono con la violenza alla violenza che subiscono.
Cosa riproverare loro? Di aver provocato i disordini? Di aver ferito i passanti in auto? Di aver messo a ferro e fuoco una cittadina? Di aver raccolto agrumi a qualche euro all’ora?

    • «Qui è un macello, un macello», dicono i poliziotti da Rosarno che va a fuoco mentre a Reggio Calabria, 70 chilometri più a Sud, va in scena la parata dello Stato che fa lo Stato con centoventi agenti e sei magistrati in più contro la ‘ndrangheta.
    • Una città italiana brucia, i calabresi sparano agli immigrati e ne feriscono alcuni, gli extracomunitari mettono a ferro e fuoco il paese, danno l’assalto alle auto con donne e bambini, feriscono gli italiani
    • quando fa buio ancora proseguono saccheggi, devastazioni, incendi di auto, infissi sventrati, con nove italiani e sei stranieri feriti, la gente terrorizzata e in fuga che incita gli agenti contro gli stranieri: «Sparategli addosso!», le donne in lacrime, «una cosa mai vista anche se qui di rivolte di immigrate ne vediamo spesso».
    • cinquemila immigrati di 23 diverse nazionalità su una popolazione di 16 mila abitanti, la terza zona d’Italia per densità di stranieri dopo Napoli e Foggia
    • Arrivano per lavorare la terra, per lo più raccogliere gli agrumi della piana di Gioia Tauro. Si stabiliscono in inverno, sono stagionali, poi si sposteranno a nord, direzione Puglia e Campania, per la raccolta dei pomodori
    • vivono in condizioni disumane, accampati nelle fabbriche dismesse o mai completate (qui non mancano entrambe), buttati per terra senza nemmeno un materasso, con un bagno chimico fatiscente per duecento persone, assistiti solo da Libera, Caritas, Medici senza frontiere

Rosarno, Calabria, è la periferia del mondo. Poiché laggiù, nel baratro del sottosviluppo culturale, là è caduta, la Calabria, l’Italia. Chi impugna il fucile per intimidire l’immigrato in rivolta, è colui che smaschera il fallimento della statualità in Calabria. Lo Stato fallisce laddove non c’è né legalità, né diritto. Quel posto è la Calabria. I cittadini di Rosarno dovrebbero camminare fianco a fianco ai ribelli. Non sparargli. E persino l’agente di polizia, il carabiniere, dovrebbe pretendere che lo Stato porti legalità e diritto in Calabria. Sfruttamento della manodopera illegale non è legalità, non è diritto, ma la sua morte. ‘Ndrangheta e nuova massoneria, collateralità della classe politica, disfacimento del sistema sanitario, disfacimento del capitale sociale, truffe alla Comunità Europea, deficit di trasparenza e democrazia, ingiustizia, omicidi ancora impuniti (Fortugno), trasferimento coatto di magistrati che fanno il loro dovere (De Magistris), la sensazione che sia una malattia inguaribile, disfattismo, nessun ricambio della classe politica, sistema politico perfettamente impermeabile alle domande della società ma in osmosi con la classe delinquenziale organizzata, omertà, inquinamento, distruzione del patrimonio naturale, razzismo, sfruttamento, ghettizzazione: da dove cominciare per sanare tutto questo?
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L’attacco a Tettamanzi è un attacco a Fini. Il plotone dei fustigatori.

L’attacco al cardinale Tettamanzi, con manovra a tenaglia – articoli su la Padania e dichiarazioni del (badate bene) ministro Calderoli con effetto amplificativo – non è altro che un attacco a Fini mascherato. L’obiettivo è di gettare la croce sul presidente della Camera per farlo passare come a favore dell’immigrazione clandestina e della criminalità, quindi contro la sicurezza dei "poveri cittadini autoctoni". Si cerca in tutti i modi di acuire lo scontro. Vogliono calare su di esso una cappa di pressione che lo induca a una scelta netta, o lasciare il PdL, o riaccodarsi alla linea del partito. Per contro, dal sito di Fare Futuro i contestatori di Tettamanzi vengono chiamati "cristiani bestemmiatori".
La Lega non ha paura di colpire un cardinale. Prima di loro, l’entourage dei fustigatori mediatici si era sfogato su Boffo, direttore del giornale della CEI, con il silenzio del Vaticano. Papa Ratzinger, in merito all’indecoroso attaco leghista, non ha mosso un ciglio. Se il Vaticano tace, il Vaticano acconsente? I leghisti si sono mossi sapendo di potersi muovere. Il voto dei vescovi è importante per tutto il centrodestra. Di certo non colpiscono a caso. E’ probabile che Calderoli e la Padania avessero già in vista l’attacco a Tettamanzi, solo hanno aspettato l’occasione buona.
Così ha risposto il Cardinale:

"Non sono forse da paragonare a codesti lupi, gli eretici, i quali stanno in agguato presso gli ovili di Cristo, e fremono attorno ai recinti più di notte che di giorno? È sempre notte per gli increduli, i quali, per quanto è loro possibile, si danno da fare per offuscare e oscurare la luce di Cristo con le nebbie di interpretazioni sinistre¨ Stanno a spiare quando il pastore è assente, e per questo fanno di tutto sia per uccidere sia per esiliare i pastori delle Chiese, perchè se i pastori sono presenti, non possono assalire le pecore di Cristo".

La politica di Fini, aperta a riforme della legge sulla cittadinanza che permettano di acquisirla per jus loci immediatamente alla nascita e non solo al raggiungimento dei diciotto anni, insieme alle proposte di attribuire agli immigrati il diritto di voto almeno alle elezioni amministrative, oltre alla questione ancora aperta e "fumante" della esclusione del reato di immigrazione clandestina dalla normativa sul "processo breve", ha scavato un solco fra l’ex leader di AN e i leghisti, un solco talmente profondo che prima o poi sfocerà in una resa dei conti. Attendiamo questo momento.

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    • Calderoli affonda il colpo. Il ministro per la Semplificazione ha dichiarato, in un’intervista a Repubblica, che «Tettamanzi con il suo territorio non c’entra proprio nulla. Sarebbe come mettere un prete mafioso in Sicilia». Il leghista si è poi domandato «Perchè Tettamanzi non è mai intervenuto in difesa del crocifisso? Perchè parla solo dei rom?»

    • Le dichiarazioni del ministro hanno innescato un’aspra polemica. Le reazioni del mondo politico non si sono lasciate attendere. Massimo Cacciari ha dichiarato: «La Lega non sa di cosa parla, c’è una totale ignoranza sui fondamenti del cristianesimo. Pensare di trattare lo straniero come nemico è frutto della colossale ignoranza di questa gente». E ha aggiunto: «Per loro dire "imam" è un insulto. Queste persone possono provocare danni pazzeschi, e mi sembra che questo paese non capisca il rischio che stiamo correndo con forze politiche di questo genere al governo»

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    • Lo aveva previsto Paolo D’Andrea sul Secolo d’Italia di qualche giorno fa: «I fucili sono carichi già da tempo contro il cardinale Dionigi Tettamanzi: basterà un accenno “buonista” agli immigrati, un riferimento “pauperista” alla crisi e all’expo 2015, un richiamo “sincretista” agli islamici, a scatenare fatalmente la pioggia di fuoco già preparata per lui dal plotone dei fustigatori da talk show, dei tronisti della vera dottrina e del vero cristianesimo, dei piccoli Torquemada da corsivo indignato»

    • Non sono piaciute le critiche del cardinale Tettamanzi alla recente raffica di sgomberi che ha messo sulla strada 250 rom di un accampamento abusivo alla periferia di Milano

    • il cardinale non si occupa di quel «che teoricamente dovrebbe interessare di più la chiesa, cioè la sentenza europea sul crocefisso, l’avanzata dell’Islam che reclama sempre più privilegi senza fare alcuna menzione dei doveri, la crisi delle vocazioni»

    • la politica si arroga il diritto di utilizzare la religione come carta d’identità, come facile strumento per riempire la propria vuotezza

    • Questo succede quando la politica prende in prestito la fede per farne uno strumento di odio e di divisione

    • si arriva a pretendere che la religione si adegui alle regole perverse della politica, perda l’universalità per occuparsi del contingente, perda l’altruismo per rifugiarsi nel più bieco individualismo

    • Li definiscono “cristianisti” ma, in fondo, sono semplici bestemmiatori, mercanti di paura che cacciano Gesù dal tempio, svuotando la fede di qualsiasi senso religioso

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Immigrazione, il cambio di paradigma. Peones eretici e ius solis

La proposta di legge di riforma del diritto di cittadinanza presentata dal duo Sarubbi-Granata, peones (pedoni) pigia tasti secondo La Russa, e invece due coraggiosi che superano le barriere divisorie fra opposizione e maggioranza per un testo che modifica la legge sulla cittadinanza, quella italiana così restrittiva e escludente da rappresentare in Europa un unicum in senso negativo, ha fatto il botto.
Il loro intervento in un ambito che ha molti punti di tangenza con un altro di esclusiva pertinenza della Lega, la regolazione dei flussi migratori, ha avuto l’effetto immediato di creare grandi tensioni, nell’uno e nell’altro schieramento. Nel PD non c’è stata quella levata di scudi in difesa dell’opera di Sarubbi che ci si sarebbe, almeno in minima misura, aspettati: questo perché l’immigrazione è un altro terreno di divisione interna per il quale si forniscono risposte ambigue e vagamente simili nei toni a quelli usati dalla Lega (a proposoto, perché mai andare alla sorgente del Po? che diamine serve piantare una bandierina in mezzo alle rocce? la bandiera, il PD, dovrebbe innanzitutto piantarla in se stesso – ma questa è un’altra storia), per non scontentare quell’ipotetico elettorato del Nord, poco incline a politiche sinistrorse di acquiescenza verso i clandestini.
Anche Ignazio Marino oggi si è espresso in favore dello ius solis, il criterio di attribuzione della cittadinanza sulla base dell’essere nati su territorio italiano. Secondo Marino, ciò dovrà avvenire nel contempo alla estensione della sfera dei diritti sociali, che contemplano l’accesso alle cure mediche, almeno nel loro corpus esenziale, le quali non possono essere negate nemmeno ai clandestini, poiché essi in quanto uomini sono titolari del diritto inalienabile della dignità della persona.
In questo contesto, le posizioni di Fini appaiono come una sponda essenziale e insperata: il Presidente della Camera sostiene una linea politica che nel PDL è eretica e destabilizzante. In questo senso, il suo processo di avvicinamento verso posizioni liberali e democratiche si rafforza e consolida. Ma nel contempo si avvicina il momento della scissione e della crisi di governo.

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    • Qualità e innalzamento dei servizi, regole e solidarietà: questo sono le vere risorse per fronteggiare, con sicurezza e serenità, i grandi flussi migratori. Serve una massima durezza contro illegalità e crimine e al tempo stesso occorre facilitare il processo per regolarizzare le tante migliaia di brave persone che sono indispensabili all’Italia e che cercano lavoro e futuro.
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    • una mia proposta di legge, infatti, sta spaccando come un cocomero i miei avversari politici
    • ho scelto di fare politica per motivi più nobili, preferirei di gran lunga che il Pdl fosse compatto e che la mia legge sulla cittadinanza passasse all’unanimità
    • Invece no, sarà durissima, e ieri – quando Fini ha ribadito di non accettare scomuniche preventive, chiedendo che si aprisse un dibattito reale – ho avuto un assaggio di quello che sarà: i contenuti della legge stanno già passando in secondo piano, a partire dalle cronache di molti giornali, di fronte alla manovra politica
    • siccome è questa a spaventare il Pdl, le reazioni non sono quasi mai ragionate, ma spesso scomposte, se non addirittura violente: come quella di Ignazio La Russa, che ha tentato di liquidare il tutto come “un’iniziativa di peones“, letteralmente “pedoni degli scacchi”, in gergo politico ”parlamentari di seconda o terza fila, magari nuovi o poco conosciuti, eletti per schiacciare i bottoni in Aula e stare zitti”
    • dal ministro della Difesa non mi aspettavo un nonnismo da caserma, ed ho chiesto a La Russa se siano da considerarsi peones pure Fini e Franceschini (ma avrei potuto aggiungere Casini e Di Pietro, e mi dispiace non averlo fatto), visto che sulla proposta di legge sono d’accordo anche loro
    • pure Alessandra Mussolini, anche lei tra i firmatari
    • Fabio Granata (letteralmente massacrato dal fuoco amico, per aver osato promuovere una proposta di legge con un deputato dell’opposizione) c’è andato giù pesante, rispondendo che – in quanto peón vicepresidente della Commissione antimafia – avrebbe dovuto essere almeno consultato sul capitolo dello scudo fiscale relativo al riciclaggio di denaro, che lo preoccupa molto
    • Volano stracci, insomma
    • il duo Gasparri-Quagliarello, infatti, mescola l’astio verso Fini con la paura di far arrabbiare la Lega
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    • Lo scorso 23 settembre è stata presentata una proposta di legge bipartisan che mira a riformare la legge sulla cittadinanza attualmente in vigore in Italia (legge n.91 del 1992). I primi firmatari sono l’On. Granata (Pdl) e l’On. Sarubbi (Pd
    • i sottoscrittori della proposta sono 50 deputati, dieci dei quali appartenenti anche all’Udc e all’Idv.
    • si tratta di una proposta di legge “quadripartisan”
    • Questa è la quarta legislatura consecutiva che prova a modificare la normativa sulla cittadinanza
    • se letta in prospettiva comparata, la legge n. 91/92 costituisce un unicum nel panorama internazionale, che ad avviso di molti non brilla proprio per essere up to date
    • in un momento storico in cui i criteri “etnici” sembrano ormai seppelliti da quelli “culturali”, la nostra legge sulla cittadinanza si presenta totalmente sbilanciata sulla trasmissione “per sangue” (ius sanguinis) e “per matrimonio” (ius connubii)
    • le altre due modalità classiche – e non collegate a “sangue” e “famiglia” – per acquisire la cittadinanza, ossia lo ius soli (mediante nascita sul territorio di un paese) e lo ius domicili (mediante lunga residenza sul territorio di un paese) risultano fortemente limitate dalla legge n. 91, al punto da poterla considerare su questi fronti la normativa più restrittiva se confrontata con gli altri stati membri dell’Ue a 15 (ma forse anche a 27)
    • La proposta di legge Granata-Sarubbi apporterebbe diversi miglioramenti alla normativa in vigore. Prima di tutto, ridurrebbe i termini per l’acquisizione della cittadinanza mediante ius soli, prevedendo che «il minore nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno legalmente soggiornante da almeno 5 anni e attualmente residente, possa diventare cittadino italiano, previa dichiarazione di un genitore da inserire obbligatoriamente nell’atto di nascita»
    • A oggi, chi nasce in Italia da genitori stranieri deve aspettare il compimento del 18esimo anno di età per poter richiedere la cittadinanza italiana differita, mediante dichiarazione esplicita. E quei 18 anni devono essere continuativi e sempre in condizioni di regolarità. Nessuno tra i paesi con i quali siamo soliti confrontarci pone altrettante restrizioni alla cittadinanza via ius soli.
    • diminuzione da 10 a 5 degli anni di residenza regolare previsti per chiedere la cittadinanza con il criterio dello ius domicili.
    • la proposta di legge introduce dei criteri qualitativi per valutare la reale integrazione e la reale volontà dello straniero di diventare cittadino italiano. «Sono previste, pertanto, la verifica della residenza attuale e della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero. Infine, è previsto un giuramento di osservanza della Costituzione e di rispetto dei suoi valori fondamentali
    • la logica di fondo che guida questa proposta e che ci pare assolutamente condivisibile. Si tratta di quella che la relazione introduttiva della proposta definisce «una svolta paradigmatica nella concezione del meccanismo di attribuzione della cittadinanza in Italia, passando da un’ottica “concessoria e quantitativa” a un’ottica “attiva e qualitativa”.
    • La cittadinanza deve diventare per lo straniero adulto un processo certo, ricercato e formativo; il punto di arrivo di un percorso di integrazione sociale, civile e culturale e il punto di partenza per il suo continuo approfondimento
    • la normativa attualmente in vigore condiziona l’attribuzione o meno della cittadinanza mediante ius soli, ius domicili e ius connubii a meri indicatori quantitativi, per l’esattezza mere indicazioni temporali. E non prevede alcuna eccezione ai termini previsti per casi in cui sia dimostrabile un’effettiva integrazione o un’effettiva volontà di aderire alla comunità nazionale italiana
    • mi pare quantomeno discutibile che le parti più “identitarie” della nostra classe politica preferiscano attribuire la cittadinanza dopo 10 anni a chi non dimostra neanche di conoscere l’italiano, piuttosto che attribuirla a coloro che dimostrano con indicatori qualitativi la loro volontà – esplicita e confermata dai fatti – di diventare cittadini del nostro paese
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    • Legge sulla cittadinanza. Proviamo a seguire, per un attimo solo, i parametri che tanto piacciono a qualche nostalgico di professione.
    • Proviamo allora a ragionare seguendo categorie come destra e sinistra
    • è più di destra concedere la cittadinanza a tutti indistintamente dopo dieci anni, oppure se sia più di destra concederla a chi la desidera dopo cinque anni.
    • Se sia più di destra l’egualitarismo del “tutti italiani” o se lo sia di più considerare italiano solo chi lo vuole essere, solo chi dimostra di parlare la lingua, di conoscere la storia, di rispettare i valori.
    • se sia più di destra la burocrazia temporale (quella che abbiamo oggi) oppure il discernimento valoriale, previsto dalla proposta di cui si sta discutendo in questi giorni
    • “la normativa attualmente in vigore condiziona l’attribuzione o meno della cittadinanza mediante meri indicatori quantitativi, per l’esattezza mere indicazioni temporali. E non prevede alcuna eccezione ai termini previsti per casi in cui sia dimostrabile un’effettiva integrazione o un’effettiva volontà di aderire alla comunità nazionale italiana
    • E’ di destra una legge siffatta? Non sembra proprio. Anzi, sembra tutt’altro, perché non dà nessun significato alla cultura, alla storia di un popolo
    • Sono quesiti che, diciamolo per correttezza, consideriamo alquanto inutili, quasi ridicoli.
    • Ma sono al tempo stesso nodi da sciogliere
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    • ONU, MIGRANTI TRATTATI COME RIFIUTI PERICOLOSI – L’Alto commissario cita il caso del gommone di eritrei rimasto senza soccorsi tra la Libia, Malta e Italia, ad agosto. E spiega che “in molti casi, le autorità respingono questi migranti e li lasciano affrontare stenti e pericoli, se non la morte, come se stessero respingendo barche cariche di rifiuti pericolosi”. Oggi, aggiunge, “partendo dal presupposto che le imbarcazioni in difficoltà trasportano migranti, le navi le oltrepassano ignorando le suppliche d’aiuto, in violazione del diritto internazionale”.

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In Italia esiste la pena di morte. Sono i respingimenti.

Chi commette il reato di clandestinità, non ha fatto nulla, ma è colpevole per il solo fatto di essere, di esistere in un luogo dove la sua presenza non è possibile. La politica dei respingimenti viene applicata a questi non-individui, in quanto in-esistenti, non esseri umani ma cose, che vengono deportate in Libia e lì consegnate al sistema carcerario che provvede al loro smaltimento. L’organizzazione che se ne occupa è di tipo burocratico-industriale: numera, schematizza, procede per processi standardizzati, soltanto che l’output richiesto è una sorta di igienizzazione etnica.

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    • Un laccetto di cuoio bagnato, stretto al collo del prigioniero, incatenato e abbandonato al sole per un giorno. Il sole asciugherà gradatamente il laccetto di cuoio, portando al soffocamento.
    • Dipende dall’ora in cui si ricordano di liberarti, dipende dai tentativi folli di liberarti da solo se la sera ti raccolgono vivo per ributtarti nella cella senz’aria e senza luce, tre metri per tre, dodici o quindici persone o se buttano un altro corpo di clandestino consegnato alla Libia nella fossa comune, nel deserto intorno al centro di detenzione infinita di Cufra.
    • Un bastone dietro le gambe, all’altezza delle ginocchia. Ti forzano a tenerlo con le mani legate, restando però piegato, ma in piedi. Finché resisti. Poi cadi come capita: di faccia, di schiena, di fianco e resti abbandonato sotto il sole – vivo o morto – fino alla notte.
    • È il racconto reso di fronte alle telecamere di Rai3 da prigionieri sopravvissuti al tormento libico, quasi sempre con la corruzione o la fuga. Lo ha visto tutta l’Italia la sera del 6 settembre, nella trasmissione-denuncia “Respinti” di Riccardo Iacona.
    • I prigionieri di questa terribile storia sono i “respinti in mare” da militari italiani
    • il trattato di amicizia e integrazione militare tra Italia e Libia nel giugno del 2009. E’ il trattato in base al quale l’Italia paga la Libia per affondare i barconi dei disperati, per proibire ai pescatori italiani di aiutarli (pena l’accusa di essere mercanti di schiavi) per ordinare a Marina Militare Italiana e a Guardia di Finanza di “soccorrere” i naufraghi – bambini e donne incinte comprese – per riportarli in Libia.
    • In Libia li aspettano, per un tempo infinito e senza che alcuna autorità internazionale intervenga, le carceri di Gheddafi, la tortura, la morte. Il tutto votato dal Parlamento Italiano ed eseguito dal ministro dell’Interno Maroni.
    • Questa spaventosa serie di eventi è un investimento. Accumula, attorno all’Italia e contro ciascuno di noi, un vasto giacimento di odio. Infatti provoca disperazione, dolore, insopportabili (benché rare, tenute nascoste) immagini di esseri umani, che si aggrappano inutilmente alle mani di un soldato italiano invocando pietà, supplicando di non essere spinti a terra, in Libia.
    • Immagini di bambini e di donne incinte che – in base ad ogni legge non si possono respingere – consegnati agli sgherri di Gheddafi
    • tutto ciò avviene sotto la bandiera italiana di una nave che aveva finto il soccorso
    • nella “soluzione finale” dell’immigrazione secondo i leghisti, secondo i libici, le carceri sono contenitori stipati e bui, in un caldo infernale e quasi senza cibo, e la detenzione infinita è segnata dalla tortura, lo sventolare nell’aria fresca del Mediterraneo di un tricolore resta l’ultima immagine, la morte della speranza
    • L’odio che l’Italia sta seminando tra chi sopravvive nel mondo povero sarà immenso.

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Sondaggio di domenica 23 agosto




(Questo sondaggio non ha alcun valore statistico. Si tratta di una rilevazione aperta a tutti, non basata su un campione elaborato scientificamente, con l’unico scopo di permettere ai lettori di esprimere la propria opinione su temi di attualità).

Il gioco mortale dei respingimenti. Quando la vita di un africano non conta nulla.

Bossi non cede nemmeno di fronte ai cadaveri gonfi dell’acqua del canale di Sicilia che mai si troveranno. Non cede di fronte ai racconti di morte dei tre superstiti di origine eritrea. Non cede nemmeno di fronte ai vescovi – sono già pronti i media del padrone a dire, ma quelli non sono veri vescovi. Bossi non cede. Piuttosto impone al governo di versare milioni di euro a Gheddafi, piuttosto manda Maroni e Frattini a dire alla tivù che è tutta colpa dei maltesi, questo piccolo paese dove tutti gli africani aspirano ad andare.
Qui di seguito alcuni interventi, di cui l’ultimo rappresenta quello più discutibile per l’impostazione da amarcord del colonialismo che è stata data dal giornalista del Corriere (del genere “come se la spassavano gli eritrei al tempo della guerra d’Etiopia e dell’occupazione italiana” – nonsense).

  • Sull’immigrazione e l’accoglienza – Ignazio Marino.
    ‘Mi rifiuto di pensare che si debbano cacciare con la navi militari delle persone senza sapere se a bordo di quel barcone c’è una donna incinta o un bambino ferito. Non è questa la nostra tradizione, non è questa la nostra cultura’.
    ‘La nostra cultura è quella che così bene si è dimostrata in Calabria con l’accoglienza dei curdi in paesi come Riace, dove mostriamo cosa sappiamo fare nei confronti di chi e’ meno fortunato di noi’.
    ‘Su questo argomento la nostra mozione si è espressa con molta chiarezza. Sono rimasto sbigottito quando, in occasione del primo respingimento in mare, diverse settimane fa, tre grandi leader del Pd hanno dato tre visioni diverse: uno ha detto che era d’accordo con Maroni, uno che era assolutamente contrario ed un altro ha preso una via di mezzo’.
    ‘Il nostro è un popolo che riconosce il lavoro, il sacrificio, il risparmio, la solidarietà e non possiamo trovare la soluzione al problema dell’immigrazione rigettandoli in mare’.

Tito Boeri, oggi su Repubblica, ricorda che «l’unico merito del reato di immigrazione clandestina è l’aver messo in luce in modo ancora più stridente le ipocrisie delle nostre leggi sull’immigrazione». E aggiunge: «Se non vogliamo diventare il paese non solo dei condoni, ma anche delle sanatorie permanenti degli immigrati, abbiamo il dovere oggi di riformare le politiche dell’immigrazione, scegliendo chi vogliamo che venga da noi e chi no in base alle sue qualifiche (abbiamo meno della metà degli immigrati laureati degli altri paesi europei), alla sua conoscenza della lingua italiana o altri criteri da definire dal legislatore in modo trasparente, permettendo a questo qualcuno poi di cercarsi un lavoro regolarmente mentre è già da noi». Per superare «la finzione che gli immigrati possano venire selezionati e assunti prima ancora di entrare nel nostro paese, come se potessimo far funzionare in Burkina Faso quel servizio di collocamento pubblico che non riesce a trovare un lavoro a chi lo cerca neanche in Italia».

  • L’articolo è forse un po’ tenero con l’Italia che fu, l’Italia del ventennio che combatté la guerra d’Etiopia con i gas, utilizzando manodopera eritrea. Anche in memoria di quei poveri eritrei che l’Italia mandò a morire in nome di non si sa cosa, è doveroso soccorrere questo popolo. Aggiungo che dovrebbe essere altrettanto doveroso per l’Italia, quella di oggi, quella che applica la dottrina dei respingimenti e gioca su fb insieme al figlio di un ministro, soccorrere in maniera altrettanto repentina qualsiasi imbarcazione di disperati che solca il canale di Sicilia. Dovrebbe, questo paese, riconoscere il fallimento delle proprie politiche di immigrazione e della legge che le regolamenta (la cosddetta Bossi-Fini, un campionario di ciò che non si deve fare in materia di immigrazione).

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    • Due punti non dovrebbero essere in discussione: la moderna tratta degli schiavi tra la Libia e l’isola di Lampedusa va interrotta; non per questo i naufraghi che sfuggono al pattugliamento, chiunque siano, possono essere lasciati morire in mare.
    • emergono— e non per la prima volta— pesanti responsabilità di marinai maltesi
    • Se c’è un popolo che noi italiani abbiamo il dovere storico e morale di soccorrere, è il popolo eritreo. Perché della storia e dell’identità italiana, di cui finalmente si discute senza pregiudizi, gli eritrei fanno parte da oltre un secolo; così come noi apparteniamo alla loro, al punto da averla plasmata.
    • Il nome stesso — Mar Eritreo era per i greci il Mar Rosso—fu suggerito a Francesco Crispi da Carlo Dossi, capofila della scapigliatura lombarda e collaboratore dello statista siciliano.
    • senza l’intervento del nostro esercito e della nostra amministrazione, forse non sarebbe mai esistita come unità politica e culturale, e le tribù che abitavano l’altopiano sarebbero rimaste per sempre alla mercé dell’impero abissino
    • Basta sbarcare all’Asmara per toccare con mano il profondo legame che ancora unisce gli eritrei all’Italia, dai caffè ai modi di dire, dall’urbanistica alla toponomastica, che celebra nomi in Italia dimenticati, i testimoni antichi del nostro mal d’Africa cui erano dedicati i battaglioni eritrei
    • Da quasi vent’anni, come ha documentato sul Corriere Massimo A. Alberizzi, l’Eritrea è schiacciata dal tallone di Afeworki, l’uomo che parve un liberatore e si è rivelato un aguzzino del suo popolo, sfiancato da una guerra impari con l’Etiopia. È normale che, alla ricerca di un Paese d’asilo, gli eritrei guardino all’Italia, dove già vive una comunità molto attiva.
    • Salire sulle imbarcazioni degli scafisti criminali non può essere il modo di raggiungere le nostre coste.
    • Questo non ci esime dal dovere di accordare soccorso e, se del caso, asilo; tanto più se alla deriva sono i discendenti dei nostri antichi fratelli d’arme.

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