#Impeachment Napolitano | Fine del Movimento 5 Stelle

La doppia escalation della virulenta pratica parlamentare dell’ostruzionismo, sommata alla presentazione della Messa in Stato d’Accusa contro Giorgio Napolitano, segnano la fine del Movimento 5 Stelle come lo avevamo conosciuto. Già, perché il M5S doveva riportare la politica alla dimensione collettiva della partecipazione e pertanto rimettere al centro i problemi del vivere comune: l’ambiente, la gestione del suolo, la lotta alla criminalità organizzata, i beni pubblici, l’acqua, le fonti energetiche, e via discorrendo. Ora troviamo un gruppo di parlamentari che ogni santo giorno di questa XVII Legislatura combatte una guerra verbale e finanche fisica, una guerra di parole fuori posto, esagerate e offensive, che hanno sì l’effetto di bucare il sistema comunicativo e di farlo impazzire guadagnando una visibilità sconosciuta, ma anche quello di svilire pesantemente la propria iniziativa politica.

In questo contesto, il documento della Messa in Stato d’Accusa di Napolitano segna il discrimine fra razionalità e irrazionalità del Movimento. E’ il documento con il quale i 5 Stelle dimostrano di aver perso di vista il mondo reale e si fanno controparte di una classe politica impedita a vedere oltre la siepe delle battaglie di Palazzo. Le accuse contro Napolitano hanno il difetto di essere inconsistenti, a tratti errate, poggianti su mere considerazioni o, peggio, su ricostruzioni giornalistiche non verificabili. La lettura del documento vi lascerà esterrefatti, tante sono le inesattezze e le forzature. E sarete permeati dall’idea che esso sia stato presentato al solo fine di giustificare i prodotti della comunicazione politica, vale a dire i filmati esplicativi molto aggressivi e i post del blog, studiati con l’intenzione di narrare il sospetto, il complotto. Il documento non vale nulla (o quasi), eppure diventa una arma formidabile nella produzione del consenso verso il Movimento 5 Stelle. Napolitano è al secondo mandato presidenziale, fatto quantomeno irrituale nel nostro ordinamento. Lo abbiamo scritto anche su questo blog. Ma Napolitano ha operato in una certa fase della politica italiana, quella dei giorni delle dimissioni di Berlusconi e del rischio di commissariamento da parte di Bruxelles. Gli si potrà rimproverare tutto, da un punto di vista politico. L’operazione dei 5 Stelle tenta di trasformare un giudizio politico in giudizio tecnico-costituzionale: un rischio, tanto più che il dibattimento avverrà in Parlamento, laddove i 5 Stelle sono una minoranza auto-balcanizzatasi, isolata nel proprio circuito di autoreferenzialità.

Le accuse. Analizzo qui di seguito alcuni dei capi d’accusa sollevati contro il Presidente.

1. Espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e abuso della decretazione d’urgenza: i 5 Stelle accusano il Presidente Napolitano di aver favorito questa deriva. Va da sé che il Capo dello Stato non ha potere di influenzare questa tendenza (il potere di rinvio è limitato): ma Napolitano si è più volte espresso con messaggi contro l’abuso della decretazione d’urgenza, come lo scorso Agosto 2012 quando, durante la discussione del decreto sulla Spending Review, scrisse al governo Monti ricordando che “il costante ricorso alla decretazione d’urgenza e alla posizione di questioni di fiducia è prassi non ammessa dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che definisce questa evenienza come un uso improprio, da parte del Parlamento” (infooggi.it). Non è quindi razionale accusare Napolitano di una prassi adottata dal Parlamento, specie quando la medesima prassi è stata più volte denunciata da lui stesso.

3. Mancato esercizio del potere di rinvio presidenziale: per sostenere questa accusa, il perimetro dei provvedimenti analizzati è ristretto ad alcuni atti dei governi Berlusconi dichiarati poi incostituzionali, totalmente o parzialmente, dalla Corte Costituzionale. Napolitano avrebbe la colpa grave di aver promulgato leggi incostituzionali. Ma i 5 Stelle qui confondono quello che Stefano Ceccanti chiama ‘controllo preventivo e astratto’, proprio perché agisce quando la legge non è ancora applicata e quindi ancora non esiste alcune fattispecie concreta che possa mettere in luce l’incostituzionalità. Fra l’altro, il potere di rinvio non si configura come un vero e proprio controllo preventivo, dal momento che il Capo dello Stato non può sollevare la pregiudiziale in seno alla Consulta, ma può solamente rinviare il provvedimento alle Camere con un messaggio di motivazione, e per giunta respingendolo una sola volta. Tuttavia, nel corso del suo primo mandato, Napolitano ha esercitato questo potere in talune circostanze, fra le quali figura il rinvio alle Camere del Decreto Milleproroghe, nel Febbraio 2011, poiché le norme che introduceva “per la loro ampiezza e eterogeneità” si ponevano “in contrasto con la Costituzione”. Quindi Napolitano agiva contro un decreto omnibus, proprio ciò che oggi i 5 Stelle indicano come capo d’accusa contro lo stesso Presidente.

2. Riforme della Costituzione e della legge elettorale: qui si accusa il Presidente di aver “incalzato e sollecitato” il Parlamento all’approvazione della riforma dell’articolo 138. Come ben saprete, la riforma del 138 è naufragata con le Larghe-Larghe intese, ed era forse ben chiaro a tutti i parlamentari che la medesima non sarebbe mai stata approvata. Non solo, ma come abbiamo più volte scritto su questo blog, la surreale riforma del 138 prevedeva l’istituzione del Comitato dei Quaranta che a sua volta avrebbe dovuto seguire una speciale procedura per l’approvazione di altre ulteriori imprecisate riforme costituzionali, tutte egualmente sottoponibili a referendum popolari. Curioso che il potere prevaricante di Napolitano abbia prodotto questo (cioè il nulla). Secondo i 5 Stelle, il Napolitano Presidenzialista – come giustamente rileva Stefano Ceccanti – sarebbe colpevole di una riforma che non è mai stata approvata. Paradossale, non è vero?

Tralascio la questione delle intromissioni nelle indagini correlate al processo sulla Trattativa Stato-mafia, sul quale vi è una pronuncia della Consulta che ha dato ragione a Napolitano (sentenza n. 1/2013); sul potere di attribuire la grazia posso aggiungere che il Presidente, in tale decisione, può essere motivato anche da ragioni politiche:

Il Legislatore, predisponendo il testo del Codice di procedura penale del 1988 ha regolato all’art. 681 i provvedimenti relativi alla grazia, rammentando che essa “assolve una funzione correttivo-equitativa dei rigori della legge, ma ha anche, e sempre più, il ruolo di strumento di risocializzazione alla luce dei risultati del trattamento rieducativo” (cfr relazione al progetto preliminare), pur non senza dimenticare “le altre e diverse funzioni, di rilievo anche politico”, proprie dell’istituto (cfr. relazione al progetto definitivo) –  di Roberto QuintavalleCassazione Penale, Anno XLI Fasc 11 – 2001.

Di fatto, tali erano le decisioni nei casi citati, vale a dire la clemenza verso il giornalista Sallusti e quella erogata a Joseph L. Romano, colonnello USA, che ai tempi della extraordinary rendition contro Abu Omar, nel 2003, era responsabile statunitense della sicurezza della base di Aviano, dove sostò l’aereo che portò l’ex imam in Germania e da lì in Egitto. Entrambi i provvedimenti di clemenza sono motivati da ragioni di opportunità politica, specie il secondo caso, in grado – in potenza – di far esplodere una crisi diplomatica con gli USA.

In ultima analisi, è curioso che, a parte il caso citato della riforma del 138 (la rielezione non è un atto del Presidente), tutti gli altri atti contestati risalgono al precedente settennato. Va da sé che, se Napolitano non fosse stato rieletto, tali accuse non sarebbero mai state formulate né formalizzate. Aspetto già sufficiente a capire la natura artificiosa di codesta operazione.

Il testo dell’impeachment.

Impeachment Cossiga, Napolitano si oppose

Da qualche giorno, Beppe Grillo e con lui il movimento 5 Stelle, annuncia l’iniziativa – fine a sé stessa – di chiedere l’impeachment per Giorgio Napolitano. A suffragio di questa volontà, tutta partorita del Vertice del Movimento, motivata in qualche piazza a suon di slogan, Grillo ha citato il testo del documento con il quale il Pds di Achille Occhetto chiese la messa in stato d’accusa per Francesco Cossiga, il presidente picconatore. Era il 1991 e da pochi mesi era stata scoperta la formazione paramilitare segreta e clandestina, Gladio, di cui Cossiga era a conoscenza della sua esistenza sin da quando era ministro dell’Interno (1976).

La citazione è stata portata per insinuare nell’ascoltatore meno attento il dubbio sulla coerenza della figura dell’attuale presidente della Repubblica: se nel 1991 il Pds, quindi Napolitano, accusavano Cossiga di attentato alla costituzione per aver tentato di interferire “illegalmente nelle attività del legislativo, dell’esecutivo e del giudiziario”, e di aver avviato “l’esercizio di una propria funzione governante”: che è “inammissibile”e “autoritaria”, allora quelle stesse parole dovrebbero valere oggi contro il medesimo Napolitano, esso stesso fautore di indicibili intromissioni verso gli altri poteri dello Stato, specie quello giudiziario (caso trattativa Stato-mafia e telefonate con Nicola Mancino). Strillava il Comico: Napolitano lo chiese per Cossiga, l’impeachment: e noi per lui.

Peccato ci sia un errore storico grande come una casa. A parte il fatto che la richiesta della messa in stato d’accusa del Pds non giunse nemmeno al voto, Napolitano non era affatto d’accordo con la linea politica di Achille Occhetto. Napolitano espresse il suo dissenso nei confronti dell’allora segretario del partito telefonando a Bettino Craxi. Il contenuto di quella telefonata fu parzialmente divulgato dallo staff del segretario socialista. Secondo tale ricostruzione, Napolitano addirittura diede del pazzo ad Occhetto.

La Stampa, 23/11/1991

La Stampa, 23/11/1991

Napolitano, esponente dell’area dei riformisti, si opponeva alla linea politica più intransigente che da Ingrao passava per Occhetto. L’impeachment faceva parte di una strategia politica che prevedeva anche la sfiducia nei confronti del governo Andreotti . In questa seconda intervista, datata 27/11/1991, il dissenso di Napolitano divenne così palese da non poter più essere ignorato. Ed era la sua una tattica così sopraffina che alla fine vinse poiché Cossiga non fu mai messo sotto accusa ma si dimise, come effettivamente prospettato da Napolitano:

La Stampa, 27/11/1991

La Stampa, 27/11/1991

 

Impeachment Beppe Grillo

Capita quando in un gruppo si verificano profonde rotture nel comune sentire. Capita che il vertice annulla il confronto e punta l’indice verso un conflitto esogeno. Se ne ha i mezzi, il conflitto lo produce esso stesso. Così è successo in queste ore nel Movimento 5 Stelle. Due senatori promuovono un emendamento che cancella una norma di legge frutto di un ventennio di propaganda antimigranti, una norma che trasforma una condizione provvisoria della persona, l’essere senza una casa, senza una patria, in un reato. In una paese civile, non solo una norma simile non sarebbe esistita, ma chi fosse stato in grado di abrogarla si sarebbe meritato menzioni di merito sui giornali, specie dal proprio capo di Partito.

Maurizio Buccarella e Andrea Cioffi sono due senatori leali nei confronti del vertice. Sono soprattutto competenti in materia e nella fattispecie si sono dimostrati molto abili ad ottenere il sostegno di PD, Sel e Scelta Civica, persino il sostegno del relatore che rappresenta il governo. Lo spregio della rettifica a mezzo blog è tremendo. La mannaia del capo si è calata su di loro. Inaccettabile, dicono in molti, all’uscita dalla riunione di ieri dei parlamentari. I pasdaran Di Battista, Sibilia, Di Stefano, Crimi, Morra, Lombardi fanno fatica a tener testa al dissenso. Non c’è stata nessuna deliberazione, cosa che accade quando la maggioranza ce l’hanno gli altri. Di fronte ad una spaccatura simile, il Capo dovrebbe accettare l’esito dell’aula e lasciare ogni ruolo e funzione all’interno del Movimento. Ovviamente ciò non gli passa neanche per l’anticamera del cervello.

Il blog di Grillo oggi ospita il redivivo Becchi e lancia la campagna dell’impeachment contro Napolitano, 88 enne Capo dello Stato, reo di aver inviato la missiva alle Camera sulle inaccettabili condizioni del sistema carcerario italiano, emergenza sempre aperta e irrisolta poiché da venti anni la politica si occupa d’altro. L’impeachment, se deve esserci, i 5 Stelle dovrebbero votarlo contro il proprio fondatore e leader. Una polemica, quella contro Napolitano, creata nel Movimento con il preciso scopo di incanalare nuovo odio, nuova indignazione. Di questo si nutre il blog. Non c’è niente altro. Le proposte politiche sono tacciate di essere contro la volontà popolare, soltanto perché sono iniziative che nascono nell’ambito delle istituzioni rappresentative. La democrazia diretta di Grillo vive del plebiscito perpetuo fondato su una continua sollecitazione alla polarizzazione dello scontro. Il dualismo Popolo-Casta, ovvero l’archetipo schmittiano dell’Amico-Nemico, dialettica della politica come guerra.