Cosa ha detto Napolitano sull’agibilità politica di Berlusconi

L’attesa nota del Presidente della Repubblica Napolitano circa la cosiddetta ‘agibilità’ politica di Berlusconi (che, come saprete, da condannato in via definitiva, è politicamente inagibile) è la riaffermazione del programma di governo che egli stesso ha consegnato a Enrico Letta un bel dì, 110 giorni fa, pressapoco.

Punto primo, la situazione economica: una “azione di governo che, con l’attivo e qualificato sostegno del Parlamento, guidi il paese sulla via di un deciso rilancio dell’economia e dell’occupazione”;

Punto secondo, le riforme con un rafforzativo sulla legge elettorale: “essenziale è procedere con decisione lungo la strada intrapresa, anche sul terreno delle riforme istituzionali e della rapida ( nei suoi aspetti più urgenti ) revisione della legge elettorale”.

Parla di una tendenza arbitraria, quella sorta dopo la sentenza definitiva sul caso Mediaset, volta “ad agitare, in contrapposizione a quella sentenza, ipotesi arbitrarie e impraticabili di scioglimento delle Camere”. Poi il capoverso decisivo.

Di qualsiasi sentenza definitiva, e del conseguente obbligo di applicarla, non può che prendersi atto. Ciò vale dunque nel caso oggi al centro dell’attenzione pubblica come in ogni altro.

Tutto il resto sono opinioni, dice Napolitano. opinioni che valgono fintanto che non si viola “il limite del riconoscimento del principio della divisione dei poteri e della funzione essenziale di controllo della legalità che spetta alla magistratura nella sua indipendenza”. Non è accettabile che vengano ventilate forme di ritorsione ai danni del funzionamento delle istituzioni democratiche. Sì, Berlusconi è un leader importante e incontrastato di una forza politica, ma in merito a questo lo Stato di Diritto non può nulla. Sarà tal partito a decidere della sorte politica del proprio leader. Le sentenze si applicano, tutto il resto non ha alcun valore:

mentre toccherà a Silvio Berlusconi e al suo partito decidere circa l’ulteriore svolgimento – nei modi che risulteranno legittimamente possibili – della funzione di guida finora a lui attribuita, preminente per tutti dovrà essere la considerazione della prospettiva di cui l’Italia ha bisogno.

Napolitano quindi opera una scissione fra ruolo guida del partito e carica istituzionale. La sentenza, e ciò che ne consegue (decadenza e incandidabilità), deve essere applicata, poiché questo è il nostro Stato di Diritto. L’agibilità politica di Berlusconi, nel senso della sua funzione di leadership nel panorama partitico italiano, non compete a questa sfera.

In merito alla clemenza, Napolitano ricorda punto per punto la procedura descritta dall’articolo 681 del codice di Procedura Penale:

L’articolo 681 del Codice di Procedura Penale, volto a regolare i provvedimenti di clemenza che ai sensi della Costituzione il Presidente della Repubblica può concedere, indica le modalità di presentazione della relativa domanda. La grazia o la commutazione della pena può essere concessa dal Presidente della Repubblica anche in assenza di domanda. Ma nell’esercizio di quel potere, di cui la Corte costituzionale con sentenza del 2006 gli ha confermato l’esclusiva titolarità, il Capo dello Stato non può prescindere da specifiche norme di legge, né dalla giurisprudenza e dalle consuetudini costituzionali nonché dalla prassi seguita in precedenza. E negli ultimi anni, nel considerare, accogliere o lasciar cadere sollecitazioni per provvedimenti di grazia, si è sempre ritenuta essenziale la presentazione di una domanda quale prevista dal già citato articolo del C.p.p.. Ad ogni domanda in tal senso, tocca al Presidente della Repubblica far corrispondere un esame obbiettivo e rigoroso — sulla base dell’istruttoria condotta dal Ministro della Giustizia — per verificare se emergano valutazioni e sussistano condizioni che senza toccare la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicato, possono motivare un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale.

Nessuna domanda gli è pervenuta. L’atto di clemenza del Presidente è di sua stretta responsabilità ma la prassi corrente prevede una domanda e uno specifico iter di esame. Napolitano vuol tenere le mani libere. Vuol sfidare i peones berlusconiani a presentare la richiesta di clemenza. E se dovessero mai inginocchiarsi dinanzi al Quirinale, il Presidente ha già avvisato: ci sono specifiche norme di legge da rispettare, il parere positivo è tutt’altro che scontato.

Ancora sull’incandidabilità di Berlusconi e la decadenza da senatore

Il consiglio di Stato, con la sentenza n. 695/2013, ha – come riferisce Vito Crimi su Facebook – messo “una pietra sopra” alla teoria della inapplicabilità del decreto Monti (n. 253/2012) alla fattispecie berlusconiana (la cosiddetta “linea Guzzetta” che farebbe leva sullo jus superveniens e l’irretroattività delle leggi). La sentenza è datata 06/02/2013 e riferisce al caso di Marcello Miniscalco, candidato nella lista regionale del candidato Presidente Paolo Di Laura Frattura per l’elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Consiglio Regionale del Molise, avvenuta nei fatidici giorni 24 e 25 febbraio 2013. il ricorso di Miniscalco era rivolto contro la decisione dell’Ufficio Centrale Regionale con la quale – cito dal testo della sentenza –  “è stata disposta la cancellazione del nominativo del candidato Miniscalco Marcello dalla lista regionale a supporto del candidato Presidente Paolo Di Laura Frattura”.

Miniscalco fu condannato nel 2001 per abuso d’ufficio. Sentenza definitiva ma, per la durata della condanna, rientra nella casistica prevista dal decreto legislativo 253/2012. L’Ufficio Centrale Regionale ha correttamente applicato la legge e il 28 Gennaio, un mese prima del voto, mise Miniscalco fuori partita.

Il ricorrente sosteneva:

  1. che “la normativa inibitoria di cui al citato D.Lgs. n. 235/2012 sarebbe applicabile solo con riferimento alle sentenze successive alla sua entrata in vigore”;
  2. che il provvedimento avesse profili di incostituzionalità.

Il Consiglio di Stato ha smentito il Miniscalco, per due ordini di ragioni:

  1. fine primario perseguito è quello di allontanare dallo svolgimento del rilevante munus pubblico i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da irrevocabili pronunzie di giustizia. In questo quadro la condanna penale irrevocabile è presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di “indegnità morale” a ricoprire determinate cariche elettive […]; ’applicazione della richiamata disciplina ai procedimenti elettorali successivi alla sua entrata in vigore, pur se con riferimento a requisiti soggettivi collegati a fatti storici precedenti, non dà la stura ad una situazione di retroattività ma costituisce applicazione del principio generale tempus regit actum che impone, in assenza di deroghe, l’applicazione della normativa sostanziale vigente al momento dell’esercizio del potere amministrativo;
  2. l’art. 16, comma primo, del decreto legislativo n. 235/2012, in deroga al regime che sarebbe stato altrimenti applicabile in ossequio all’art. 11 cit. delle preleggi, esclude la rilevanza ostativa delle sole sentenze di patteggiamento anteriori alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 235/2012;
  3. non appare irragionevole l’incandidabilità di chi abbia riportato una condanna precedente all’entrata in vigore dello jus superveniens : costituisce, infatti, frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente non irrazionale, l’aver attribuito all’elemento della condanna irrevocabile per determinati reati una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in esame – connesse ai valori dell’imparzialità, del buon andamento dell’amministrazione e del prestigio delle cariche elettive – l’incidenza negativa sulle procedure successive anche con riguardo alle sentenze di condanna anteriori alla data di entrata in vigore della legge stessa (così Corte Cost., sent. n. 118/1994 cit.) – sentenza 695/2013 Consiglio di Stato.

Tornando al caso di Berlusconi:

  • la sentenza definitiva è sopraggiunta in data posteriore all’entrata in vigore del decreto legislativo 253/2012 – vi ricordo il comma 1 dell’articolo 1 del decreto Monti: “Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire”, equivale a dire che l’eletto, se condannato definitivamente, decade dalla sua funzione;
  • le elezioni politiche di Febbraio si sono svolte quando la disciplina sull’incandidabilità dei condannati era già in vigore.

Non credo ci sia altro da aggiungere.

 

Ius superveniens [diritto o legge successiva] (teoria gen.)
Espressione adoperata in relazione al fenomeno della successione delle leggi nel tempo.
Il principale problema posto dallo (—) è quello relativo alla normativa applicabile ai rapporti giuridici nati nel vigore della vecchia normativa e destinati ad esaurirsi nell’ambito della normativa nuova. A tal proposito vige il principio dellairretroattività delle leggi, in forza del quale i rapporti sorti nel vigore della precedente normativa continuano ad essere da essa disciplinati (

Incandidabilità di Berlusconi, spunta la “linea Guzzetta”

Giovanni [Giuseppe nel testo] Guzzetta viene definito dal Giornale come un “giurista assai lontano dal Pdl”. Avrebbe partorito l’idea secondo la quale il decreto Monti, che stabilisce l’incandidabilità alla carica di deputato o di senatore per i condannati a pene maggiori di due anni non sarebbe applicabile alla fattispecie berlusconiana poiché le leggi “non sono retroattive” (ilgiornale.it). Il decreto Monti è stato, secondo il professore, il casus belli della sfiducia (solo minacciata) dichiarata da Alfano alle Camere lo scorso Dicembre, fatto che fece deflagrare la maggioranza che sosteneva il governo dei Tecnici.

Secondo l’autore dell’articolo sopra citato, che a sua volta interpreta il pensiero di Guzzetta, “è ben vero che il decreto stabilisce la decadenza automatica dalle cariche per i condannati: ma il decreto è dell’anno scorso mentre i reati del Cavaliere risalgono invece a dieci anni fa. E le leggi non possono essere retroattive”.

Una teoria più bislacca non s’è mai sentita e sono pronto a giurare che – consideratane l’assurdità – verrà fatta propria dai parlamentari del Pdl e impiegata come colonna d’appoggio per sostenere l’inapplicabilità del decreto Monti al momento della discussione in Senato. Secondo Guzzetta la legge non è retroattiva ma la medesima legge, a differenza di quanto scrivono sul Giornale, non parla di reati ma di condanne:

Art. 1

1. Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore:
a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;
b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale;
c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell’articolo 278 del codice di procedura penale (D. Lgs. 235/2012, Gazzetta Ufficiale).

Tutti voi, persino se siete lettori de Il Giornale, concorderete che la condanna definitiva è giunta almeno sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto Monti:

Art. 18  – Entrata in vigore
1. Le disposizioni del presente testo unico entrano in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale  [05/01/2013] della Repubblica italiana.

Molto importante, infine, la durata di tale ‘divieto’ di candidarsi, che è contenuta nell’articolo 13:

Art. 13 – Durata dell’incandidabilità

1. L’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna per i delitti indicati all’articolo 1, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice [che nel caso di Berlusconi è da rideterminare ma non sarà superiore a tre anni]. In ogni caso l’incandidabilità, anche in assenza della pena accessoria, non e’ inferiore a sei anni.

Per la cronaca, il giurista ‘assai lontano’ dal Pdl, Giovanni (non Giuseppe) Guzzetta, è stato capo di Gabinetto, dal giugno 2011, del ministero della Funzione Pubblica del IV Governo Berlusconi, scelto – pensate – da Renato Brunetta (“Una scelta fatta in casa, quella di Brunetta, visto che Guzzetta dal maggio del 2010 è tra i consulenti del ministro”, Italia Oggi).

Guzzetta è noto per essere uno dei promotori dei referendum elettorali del 2009. E’ un costituzionalista ed è docente ordinario di Diritto pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Non sarà vicino al Pdl ma certamente è di estrazione liberale e cattolica. In gioventù, fu presidente del FUCI. Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Nel 2010 ha fondato un movimento politico di stampo liberale, con il nome di ‘Scelgo l’Italia’ (wikipedia).

Nel 2012, insieme ad Arturo Parisi, si fece promotore di una petizione al Parlamento Italiano affinché fosse indetto un “referendum costituzionale sulla forma di governo” (ricordo che i referendum in Italia sono solo di tipo abrogativo). Secondo il giurista, “la crisi ha colpito di più l’Italia perché il suo sistema istituzionale è fatiscente. L’Italia non ha la più bella Costituzione del mondo”. L’iniziativa di un referendum propositivo sarebbe fattibile poiché “ci sono precedenti visto che la prima Repubblica è nata dal referendum su monarchia repubblica del 1946 e la seconda dal referendum del 1993 sul sistema elettorale maggioritario” (Comitato Referendum Elettorale). Evidentemente, l’ingegneria costituzionale di cui si fa portavoce, è la medesima che vorrebbe trasformare la nostra Repubblica da Parlamentare a Presidenziale. La medesima che, nel segreto del foro interiore, crede che vi sia un solo Presidente. E che una sentenza della Cassazione sia un atto contrario alla democrazia.

Mai più candido

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La sentenza è definitiva. Lo spazio per le opinioni e le interpretazioni è finalmente ridotto a zero. Ci fu evasione fiscale con frode, organizzata da Berlusconi Silvio e messa in opera per il tramite dell’Avvocato David Mills e di un sistema di società off-shore che drenavano denari dalla medesima Mediaset verso conti in nero in banche estere. L’aggravante – tutta politica – risiede nel fatto che quanto sopra veniva definito e condotto mentre Berlusconi era presidente del Consiglio. Mentre, cioè, doveva mettere in atto politiche per combattere l’evasione fiscale.

La condanna di quattro anni passata in giudicato, rimasta integra lungo i tre gradi di giudizio (a parte la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che dovrà essere rideterminata secondo la disciplina fiscale contenuta in una legge del 2000), dovrebbe, a questo punto, costituire impedimento perpetuo alla ricandidabilità di Berlusconi. La legge Severino, n. 190/2012, conversione del cosiddetto Decreto Anticorruzione, conteneva all’articolo 1, comma 63, una delega al Governo per la pubblicazione di un decreto legislativo recante testo unico della normativa in tema di incandidabilità, fra l’altro, alle cariche di deputato e di senatore. La delega, ricorderete, era stata soddisfatta dal governo Monti per il rotto della cuffia alla fine del 2012 con il decreto legislativo n. 235/2012.

L’articolo 1, comma 1, lettera c, prevede infatti che siano incandidabili:

c)  coloro  che  hanno  riportato  condanne  definitive  a   pene superiori  a  due  anni  di  reclusione,  per  delitti  non  colposi, consumati  o  tentati,  per  i  quali  sia  prevista  la  pena  della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni,  determinata  ai sensi dell’articolo 278 del codice di procedura penale (D. Lgs. 235/2012, Gazzetta Ufficiale).

E’ sufficiente questa norma per stabilire l’esclusione dalla politica in maniera definitiva di Berlusconi? Sarà probabilmente il dibattito che il paese subirà nei prossimi mesi, nel tempo che ci separa dalla ridefinizione della pena accessoria e l’approvazione della nuova legge elettorale, il cui iter è improvvisamente passato dal binario morto alla procedura d’urgenza in un batter d’ali.

Il governo Letta conosce sin da oggi la sua data di scadenza, che coinciderà – grosso modo – con il Congresso Nazionale del Partito Democratico. La stagione congressuale si aprirà mentre Berlusconi preparerà l’esilio. E Letta, oggi più che mai con le valigie pronte, molto probabilmente diventerà attore in campo, o personalmente o per mezzo di un suo candidato forte, nella battaglia congressuale.

Per dirla con un eufemismo: ne vedremo delle belle. Restate connessi (e democratici).

Incandidabilità condannati, quanto è tenue il DL Anticorruzione

Tanto rumore per nulla. L’incandidabilità di cui all’art. 10 del Disegno di legge anti-corruzione è una chimera. Innanzitutto perché contiene una delega al Governo per emanare un decreto legge che regoli e armonizzi la materia, un decreto da fare entro un anno. In secondo luogo perché riguarda soltanto quei soggetti per i quali è già stata emessa una sentenza definitiva. Che dire, ci saranno anche stati casi di deputati o senatori candidati quando già condannati, ma il male del nostro sistema riguarda quelle “care” persone che, pur avendo procedimenti penali a carico, si candidano alle elezioni e si fanno eleggere (scusate, nominare – grazie al Porcellum) per usufruire delle immunità istituzionali. L’articolo 10 del DL Anticorruzione non affronta questo problema neanche in lontananza.

Quindi, perché ci affanniamo a dichiarare che l’incandidabilità dei condannati sarà operativa fin dal 2013 (vero, ministro Patroni-Griffi)? Non si tratta forse di un problema marginale rispetto invece a tutti quei deputati e senatori sottoposti a indagine e per i quali sono stati emessi mandati di cattura che invece sono difesi dal Parlamento? Non sarebbe il caso anche di riesaminare e meglio specificare tutta la dottrina in materia di fumus persecutionis?

Ecco il contenuto della norma sulla Incandidabilità:

Art. 10.

(Delega al Governo per l’adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguente a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi).1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente e di componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all’articolo 114 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, di presidente e di componente degli organi esecutivi delle comunità montane.

2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 provvede al riordino e all’armonizzazione della vigente normativa ed è adottato secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione perpetua dai pubblici uffici, prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;

b) in aggiunta a quanto previsto nella lettera a), prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale ovvero per altri delitti per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni;

c) prevedere la durata dell’incandidabilità di cui alle lettere a) e b);

d) prevedere che l’incandidabilità operi anche in caso di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale;

e) coordinare le disposizioni relative all’incandidabilità con le vigenti norme in materia di interdizione dai pubblici uffici e di riabilitazione, nonché con le restrizioni all’esercizio del diritto di elettorato attivo;

f) prevedere che le condizioni di incandidabilità alla carica di deputato e di senatore siano applicate altresì all’assunzione delle cariche di governo;

g) operare una completa ricognizione della normativa vigente in materia di incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all’articolo 114 del testo unico di cui al citato decreto legislativo n. 267 del 2000, presidente e componente degli organi delle comunità montane, determinata da sentenze definitive di condanna;

h) valutare per le cariche di cui alla lettera g), in coerenza con le scelte operate in attuazione delle lettere a) e i), l’introduzione di ulteriori ipotesi di incandidabilità determinate da sentenze definitive di condanna per delitti di grave allarme sociale;

i) individuare, fatta salva la competenza legislativa regionale sul sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, le ipotesi di incandidabilità alle elezioni regionali e di divieto di ricoprire cariche negli organi politici di vertice delle regioni, conseguenti a sentenze definitive di condanna;

l) prevedere l’abrogazione espressa della normativa incompatibile con le disposizioni del decreto legislativo di cui al comma 1;

m) disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 1 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all’affidamento della carica.

3. Lo schema del decreto legislativo di cui al comma 1, corredato di relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, è trasmesso alle Camere ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che sono resi entro sessanta giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto. Decorso il termine di cui al periodo precedente senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, il decreto legislativo può essere comunque adottato.