Sorveglianza bancaria, ennesimo prologo di unione politica

barroso

La riunione di giovedì è stata l’occasione per Barroso di richiamare i governi a tenere in agenda per il 2013 il “piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita”, il piano presentato a Novembre e che include, come fase conclusiva di questo ulteriore processo integrativo, proprio l’unione politica. Non sembra che i capi di governo abbiamo mostrato di aver fretta, né pare che l’accordo sulla sorveglianza bancaria sia del tutto chiuso. Dovranno accordarsi sui requisiti patrimoniali delle banche e sulla standardizzazione dei meccanismi di risoluzione delle banche medesime, nonché dei sistemi di garanzia dei depositi dei singoli paesi. La partita è tutt’altro che chiusa.

Il documento della Commissione Europea pone in discussione alcuni aspetti che sarebbe stato utile discutere in sede di Consiglio. L’unione politica dovrebbe essere orientata secondo due principi cardine:

In primo luogo, nei sistemi di multilevel governance, la responsabilità dovrebbe essere garantita a quel livello in cui viene presa la relativadecisione esecutiva, pur tenendo in debito conto il livello in cui la decisione ha impatto.

In secondo luogo, nello sviluppo di EMU (Economic and Monetary Union) come integrazione europea in generale, il livello di legittimità democratica deve sempre rimanere commisurato al livello di trasferimento di sovranità dagli Stati membri a livello europeo.

Il primo punto dovrebbe avere una realizzazione pratica attraverso un rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo in relazione alle decisioni prese dalla Commissione. Ma il ruolo dei parlamenti nazionali è tutt’altro che secondario: rimarrà sempre fondamentale nel garantire la legittimità dell’azione degli Stati membri nel Consiglio europeo, ma soprattutto nella condotta del i bilancio nazionale e delle politiche economiche in coordinamento sempre più stretto da parte dell’UE. Una forma di collaborazione è la benvenuta, poiché costruisce un mutuo riconoscimento fra le istituzioni, ma non può essere la base su cui poggia la legittimazione democratica della EMU: “That requires a parliamentary assembly representatively composed in which votes can be taken. The European Parliament, and only it, is that assembly for the EU and hence for the euro” (A Blueprint for a deep and genuine EMU, EC). Solo il Parlamento Europeo l’assemblea legittima che può assegnare legittimità all’Euro. Possono essere individuati due distinti livelli di discussione: per quelle decisioni che hanno effetto solo a breve termine; per decisioni che hanno effetto sull’architettura istituzionale dell’Unione, che prevedano quindi modifiche dei Trattati.

Da una parte, quindi, vi sarebbe quello che Barroso chiama “Economic dialogue”, il dialogo sulla situazione economica fra Consiglio, Commissione, Eurogruppo e BCE, che dovrebbe coinvolgere il Parlamento Europeo almeno nella discussione del Commission’s Annual Growth Survey, la relazione annuale della Commissione sulla crescita economica attraverso due dibattiti cruciali che il Parlamento dovrebbe tenere:

  1.  prima che il Consiglio europeo discuta la Commission’s Annual Growth Survey
  2. prima della adozione da parte del Consiglio delle raccomandazioni specifiche per paese (CSR) che potrebbero essere definite attraverso un accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione.

il Parlamento dovrebbe anche essere più direttamente coinvolti nella scelta delle priorità pluriennali dell’Unione; inoltre, dovrebbe essere regolarmente informato sulla preparazione e sull’attuazione dei programmi di adeguamento di bilancio per quegli Stati membri che ricevono assistenza finanziaria. In questo senso, il Parlamento potrebbe creare al proprio interno una commissione dedicata agli “Euro matters”, ai problemi dell’Euro.

Inoltre, al fine di creare una vera e propria sfera politica europea, la Commissione individua due aree di lavoro: a) la nomina da parte dei partiti dei candidati alla carica di presidente della Commissione; b) l’adozione della proposta recentemente presentata dalla Commissione per uno statuto riveduto dei partiti politici europei.

La riforma dell’architettura istituzionale, che passerebbe per una riforma dei Trattati, dovrebbe andare nel senso di un conferimento di poteri sopranazionali accompagnato da una forte legittimazione democratica.

Barroso prevede modifiche istituzionali per:

  • introdurre una procedura di codecisione semplificata (una sola lettura) per le revisioni dei bilanci nazionali da parte della Commissione, aspetto che comporterà una ulteriore delegazione di sovranità a Bruxelles da parte degli Stati nazionali;
  • eventuali misure destinate a rafforzare ancora di più rispetto a oggi la posizione del Vice Presidente per gli Affari economici e monetari, richiederebbe adeguamenti al principio di collegialità;
  • contemplare nel lungo periodo, al fine di consentire direzione politica e democratica, la responsabilità di una struttura simile a un Ministero del Tesoro della EMU in seno alla Commissione (di fatto, la comunitarizzazione delle politiche di bilancio);
  • in conseguenza del punto precedente, prevedere uno speciale rapporto di fiducia e di controllo tra il Vice Presidente per gli Affari economici e monetari e un “Comitato euro” del Parlamento europeo;
  • rafforzamento dell’Eurogruppo attribuendogli responsabilità per le decisioni sugli Stati membri, fatto che richiederebbe una modifica dei trattati in quanto l’Eurogruppo ha carattere puramente informale; la Commissione però mette in guardia dal rischio di creare una istituzione separata dai paesi non aderenti all’euro, poiché non terrebbe conto della convergenza fra la vigente composizione e i futuri membri della zona euro;
  • rafforzare la responsabilità democratica sulla BCE in quanto ora funge da supervisore bancario, in particolare consentendo il normale controllo di bilancio oltre che delle attività da parte del Parlamento europeo;
  • estendere le competenze della Corte di giustizia, vale a dire eliminando l’art. 126 comma 10 del TFUE, e quindi ammettendo procedure di infrazione per gli Stati membri o la creazione di nuove competenze e procedure speciali
    • [Art. 126 c. 10 TFEU: I diritti di esperire le azioni di cui agli articoli 258 e 259 (violazione obblighi dei trattati) non possono essere esercitati nel quadro dei paragrafi da 1 a 9 (divieto di disavanzi pubblici eccessivi) del presente articolo.]
  • estensione della procedura legislativa di codecisione alle materie economiche e monetarie, con voto a maggioranza qualificata;
  • autonoma tassazione e possibilità di emettere debito sovrano da parte dell’Unione, con attribuzione della co-legislazione al Parlamento Europeo.

Forse, per molti di questi aspetti, i popoli europei non sono ancora preparati. E l’assenza di una vera e propria opinione pubblica europea che non sia la sommatoria delle opinioni pubbliche nazionali continua ad essere il deficit democratico di gran lunga maggiore che il ‘progetto Barroso’ sfiora appena.

Habermas: integrazione europea basata sul benessere sociale. Ma Merkozy pensano all’Euro a due velocità

Un articolo di Jurgen Habermas per Le Monde è comparso stamane su La Repubblica. Il sociologo tedesco parla della situazione attuale e della crisi del processo di integrazione europea, dei “difetti” che gravano sulla casa comune eureopea, dell’unione monetaria e di quella politica, incomplete e precarie, ancor oggi in oscillazione fra dinamiche confederali, infragovernative, e dinamiche federali. L’Unione, scrive Habermas, dovrebbe garantire – come recita l’art. 106, c. 2 della Costituzione Federale Tedesca – l'”omogeneità delle condizioni di vita“: egli preconizza una Unione Europea che persegue non già la stabilità di astratti indicatori macroeconomici, ma il benessere sociale.

Invece la costruzione europea difetta ancor prima che della giusta struttura costituzionale – che non potrebbe che essere federale – della volontà politica. L’élite politica europea è vittima della paura del demos, della paura dell’opinione pubblica. E’ in buona sostanza una élite populista, incapace di anteporre i “buoni argomenti” ai sondaggi d’opinione. L’Europa è un tema scomodo e impopolare e l’élite politica tiene soprattutto a perpetuare sé stessa.

“Perché questa paralisi? E’ una prospettiva prigioniera del XIX secolo, che impone la risposta nota del demos: un popolo europeo non esiste e dunque un’unione politica degna di questo nome sarebbe costruita sulla sabbia” (Il futuro dell’Unione fra crisi e populismo, J. Habermas, La Repubblica, 10/11/11, p. 38).

Insomma, i guasti dell’Unione sono noti da tempo. Nemmeno i media provano a sopperire all’assenza di partecipazione dei cittadini all’Unione Europea con una maggior informazione ed è un errore grave poiché soltanto con una maggior consapevolezza dei cittadini europei circa la ‘profonda influenza che le decisioni UE’ hanno sulla loro vita, si potrebbe far crescere l’esigenza di maggior trasparenza e democrazia delle istituzioni. Invece, sebbene il Trattato di Lisbona abbia configurato una struttura federalista dell’Unione, a prevalere è ancora la dinamica intergovernativa del Consiglio Europeo, laddove si inscena una sorta di concilio dei governi nazionali intenti a strappare decisioni favorevoli al proprio interesse (che, ripeto, è quello di rimanere in carica più a lungo).

La Crisi del debito sovrano ha messo in evidenza che le decisioni del Consiglio pesano “in modo squilibrato” sui bilanci nazionali. Di fatto, un organismo sopranazionale, non democratico, agisce e preme sui parlamenti nazionali, legittimati dalla volontà popolare espressa dalle elezioni.

J. Habermas, cit.

Ne consegue che il deficit democratico del Consiglio andrebbe superato con una riforma dei Trattati, si diceva un tempo, facendo cioè passare la materia finanziaria dal Secondo Pilastro della UE (‘intergovernativo’) al Primo Pilastro, ovvero integrandolo nella politica comune condotta dalla Commissione e discussa e deliberata da Parlamento e Consiglio Europeo, con la partecipazione in fase consultoria dei Parlamenti Nazionali. Una riduzione di sovranità che è già in atto e che sta pericolosamente confluendo in una dinamica antidemocratica. Ma il processo di integrazione, dicevo, è fermo. A prevalere e ad essere soverchiante, è l’oscena diarchia dei pre-summit (così anche Prodi) di Merkozy, del Giano Bifronte Merkel-Sarkozy. L’asse franco-tedesco, anima dell’integrazione europea fin dagli anni Sessanta, la vecchia Europa di W. Bush, è oggi il principale ostacolo all’Unione Europea.

J. Habermas, cit.

Invece, Merkozy pensano di giungere alla modificazione dell’area euro, pretendendo di selezionarne i paesi membri ed espropriando noi cittadini europei della nostra moneta, fondamentalmente con due proposte:

  1. CDU e Merkel: riforma dei trattati per permettere l’uscita dall’Euro ai paesi che lo chiedono – ipotesi di un’area Euro di tipo flessibile;
  2. Sarkozy: area Euro a due velocità, un euro del nord in cui procedere a ulteriori inegrazioni (finanziarie e fiscali); un euro del sud, indefinitamente lasciato ai paesi del mediterraneo e a tutti quei paesi che non sono in grado di entrare nel nocciolo duro, naturalmente blindato con una revisione in senso rafforzativo del patto di stabilità.

E’ solo il tramonto di questi leader politici che potrebbe cambiare le cose. Il problema europeo è un problema di volontà politica. Se persistono visioni del mondo in cui si possono fare club prestigiosi e ristretti e tesi all’esclusione di chi ‘sta a sud’, allora non potrà che persistere la crisi.

La guerra dei gasdotti. Unione Europea dimenticata. Il conflitto d’interesse si fa internazionale.

A quanto pare, come intuito qualche post fa, la determinante della politica energetica del governo Berlusconi è il conflitto d’interesse. Scrive Molinari (con questo pezzo riscatta i deludenti articoli sulla sanità obamiana) su La Stampa che a Washington hanno un sospetto: interessi particolari legano Mr b a Putin e a Gazprom. In ogni caso, la scelta di privilegiare il partner russo ha un prezzo: quello di rendere sempre più lontana una politica energetica comune in Unione Europea. I paesi europei vanno in ordine sparso, e questo è un grave danno per la comunità europea dei cittadini tutti. L’Italia, alle origini della CEE grande paese promotore dello spirito europeo (De Gasperi, oggi lodatissimo a destra, ne fu uno dei fautori, ma se ne sono dimenticati), oggi tradisce le proprie “radici” e rinuncia al suo ruolo in Europa per divenire un vassallo della Russia-Gazprom. Un danno incalcolabile. Poiché oltre alla dipendenza da madre Russia, il governo diventa ostile ai partner europei, all’alleato americano. Il governo esclude il paese da una reale integrazione, mentre dovrebbe farsene promotore. Considerata la grave fase di stallo nel rafforzamento delle istituzioni europee, in seguito al fallimento del trattato di Lisbona, l’energia poteva (e doveva) essere un nuovo elemento di integrazione rinnovando la logica “funzionalista” delle origini (Schuman-Monnet), ricreando le condizioni per un ulteriore fase di prosperità per il continente derivata dalla cooperazione fattiva e dal libero scambio.

Ma nessuno nel governo italiano ha la stoffa politica e la lungimiranza dei padri dell’Europa: Schuman, Monnet, De Gasperi. È un paese che guarda all’Unione con diffidenza e che promuove la divisione anziché la cooperazione, che promuove un modello delle relazioni internazionali basato sull’equilibrio delle potenze anziché il modello proto-federale della multi-governance.

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    • Le scelte di politica energetica di Silvio Berlusconi e dell’Eni preoccupano l’amministrazione Obama.
    • «L’interesse italiano dovrebbe essere diversificare le fonti di approvvigionamento mentre in questa maniera si aumenta la dipendenza da Mosca» afferma un diplomatico ben a conoscenza del dossier.
    • un altro diplomatico usa toni più aspri chiedendo l’anonimato: «Non comprendiamo perché l’Eni si comporti da lobbista di Gazprom in Europa promuovendo con South Stream un oleodotto destinato a trasformare l’Italia nella nuova Ucraina d’Europa, totalmente dipendente dal gas di Mosca».
    • Il linguaggio poco paludato svela un’irritazione americana che nel mondo petrolifero è di pubblico dominio. Al 14° piano del grattacielo al numero 475 della Quinta Strada, l’Eurasia Group di Ian Bremmer produce resoconti periodici sulla rivalità fra il South Stream, con il quale la Russia vuole creare una nuova linea di trasporto del proprio gas verso l’Europa Occidentale, e il Nabucco, sostenuto da Washington e da un folto gruppo di Paesi europei, accomunati dal desiderio di importare gas non russo per scongiurare la dipendenza energetica dal Cremlino.
    • «La competizione è sulla fonte a cui attingere per il gas – spiega John Levy, specialista di Eurasia Group per il Caucaso – perché South Stream è sostenuto da italiani, francesi e tedeschi, che da tempo fanno importanti affari con Gazprom, mentre Nabucco è voluto da chi cerca nuovi partner per gli approvvigionamenti».
    • «Mosca vuole il South Stream per non dover più far passare il proprio gas destinato all’Europa Occidentale attraverso l’Ucraina, con cui è ai ferri corti, e al tempo stesso per essere lei a distribuire in Occidente il gas dei ricchi giacimenti kazaki e turkmeni», mentre Washington «ha interesse a non veder l’Europa dipendente dalla forniture russe»
    • Sono partite strategiche opposte perché gli Stati Uniti puntano a sfruttare il gas per integrare l’Europa con le repubbliche indipendenti del Caucaso e con l’Iraq, mentre Mosca sta tentando di creare un legame energetico con l’Europa Occidentale talmente consistente da indebolire i rapporti transatlantici, ovvero la solidità della Nato.
    • tanto South Stream che Nabucco sono progetti teorici, perché la Russia non ha gas a sufficienza per il primo e l’Azerbaigian non mette ancora a disposizione il gas per il secondo
    • «siamo ancora nella fase della trattativa fra i due fronti» e per questo colpisce che «l’Italia, attraverso l’Eni, sta giocando con i russi a poche settimane di distanza dagli abbracci dell’Aquila fra Obama e Berlusconi»
    • Agli specialisti del settore non è sfuggito che lo scorso 5 giugno a San Pietroburgo il vicepremier russo Igor Sechin – ex agente del Kgb, regista della politica energetica del Cremlino e fedelissimo di Putin – nel suo discorso sulle priorità di politica energetica della Federazione russa abbia nominato un unico personaggio straniero: l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni
    • Nella bozza del testo preparata dagli speechwriter di Sechin il nome di Scaroni non c’era, è stato Sechin ad aggiungerlo di proprio pugno. Ma gli americani non si fidano di Sechin, presidente della compagnia petrolifera Rosneft che ha ingoiato le proprietà della Yukos di Mikhail Khodorkovsky
    • è l’impressione che l’Italia si sia schierata con la Russia nel grande gioco per gli equilibri energetici del XXI secolo, tanto più che il South Stream dovrebbe vedere la luce nel 2015, appena tre anni dopo il North Stream grazie al quale Mosca potrà esportare direttamente gas alla Germania senza dover più attraversare i territori delle confinanti e irrequiete Bielorussia e Polonia.
    • uno scenario che porta a prevedere che la Russia fornirà alla Germania ben il 60% delle importazioni di gas ed all’Italia almeno il 20%, consentendo a Gazprom di controllare nel 2015 il 33% del mercato europeo rispetto all’attuale 28
    • Il sospetto che circola a Washington è che «Berlusconi possa avere interessi particolari nell’aumentare i legami energetici con la Russia» ma nelle sue frequenti missioni negli Stati Uniti Scaroni ha spiegato che c’è continuità fra le scelte dei governi Berlusconi e Prodi perché sono frutto della situazione energetica in cui versa l’Europa
    • la produzione europea di gas – Norvegia esclusa – è destinata nei prossimi anni a scendere da 250 a 150 miliardi di metri cubi annui per far fronte a un fabbisogno di 550 miliardi significa dover programmare un aumento delle importazioni, che al momento sono di 300 miliardi di metri cubi
    • Ciò che distingue il monopoli dell’energia è però l’incertezza delle alleanze perché trattandosi di geopolitica tutto può cambiare rapidamente, rimettendo in discussione gli attuali equilibri: un rasserenamento dei rapporti fra Mosca e Kiev taglierebbe le gambe al South Stream mentre se Teheran dovesse aprire a sorpresa all’America, l’Occidente avrebbe gas a sufficienza per far decollare il Nabucco.
    • L’amministrazione Obama guarda invece in altra direzione: per garantire all’Europa l’energia di cui avrà bisogno nei prossimi 20 anni pensa a una ricetta composta da nucleare, energie rinnovabili, risparmi nei consumi e carbone pulito. Si spiega così quanto dice Morse sulla «novità europea più interessante del momento» ovvero il «boom di arrivi di carbone nei porti di Amsterdam, Rotterdam e Anversa»

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