Il partito Internet e la post-democrazia rappresentativa

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Juan Carlos De Martin scrive oggi su La Stampa (Internet la democrazia necessaria – LASTAMPA.it) che Internet non è la causa primaria dei neo movimenti politici (europei e arabi) ma è un “facilitatore”, un catalizzatore. Un elemento tecnologico che non c’era e che oggi rende meno difficoltosa l’interazione a diversi livelli fra individui. Oggettivamente Internet è un mezzo di comunicazione, ma è radicalmente diverso dai media tradizionali – radio, tv, giornali. Se i media tradizionali hanno avuto e hanno tuttora una influenza nella produzione di consenso in un sistema democratico rappresentativo, quale sarebbe allora il ruolo del Web “nel plasmare le interazioni tra Stato e cittadini?”, si chiede De Martin. Quale ruolo nel rendere possibili partiti diversi dagli attuali? Quale ruolo nello strutturare nuove e più efficaci forme di dialogo tra eletti ed elettori? Quale ruolo nel dar forma a una sfera pubblica migliore, non solo a livello locale e italiano, ma anche europeo e globale? Bisogna prendere il Partito come caso di studio e ipotizzare come strutturarlo oggi, se dovessimo costruirne uno ex-novo. “Come faremmo un partito politico se potessimo partire da zero?”.

Il vantaggio del Web è insito nella riduzione del costo della interazione fra “militanti e dirigenti, eletti ed elettori, simpatizzanti e iscritti, partito e altri partiti, partito e istituzioni”. “Otteniamo la parola oggi in un modo che è così automatico e senza sforzo che è diventato invisibile”, scrive Cory Doctorow sul The Guardian. Il costo della transazione è minimizzato in un sistema che ha la tecnologia di internet, del web e dei social network come elemento catalizzatore dello scambio e della condivisione delle informazioni e della conoscenza. Se fino ad oggi la tecnologia in letteratura è sempre stata raffigurata con le sembianze di uno strumento del potere, uno strumento che trasforma il potere totalitario in iper-totalitario (George Orwell, 1984), secondo Doctorow, la tecnologia riduce i costi della interazione fra gli individui in maniera orizzontale, per tutti, non solo per “i meglio organizzati”. Anzi, oggi, per la prima volta nella storia, la tecnologia non implica organizzazione. Il Web rende efficaci ed efficienti gli scambi di informazione anche fra quei gruppi che non sono organizzati. O per meglio dire, il Web presuppone disorganizzazione e liquidità delle forme della interazione. Non richiede posizioni gerarchiche poiché la parola fluisce liberamente in un contesto stratificato a più livelli comunicativi.

“Disorganised, effective” is groups like Anonymous and Occupy, groups that have no command structure at all, not even an articulated set of goals, no formal membership structure, and in Anonymous’s case, no formal deliberative process (Disorganizzati ma efficaci sono quei gruppi come Anonymous e Occupy, gruppi che non hanno alcuna struttura di comando, nemmeno un set articolato di obiettivi, senza una struttura associativa formale, e nel caso di Anonymous, nessun procedura formale deliberativa), Cory Doctorow, Disorganised but effective: how technology lowers transaction costs | Technology | guardian.co.uk.

Da un lato quindi, la riduzione dei costi di transazione implica la possibilità di aggregazione senza struttura, dall’altra fornisce al potere la possibilità di rafforzarsi e di amplificare il controllo dei comportamenti. La tecnologia del Web si stratifica sul sistema politico della democrazia rappresentativa oramai affetta da un surplus di potere dei gruppi di interesse che hanno cooptato i corpi intermedi – partiti, sindacati, associazioni – trasformandoli in strutture volte alla riproduzione del consenso, anche attraverso la manipolazione mass-mediatica. Dahrendorf, come Crouch (2009) parla appunto di post-democrazia indicando una serie di processi di degenerazione del modello rappresentativo della democrazia, a cominciare dalla dissoluzione della partecipazione. Il cittadino chiede di poter essere partecipe del meccanismo decisionale, mentre lo Stato-Nazione è messo in soggezione da organismi sovra statuali – non democratici – che ne erodono la sovranità interna. Così la sfera pubblica conosce una deriva personalistica e autoritaria. Il freno a questa deriva, secondo Dahrendorf, non può che essere la società civile, tramite le associazioni di volontariato, le ONG, il terzo settore. Ma,

[l’]Antidoto alla caduta della mediazione nei luoghi istituzionali della delega politica, come della presa di potere e del ruolo autocrate di media e tv, la cosiddetta società civile e le organizzazioni non governative rischiano di abdicare al loro tradizionale ruolo borghese di critica sociale e controllo delle decisioni del governo, divenendo artefici di una “governance” in nome della quale sono cancellate alternative e differenze di opinione (Dahrendorf, Ralf, Dopo la democrazia).

La confusione del ruolo fra società civile e sistema politico avviene in un contesto in cui il controllo dei governati sui governanti si è rovesciato nel controllo dei governanti sui governati. Il meccanismo della produzione di consenso e del suo mantenimento “sono oggi assolutamente distorti, in quanto il metodo della consultazione diretta ed esasperata, come il sondaggio permanente sul gradimento dell’azione di governo, è pratica non politica bensì aziendale, tecnocratica, imposta da media e premier sul terreno della rappresentanza” (Dahrendorf, Ralf, Dopo la democrazia). Possono allora i gruppi “disorganizzati ma efficaci” che nascono in rete sottrarsi a questa pericolosa sovrapposizione di ruoli fra società civile e sistema politico, laddove quest’ultimo ha in mano le tecnologie per riprodurre il consenso? Non somiglia questa a una battaglia di successione di tecnologie?

Il problema della neutralità della Rete non è affatto secondario. L’idea di uno “spazio internettiano libero e autoregolato si confronta con la pratica dell’influenza sempre più chiara degli Stati nella struttura della rete” (La maturazione del rapporto tra internet e democrazia | Luca De Biase). Questa epoca di mutamento, che è anche epoca di crisi economica, richiede un cambio di paradigma. Internet prelude alla condivisione di informazioni, interazione non prettamente economica in senso capitalistico, ovvero non è uno scambio “merce contro moneta”. Internet rende possibile su scala globale questa interazione, che non è mai scomparsa nel tessuto connettivo relazionale viso-a-viso. Da ciò la necessità di controllo, di filtrare i contenuti, di privilegiare o punire i flussi. Il potere precostituito nel mondo post-democratico opera per ridurre Internet al solo ruolo di rafforzamento del potere medesimo, alla stregua dei media mainstream, come meccanismo di riproduzione del consenso. La tecnologia di Internet non è completamente open-source: ciò implica il fatto che determinati algoritmi, deputati alla selezione delle informazione nei motori di ricerca e nei social network, siano completamente sconosciuti agli utenti. Anzi, sono proprietà privata. Tanto che anche i contenuti prodotti dagli utenti-cittadini diventano proprietà della Corporation che presiede alla formulazione degli algoritmi (vedi Twitter).

Come poter costruire quindi un nuovo partito, se il presupposto è questo? Come possono la tecnologia del Web e i gruppi “disorganizzati ma efficaci” che sorgono tramite essa, superare la Legge ferrea dell’oligarchia (Robert Michels – per una summa, vedi Wikipedia)? Secondo Robert Michels la democrazia presuppone organizzazione. Tutti i partiti politici si evolvono da una struttura democratica, aperta alla base, in una struttura dominata da una oligarchia, ovvero da un numero ristretto di dirigenti; ciò deriva dalla necessità della specializzazione, la quale fa sì che un partito si strutturi in modo burocratico, creando dei capi sempre più svincolati dal controllo dei militanti di base. Senza organizzazione, senza struttura, ovvero senza le regole che presiedono alla discussione e alla deliberazione, come potrebbe ancora esserci democrazia?

Paulo Coehlo contro il #SOPA: la pirateria aiuta a vendere. Il resto è avidità e ignoranza

Pubblico tradotto in italiano un testo di Paulo Coehlo contro la legge #SOPA e in generale contro tutti i tentativi di limitare la diffusione dei saperi su Internet.

Nella ex Unione Sovietica nel 1950, sulla fine dei 50 e l’inizio dei 60, molti libri che hanno sfidato il sistema politico hanno cominciato ad essere distribuiti privatamente in forma ciclostilata. I loro autori non hanno mai guadagnato un centesimo di royalties. Al contrario, essi sono stati perseguitati, denunciati dalla stampa ufficiale, e mandati in esilio nei noti gulag della Siberia. Tuttavia, hanno continuato a scrivere. Perché? Perché avevano bisogno di condividere ciò che sentivano. Dai Vangeli ai manifesti politici, la letteratura ha permesso alle idee di viaggiare e persino di cambiare il mondo.

Non ho nulla contro le persone che guadagnano soldi dai loro libri, è così che mi guadagno da vivere. Ma guardate cosa sta accadendo ora. La legge sulla pirateria online (#SOPA) può alterare Internet. Questo è un reale pericolo non solo per gli americani ma per tutti noi, poiché la legge – se approvata – interesserà l’intero pianeta. E come mi sento su questo? Come autore, dovrei essere per la difesa della “proprietà intellettuale”, ma non lo sono. Pirati il ​​mondo, unitevi e piratate tutto quello che ho scritto!

Quanto più spesso si sente una canzone alla radio, più forte è la possibilità di acquistare il CD.  E’ lo stesso con la letteratura. Più la gente “pirata” un libro, meglio è. Se gli piace il primo, comprerà il libro il giorno dopo, perché non c’è niente di più faticoso che leggere volumi di testo su uno schermo di computer.

Alcuni diranno: Tu sei ricco abbastanza per permettere loro libri da distribuire gratuitamente. Questo è vero. Io sono ricco. Ma è stato il desiderio di fare soldi che mi ha spinto a scrivere? No, la mia famiglia e i miei insegnanti hanno tutti detto che non c’era futuro per lo scrivere.

Ho iniziato a scrivere e ho continuato a scrivere perché mi dà piacere e dà un senso alla mia esistenza. Se il denaro fosse stato il movente, avrei smesso di scrivere anni fa e ciò mi avrebbe salvato dal dover sopportare le lunghe recensioni negative.

L’industria editoriale dice che gli  artisti non possono sopravvivere se non sono pagati. Nel 1999, quando fui pubblicato la prima volta in Russia (con una tiratura di 3.000 copie), il paese stava soffrendo una grave penuria di carta. Per caso, ho scoperto una versione ‘pirata’ di L’Alchimista e l’ho pubblicato sul mio sito. Un anno dopo, quando la crisi è stata risolta, ha venduto 10.000 copie dell’edizione di stampa. Nel 2002, aveva venduto un milione di copie in Russia, e ora ha venduto 12 milioni di copie.

Quando ho viaggiato in treno lungo tutta la Russia, ho incontrato diverse persone che mi hanno detto che aveva scoperto per la prima volta il mio lavoro attraverso l’emissione “pirata” che ho pubblicato sul mio sito. Oggi ho eseguito un ‘Pirate Coelho sito’, dando link ai miei libri che sono disponibili sui siti di file-sharing. E le mie vendite sono ancora in crescita – oltre 140 milioni di copie in tutto il mondo. Quando hai mangiato un’arancia, devi andare al negozio per comprarne un’altra. In questo caso, ha senso pagare in loco. Con un oggetto d’arte, non si comprerà carta, inchiostro, pennello, tela, o note musicali, ma l’idea nasce da una combinazione di questi prodotti.

La “pirateria” può agire come introduzione al lavoro di un artista. Se la vostra idea piace, allora dovrete averla nella vostra casa, e una buona idea non necessita di protezione.
Il resto è l’avidità o l’ignoranza.

Paulo Coehlo, 20 Gennaio 2012

Legge elettorale fra referendum e inciucio. Intervista al senatore Belisario.

Felice Belisario presidente senatori idv

Qualche settimana fa, il senatore Belisario (IDV), sul suo blog, aveva ventilato l’ipotesi di un accordo sulla legge elettorale fra Pd, Terzo Polo e PdL. Un inciucio che farebbe saltare la consultazione referendaria e vanificare il milione di firme raccolte. Certo, stando ad alcuni commentatori, il verdetto di ammissibilità sui due quesiti, atteso a settimane da parte della Corte Costituzionale, non è affatto scontato. In ogni caso, il post di Belisario è diventato una occasione per porre al senatore alcune domande sulla legge elettorale e sul futuro di Italia dei Valori. Questa l’intervista che ne è scaturita.

1) Senatore Belisario, siamo arrivati al collo di bottiglia di questa legislatura. A Gennaio la Consulta deciderà sull’ammissibilità dei referendum sulla legge elettorale. La decisione, per taluni costituzionalisti, potrebbe non essere scontata e quindi propendere per la non ammissibilità. Secondo lei, l’effetto ‘pistola alla tempia’ paventato da Bersani, funzionerà e spingerà il parlamento ad adottare un provvedimento – nella direzione suggerita dai quesiti e suffragata dal milione di firme – oppure no?

Sono praticamente certo che il Parlamento non tornerà al Mattarellum senza referendum. Sono ben altre le soluzioni che si stanno prospettando. Se la Corte, come io credo, dichiarerà l’ammissibilità del referendum ci troveremo davanti alla possibilità di una svolta storica e non credo che ci sarà la possibilità di una riforma per evitare la consultazione popolare. Ma non è detto. Nel Palazzo gli inciuci sono sempre più frequenti.

 2) Sul suo blog ha parlato di trame sotterranee – mi passi il termine – fra propaggini del PD e altre propaggini del PdL. Un inciucino mascherato da accordo-per-il-bene-del-paese ma che produrrebbe una legge elettorale fortemente diversa da quella che si produrrebbe altrimenti con il referendum. E’ così? E’ questo che sta per accadere?

Esattamente. Invito a leggere questo articolo (http://www.unita.it/italia/legge-elettorale-e-dialogo-tra-i-pd-pdl-e-terzo-polo-1.364293), ma sul web ne troverà tanti altri che raccontano le stesse cose. Il Pdl propone un sistema elettorale sul modello spagnolo, un proporzionale con collegi relativamente piccoli, che tenderebbe a sovrastimare i partiti grandi (Pd e Pdl) e quelli con una connotazione territoriale molto radicata (la Lega), tende a mantenere la proporzionalità di partiti intorno al 12-15 per cento (Terzo Polo) e tende a sottostimare i partiti medio piccoli (Idv, Sel, 5stelle). Il Pd sta riflettendo perché un’ipotesi del genere rischierebbe di regalare di nuovo all’alleanza Pdl-Lega il Paese e solo con un’alleanza con il Terzo Polo potrebbe competere, senza peraltro avere alcuna certezza della vittoria che tutti i sondaggi gli assegnano ormai da qualche mese. Insomma, se si verificasse questo scenario passeremmo dal Porcellum a una nuova porcata nei confronti degli italiani che non sarebbero rappresentati neanche con questo sistema.

Di questo si parla con sempre maggiore insistenza e soltanto il referendum può disinnescare questa minaccia. Di fronte a un successo referendario resterebbero pochissimi margini per una ulteriore modifica della legge elettorale perché questo significherebbe andare contro la volontà della maggioranza degli elettori. Per questo è fondamentale che la consultazione referendaria abbia buon esito.

 3) Se invece il progetto di legge elettorale a mezzo inciucio fosse accettabile (che dire, qualunque legge elettorale a confronto con il Porcellum è accettabile), Italia dei Valori lo potrebbe votare o scegliete senza esitazioni per il referendum? La riesumazione del Mattarellum non è forse la migliore delle soluzioni. Lei cosa ne pensa?

Noi abbiamo raccolto le firme proprio perché i tentennamenti del Parlamento rispetto alla cancellazione del Porcellum erano diventati insopportabili. Tecnicamente il Mattarellum era l’unica proposta possibile con un referendum perché se si abroga una norma rientra in vigore quella precedente. Ritengo, comunque, il Mattarellum un sistema che funziona, mantiene il bipolarismo che per noi è una condizione imprescindibile, consente di avere alleanze solide e restituisce ai cittadini il diritto sancito dalla Costituzione di scegliersi i propri rappresentanti. Se arrivassero altre proposte di legge in materia (quelle che sono state presentate sono pessime) non ci sottrarremmo comunque alla discussione. Ma è chiaro che abbiamo intrapreso una strada precisa: vogliamo che i cittadini si esprimano su una scelta netta: Porcellum o Mattarellum.

 4) In caso di riesumazione del Mattarellum, per Italia dei Valori ritornerà ad essere indispensabile alla propria sopravvivenza una coalizione di centro-sinistra. La sussitenza del governo Monti – con il PD terza gamba della maggioranza – ha invece messo in forte crisi gli stilemi classici delle alleanze: come ricomporre l’abusato ritratto di Vasto quando emergono ancor oggi pesanti differenze fra IDV, Sel e PD, anche a voler prescindere dalle manovre del governo?

L’ho scritto anche sul mio blog, la foto di Vasto non è sbiadita e l’attuale alleanza parlamentare anomala è figlia della situazione di emergenza attuale. Credo che il Pd resti più vicino alle nostre posizioni, nonostante la divergenza attuale, piuttosto che al Pdl o al Terzo polo con cui vota insieme i provvedimenti di Monti. In una situazione di normalità democratica, fuori dall’emergenza, l’alleanza naturale non possa che partire da un centrosinistra formato da Pd, Idv e Sel, a cui, ovviamente, sulla base di un programma condiviso, possono aggiungersi altri soggetti della società civile, ma tenderei ad escludere un’alleanza allargata al Terzo Polo che mi sembra oggettivamente molto diverso dall’idea di centrosinistra che ha in mente anche la maggioranza del Partito Democratico.

5) Si è scritto e detto che il Porcellum è l’emblema del deficit di democrazia – il default politico – che ci accompagna oramai da troppo tempo. Non crede che la sola riproposizione delle preferenze di lista sia insufficiente a colmare questo profondo debito (che è ben più grave di quello finanziario)?

Il Porcellum è il figlio prediletto del deficit di democrazia. E’ stato creato dal centrodestra (compresi Fini e Casini) proprio per svuotare la Costituzione e la democrazia, un tentativo che a Berlusconi è riuscito molto bene grazie al controllo di quello che finora è stato il principale mezzo di comunicazione, la televisione. Riproporre soltanto le preferenze ovviamente non basta. L’Italia dei Valori si batte da tempo per l’estinzione dei privilegi di tutte le caste. Purtroppo nei 20 anni di berlusconismo è stata attuata una controrivoluzione culturale che ha portato a un disinteresse generico per tutti i problemi legati alla democrazia. Nei 20 anni precedenti abbiamo assistito all’individualismo sfrenato e all’egoismo di casta e di razza portati rispettivamente avanti da Berlusconi e da Bossi. Mi sembra che finalmente stiamo cominciando a invertire la rotta, ma il cammino sarà lungo.

6) Non pensa che una maggiore democratizzazione della vita dei partiti potrebbe rappresentare una svolta? IDV ancora fa fatica a prendere in esame la propria forma di partito personale. Il carisma di Di Pietro non è servito ad evitare di imbarcare nel partito personaggi come Scilipoti e Razzi. Una discussione pubblica più partecipata potrebbe servire a selezionare meglio l’élite del partito e a scongiurare compravendite in aula al momento del bisogno. A che punto è il vostro utilizzo del web e dei social network? Lei avrà inteso che sul web è vitale il confronto e il dibattito. Esserci ma estraniarsi da esso è controproducente. Berlusconi ha risolto inviando messaggi preregistrati, come un tempo faceva con le cassette. Invece altri politici si affidano a strampalate campagne pubblicitarie su Youtube (vedi Formigoni). Come collocare IDV in mezzo a questi eccessi?

Potrei dire che questo è il prezzo da pagare per la trasformazione di un piccolo movimento a un partito che aspira a diventare di massa ma sarebbe una risposta troppo semplicistica. L’Idv due anni fa ha tenuto il suo primo congresso nazionale, a cui sono seguiti congressi regionali, provinciali e comunali. Soltanto il questo modo, dandoci cioè una struttura democratica a tutti i livelli, il mio partito potrà crescere. Errori ce ne sono sicuramente stati, ma fanno parte tutti della vita precongressuale dell’Idv. E’ anche vero che soltanto con il ritorno delle preferenze, chiedendo cioè ai cittadini da chi vorranno essere rappresentati, questi errori potranno essere evitati. Ricordo, inoltre, che la compravendita si fa in due. Se Scilipoti e Razzi si sono fatti comprare è perché c’è qualcuno che li ha corrotti. Su questo, grazie a un esposto di Antonio Di Pietro, sta indagando la magistratura.

Per quanto riguarda il web sono assolutamente d’accordo. Ovviamente, per me che sono nato quando ancora non c’era la televisione, nel 1949, è stato complicato adattarmi alle nuove tecnologie, ma sapevo e sono sempre più convinto che in esse c’è il futuro della comunicazione e della politica. Sono attivo su facebook, su twitter, su google+, ho un blog e, da qualche settimana, proprio per utilizzare pienamente le potenzialità del web, e lontano dalla campagna elettorale per evitare strumentalizzazioni, ho aperto un sito, www.politicaevalori.it, in cui chiedo a chiunque un contributo di idee e queste idee possono essere votate. E’ un tentativo, appunto, di non utilizzare il web passivamente e fatto per ridurre la distanza tra politica e società civile. Spero solo, perché non è questa l’intenzione, che non sia scambiato per uno strumento di propaganda. Se così fosse stato lo avrei fatto in piena campagna elettorale. E’ un laboratorio, spero abbastanza innovativo, di programma partecipato. Un work in progress e decideremo insieme cosa fare in futuro. Anche il mio partito ha puntato sul web per la comunicazione. Ha rinunciato ad avere un giornale di partito con i soldi pubblici e ha come canali di comunicazione soltanto il sito dell’Idv, i blog degli esponenti politici a partire da Di Pietro, una web tv e i social network.

7) Per concludere, parliamo di digitale e di internet: abbiamo visto nascere il progetto del Movimento 5 Stelle, pur con qualche difficoltà interna. Alcuni sondaggi lo attestano al 7%. Si tratta di un movimento politico nato dal web. Tutto ciò è clamoroso ed è ancor più clamoroso se si pensa che accade in un paese in cui hanno accesso a internet circa il 58% delle famiglie. Molto meno della Svezia, per esempio. L’Agenda Digitale era lettera morta con Berlusconi. Digitale all’epoca significava solo digitale terreste – e televisioni sue, naturalmente. Abbiamo per anni ignorato che investimenti nella banda larga produrrebbero benefici per 1, 1.5 punti del PIL. Si può dire che abbiamo già completamente superato la Videocrazia? E’ bastata la defenstrazione del suo padrone? Oppure dobbiamo evolvere una cultura del digitale e di internet che invece ancora non abbiamo?

L’intuizione di Grillo è stata geniale perché forse è stato il primo a capire le potenzialità del web. Se quel 7 per cento dei sondaggi dovesse essere confermato credo che la loro presenza in Parlamento possa essere uno stimolo e un pungolo ulteriore. Quello che non mi piace è fare politica vestendo i panni dell’antipolitica, scimmiottando il Berlusconi dei primi tempi. Io diffido dell’antipolitica che è la negazione della politica e che, storicamente, sfocia sempre nell’avvento dell’uomo forte, autoritario, che arriva promettendo di risolvere tutti i problemi. Considero invece la politica, in astratto, alta e nobile. Ma è con la politica, non con l’antipolitica, che si risolvono i problemi del paese. Il mio sforzo è che si ritorni all’onestà e alla considerazione di una volta. Mi sento molto più vicino all’idea di politica di Aristotele, Montesquie o Croce che a quella di Beppe Grillo.

La cultura del digitale, per passare alla seconda parte della sua domanda, è ancora molto di là da venire. Ma non c’è dubbio che sia questa la strada da seguire sia per superare le anomalie della videocrazia sia perché, ne sono convinto, attraverso investimenti in questo senso si può creare maggiore occupazione. Non c’è dubbio che il web sia la forma più democratica degli attuali strumenti di comunicazione perché consente un’interazione che negli altri media è limitatissima.

Mi lasci concludere con una battuta. Tutta la campagna elettorale di Berlusconi, nel 2001, fu caratterizzata dallo sviluppo delle tre ‘i’, impresa, inglese e internet. Anche su questo il fallimento è stato totale. Berlusconi ha mantenuto solo un terzo della promesse, quella relativa alle imprese, ma solo le sue.

Censura Internet, Calabrò risponde: la vostra, una battaglia contro i mulini a vento

Corrado Calabrò, presidente AGCOM, risponde dalle colonne de La Stampa alle critiche dei giorni scorsi sulla prossima delibera AGCOM in fatto di diritto d’autore e internet che pone nelle mani dell’AGCOM stessa un potere bieco di censura dei siti che la violassero. Scrive Calabrò:

Sempre su La Stampa, Laura Aria, Direttore contenuti audiovisivi e multimediali dell’AGCOM, tenta di smontare l’argomentazione principale di chi contesta la delibera censura-internet, ovvero che l’AGCOM, autorità amministrativa, non possa sostituirsi al giudice:

L’interpretazione secondo la quale accertare le lesioni del diritto d’autore spetta solo al giudice e in via preventiva – questione centrale nell’articolo di De Martin – non si evince dalla normativa, la quale afferma una cosa diversa. Il decreto legislativo n. 70/2003 di recepimento della direttiva sul commercio elettronico chiama in causa sia l’autorità giudiziaria sia “l’autorità amministrativa avente funzioni di vigilanza”, conferendo a quest’ultima il potere di richiedere al prestatore di servizi di porre fine alle violazioni commesse.

Aria sostiene che è incoerente considerare incostituzionale l’intervento dell’autority per arginare la pirateria online quando viceversa il suo intervento in materie delicatissime come quelle dell’informazione, del bilanciamento tra pluralismo politico e diritto di cronaca è considerato pienamente legittimo. La differenza che Aria non coglie e non mette in evidenza è che, per esempio, gli interventi AGCOM in fatto di pluralismo dell’informazione non sono censori, semmai sanzionatori. Il TG4 non è mai stato chiuso per la sproporzione degli interventi del premier rispetto a quelli dell’opposizione. Ad esso è stata comminata qualche multa. Non sono stati inflitti minuti di sospensione alla messa in onda, né è stato mai chiesto al suo editore di bloccarne la emissione. Quindi è palese una sproporzione fra i poteri che AGCOM si è auto-conferito con questa delibera e quelli che realmente già possiede e esplica per mezzo delle sue sanzioni.

E’ vero però che il testo della delibera non è ancora pubblico. Calabrò si rilassi: non appena lo sarà, la rete analizzerà quel testo prima che se ne possa rendere conto. Le battaglie contro i mulini a vento – a quel punto – le dovrà fare lui.

La vittoria dei nuovi media

Punti di vista/1:

La sempre rinascente nuova sinistra ha usato Facebook, Twitter, e-mail e blog. La sua vittoria non è solo un voto di protesta – è stata una vittoria dei nuovi media sui più vecchi, in un paese dove, come tutti sanno, i vecchi media sono dominati da un solo uomo e dalla sua famiglia (Bbc, Il Nichilista).

Punti di vista/2:

Punti di vista/3:

Governo, ora spunta il sottosegretario ad Internet

Attenti perché la strategia berlusconiana sta prendendo pieghe insolite, per un magnate televisivo come lui. Sì, l’uomo che scoprì il primo motore di ricerca russo, Gogol, punta dritto su Internet. Ci avvertono dalle colonne de Il Tempo, giornale fedele al Governo, che B. ha studiato Internet per filo e per segno, a cominciare dalla campagna elettorale di Obama, dalla quale sta prendendo esempio. Dovete sapere che il nostro SDS – sex, drug and Silvio – si è rivolto verso la nuova tecnologia con un nuovo cipiglio, e ciò è confermato dall’adesione al Manifesto Digitale di agendadigitale.org dei due berlusconiani doc, Marco Camisani Calzolari e Edoardo Colombo, i guru del sito http://www.forzasilvio.it, quella inutile propaggine della grancassa di Mediaset dalla quale ogni settimana Lui ci pregia di discorsini in stile videocassetta, moderna rivisitazione del balcone di Piazza Venezia. Ed è vero, il Silvio Digitale qualche difettuccio ce l’ha, come ad esempio la mancanza di interattività del comiziante con i netizen, tanto per citarne uno. Ma piuttosto che lasciare il web alla Sinistra, la quale spadroneggia per sputtanare il (finto) premier, Berlusconi ha in mente un’idea che nessuno ha avuto, vista la vacuità e l’inutilità della figura: creare un sottosegretario “ad Internet”. Tanto qualche posticino a Palazzo Chigi bisognerà pure crearlo per accontentare i “Responsabili” che gli hanno votato la fiducia a Dicembre. Una vera rivoluzione, non c’è che dire. E quali poteri diamo al sottosegretario? Forse, per caso, quelli che ha il governo egiziano nei confronti degli operatori di telefonia mobile e di internet? Certo, in tempi di rivolta delle giovani generazioni, chiudere il web è la prima cosa da farsi.

Digitale terrestre e banda larga nel paese di Gogol. Storia di un interim ab aeternum

televisione digitale
L’interim allo Sviluppo Economico iniziato dopo le dimissioni di Scajola, il ministro a cui regalano casa, il primo a cui sia capitato di vivere in una casa pagata da altri senza saperlo, è ben lungi dall’essere sciolto. Come già anticipato, la successione di Romani non era affatto scontata, sebbene fosse la preferibile per casa Berlusconi: qualcuno mugugna – i finiani soprattutto, ma anche il Quirinale si è espresso per vie diplomatiche con una certa fermezza (pure ora si è messo a minacciare di non firmare i decreti). Insomma, Paolo Romani, un uomo targato Fininvest ministro con delega alle telecomunicazioni non è ben visto. Pressioni in tal senso potrebbero venire anche dal mondo nuovo della telefonia – Telecom Italia, per esempio. Perché?
Come ben sappiamo, in Italia è in corso lo switch-over verso il digitale terrestre. La nuova tecnologia di trasmissione permette di impiegare ‘meno banda’, lasciando libere alcune frequenze, il cosiddetto ‘dividendo digitale’. Un affarone negli altri paesi europei:

  • UK: due terzi delle frequenze a servizi radiotelevisivi (le procedure di assegnazione non sono note); il restante terzo sarà messo all’asta senza vincoli sulle tecnologie o sugli utilizzi
  • Francia: uno studio commissionato dal governo stima a 25 miliardi di euro il beneficio di non limitare l’allocazione ai soli servizi televisivi
  • Germania: parte del dividendo digitale sarà utilizzato per offrire servizi wireless a banda larga
  • USA: vendute all’asta frequenze a 700 MHz, incassati 19 miliardi di dollari per licenze vinte soprattutto da Verizon e AT&T (fonte: Lavoce.info – ARTICOLI – SE LO STATO NON VUOLE INCASSARE IL DIVIDENDO DIGITALE).

In Italia l’AGCOM, con una delibera datata 8 Aprile 2009, affermava la volontà di sottoporre a gara l’assegnazione delle frequenze liberate:

Il dividendo digitale verrà messo a gara con criteri che garantiranno la massima apertura alla concorrenza ed alla valorizzazione di nuovi programmi. Alla gara saranno ammessi tutti i soggetti operanti nello spazio economico europeo (SEE) – AGCOM | Autorità  per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Ora, stando quanto scritto su L’Espresso, l’AGCOM propenderebbe per una gara di tipo “beauty contest”, di fatto regalando le frequenze a Rai e Mediaset:

non è un’asta ma si chiama “beauty contest”: non si chiede denaro a chi partecipa, ci si limita a dettare i requisiti che bisogna avere per poter ricevere il dono (Alle Tv un regalo da 2 miliardi | L’espresso).

I cinque lotti messi a gara (cioè 5 reti televisive nazionali) saranno suddivisi in due parti:

  • parte A, pari a tre lotti, riservata ai nuovi entranti. Non potranno presentare offerte gli operatori che hanno la disponibilità di due o più reti televisive nazionali in tecnica analogica
  • parte B, pari a due lotti, aperti a qualsiasi offerente

Paolo Romani, all’epoca della pubblicazione di questa delibera – siamo nel 2009 – dichiarò che essa “rappresenta il primo passo formale di un percorso intrapreso in piena sintonia con la Commissione europea dopo mesi di intenso e costruttivo confronto”. Ecco il nodo cruciale: l’Europa chiede regole comuni poiché l’etere è un bene collettivo che può servire a realizzare obiettivi di crescita economica e culturale:

[Secono la Commissione bisogna] prevedere e ottimizzare al massimo l’impatto che il dividendo digitale avrà a livello economico e sociale. Il valore complessivo dei servizi di comunicazione elettronica che dipendono dall’uso dello spettro supera i 250 miliardi di euro l’anno nell’Unione europea (UE). La diffusione di servizi innovativi attraverso il dividendo potrebbe dare un contributo non trascurabile alla realizzazione degli obiettivi di competitività e di crescita economica previsti dalla strategia di Lisbona (Verso un uso ottimale del dividendo digitale).

Naturalmente, lo spazio liberato, essendo frammentato in piccole bande di frequenza, deve essere riorganizzato e pianificato in funzione della sua destinazione alle nuove tecnologie mobili, internet a banda larga, e così via.

Le attuali politiche nazionali sullo spettro radioelettrico non favoriscono, tuttavia, un accesso coordinato allo spettro tra i vari Stati membri. Secondo il parere formulato dal Gruppo per la politica dello spettro radio, senza un coordinamento efficace dell’accesso allo spettro vari possibili utilizzi del dividendo non vedranno mai la luce (ibidem).

Il Radio Spectrum Policy Group (RSPG) è composto da membri nominati dagli Stati della UE. Vicepresidente del RSPG fu nominato nel Novembre del 2008 tale Roberto Viola, Segretario dell’AGCOM italiana dall’agosto 2004, un tecnico, esperto di tecnologie della comunicazione. Ebbene, Viola, uomo AGCOM, in base al meccanismo di governance previsto, è diventato presidente del Gruppo nel 2010. E’ forse per tale ragione che la volontà del governo italiano di destinare il dividendo digitale ai soli broadcaster televisivi, ovvero Rai e Mediaset, non viene condannata con decisione dalla Commissione Europea? L’aver piazzato un proprio rappresentante alla presidenza di RSPG proprio nel 2010, anno della digitalizzazione televisiva può in qualche modo favorire pratiche poco chiare nell’assegnazione del dividendo?

Il governo, con questa politica, che chiaramente subodora di conflitto di interesse, azzoppa lo sviluppo dell’accesso a internet. L’Italia è l’unico paese in cui le nuove connessioni diminuiscono. La banda larga via etere certamente rovinerebbe i piani per la costruzione della rete superveloce a fibra ottica – alcuni esperimenti in proposito sono stati fatti nella città di Roma – che significa opere edilizie, stradali, eccetera, un bel paniere di opere interminabili il cui costo per la collettività sarà altissimo.

  • La delibera danneggia sicuramente lo Stato e dunque i cittadini: non porterà ad alcun incasso, salvo briciole. Danneggia lo sviluppo economico, perché non abbiamo alcuna idea di come sono stati selezionati gli operatori prescelti. Di sicuro, colpisce tutti gli operatori che non siano televisivi, perché gli operatori mobili, ad esempio, non potranno concorrere per ottenere frequenze di cui sono assetati – Lavoce.info – ARTICOLI – SE LO STATO NON VUOLE INCASSARE IL DIVIDENDO DIGITALE

Ecco perché Paolo Romani non può non diventare Ministro per lo Sviluppo Economico. C’è ancora una volta da gestire l’interesse del padrone. Il passaggio al digitale terrestre rappresenta la gallina dalle uova d’oro per Mediaset. E sapranno gestirla come solo loro sanno fare.

Net1News, la prima net news italiana: scopri cos’è e partecipa.

net1news

Net1News è la prima net news italiana

Si tratta di una piattaforma web che fa da vetrina meritocratica ai contenuti prodotti da siti di giornalismo e informazione indipendente della Rete.

I contributi dei siti che aderiscono a Net1News sono ordinati in una home-page nazionale dove confluiscono automaticamente le notizie più lette per ciascuna delle sotto home-page di categoria (argomenti e regioni).
Le notizie, i richiami, hanno visibilità proporzionale al successo (visualizzazioni) che otterranno dagli utenti. Gli utenti contribuiranno a certificare l’attendibilità di siti e blog con un sistema di feedback (come quello che usa E-bay per classificare i suoi venditori).

Il principio è unire le forze (la visibilità che ognuno può offrire) per creare un nuovo canale di informazione pubblicitariamente appetibile e dividere i successivi introiti tra i siti e i blog partecipanti proporzionalmente al successo (visualizzazioni) che ognuno di loro riscuote sulla piattaforma.

L’unica cosa che devono fare i siti per partecipare, è esporre un particolare banner di collegamento molto discreto ma funzionale, in alto a destra o a sinistra dell’home page. Nient’altro.

Tutta la gestione sarà iper-trasparente con bilanci comprensibili aggiornati on-line e contratti pubblicitari pubblicati. Tutti sono invitati a fare da controllori e da garanti del rispetto della mission del progetto.

Ai siti aderenti va il 50% degli utili pubblicitari. Lo scopo, comunque, è quello di essere il più possibile premianti per diventare maggiormente appetibili per siti e blog. L’altro 50% rimarrà a Net1 e servirà a retribuire chi lavora a tempo pieno sulla piattaforma e a fare gli investimenti necessari per far crescere con continuità il progetto, i suoi partecipanti e le sue infrastrutture informatiche.

L’obiettivo di Nettuno è anche quello di trovare risorse alternative per lasciare ai siti, il prima possibile, il 100% dei ricavi pubblicitari.

Il più importante e immediato effetto per i partecipanti di Nettuno è un sensibile aumento di contatti per chi pubblicherà le notizie più interessanti. La piattaforma, infatti, rimanda gli utenti direttamente ai siti, che si apriranno in un’altra finestra creando così contatti e traffico.

Crediamo che il giornalismo abbia bisogno di nuovi modelli organizzativi, economici, strutturali. Chi riuscirà a fornirli? Noi crediamo in Nettuno, il sito dei siti.

Il Progetto | www.net1news.org.

Decreto Romani, se pensano che il Web stia a guardare.

Opera di Anthony Lister, Hero Hostage

La Videocrazia che ci governa è pronta a varare il decreto anti-Internet, il decreto Romani, con il quale, cogliendo l’occasione data dal recepimento a mezzo di legge-delega della direttiva europea 2007/65/CE che regolamenta il settore degli audiovisivi, si impone una normativa rigida ai siti internet che pubblicano video. Un vero e proprio attacco a Google, proprietaria di Youtube, e a tutti i siti di videohosting. Ivi compresi quei blog che pubblicano materiale video “a contenuto non casuale”. Ovvero, se pubblicate un post in cui inserite l’embed di un video – per esempio – di Minzolini, al solo scopo di farne una critica, potreste, secondo il decreto, essere colpiti dalla mannaia dell’Authority delle Telecomunicazioni, perché la vostra testata non ha alcuna registrazione, e per violazione del copyright.

Censura? Di fatto, con l’estensione del concetto di “servizio media audiovisivo” a tutti i mezzi che “trasmettono non occasionalmente immagini” si mettono sullo stesso piano la RAI e un videoblog. Il decreto inoltre intende estendere la responsabilità editoriale ai blog che hanno contenuto multimediale – perciò a tutti i blog, poiché tutti i blog possono avere contenuto multimediale. Non contenti di ciò, riprovano a attribuire responsabilità ai provider per i contenuti pubblicati da terzi nei servizi di videohosting.

Tutto si gioca all’interno di norme ambigue: da un lato negano l’equiparabilità videoblog-media tradizionale, dall’altro includono tutti i contenuti video “non meramente accidentali”.
Senza una “levata di scudi” del Parlamento, il decreto diverrà effettivo a partire dal 4 Febbraio prossimo: ma se l’esame in Commissione ponesse all’attenzione dei parlamentari le due violazioni gravi commesse in questo caso dal governo, e cioé l’eccesso di delega – la legge delega licenziata dalle Camere è di sole undici righe e incarica il governo di approntare un testo di decreto al fine della sola recezione delle direttiva, mentre l’atto del governo istituisce una normativa innovativa senza nemmeno passare per la discussione parlamentare; e due) il decreto legislativo eccede la medesima direttiva che intende recepire, intervenendo nella disciplina di Internet e stabilendo inoltre un ruolo di Controllore del Web – l’AGCOM – senza prevedere alcuna tutela nei confronti del diritto del netizen o del provider a difendere le proprie prerogative dinanzi a un giudice terzo. Infatti il decreto Romani non è armonico ai principi introdotti dalla normativa europea facente parte del cosiddetto “Pacchetto Telecom”, pertanto una sua eventuale approvazione aprirebbe la strada per un ricorso alla Corte di Giustizia Europea. C’è già chi invia appelli al Presidente della Commissione Europea Barroso.

Ma il web resterà guardare? La normativa introdotta dal decreto farebbe da sponda per eventuali richieste da parte di AGCOM di oscuramenti di siti. AGCOM vorrebbe essere l’HADOPI francese, ma senza giudici fra i piedi. Agirebbe come agisce già ora, alla maniera di un arbitro, stabilendo sanzioni e disponendo restrizioni. L’inerzia che l’AGCOM ha sempre riservato al caso Retequattro certamente non avrà seguito, il web sarà perseguito con inusitata solerzia. Eppure la rete ha i mezzi per superare sia le disconnessioni, che gli  oscuramenti. Se la censura cinese schricchiola, figurarsi quella italiana. Da un lato alcuni anticorpi alla tagliola berlusconiana già stanno sorgendo sui giornali stranieri (Report senza Frontiere già parla di ulteriore riduzione della libertà d’espressione in Italia); e dall’altro lato, i server proxy rappresentano una valida strategia per aggirare gli oscuramenti dei siti. Se pensano che il web si fermi al loro divieto, si sbagliano di grosso.

Testo Integrale del Decreto Romani

    • In questo decreto c’è l’equiparazione dei siti web alle Tv, che come dice Marco Pancini, dirigente di Google Italia: “ha una conseguenza importante: disapplica, di fatto, le norme sul commercio elettronico in base alla quale l’attività dell’hosting service provider, cioè del sito che ospita contenuti generati da terzi, va distinta da quella di un canale tv, che sceglie cosa trasmettere. Significa , distruggere il sistema Internet”.
    • I provider sarebbero responsabili dei contenuti pubblicati sul web, e dovrebbero rimuovere quelli che violano il diritto d’autore, pena una sanzione, che potrebbe arrivare a 150 mila euro per ogni richiamo.
      Dopo il decreto Levi (ritirato), l’emendamento D’Alia (abrogato), Il Ddl Carlucci per togliere l’anominato in rete (arenato alla Commissione Trasporti), eccoci di nuovo con un bavaglio per internet.
    • Con Il Decreto Legislativo Romani , chi ha un collegamento internet, rischia di dover pagare anche il Canone RAI.
      Una cosa assurda!!!
    • L’Agcom diventerà “sceriffo” della Rete, perchè dovrà vigilare che i siti web rispettino davvero le regole del diritto d’autore.
    • In questo decreto c’è un eccesso di delega : a fronte di una legge delega di 11 righe, contiene di fatto, in una ventina di articoli e 35-40 pagine, una riforma radicale delle norme italiane su tv e Internet.
  • L’Italie censure la diffusion de vidéos sur Internet, Audiovisuel – Information NouvelObs.com

    • il governo del Presidente del Consiglio ha preparato la bozza di un decreto che renderebbe obbligatoria la verifica preliminare dei video caricati dagli utenti su siti quali Youtube, di proprietà di Google, e la francese Dailymotion, così come su blog e siti di informazione online
    • Google, le organizzazioni per la tutela della libertà di stampa e i gestori di servizi di telecomunicazioni chiedono modifiche alla bozza di decreto per evitare che il provvedimento, dall’iter breve, entri in vigore già il 4 febbraio
    • il decreto limiterebbe la libertà di espressione e renderebbe obbligatorio il compito, tecnicamente molto impegnativo, se non impossibile, di monitorare ciò che ogni singolo individuo carica su internet
    • Secondo Reporter Senza Frontiere il provvedimento potrebbe costringere i siti internet a dover richiedere delle licenze per operare in Italia
    • il controllo dovrebbe essere svolto da “una authority”, senza ulteriori particolari, sollevando domande fra i difensori della libertà di stampa riguardo le modalità con cui potrebbe venire implementato
    • Reporter Senza Frontiere ha reso noto in un comunicato di questa settimana che le bozze di decreto allo stato attuale “rappresentano un’altra minaccia alla libertà d’espressione in Italia.”
    • La bozza di decreto è stata redatta a metà dicembre, più o meno mentre l’impero mediatico fondato da Berlusconi annunciava una richiesta per danni di almeno 779 milioni di dollari [500 milioni di euro ndT] nei confronti di Youtube e Google per presunto uso improprio di video che aveva prodotto. La mossa è una risposta a una direttiva dell’Unione europea del 2007 volta a creare una normativa per i media, ma solo l’Italia l’ha interpretata col significato di mettere in difficoltà le società su Internet.
    • Il decreto sfida anche e per sua stessa natura il modello d’affari adottato da Youtube, condiviso anche da altre piattaforme che offrono servizi di hosting, basato sulla facoltà data agli utenti di caricare video senza essere controllati
    • Questo principio è al centro del processo di Milano nel quale 4 funzionari di Google sono stati accusati di diffamazione e violazione della privacy per aver consentito che venisse reso pubblico in rete un video nel quale un giovane autistico era oggetto di abusi. Google ha affermato di aver rimosso il video il più velocemente possibile. La sentenza è attesa nelle prossime settimane e i funzionari rischiano la prigione
    • Il decreto potrebbe anche fornire uno strumento per occuparsi in maniera veloce dei ‘gruppi d’odio’, come quelli che hanno lodato l’aggressore di Berlusconi, spuntati come funghi su Facebook
    • “Se io sono la BBC e sto usando il web per trasmettere la mia IPTV (Internet protocol TV), sono nel campo di applicazione della direttiva. Se io sono un utente che invia su Youtube il video del compleanno di suo figlio, non sono sotto il campo di applicazione della direttiva,” ha affermato venerdì Marco Pancini, consigliere senior per le politiche europee di Google Italia

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Libertà della rete è libertà dal conflitto d’interesse.

Il sit-in in Piazza Del Popolo a Roma si è concluso da un paio d’ore, ma non terminerà la vigilanza attiva dei netizen. Poiché a rischio non vi è solo la libertà di espressione, sempre aleatoria in questo paese, ma la principale caratteristica, il tratto distintivo, il dna della rete, del web, ovvero la neutralità. Le mire di Mediaset verso il web come spazio di manovra commerciale sono note oramai da tempo. Mediaset punta a una fetta di Telecom Italia per mirare a una rete messa in sordina dalle normative del governo, in dispregio della rete stessa e dei suoi principi fondanti:

"La network neutrality è definita nel modo migliore come un principio di progettazione. L’idea è che una rete informativa pubblica massimamente utile aspiri a trattare tutti i contenuti, siti, e piattaforme allo stesso modo. Ciò permette alla rete di trasportare ogni forma di informazione e di supportare ogni tipo di applicazione. Il principio suggerisce che le reti informative abbiano maggior valore quando è minore la loro specializzazione – quando sono una piattaforma per usi diversi, presenti e futuri" (Tim Wu).

L’eguaglianza dei contenuti è quello che loro mirano a demolire: l’intento è criminalizzare con l’obiettivo di legittimare interventi legislativi volti a garantire una "corsia preferenziale" per il proprio prodotto.
Per questo Libera Rete in Libero Stato è solo l’inizio del nostro impegno.

    • Dopo aver accertato che l’aggressione di Milano era dovuta al gesto di un povero diavolo, la maggioranza ha sentito l’esigenza di individuare il vero “mandante” del fatto. Sul tavolo degli imputati (oltre a gruppi editoriali e partiti d’opposizione) è stato messo Internet. Descritta come il solito far west, la Rete, viene raccontata in questi giorni come un covo di facinorosi inneggiante all’odio e al rancore. La risposta “emotiva” del governo ai fatti di Milano ha puntato subito tutto sulla censura, per poi, con i giorni, volgere a più miti consigli.

    • Ieri, ci ha raccontato Guido Scorza, si è tenuto un tavolo tecnico tra il Ministro degli Interni e gli operatori della comunicazione (rappresentanza degli utenti esclusa). La buona notizia è che il Governo non ha più intenzione (come pareva qualche giorno fa) di intervenire con un decreto d’urgenza, la cattiva notizia è che continua ad avvertire come una necessità impellente l’intervento di una legislazione più restrittiva che riguardi la Rete.

    • Ciò che il governo sembra non comprendere è l’essenza stessa della Rete, che non è qualcosa di “altro”, ma è semplicemente diventata un aspetto della socialità moderna, della vita, insomma.

    • Internet, infatti, non necessita di una legislazione aggiuntiva, in quanto i reati commessi in Rete (apologia di reato, istigazione a delinquere etc…) sono già perseguibili con le normali leggi dello stato, dentro e fuori da Internet. E’ evidente, dunque, come l’intervento censorio che si vuole mettere in atto in queste ore sia solo un escamotage per normare qualcosa che sfugge al controllo verticale dei poteri tradizionali e si muove per logiche altre, acefale e orizzontali.

    • In un paese governato da un uomo che ha fatto del broadcasting (comunicazione mono-direzionale da uno a molti) la propria ragione di vita politica, la possibilità di comunicare, dibattere e organizzarsi i maniera libera e incontrollata è quanto di più pericoloso possa accadere. Ed è proprio per lo stesso motivo che non possiamo abbassare la guardia. Nel Paese del conflitto d’interesse non possiamo, non dobbiamo più farci trovare impreparati.

    • Stavolta, prima che altri conflitti d’interesse sopraggiungano, dobbiamo intervenire. Per questo oggi è importante partecipare al sit in “LIBERA RETE IN LIBERO STATO” che si terrà in PIAZZA DEL POPOLO ALLE 17.00.

       

    • Tre le richieste della piazza:

      1 -Libertà della Rete (contro la proroga del decreto Pisanu)

      2- Diritto alle infrastrutture della Rete (Internet come diritto umano)

      3- Diritto alla neutralità della Rete (contro i nuovi conflitti d’interesse)

    • "Libera rete in libero stato": con questo slogan  si è svolta a Piazza del Popolo a Roma una manifestazione, conferenza stampa e poi sit in, per riaffermare la necessità che l’accesso alla rete resti libero. Hanno partecipato l’avvocato Guido Scorza, Alessandro Gilioli, Gianfranco Mascia per il ‘Popolo viola’, Giuseppe Civitati della Direzione del Pd.

    • le adesioni, fra le quali: Micromega, Articolo 21, Idv, Verdi Rifondazione Antonio di Pietro  e il sen. Marino, la Federazione della sinistra e altri ancora, senza contare le oltre 11 mila adesioni via internet.

    • Internet, finché svincolato da ingerenze di qualsiasi natura, è un cardine di una sana democrazia contemporanea

    • "Noi non sappiamo – aggiungono – se la diffidenza e la conflittualità verso la rete dell’attuale governo sia causata anche dal fatto che il premier è il maggiore imprenditore privato di una piattaforma di comunicazione diversa (la televisione), alla quale il web sta sottraendo in tutto il mondo cospicui investimenti pubblicitari.

    • non vogliamo che eventuali investimenti sulla rete siano collegabili con il ventilato ingresso del gruppo Mediaset sul web o direttamente negli assetti proprietari Telecom

    • La neutralità e l’indipendenza della rete italiana devono essere preservate dai possibili interessi del gruppo, che appartiene al Presidente del Consiglio

    • In Italia – dove si sono investiti centinaia di milioni per il passaggio al digitale terrestre – di possibili leggi sul web si parla solo in senso restrittivo

    • il Governo deve pensare ad incentivazioni anche economiche e fiscali per la diffusione Internet e della banda larga, tanto per gli utenti quanto per le imprese."

    • quattro punti

    • la differenza fra il web e il mondo reale è che non ci sono più destinazioni fuori portata, tutto e trasparente nel bene e nel male;

    • Internet non è una moda, un luogo di ritrovo per giovani, un ghetto per sociopatici. E al contrario un grande mezzo di conversazione globale, che offre a tutti la possibilità di partecipare;

    • per questo lo Stato dovrebbe promuoverne la diffusione, incentivando la crescità delle opportunità di accesso al web;

    • Internet, insomma, finché svincolato da ingerenze è un cardine della democrazia

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Il passatismo di Confalonieri. Mediaset via da Google smetterà di esistere.

Se non sei su Google, non esisti. Almeno nelle prime tre pagine. Altrimenti è oblio. E se Murdoch e News Corp. minacciano di uscire dalla pagine delle notizie di Google, condannandosi a essere un nano della rete, Mediaset pensa a farsi pagare i contenuti di proprietà che poi finiscono nelle carrellate di Youtube o di Google video. Essi non sanno la portata del danno che l’uscita dal più famoso motore di ricerca gli potrà portare. Non ne hanno idea. Confalonieri ha imbeccato il governo, sostenendo che esso debba farsi promotore di iniziative legislative a tutela della proprietà intellettuale. Mediaset non lascia Youtube, ma chiede di essere pagata, o di far pagare la visione dei propri contenuti, messi in rete dagli utenti della piattaforma. Ovvero chiede una legge fatta ad hoc. File sharing e streaming video mettono a nudo il loro passatismo. Devono ricorrere al divieto per proteggere le proprie posizioni dominanti. Murdoch minaccia di uscire da Google, ma per quanto potrà resistere? Mediaset punta tutto sul diritto d’autore, un diritto che oggi ha subito trasformazioni e sta moltiplicando le proprie forme, le quali attendono solo di essere normate.
E il governo? Il ministero della Gioventù, per mano del capo gabinetto Luigi Bobbio, ha preparato un documento in cui si afferma la necessità di forme alternative e estensive della proprietà intellettuale. Addirittura il ministro Meloni si è espressa dicendo che il diritto d’autore nell’era digitale non può essere difeso erigendo barriere, bensì puntare sulla qualità dei contenuti e sulla loro disponibilità in rete a prezzi accessibili. Certamente una non soluzione. Ciò non impedisce lo scambio libero fra utenti di un servizio web. Lo scambio e l’immediata fruibilità dell’informazione sono l’asse portante del web, che così si sostanzia e si rinnova. È esattamente questo aspetto che loro non comprendono e che invece dovrebbero cercare di fare proprio. Invece continuano a vivere di una concezione separata dei ruoli autore-editore-consumatore. Il web 2.0 rivoluziona i rapporti, rompe lo schema divisorio fra produttori di contenuti e semplici utilizzatori. Nel web 2.0 si è insieme produttori e consumatori, e il diritto d’autore nella sua concezione classica, ovvero la proprietà privata, si fa neutro.

    • Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni torna sul tema Internet e conferma sostanzialmente le parole del suo capo gabinetto Luigi Bobbio, che nelle settimane scorse ha dato voce a un documento che offre un punto di vista molto interessante sul ruolo di Internet

    • una sorta di manifesto che tocca tutti i punti critici con cui è stato trattato in Italia il tema Internet dalle autorità, uno sguardo sempre e quasi solo esclusivamente volto alla pirateria

    • Ministro Meloni che proprio oggi affronta direttamente l’argomento: "Il diritto d’autore nell’era digitale non può essere tutelato erigendo barriere: Internet non si blocca alle frontiere"

    • necessità di "fornire prodotti di alta qualità e di facile accesso da parte di tutti a prezzi ragionevoli" e "valutare ed elaborare forme nuove di tutela del diritto d’autore"

    • sembrano spingere forme alternative di difesa della proprietà intellettuale: innanzitutto Creative Commons e Software Libero, ma anche riforma del funzionamento della SIAE

    • Nel documento di Bobbio si parlava già di contenuti di qualità, e si era affrontata la questione delle nuove forme televisive e della necessità, soprattutto per la Rai, di investigare i mezzi offerti da Internet su cui i professionisti della tv di stato sarebbero rimasti colpevolmente indietro

    • "Se sono stati investiti fiumi di denaro per la tecnologia-ponte (il digitale terrestre ndr) perché non ci si decide ad investire per le nuove generazioni che già – scriveva Bobbio – guardano sempre meno la TV?

    • I motori di ricerca attivi su Internet, da Youtube a Google, devono remunerare in qualche modo i contenuti che diffondono altrimenti chi produce questi contenuti non può più investire su essi. È in sintesi il monito che giunge dal presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri

    • «Internet -spiega Confalonieri- si avvale di una parola magica che è free: se i vari Youtube e Google non riconoscono il valore della proprietà intellettuale non si può investire» sui prodotti.

    • «serve molta attenzione da parte dei regolatori, del governo, devono prendere a cuore questo problema»

    • dichiarazione rilasciata ieri sera da Luca Nicotra (Segretario dell’associazione radicale «Agorà Digitale») e Marco Cappato (Presidente, Membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani)

    • «In un mercato in cui è chiaro a tutti che, a dispetto della retorica messa in campo dall’industria dei contenuti, il contributo di maggior valore deriva dalla connettività, e non dal contenuto, lascia sbigottiti l’appello lanciato al Governo da Fedele Confalonieri affinchè difenda aziende come Mediaset da Google, Youtube, Yahoo e altri fantomatici approfittatori. Anzi, più di un appello sembra una minaccia, considerando che, proprio ieri, Mediaset ha ribadito quanto sia centrale nella sua strategia la causa che essa stessa ha intentato contro Youtube e in cui rivendica un danno di 500 milioni di euro per violazione del diritto d’autore. Confalonieri cerca di difendere un sistema bloccato, in cui i cittadini sono semplicemente audience, e la scelta dei contenuti da trasmettere è fatta da coloro che, come lo stesso Confalonieri, hanno in mano la TV generalista. A questo punto ci appelliamo a Google e Yahoo chiedendo loro di rimuovere per almeno un mese i contenuti online del gruppo Mediaset dai loro indici. Un’azione drastica, ma potrebbe essere davvero l’unico modo per aiutare a far comprendere a coloro che difendono modelli ormai superati quanto la Rete ha cambiato l’economia, anche quella dei contenuti, e quanta parte dei ricavi degli stessi produttori derivino dalla comunità di utenti che modifica e condivide»

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Il Web è un diritto. Appello del Presidente della provincia di Roma Zingaretti.

Il 70% degli italiani si forma la propria opinione politica per mezzo della televisione. Un argomento delicato come la sentenza della Corte di Giustizia Europea sul Crocifisso nelle aule della scuola pubblica è stato oggetto di dibattiti rissa, con provocatori e agenti della disinformazione, opinionisti dediti all’insulto e alla discriminazione verbale. Si è persino tentanto di giudicare un profeta, Maometto, con la morale della contemporaneità. Chi si è espresso in questi termini, ha dato prova della propria profondissima ignoranza morale, etica, giuridica. Le arene televisive sono recinti di maiali, l’unico loro scopo è reprimere l’opinione divergente, conformare a una visione unica, grezza, acritica e lontana dalla realtà.

La televisione è un mezzo di veicolazione di massa che ricerca l’omologazione e elimina l’Altro, declassificandolo a semplice anomalia, ad un errore da correggere attraverso la sua criminalizzazione. L’Altro, che non la pensa come te e si ostina a contraddirti, è porco, pedofilo, ignorante, addirittura discriminatorio lui stesso perché si permette di essere Altro da te e si differenzia. La televisione non permette alcun tipo di interazione verbale, il dibattito rappresenta lo spettatore ma non lo integra. In un’arena televisiva coesistono i diversi interlocutori che interpretano diverse sfumature dell’opinione pubblica. E secondo un copione prescritto, bocciano l’opinione che deve passare per sbagliata.

Il Web no. Il Web è un’altra cosa. Il Web permette di esprimere sé medesimi, di interagire, di interloquire con la medesima valenza di un qualsiasi altro attore della rete. Nel Web si realizza l’uguaglianza delle opinioni. L’accesso libero alle informazioni è la premessa per una libera formazione dell’opinione pubblica. L’accesso alla rete, oggi, garantisce questa libertà che invece la televisione – come strumento in sé, ma anche come struttura di potere, come burocrazia –  cerca di prevenire e ostacolare. L’accesso alla rete non è per tutti. La grande malattia del digital divide nega alla rete di essere il principale strumento di informazione e formazione. La proposta di rendere la banda larga un servizio di base per il cittadino è stata derubricata dal Ministro dell’Economia. Non è fra le priorità del governo. Non ci sono i soldi. La crisi, si è detto, non permette investimenti nel settore. Eppure la rete è uno strumento per creare produttività. Rinunciare a un progetto simile è un danno per tutti, in primis per il cittadino, ma anche per le aziende.

La provincia di Roma, nella persona del suo presidente, Nicola Zingaretti, ha pubblicato un appello a tutti gli enti locali in favore di progetti che adottino la banda larga e la diffondano come un servizio per tutti. Yes, political! fa proprio questo appello.

L’APPELLO “BANDA LARGA COME SERVIZIO UNIVERSALE”

La decisione recentemente adottata dal governo finlandese di riconoscere l’accesso in banda larga ad internet come servizio universale può rappresentare, a livello europeo, uno straordinario incentivo alla costruzione di una nuova prospettiva di investimenti, crescita, occupazione legati all’innovazione tecnologica. È infatti, ormai, dimostrato, e confermato anche dal Governo italiano, che lo sviluppo delle cosiddette “infrastrutture della conoscenza” rappresenta una delle sfide cruciali per uscire dalla crisi garantendo una ripresa economica stabile e duratura.Come amministratori locali, quotidianamente impegnati nel confronto con le richieste dei cittadini e delle imprese dei nostri territori, siamo da tempo consapevoli della crescente importanza che internet ha assunto nella vita delle persone come indispensabile strumento di socialità, informazione e conoscenza, nonché come infrastruttura di collegamento per molte applicazioni o servizi, anche per servizi fondamentali legati alla medicina, alla mobilità, o all’ambiente.Oggi, essere esclusi dall’accesso alla Rete significa vivere una nuova forma di disuguaglianza nella fruizione delle opportunità offerte dalla società globale. Non intervenire per ridurre questa disuguaglianza penalizza le nostre imprese e rende l’Italia meno competitiva nel mondo.Per questo rivolgiamo un appello al Parlamento e al Governo affinché, anche in Italia, una legge dello Stato riconosca l’accesso ad internet in banda larga come “servizio universale” e quindi come diritto di tutti i cittadini, superando i limiti del D.P.R. 318/97 e aprendo un’ampia riflessione con tutti gli operatori, le istituzioni e le amministrazioni locali, gli attori economici e sociali per un modello di sviluppo dell’infrastruttura che valorizzi al meglio le risorse economiche e di rete, pubbliche e private, già presenti e che dovranno essere messe in campo.Ci impegniamo, inoltre, su un tema così importante per il futuro del nostro Paese a sostenere, a partire dalle nostre amministrazioni, una vasta campagna di informazione e sensibilizzazione rivolta ai cittadini per diffondere la conoscenza della Rete, delle sue opportunità, dei suoi diritti.

Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, 11 Novembre 2009

Emendamento 138, la soluzione finale. Netizen nelle mire dei Governi.

L’accordo raggiunto questa notte in Unione Europea fra Consiglio e Parlamento ha sancito quel che già era nell’aria da giorni, vale a dire l’affossamento dell’emendamento 138, approvato mesi fa dal Parlamento stesso, con il quale di fatto si escludeva la possibilità delle disconnessioni ad opera delle autority governative attribuendone la facoltà soltanto a un’autorità giudiziaria, previo svolgimento di regolare e giusto processo. Il Parlamento ha ceduto nei confronti delle pressioni esercitate dal Consiglio, vale a dire dei nostri governi, i quali di fatto si sono messi contro la Rete a tutela dell’unica forma di diritto d’autore contemplata, ovvero la proprietà esclusiva dell’opera.
L’accordo lascia molto spazio ai governi: essi dovranno recepire la direttiva che conterrà il predetto emendamento con legge nazionale entro 18 giorni ed avranno ampio margine per decidere quali saranno le misure "appropriate e proporzionate" da applicare in caso di un netizen colto a violare il diritto d’autore per mezzo della rete. Quindi queste misure potranno anche essere le disconnessioni. Non esiste alcun riferimento esplicito alla attribuzione di questa facoltà all’autorità giudiziaria ma esclusivamente considerazioni generiche nelle quali si assicura al netizen la presunzione d’innocenza e il rispetto della privacy. Insomma, è stato lasciato aperto uno spazio per la reintroduzione della dotrina Sarkozy.

  • L’emendamento 138 è morto per la mancanza di coraggio del Parlamento.
    Strasburgo, ottobre 21, 2009 – Ieri, i rappresentanti del Parlamento europeo – un’istituzione che si solitamente si pregia di difendere i diritti umani in patria e all’estero – hanno deposto le armi sotto la pressione esercitata dagli Stati membri. Il Parlamento ha abbandonato l’emendamento 138, una norma che era stata adottata in due occasioni con una maggioranza del 88% in seduta plenaria, che mirava a tutelare le libertà civili online. Al posto dell’assicurazione che nessuna restrizione di accesso a Internet possa essere imposta senza una preventiva decisione della Corte, l’emendamento 138 sarà sostituita da una disposizione neutrale, che non prevede alcuna tutela significativamente nuova per i cittadini.

    Leggi il comunicato stampa sul sito web di La Quadrature du Net:
    http://www.laquadrature.net/fr/lamendement-138-mort-par-manque-de-courage-du-parlement

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    • Rispetto dei diritti fondamentali della persona, tutela della privacy, garanzia ad essere giudicati in maniera ponderata e imparziale, sanzioni proporzionate per punire coloro che vengano colti a violare il diritto d’autore con la mediazione della Rete

    • il testo di compromesso definitivo di quel che è comunemente noto come emendamento 138 è scaturito da un tira e molla europeo che si trascina de mesi

    • Non si tratta dell’emendamento 138 originario, quello che avrebbe dovuto sancire con decisione l’inapplicabilità del regime delle disconnessioni in quanto inefficace e non proporzionato, né si tratta dell’ultima versione del testo che sembrava non offrire al cittadino alcuna garanzia dalle rivendicazioni dell’industria dei contenuti.

    • Con la negoziazione notturna fra Consiglio e Parlamento Europeo è stato plasmato un testo che sembra voler garantire i diritti del cittadino nel quadro dell’enforcement della tutela del diritto d’autore

    • "le misure adottate dagli stati membri relative all’accesso e all’uso di servizi e di applicazioni attraverso le reti di comunicazioni elettronica da parte degli utenti finali dovranno rispettare i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo

    • Misure, si spiega, che devono risultare "appropriate" e "proporzionate"

    • Nessun riferimento alle modalità con cui si soppeseranno questi equilibri e queste proporzioni

    • Al netizen, si chiarisce in maniera esplicita nel testo, sono assicurati il principio della presunzione di innocenza e la privacy

    • Ma la nettezza con cui queste garanzie venivano assicurate dall’emendamento 138 nella sua prima formulazione sembra essersi sfocata

    • il cittadino della Rete possa essere sanzionato solo in seguito ad una procedura equa e imparziale, mentre si perde il riferimento, contenuto nell’originario emendamento 138, alla "decisione dell’autorità giudiziaria"

    • Un elemento che avrebbe garantito al cittadino additato come pirata dai detentori dei diritti la possibilità di difendersi nel quadro di un ordinario processo, di fronte ad un magistrato imparziale e non ad un’autorità che potrebbe essere portatrice di interessi di parte.

    • La Quadrature du Net, che da tempo si adopera a favore dei diritti nella società civile connessa: "questo testo – ha chiosato il cofondatore del gruppo Jérémie Zimmemrmann – fornisce le armi legali per continuare a combattere le restrizioni dell’accesso a Internet"

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    • Il Parlamento Europeo e il Consiglio Ue, che rappresenta i governi, hanno trovato nella notte un’intesa definitiva sul pacchetto di riforma Ue delle telecomunicazioni, che potrà così entrare in vigore nel 2010

    • Gli stati membri avranno 18 mesi per recepirla nel diritto nazionale

    • nuova authority europea, la possibilità di una separazione funzionale tra gestori di reti e fornitori di servizi, più tutela per gli utenti di internet

    • Si era però creata un’impasse durata oltre sei mesi, dopo che il Parlamento Europeo aveva approvato un emendamento che imponeva come necessaria la decisione di un giudice prima di poter chiudere la connessione internet di persone che scarichino materiale illegale dalla Rete.

    • La riforma introduce anzitutto un regolatore europeo delle comunicazione elettroniche, il Berec (Body of European Regulators in Electronic Communication), che dovrà rafforzare l’applicazione del diritto Ue in materia, impedendo che un operatore possa sottrarsi alla concorrenza

    • La nuova authority Ue prenderà decisioni a maggioranza.

    • La normativa concordata a Bruxelles prevede inoltre la possibilità per le authority nazionali di obbligare le grandi società di tlc alla separazione funzionale tra gestori di reti e fornitori di servizi, sia pure solo in «casi estremi»

    • Secondo la Commissione «la separazione funzionale può migliorare rapidamente la concorrenza nei mercati mantenendo incentivi agli investimenti in nuove reti»

    • possibilità per i consumatori di cambiare operatore di telefonia fissa o mobile in un giorno lavorativo mantenendo il proprio numero

    • diritto a una migliore informazione al momento di sottoscrivere a un servizio

    • il rafforzamento dei diritti dei cittadini per quanto riguarda l’accesso a Internet

    • nel testo emendato si afferma ora che qualsiasi misura intrapresa dagli stati membri sull’accesso, essa dovrà «rispettare i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini», e dovrà essere «appropriata, proporzionata e necessaria» e «rispettare la presunzione d’innocenza e il diritto alla privacy»

    • in caso di blocco dell’accesso, i cittadini avranno diritto a una «procedura equa e imparziale, incluso il diritto di essere ascoltati», e «un revisione giudiziaria efficace e tempestiva»

    • maggior scelta sui fornitori di servizi a banda larga, mentre le authority nazionali dovranno imporre livelli minimi di qualità e promuovere la «neutralità della rete»

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Ricevo e pubblico. Il web e Marino. Cosa lo differenzia da Bersani e da Franceschini.

Ricevo una segnalazione che prontamente pubblico: due post sul blog "Piovono Rane". L’aspetto del rapporto con i new media, con internet e il suo popolo e i candidati segretari PD. Cosa differenzia le mozioni: solo Marino ha idee concrete, da Bersani quasi un’ostilità al web, per Franceschini il web è una gran cosa, ma non sa dire cosa. Questo in estrema sintesi.

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    • come i tre candidati alla segreteria del Partito democratico prendano in carico la cultura digitale
    • alcune dichiarazioni rese da Franceschini e Bersani negli ultimi mesi. Il segretario, durante i giorni dell’assemblea che lo elesse, sbottò contro quella che l’Unità definì “la rabbia del Web” e cioè contro e mail, commenti ai blog, prese di posizione che invasero il cibespazio in quel periodo, tesi a invocare un congresso immediato. Franceschini dichiarò: “Ma scusate la base qual è? Quella dei blog o quella che abbiamo visto sabato, le duemila persone elette con le primarie? Quella è gente vera, non virtuale. Gli italiani non sono il popolo della rete”
    • Bersani alla recente festa del partito a Genova ha concluso: “Va bene, sì, Internet, la tecnologia e tutto l’ambaradan. Ma non si può fare politica se non si guarda la gente negli occhi”
    • il sondaggio online de L’espresso a cui hanno già partecipato trenta mila persone: circa il 47% si dichiara a favore di Marino, il 40% di Bersani e il 13% di Franceschini.
    • indicano un certo distacco tra Franceschini e Bersani, da un lato, e la cultura digitale, dall’altro.
    • l’impegno sulla cultura digitale, occorre preliminarmente sgombrare il campo da un equivoco: parlare di digitale non significa prestare più o meno attenzione a meri strumenti tecnologici, a gadget, all’ultima novità mediale
    • in modo più profondo parlare di cultura digitale significa cogliere elementi di mutazione sociale complessiva
    • quello scenario che Castells chiama “network society”. Un modo nuovo di valorizzazione delle risorse, di condivisione di pensieri ed emozioni, di strutturazione del potere. Significa in definitiva entrare in relazione con le soggettività del nostro tempo
    • Una simile comprensione della cultura digitale non la si ritrova nella mozione Bersani. Incentrare la mozione sul tema cardine della produzione (e di conseguenza dei ceti produttivi) significa non aver colto quel cambio di paradigma economico che segna l’epoca postfordista
    • Bersani dimostra in questo – che poi è il centro del suo progetto – l’anacronismo di una proposta in tutto e per tutto socialdemocratica, e cioè compiuta nei suoi termini, nei soggetti stessi i cui interessi un partito dovrebbe tutelare
    • Nulla di più scontato dunque che la Rete finisca con l’essere intesa semplicemente come uno strumento di comunicazione in più
    • Sulla green economy si sofferma anche e maggiormente Franceschini, il quale avverte la necessità di andare oltre il fordismo avvalendosi delle nuove tecnologie. E i riferimenti diretti alle nuove tecnologie sono forti in almeno due passaggi: all’inizio del testo il computer è presentato come icona del mondo contemporaneo e, parlando di merito, si individua un legame forte tra scuola e mezzi tecnologici
    • però, a proposito della cultura digitale sconta quella cifra caratteristica di tutta la sua mozione: un nuovismo vago ed indeterminato. In altre parole, il segretario uscente comprende che sul mondo contemporaneo spira un vento nuovo, ma non riesce a decifrarne compiutamente gli elementi caratterizzanti, a confrontarsi con le reali novità: non viene di conseguenza tematizzato alcun problema specifico alla cultura digitale
    • Marino. Da un lato, non si limita a indicare nella rivoluzione verde il prosieguo della rivoluzione informatica ma va oltre, riuscendo a individuare accanto e al di là della green society, una care society, una società della cura, della salute, della sanità come volano di sviluppo.
    • numerose prove che questo possa essere un orizzonte di innovazione dirompente: in America, Obama proprio sulla riforma della sanità si è impegnato più a fondo e prioritariamente
    • Marino sembra sicuramente quello dotato di maggiore capacità prospettica.
    • è confermato, infine, dal fatto che delle tre mozioni l’unica a occuparsi di questioni più specifiche alle reti telematiche sia proprio quella di Marino che, all’interno di un’attenzione generale all’informazione, affronta i problemi della banda larga nel nostro paese e della libertà dei citizen journalists, cioè di tutti noi che pubblichiamo qualcosa su internet.
    • “è una politica miope quella che si occupa delle leggi sulla comunicazione ignorando che nel futuro i nuovi mezzi che oggi rappresentano lo strumento di massima democrazia, potrebbero finire per essere controllati da pochi colossi industriali e limitati da normative che tendano ad introdurre limiti all’informazione in rete”
    • i piccoli episodi citati all’inizio non paiono affatto accidentali, ma trovano una sostanziale conferma nei discorsi dei candidati alla guida del Partito democratico. Insomma, la sua mozione spiega perché Marino non ha mai contrapposto la Rete ai circoli e riesce a ottenere l’appoggio dei cibernauti. Saranno episodi determinanti, come lo sono stati in America per la vittoria di Obama?
    • antonio.tursi@gmail.com

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    • Se il premier non ha bisogno di Internet perché ha Gianni Letta «che è un Internet umano», magari gli altri cinquanta e rotti milioni di italiani invece gradirebbero collegarsi velocemente alla Rete
    • pare che la cosa sia difficile e il mitico “piano Romani”  da un miliardo e mezzo di euro è fermo, perché Il Cipe (cioè il governo) non molla i soldi, quindi siamo dopo l’Irlanda e la Corea nella diffusione di banda larga, e anche dopo la Svizzera che pure è abbastanza montuosa.
    • il capo del governo è lui, ed è stato lui ad esempio a togliere una cinquantina di milioni allo sviluppo della Rete per poter abolire l’Ici, tanto per fare un esempio.
    • penso così male se penso che a Berlusconi non solo della Rete non gliene frega granchè, ma probabilmente gli sta anche un po’ sulle palle perché è l’unico media nel quale non ha una presenza decente?
    • è strapotente nelle tivù, messo benone sulla carta stampata, si è fatto pure un po’ di radio ma in Rete non se lo fila quasi nessuno.
    • Che bisogno ha di diffondere Internet?

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