L’attacco alla Norvegia è di matrice interna. Non per Libero

Libero non ha dubbi: l’attacco alla Norvegia è opera di una cellula di al Qaeda. Avessero atteso dieci minuti in più prima di titolare in senso anti-islamico, avrebbero saputo che la polizia norvegese ha arrestato un giovane terrorista norvegese, forse parte della destra – oibò – norvegese.

Invece sulla pagina web di Libero News campeggia questo titolo:

E sulla copia di carta ha sparato quest’altro titolo:

Con l’Islam il buonismo non paga

Magari Belpietro avrebbe potuto tenere aperta la redazione fino a tardi, che dite. E pagare un po’ di straordinario ai suoi giornalisti.

E i titoli de Il Giornale non sono migliori: Fiamma Nierenstein si infiamma…


Non lo trovate surreale?

Osama, o l’uomo che morì due volte

Osama, l’uomo che morì due volte. Esiste un Osama terreno, di carne e ossa, un ometto che ha flirtato con il mondo occidentale per un po’, godendone dei privilegi, conquistandone la fiducia per il suo impegno antisovietico in quella terra di pietra e ossa che è l’Afghanistan. Quindi esiste l’altro Osama, quello che non si vede. Il corpo non c’è più, c’è solo la sua rappresentazione. La voce registrata, un video montato male, messaggi inviati nel tubo catodico globale che ci investe tutti incessantemente.

Perché il percorso che Bin Laden sta tracciando in questo suo giocare a rimpiattino con i mass media di un mondo dominato dalle forme della comunicazione universale è il rimando continuo tra immaginazione e realtà, tra la costruzione d’una identità simbolica, metafisica – che va al di là della evidenza dei fatti di cronaca – e l’ambigua ma affascinante riapparizione periodica della sua immagine o della sua voce. Vero e non vero, illusione e realtà, si mescolano e si confondono come il regno della televisione ha ormai dettato al nostro tempo (M. Candito, La Stampa, 14.11.2002, p. 5).

Bin Laden in carne e ossa era un uomo male in arnese, un ex combattente pieno di malattie, dall’età indefinita, incapace di metter paura a chicchessia. Morto forse da anni.

Osama, invece, è l’ombra che si insidia nelle crepe del nostro mondo. Grazie alla sua immaterialità, può invadere l’immaginario collettivo e contaminarlo con la paura permettendo così un più stretto controllo dei comportamenti. Dicono di lui che abbia ammazzato più musulmani che tutte le guerre del terrore messe insieme. Si è stagliato nel panorama politico mondiale come il nemico, il male assoluto, elemento indispensabile alla contrapposizione dualistica dell’era Bush, figlia diretta di quel bipolarismo della guerra fredda che venne a mancare all’improvviso, dal 1989 in poi, lasciando gli USA soli a governare il mondo e aprendo di fatto le porte alla crisi da iper-potenza. Come dire che il bipolarismo USA-URSS non poteva essere risolto se non ammettendo la nascita di un mondo multipolare in cui gli USA declinano a potenza locale.

Questa è la chiave di volta: l’America di Obama è questa superpotenza ridotta a bancarottiere. Una superpotenza in decommissioning. Il multipolarismo obamiano segna la fine degli USA come riferimento globale: specchio di questa crisi è il dollaro, sull’orlo della svalutazione, che i più pessimisti danno per imminente. Il mondo non è più un posto per gli USA, si direbbe. Non per come li abbiamo conosciuti.

Ecco quindi il senso della morte di “Osama”, l’immaginario Osama, l’uomo del terrore: come in una sorta di carnevale, si brucia il feticcio del male. Viene rotta per sempre la stampella che reggeva il duopolio ai tempi della fine dei Soviet. Non esiste più l’uomo nero ed è venuto il tempo per il cambiamento.

Gheddafi in Italia: soccorso libico per le banche italiane

Pensate che ci sia solo da festeggiare per il trattato di Amicizia italia-Libia (votato ahinoi anche dal PD)? Bossi non era del medesimo parewre, qualche giorno fa, quando giunto a Villa Campari si era deciso a mettersi di traverso sulla cavalcata del profeta libico nelle banche italiane. Ma Berlusconi e Gheddafi costituiscono più di un sodalizio d’interesse: Berlusconi ha scovato la gallina dalle uova d’oro che gli permette di nascondere i guasti del sistema bancario italiano e, in secondo luogo, di fare affari, per sé e per gli amici di Impregilo (che costruiranno in Libia l’autostrada costiera per appalti miliardari).

Ma ciò che più importa è il livello di insediamento del capitale libico nel sistema finanziario e imprenditoriale italiano: Unicredit è praticamente controllata da Gheddafi con solo il 7% delle azioni:

i soci libici possiedono «effettivamente» il 7% di Unicredit, superando così anche i neo-azionisti di Abu Dhabi, Aabar, fino ad oggi in testa nell’azionariato col 4,99% […] L’operazione messa a segno a fine luglio dalla Lia, Libyan Investment Authority (il fondo sovrano di Gheddafi), che ha portato la propria partecipazione al 2,07%, si aggiunge a quelle della Banca Centrale Libica e della Libyan Arab Foreign Bank, che detengono un altro 4,98% (Unicredit: 4.700 esuberi Gheddafi primo socio – Economia – l’Unità.it).

La Libian Investment Authority gestisce i denari provenienti dal petrolio, presto sfruttato da British Petroleoum (BP, quella del disastro del Golfo del Messico): si stima che possieda asset e riserve per un controvalore di circa 70 mld di dollari. Soldi che fanno gola a Unicredit, al quale invece attraversa ora la sua crisi più profonda, testimoniata da due operazioni conseguite lo scorso mese di Luglio:

  • la fusione delle controllate Unicredit Banca, Unicredit Banca di Roma, Banco di Sicilia, Unicredit Private Banking, Unicredit Corporate Banking, Unicredit Family Financing Bank e Unicredit Bancassurance management and administration;
  • l’annuncio di circa 4700 esuberi.

Unicredit ha visto il suo profitto ridursi in un anno da 6 mld a 1. Gheddafi l’ha quasi salvata. E ora può ben guardare alle altre imprese decotte italiane, a cominciare da Telecom per passare all’Eni. Un potere finanziario che gli può permettere di dire che l’Islam un giorno sarà la Religione d’Europa nel silenzio della politica italiana, e in special modo del Vaticano.

Sitografia: