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No, non è finito il tempo della videocrazia. Chi parla, come è avvenuto ieri al #ijf14, durante il dibattito “Se la comunicazione politica domina la narrazione giornalistica”, speakers Jacopo Iacoboni, Francesco Nicodemo, Nicola Biondo, Elisabetta Guelmini, Giuliano Santoro, di fine della preminenza del mezzo televisivo nella comunicazione politica, sbaglia. I nuovi media, storicamente, non escludono o soppiantano i mezzi di comunicazione in uso, ma li integrano; molto spesso, i media tradizionali si sono adattati alle nuove metriche di comunicazione e ne sono diventati parte principale nella funzione della divulgazione di massa. La Televisione ha due caratteristiche che la Rete Internet non ha: la pervasività e l’immediatezza d’uso. Ed è per tali ragioni che essa persisterà e, anzi, uscirà rafforzata dall’influenza dei nuovi mezzi: la diffusione in ogni casa, in ogni camera, la sua relativa semplicità, sommate alla capacità di controllo che offre la tecnologia della Rete, trasformano il mezzo televisivo nello strumento definitivo della propaganda politica.
Non è vero, infatti, che l’ascesa di Renzi o di Grillo sia avvenuta solo e soltanto grazie alla Rete. In realtà, i due devono molta parte delle loro fortune a giornali e televisioni. Secondo Nicodemo, la crisi della politica di questi anni coincide con la crisi dei media tradizionali. Nicodemo è convinto che l’ascesa dei due nuovi protagonisti della politica può essere raccontata come una nuova narrazione che quindi influenza i media. Lamentando la scarsezza e la pochezza dei mezzi analitici, la penuria lessicale, di linguaggi e categorie per spiegare questa nuova contemporaneità, sostiene giustamente che i singoli media non siano cose fra di loro chiuse, in cui si debba essere bravi a comunicare solo televisivamente o solo via twitter. Poi chiosa: Berlusconi dominava bene la comunicazione televisiva, e solo la quella. E racconta della specificità della comunicazione renziana, la sua “ibridità”, l’ibridità dei contenuti, qualcosa che ha cambiato i modi di dire della politica.
La prima affermazione sappiamo bene che non corrisponde al vero (tanto più se si considera l’estensione del dominio editoriale berlusconiano alla carta stampata e ai libri). Ma non è altrettanto vero che la circolarità fra i media si stia instaurando solo ora, quando più e più volte giornali, radio e televisione si sono influenzati fra di loro e, anzi, sono di fatto racchiusi in un cortocircuito autoreferenziale. Lo erano già, ancor prima dell’avvento della rete. Lo sono oggi, per ragioni più o meno facili da intuire. Diversi studi hanno dimostrato, per esempio, l’interazione continua fra Twitter e televisione (in prims Twitter causation study, Nielsen). In diversi casi, i giornali pubblicano notizie costruite intorno a singoli status di Facebook: lo fanno a loro volta per capitalizzare le visualizzazioni online, poiché molto spesso sono scelti casi limite, episodi di violenza verbale, altrove censurabili ma che persistono su Facebook in virtù di quel fenomeno che passa sotto al nome di trollismo. E suscitare nel lettore sentimenti radicali quali odio, indignazione, repulsione, è il meccanismo principale mediante il quale si crea consenso sul web. Consenso equivale a visibilità, emersione dalla linea grigia. Il frame della Casta è stato creato, guarda un po’, proprio dall’archetipo dei media tradizionali, il Corriere della Sera, tramite la penna di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, ricorda Giuliano Santoro. E’ quindi utopico pensare – come afferma lo stesso Santoro – ad un giornalismo che smonta i frame della politica? Nel caso della Kasta!!1!!, è il giornalismo a creare la narrazione che sostanzia una comunicazione politica che a sua volta alimenta un risposta giornalistica: Grillo aumenta il proprio consenso sull’indignazione e l’odio verso un costrutto giornalistico – la Casta. Il giornalismo, a sua volta, attua una sorta di politica dei due forni: da un lato seguita a indignare (grazie al materiale fornito dai politici e dai loro rimborsi fasulli), dall’altro opera per insinuare il dubbio circa la diversità ontologica dei 5 Stelle.
Questo continuo circuito di influenza fra politica e media, reso iperbolico dalla diffusione dei social network, ha il solo effetto di allontanare la realtà fattuale. I fatti non sono più l’oggetto della comunicazione giornalistica, esattamente come la politica è estraniata rispetto alla realtà sociale. C’è modo di uscire? Ma la politica è solo competizione fra narrazioni alternative, astratte? In queste narrazioni, c’è modo di prendere in considerazione la realtà? E’ proprio questo il punto politico. Non di poco conto. Permettere alla realtà di entrare nel proprio orizzonte narratologico è rischioso tanto quanto è rischiosa la vita del parresiastes. La parola autentica comporta rischi poiché essa è tutt’uno con la realtà fattuale. Chi si può assumere questo rischio fra Renzi e Grillo?