Isinbayeva, in difesa del consigliere PD Gianluigi Piras

Lettura preliminare: http://www.repubblica.it/politica/2013/08/17/news/piras_isinbayeva-64884863/?rss

Attenti. Qualunque associazione fra il caso di Gianluigi Piras e i vari Calderoli che perseguitano il nostro mondo è fuorviante nonché inutile. Gianluigi Piras è un politico del PD. Ha solo sbagliato a pubblicare uno status su Facebook. Uno status in cui paradossalmente replicava la dinamica comunicativa della Isinbayeva circa le leggi anti-gay in vigore in Russia. Ovvero quel meccanismo per cui uno un giorno dichiara di essere a favore di norme che rendono illegale una identità sessuale e l’altro giorno afferma di esser stata fraintesa. Gianluigi non si augurava lo stupro della Isinbayeva, come taluni giornalisti (poco propensi alle verifiche delle notizie e molto propensi invece a gettarsi pancia a terra sulle polemiche che notoriamente generano click e visualizzazioni) hanno scritto. Gianluigi ha provato, con il suo modo paradossale, di spiegarvi che affermare che “noi russi siamo normali, le donne stanno con gli uomini e viceversa”, è devastante. E’ devastante poiché la normalità non esiste, è una costruzione che non trova verifica nella realtà. L’omosessualità non è fuori del normale, come la Isinbayeva crede (e come molti di voi, credo, pensano). L’omosessualità è normale perché è parte del nostro mondo di vita, un mondo che qualcuno vorrebbe ridurre ad una sola dimensione. La brutalità dell’intenzione di normalizzare la vita, eliminando le anomalie, le eterodossie, le diversità – ricordatevelo – è proprio di un modello totalitario. Tenetelo bene a mente.

Gianluigi ha spiegato in una lunga lettera le sue motivazioni. Non si è giustificato. Si è dimesso da tutte le cariche che ricopre nel Partito Democratico e nelle amministrazioni. Nessuno glielo aveva ancora chiesto, ma la sua coscienza è grande. Peraltro, nessuno (nel partito, nella vita) ha cercato di difenderlo. E per me questo è grave. La sua bacheca, su Facebook, è stata trasformata in una cloaca. Migliaia di commenti in cui gli sono state augurate le più tremende punizioni corporali. Vedete, la violenza è così facile, così a portata di mano. Molti festeggiano per il killeraggio di un avversario politico. Ma sbagliano: questa gogna che si apre ogni volta che si sbaglia la comunicazione è frutto anche dell’atteggiamento semplificatorio dell’informazione che traduce uno status di Facebook, un non-fatto, in una narrazione generatrice di indignazione di massa. Un meccanismo che ci trasforma tutti in criceti nella grande ruota di Internet.

Quella che segue è la lettera di Gianluigi. Che si scusa e lascia.

Lo stupro è inaudita violenza. Ma il danno è enorme e quando si sbaglia, in politica come nella vita, si paga un prezzo.

17 agosto 2013 alle ore 11.16

Lo stupro è inaudita violenza. Ma il danno è enorme e quando si sbaglia, in politica come nella vita, c’è sempre un prezzo da pagare, e io intendo pagare. 

Lo stupro e lo stupro di una donna in particolare, è uno dei più violenti, efferati e raccapriccianti crimini che la storia dell’umanità abbia mai conosciuto. Dietro lo stupro c’è quasi sempre il bisogno di umiliare qualcuno e nel caso di un donna, la cinica volontà di predominare e sottomettere questa creatura che evidentemente in troppi, continuano a considerare “inferiore”.

 “Lo stupro è peggio dell’omicidio perché almeno quando sei morta è tutto finito e basta” raccontò a Franca Rame una donna di 58 anni, che di questa efferatezza è stata vittima; proprio vero, perché lo stupro è qualcosa che ti mangia dentro, ti divora umiliandoti, dove le ferite peggiori sono quelle che non si vedono, che non si possono  rimarginare, sono le ferite dell’anima.

A giugno 2013, in Russia, Putin firma la legge che vieta la propaganda omosessualeo, ancora peggio, più generiche  “relazioni sessuali non tradizionali”, lasciando mano libera alle autorità di applicarla in maniera arbitraria. Le conseguenze non sono state solo normative ma l’approvazione di questa legge ha scatenato un’ondata di attacchi violenti ai danni di persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali in un paese già di per sé altamente omofobo: casi di ragazzi gay sequestrati, torturati e seviziati fino alla morte e casi di ragazze lesbiche persino stuprate. Tra il 7 e il 23 febbraio 2014 si terranno le olimpiadi invernali a Sochi, sul mar Nero, e gli organizzatori hanno espresso forte preoccupazione per le ricadute che questa legge possa avere nei confronti degli atleti omosessuali e nei confronti di tutti quegli atleti che intendano esercitare la libertà di espressione contro la stessa norma e in favore dei diritti LGBT.

Ieri, Yelena Isinbayeva, campionessa russa dell’asta, si è schierata al fianco del governo russo dichiarando: “Io sono a favore delle regole sui gay. Forse siamo un popolo diverso da quello di altri paesi ma abbiamo le nostre leggi e vogliamo che gli altri le rispettino, perché noi all’estero lo facciamo”.

Su di me, queste dichiarazioni, amplificate a mezzo stampa in tutto il mondo, perché pronunciate da un personaggio pubblico, hanno avuto un impatto violento e, non so perché, ancor più poiché pronunciate da un atleta e da una donna. Una violenza che ha riacceso nella mia mente quelle che nel nazismo sarebbero diventate le premesse per le leggi razziali, tese a creare nell’opinione pubblica una sorta di legittimazione culturale nei confronti dell’oppressione e dello sterminio del popolo ebreo.

 La stessa Isinbayeva, il giorno dopo  e pressata dalle polemiche che ne sono conseguite porta i media di tutto il mondo a titolare “Isinbayeva ci ripensa: sono stata fraintesa”.

Pensare contestualmente alle recenti conseguenze di questa legge, tra le quali i casi di stupro su alcune ragazze lesbiche e le affermazioni in difesa della stessa norma da parte di una donna e atleta di fama come la Isinbayeva mi hanno portato ad utilizzare quello che in letteratura si chiama un paradosso scrivendo sul mio profilo facebook e testualmente“Isinbayeva, per me possono anche prenderti e stuprarti in piazza. Poi magari domani ci ripenso. Magari mi fraintendono”. Un paradosso, nella sua più generale accezione, è un’affermazione che, per il suo significato o per la forma in cui è espressa, appare contraria alla comune opinione  o alla verosimiglianza e riesce perciò a sorprendere, anche suscitando un immediato senso di indignazione. Per essere molto più chiari: il significato del mio post non è neanche lontanamente da intendersi come un augurio o un auspicio a che la Isinbayeva ( e chicchessia )possa essere stuprata ne in piazza ne altrove. Il paradosso da me utilizzato è semmai da intendersi in questo senso: talmente sono gravi le affermazioni della Isinbayeva che, indirettamente e in virtù di quelle affermazioni, arriva a giustificare una legge tra le quali conseguenze registriamo casi di stupro di donne lesbiche; e siccome a poco valgono, al fine di dimenticare la violenza di quella affermazioni, le successive dichiarazioni quali “Isinbayeva ci ripensa: sono stata fraintesa” , è come se io, paradossalmente, dichiarassi :“Isinbayeva, per me possono anche prenderti e stuprarti in piazza. Poi magari domani ci ripenso. Magari mi fraintendono”.

Questo l’unico e solo significato di questo post.

Purtroppo però, io non ho scritto un post il quale significato e senso fosse immediatamente comprensibile, e non intendo e non posso permettermi di liquidare il tutto con un “non avete capito e mi avete frainteso” perché quando sono in tanti e in troppi a non aver capito, allora la responsabilità è in capo a chi, evidentemente, non si è fatto comprendere. E ora non m’importa che sia chiaro il significato di quelle parole e ancor meno m’importa l’imminente destino che la mia dignità e la mia reputazione possa trarne da questo episodio. M’importa invece delle conseguenze che la  violenza di quelle parole possano aver rappresentato per anche solo una vittima di stupro che le mie parole è arrivata a leggere.

Girando sul web ho trovato pure questo titolo: “Presidente Pd: stuprate la isinbayeva, è contro i gay”. Ommetto di raccontarvi della mia reazione di fronte ad una tale notizia e delle strumentalizzazioni che ne sono conseguite; non sono alla ricerca di commiserazione, di pietà, ne di comprensione, ma solo di verità.

Se una donna vittima di uno stupro in queste ore si sia trovata di fronte alla lettura di un simile titolo, non è certo in capo a se la responsabilità dell’onere sulla veridicità della  notizia, ne ha il dovere di conoscere nulla della mia vita privata e pubblica in difesa dei diritti civili, siano essi legati alle discriminazioni razziali, alla lotta contro la violenza alle donne o in difesa dei diritti degli omosessuali o contro l’omofobia.  

Non è in capo a se alcun dovere ma certamente un diritto alle scuse e un diritto a che, qualsiasi persona si impegni in politica nella difesa di questi stessi diritti civili, abbia l’autorevolezza e la credibilità necessaria per farlo. E comunque la si voglia mettere, io in questo momento ho perso questa autorevolezza e questa credibilità, che andrà riconquistata pazientemente e faticosamente.

A tal proposito e irrevocabilmente rassegno le dimissioni dalla Presidenza del Forum Regionale sui Diritti civili del Partito Democratico della sardegna e dalla Direzione Regionale; rassegno irrevocabilmente le dimissioni dal Consiglio comunale di Jerzu; rassegno irrevocabilmente le dimissioni dal coordinamento regionale di Anci giovane; rimetto nelle mani del Segretario Regionale e Nazionale del Partito Democratico la mia tessera di iscritto e rassegno irrevocabilmente le dimissioni da coordinatore provinciale di Prossima Italia, associazione impegnata da sempre con grande determinazione nelle battaglie in difesa dei diritti civili e che in questa fase sta sostenendo la candidatura di Giuseppe Civati alla Segreteria Nazionale del Pd. In questo momento e da sardo, mi viene in mente la storia dei nostri boschi, di quanti decenni impieghino a crescere utili e rigogliosi e di quanto poco ci voglia, con un solo fiammifero ad appiccare un incendio e a distruggere in poche ore il lavoro di una vita. Nel mio caso, in questo momento, sono bosco ma anche causa del suo stesso incendio.

Una volta, una mia amica mi prese in giro per questa storia: eravamo alla Rinascente, salivamo in ascensore con una coppia sposata con una bambina di circa due anni nel passeggino. Il passeggino era praticamente accostato a me; la bambina ad un certo punto allungò la mano e mi toccò sul pantalone appena sotto la cinghia; istintivamente feci uno scatto e allontanai la mano di quella bambina, sentendomi per certi versi un idiota. La mia amica rise e risero anche i genitori. Ma io da quell’ascensore uscii un tantino perplesso e davanti alla richiesta di chiarimenti della mia amica spiegai le mie “ossessive” ragioni. Le dissi di immaginarsi questa scena: immaginati che non fossimo in ascensore ma dietro uno scaffale del negozio; immaginati poi che quel passeggino fosse stato lasciato un attimo incustodito da quei genitori; immaginati ora la scena che è accaduta in ascensore e che, nel momento in cui io avessi allontanato quella mano, fosse spuntata fuori da dietro lo scaffale la madre e che l’unica fotografia visiva di quella stessa madre fosse stata la mia mano, sulla mano della figlia che poggiava la sua mano sui miei pantaloni. E le chiesi ancora di immaginare quali sarebbero stati gli effetti se quella madre, presa dal panico e dall’equivoco avesse cominciato a gridare terrorizzata della presenza di un pedofilo. La mia amica scoppio in una incontenibile risata, che non potè che coinvolgere anche me. Terminato il momento di euforia, quando la riaccompagnai a casa e la lasciai sotto casa la invitai ad andare su internet e a fare una ricerca su una serie di errori giudiziari inerenti presunti casi di pedofilia o molestie sui bambini; le dissi che sarebbe rimasta allibita dall’esito di quella paziente ricerca.  E purtroppo in quei casi, che sia chiaro, neanche minimamente sono paragonabili al mio, la notizia e la verità, anche quelle false, anche quelle figlie di un equivoco, anche quelle frutto di un paradosso imperdonabilmente mal spiegato, lascia una macchia indelebile e poco importa se si è colpevoli o innocenti o se si è colpevoli di violazione dei limiti di velocità piuttosto che di omicidio. Purtroppo accade anche che l’uomo “crede più facilmente vero ciò che preferisce sia vero.” Ho una sola preghiera e cioè quella che non necessariamente questa mia lettera e le mie decisioni trovino altrettanta diffusione mediatica, ma che almeno le prime righe di questa lettera siano diffuse con la stessa solerzia e velocità con la quale è stato diffuso il mio precedente post. E non per me, per la mia reputazione o per dovere di verità verso il mio impegno di una vita in difesa dei diritti civili e contro ogni discriminazione; non per me ma perché a tutte le vittime di uno stupro che hanno letto quel post, e che hanno associato al mio nome quelle parole, possa arrivare una sola ed inequivoca verità: e cioè che in questo mondo troppo spesso crudele, semmai, c’è una persona in più e non in meno che pensa che lo stupro sia uno dei più imperdonabili crimini contro l’umanità. E mi perdoneranno, quando sarà il momento, se continuerò in questo impegno un po più silenziosamente e in attesa di recuperare la giusta credibilità e autorevolezza. Per ora non trovo altre parole se non di umile richiesta di perdono. Con sincerità.

Gianluigi Piras  

Movimento 5 Stelle e antipolitica non sono la stessa cosa

Ho avuto modo di leggere l’eccellente e provocatoria analisi di Ilvo Diamanti, stamane su La Repubblica, di cui vorrei sottolineare questo passo e suggerirvi uno spunto di analisi:

Monti e Grillo: sono entrambi "dentro" e "fuori" la democrazia rappresentativa. Dentro. Monti, ovviamente. Perché occupa ruoli istituzionali importanti, già da molti anni. Prima e dopo l’avvento del Berlusconismo. E perché la sua azione, oggi, è legittimata dai partiti e dal Parlamento degli eletti (o, meglio, dei "nominati"). Grillo e il M5S: perché agiscono mercato politico. Competono alle elezioni – oggi amministrative e domani legislative – per eleggere i loro candidati. Nelle istituzioni rappresentative. Perché danno visibilità e rappresentanza a domande politiche e a componenti sociali, altrimenti escluse, comunque ai margini. Fuori. Perché entrambi sono emersi "fuori" dai canali tradizionali della democrazia rappresentativa. I partiti e la classe politica. Fuori dai media che caratterizzano la "democrazia del pubblico". Di cui Monti sottolinea l’incapacità di governare. Grillo e il M5S: l’incapacità di "rappresentare" – e di far partecipare direttamente – i cittadini (La Repubblica.it).

Ilvo Diamanti organizza il suo schema argomentativo intorno al binomio Monti-Grillo come erede della politica nell’era post-berlusconiana. La politica dell’interesse privato ipertrofico che occupa la sfera pubblica e trasforma il partito politico, oramai svuotato di qualunque ideologia, in gruppo d’affari, in partito “personale”, lascia il campo da un lato ad una risposta dall’alto, il potere ipertecnico di Monti e dei Bocconiani; dall’altro ad una risposta dal basso, al potere tecnoutopico, privo di competenza specialistica ma diffuso, basato su un sapere collettivo e condiviso attraverso la tecnologia del web 2.0 quale vuole essere il M5S.

Diamanti scrive che il M5S e Monti sono “dentro e fuori la democrazia rappresentativa”. In particolar modo, il M5S è dentro la politica poiché partecipa alla competizione elettorale per l’assegnazione della delega di rappresentanza: esso dunque si configura proprio come un “corpo intermedio”, come un partito politico, portatore di parte della domanda e del sostegno che promanano dal sistema sociale. Esso è assolutamente “sistemico”. Scrive Diamanti: essi (Monti e M5S) “danno visibilità e rappresentanza a domande politiche e a componenti sociali, altrimenti escluse, comunque ai margini”. In questa frase è nascosto il senso del M5S: esso è una risposta al malfunzionamento del sistema politico che è altrimenti chiuso verso l’esterno. M5S è anticorpo al disfacimento del sistema politico: di fatto, ne costituisce la salvezza. Proprio perché riattiva il flusso “domanda, sostengo” vs. “rappresentanza”, scambio che gli altri partiti hanno invece bloccato, essendo essi stessi portavoce di interessi privati, quindi vincolati a meccanismi di fedeltà verso il proprio gruppo di riferimento. Riattivando questo flusso, il M5S riduce il grado di entropia (di disordine) del sistema, riportandolo all’originario funzionamento.

Antieuropeismo elevato a 5 Stelle

Le tante fandonie scritte su Beppe Grillo e sul Movimento 5 Stelle hanno tutte la medesima caratura: no all’antipolitica, no alla distruzione, sì alla proposta bla bla bla. Insomma, la miopia che contraddistingue il sistema politico italiano – e parimenti quello giornalistico – impedisce all’osservatore di percepire quanto di reazionario e orientato alla regressione ci sia nel discorso politico di Grillo.

Mi spiego: al di là del problema metodologico, mai del tutto risolto, al di là del personalismo del leader, della forma di partito liquido e di partito carismatico che il M5S adotta a seconda dei momenti, quel che qui mi preme sottolineare – e che è stato brillantemente esposto da Ernesto Maria Ruffini su Prossima Italia – è la natura intrinsecamente semplicistica e quindi fuorviante della spiegazione di Grillo circa la crisi economica e lo stallo delle Istituzioni Europee.

In estrema sintesi, secondo Grillo l’Italia non dovrebbe pagare il debito, dovrebbe uscire dall’Euro con il minimo del danno, rompere con i partner europei sul Fiscal Compact e sui più recenti accordi in materia economica. Di fatto, Grillo predica l’isolazionismo, l’autarchia e prefigura il nostro paese come una Nazione che opera in un consesso internazionale fortemente orientato all’anarchia. Senza forse neanche saperlo, l’idea di Nazione che Grillo propugna è vecchia di duecento anni. Lo Stato Commerciale Chiuso era stato infatti ideato del pensatore e filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte, morto a Berlino nel lontano 1814. Egli teorizzò che lo stato dovesse assumere una “funzione integrativa” che gli conferisse l’aspetto di uno stato socialistico. E’ questo uno stato monopolistico, che guida la società e la distoglie dai beni che lo Stato non può produrre. Garantisce il lavoro per tutti e il benessere per tutti. E’ uno Stato Etico, che conosce qual è il bene degli individui, che si premura di proteggere e preservare l’individuo dal resto degli altri individui. Uno Stato che pianifica, che descrive e delinea tutto ciò che è vita. Uno Stato chiuso, che pretende per sé ciò che gli serve per raggiungere lo scopo della riproduzione delle condizioni sociali. Uno Stato “che sia padrone delle terre che gli appartengono per natura. Se così non fosse esso è giustificato nel fare la guerra a chi usurpa le sue risorse naturali” (tratto da Wikipedia).

Grillo non sa che l’Islanda non ha compiuto una scelta di democrazia ribellandosi al sistema plutarchico degli organismi internazionali (Banca Mondiale, FMI) ma ha egoisticamente dichiarato la propria sovranità come soverchiante rispetto a quella di tutti gli altri paesi. Due guerre mondiali e tutto l’orrore che hanno portato con sé non sono state sufficienti a far tramontare il modello hobbesiano di Stato Leviatano, né quello hegeliano orientato alla pura volontà di Potenza.  Le relazioni internazionali, nel modello di Grillo, sono destinate a tornare allo Stato di Natura, in cui ogni Stato agisce per sé medesimo, annichilendo le anomalie, distruggendo per ricostruire secondo una idea di purezza e unicità che pare patologica.

In due articoli sul Corriere della Sera, il 7 e 12 marzo, lo storico Ernesto Galli della Loggia ha difeso lo Stato-nazione oggi derubato di sovranità: lo descrive come “unico contenitore della democrazia”, poiché senza di lui non c’è autogoverno dei popoli. È una verità molto discutibile, quantomeno. Lo Stato nazione è contenitore di ben altro, nella storia. Ha prodotto le moderne democrazie ma anche mali indicibili: nazionalismi, fobie verso le impurità etnico-religiose, guerre. Ha sprigionato odi razziali, che negli imperi europei (l’austro-ungarico, l’ottomano) non avevano spazio essendo questi ultimi fondati sulla mescolanza di etnie e lingue. La Shoah è figlia del trionfo dello Stato-nazione sugli imperi (Barbara Spinelli, La Repubblica).

Gli Stati Europei sono fortemente correlati fra loro. L’interdipendenza c’è sempre stata e nell’era dello sviluppo industriale, sia in quello primario che in quello attuale, fortemente tecnologizzato e delocalizzato nei suoi centri produttivi, si è determinata come fattore politico. Non è possibile una politica delle relazioni internazionali a prescindere dalle relazioni economiche. L’Unione Europea nasce per intuito di un federalista francese, Jean Monnet, il quale, ben consapevole della incapacità dei paesi europei del secondo dopoguerra di superare ognuno per sé la fase della ricostruzione, ideò una unione per fasi funzionali. Si trattava di mettere in comune ciò che era già comune: l’energia, le regole del commercio. Ma anziché lasciare alle guerre il ruolo di strumento regolatore, Monnet suggerì di comunitarizzare queste politiche. Così le politiche del commercio, del carbone e dell’energia atomica furono messe in comune e lasciate in gestione a istituzioni terze: le comunità Europee nascono perciò con un intento pacifista. L’Europa di oggi si è avvitata in una crisi di legittimità che è dovuta principalmente a errori grossolani, a politiche sbagliate:, che però non possono metterne in discussione l’esistenza

L’Europa di Merkel e Sarkozy non ha sanato ma aggravato nell’Unione la sofferenza economica e democratica, accentuando populismi e chiusure nazionaliste. Perfino il trattato di Schengen è messo in causa, spiega Monica Frassoni, deputata europea dei Verdi, sul sito Linkiesta. it: è recente un appello inviato dai ministri dell’Interno di Francia e Germania al Presidente del Consiglio dei Ministri europeo, perché vengano reintrodotti i controlli alle frontiere nazionali contro i migranti illegali. Sarkozy spera di strappare voti a Marine Le Pen. Domenica abbiamo visto che l’originale, almeno per ora, è preferito alla copia.

Può darsi che manchino oggi leader come Roosevelt. Ma la constatazione s’è fatta stantia. Importante è smettere di dire che l’Europa funziona così com’è: che basta  –  l’ha detto Monti in gennaio alla Welt – la sussidiarietà (se i nodi non sono sciolti nazionalmente si passa al livello sovranazionale o regionale). La sussidiarietà è un metodo, che si usa ad hoc. Non è l’istituzione che dura nel tempo e “pensa tutto il giorno all’Europa”, invocata da Delors. Altrimenti l’Europa sarà la bella statua di Baudelaire: sogno di pietra troneggiante nell’azzurro, nemica di ogni movimento che scomponga le linee. “E mai piange, mai ride” (Barbara Spinelli, La Repubblica).

Uscire dall’Euro non è solo un autogol finanziario: è antistorico, è condannarsi a ripetere una storia di sangue e morte. Il processo di integrazione europea è qualcosa di inarrestabile ed ora chiede uno sforzo di immaginazione e di coraggio per abbandonare forme confederali inefficienti per una vera e propria federazione dei popoli europei.

Non possiamo lasciare (Veltroni solo con se stesso)

  1. L’intervista a Repubblica dell’ex segretario del PD, capo corrente dei MoDem, è oramai un classico della domenica. E’ effimero e inutile esattamente come la domenica, noioso come la domenica, vuoto peggio che la domenica.
  2. È d’accordo con il governo anche sull’articolo 18?
    “Sono d’accordo col non fermarsi di fronte ai santuari del no che hanno paralizzato l’Italia per decenni. Il nostro è un paese rissoso e immobile e perciò a rischio. 
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    RT @claudioriccio: dovrei lavorare ma mi passano per la testa troppi insulti a Veltroni. #nonpossiamolasciare gli insulti alla Lega.
  4. Non ci si può sorprendere se una risposta simile suscita l’insulto, la bestemmia. Sono queste circonlocuzioni vuote che hanno distrutto la sinistra italiana. Con questi dirigenti non vinceremo mai. E loro non sanno più che dire. Forse schiacciati dal timore di scoprirsi così lontani e diversi dalle posizioni del proprio elettorato.
  5. Per Veltroni questa non è la stagione del governo d’emergenza, bensì è la stagione del riformismo e il PD non può lasciare alla destra il suo protagonista, Mario Monti. Domani sarà scritto che il “popolo del web” è insorto su twitter. Facendo una sintesi, potrebbe essere proposto il titolo: “Il popolo di twitter si ribella contro Veltroni”. In realtà è un corso una specie di gara satirica, poiché questo è stato in origine, una specie di sagra a chi la spara più grossa di Veltroni.
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    #nonpossiamolasciare la morsa del ghiaccio alla destra (cit. W Veltroni)
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    #nonpossiamolasciare la destra alla destra secondo Veltroni
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    #nonpossiamolasciare l’evasione agli evasori: evadiamo anche noi! (cit W #Veltroni)
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    #nonpossiamolasciare l’olio di ricin alla destra! (cit W Veltroni)
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    Almeno FrOiD possiamo lasciarlo stare #nonpossiamolasciare, #Veltroni,
  11. No, non possiamo lasciar stare Veltroni da solo. Se ne gira con quel suo pigiama azzurrino e le ciabattine marroni con l’alluce che gli spunta fuori. Il supporto per la flebo spinto a fatica con la mano destra. Aiutiamolo a trovare una stanza al Pio Albergo Trivulzio. E’ urgente.

E-mail imbarazzanti fra la corrispondente di Repubblica in Siria e il regime di Assad?

Leggo dal blog Camillo, di Cristian Rocca sul Sole24Ore, che la giornalista di Repubblica, Alix Van Buren, corrispondente per il mondo arabo, avrebbe avuto rapporti “confidenziali” con un membro dello staff di Assad, più precisamente con “la consigliera per la comunicazione di Bashar al-Assad, la potentissima Bouthaina Shaaban” (Camillo). Cristian Rocca cita tre e-mail intercorse fra la Van Buren e Bouthaina trafugate da Anonymous durante un attacco hacker contro il Ministero degli Affari Presidenziali – qualche notte fa, infatti, sono stati violati 78 account di posta elettronica che adottavano una password tanto diffusa quanto inutile alla protezione dei dati, ovvero 12345.

Secondo Lee Smith, su Weekly Standard, fonte della notizia lanciata da Camillo, l’attacco hacker sarebbe un mini cablogate: come per i cablo delle ambasciate americane svelati da Wikileaks, anche queste e-mail rivelerebbero al mondo gli intrecci vergognosi delle diplomazie occidentali. Tanto più che si tratta ora dei rapporti con il regime di Assad, quello che oggi mette a morte la sua stessa popolazione e contro il quale gli USA, la Nato, l’ONU sembrano essere impotenti.

E’ bene chiarire che le e-mail che vedono protagonista la giornalista di Repubblica, e che a detta di Rocca sono da considerarsi motivo di imbarazzo per il quotidiano di Ezio Mauro, sono datate 2010. Rocca definisce in apertura del post la Van Buren una giornalista “specializzata in interviste-soffietto al dittatore alawita” e che le e-mail “svelano infatti un’aderenza totale della giornalista di Repubblica alle posizioni di Assad”. Tutto ciò pare un po’ affrettato ed esagerato. Il tono della Van Buren nelle e-mail è strettamente confidenziale e addirittura un po’ lusinghiero. Alix si complimenta con Bouthadina per la riuscita di alcune azioni propagandistiche esclamando «ma come ci riesci?», «un grande successo»; in altri passaggi le due si scambiano i complimenti per l’intervista ad Assad che ha permesso alla Van Buren di surclassare il collega americano Charlie Rose, celebre volto della CBS, il quale avrebbe “copiato da capo a piedi” il loro pezzo. In un’altra e-mail, Van Buren cerca di far ottenere a Gad Lerner il permesso di poter visitare il paese e condurre una ricerca sui propri genitori, originari di Aleppo. Alix tenta di convincere Bouthadina a soprassedere sulla religione di Lerner – che è ebreo – e di far notare che il suo atteggiamento è prettamente quello di un intellettuale indipendente, contrario alla politica di Netanyahu. In quel periodo Lerner aveva appunto firmato una petizione – l’Appello alla Ragione – al Parlamento Europeo affinché Israele non perdesse “la propria strada” (blog Il Bastardo, maggio 2010). Van Buren cerca di far capire l’importanza di un viaggio del genere – da parte di un ebreo seppur di sinistra: il risultato, scrive Van Buren, sarebbe eccezionale, e ciò è da intendersi come tornaconto visivo, mediatico, propagandistico per il regime di Assad.

La mia opinione è semplice: è normale che i rapporti fra giornalisti e esponenti di regimi siano così “borderline” (mi si passi il termine). E’ in genere il medesimo rapporto che essi hanno in patria con il potere in generale. Politico, economico, ecclesiale. Parallelamente, è inverosimile che un giornalista del calibro di Charlie Rose abbia invece rapporti di fredda ostilità con gli addetti alla comunicazione di Assad. D’altronde ottenere interviste con dittatori più o meno sanguinari è sempre un bel colpo giornalistico. Ed è necessario contestualizzare: le e-mail sono del 2010, la primavera araba è lontana, Assad è un osso duro per Washington ma in un certo qual senso la sua presenza è un freno contro l’integralismo islamico. Oggi Assad è un assassino. E molto probabilmente i rapporti fra Van Buren e Bouthadina non sono più quelli di prima. Potrei però essere smentito. E solo allora il caso di collateralità sarebbe effettivamente un problema.

Il ciclone dei Guantanamo Files? Roba tropicale

La stampa italiana dedica forse al massimo un articoletto sui Guantanamo Files. Robetta troppo esotica per suscitare l’interesse nostrano. Da noi è un gran disquisire sulla festa del 25 Aprile e di quella Liberazione che fu. E’ certamente un target da bocciofila – con tutto il rispetto per le bocciofile – quello dei vari direttori, da Calabresi a Feltri/Belpietro, passando per De Gregorio e Sallusti. Mentre nel mondo The Guardian, Le Monde, The New York Times continuano a divulgare i segreti dell’amministrazione USA, soffiandoli a Wikileaks con una triangolazione che neanche i mercanti di diamanti, noi si discute di riconciliazione post 1945, di rossi contro neri, di fascismo e di libertà, di guerra civile libica a cui abbiamo deciso di contribuire sganciando qualche bombetta, “naturale sviluppo” dell’impegno preso in sede ONU e Nato, così disse Napolitano.

La Repubblica si sforza di collocare “il ciclone” dei Guantano Files a pagina quattordici – 14!:

Nel pezzo di Federico Rampini Repubblica e L’Espresso sono compartecipi della grande operazione editoriale globale di disvelamento della verità su Guantanamo. Meravigliosa acrobazia, la sua. Certo, i fatti incalzano e il sito di Repubblica deve occuparsi della contingenza, per gli approfondimenti van bene le riviste. Questo è The Guardian oggi:

E questa è la prima pagine de Il Giornale – accostamento ovvio, direte voi: è vero, ma fa impressione: