Europarlamento | Elly Schlein: non c’è sviluppo senza diritti

Europarlamento | Elly Schlein: non c'è sviluppo senza diritti

Intervista a Elly Schlein – La Stampa.it http://pstream.lastampa.it.dl1.ipercast.net/lastampa/2014/07/01/qG5NZoj3.mp4

L’insostenibile leggerezza del Grillismo Politico

Fabio Chiusi vi ha spiegato come funziona il meccanismo del trollismo applicato ai media mainstream e alla politica. Addirittura Fabio parla di una Triplice Alleanza fra comico/politico, giornali e resto-del-mondo della politica. Un meccanismo fin troppo semplice: c’è chi la spara grossa, i giornali online assetati di click sparano il titolone in homepage per poi raccogliere le quasi immediate reazioni – piene di sdegno – dei politici (per così dire) istituzionali. C’è addirittura spazio per un post sulla pagina Fb del Partito Democratico, composto di una sola riga: “In un dibattito ‘penoso’, lasciamo la parola alle immagini”. E l’immagine – goffa e sciocca come una autorete – è questa:

 

Quel che è accaduto ha a che fare in maniera molto stretta con quei meccanismi comunicativi che in una società massmediatica presiedono alla funzione di scambio informativo che si attivano in una forma di flusso di massa solo quando correlati a stimoli vouyeristici. Spesso il comunicatore vincente ottiene visibilità violando alcune regole della discussione, come per esempio dire le parolacce o affibbiare nomignoli al proprio interlocutore. Dire che Renzi ha l’invidia penis del M5S non ha alcun contenuto politico, ma ottiene più visibilità della Legge Finanziaria che in teoria dovrebbe suscitare maggior interesse della mancanza di pruderie del comico genovese. Eppure Grillo e lo staff sanno che in Italia il sistema massmediatico, sia esso fatto di carta o di tubi catodici o di byte, funziona in questo modo:

 

Questa è la prima pagina de La Stampa di oggi, 17/10/2012. Il titolo più importante, che occupa il centro pagina, è relativo a una questione di partito che addirittura viene trasformata in una sorta di questione di cuore. Bersani scarica D’Alema è un titolo che val bene la copertina di Chi o di Novella 2000. E’ un titolo che sembra uscito dai post di Grillo, una parodia delle sue saccenti prediche in cui trasfigura le vicende della politica italiana in rappresentazioni marionettistiche. Non che le vicende in casa Pd non rivestano una certa importanza: d’altronde si tratta del tramonto della Direzione del PCI che affrontò la svolta della Bolognina, ma appunto perché si tratta di un evento storico, tali vicende meriterebbero una migliore trattazione. Questo per dire che siamo già pervasi dal Grillismo Politico e dal Grillismo Giornalistico. Una forma di trollismo che finora ci ha fatto tanto ridere e indignare insieme ma che domani potrebbe diventare la nuova arma di distrazione di massa. Solo ieri affermavo che, mentre la Politica implode in uno straordinario epocale psicodramma, il governo tecnico sforna nuove norme come se piovesse. Forse per colamre il vuoto. Forse approfittando del vuoto.

[L’unico che finora non è cascato nella trappola dell’invidia penis è proprio Matteo Renzi. L’importanza del Gori…]

Spending Review, la bozza del decreto

Spending Review, la bozza del decreto (via LA STAMPA) – spesa_pubblica_revisione2012

Mario Monti che rifiutò la lottizzazione dell’Iri

Beppe Grillo ha ricordato negli ultimi suoi comizi che Mario Monti è stato consigliere dell’ex ministro del Bilancio Cirino Pomicino nei furiosi anni 1989, ’90, ’91 e ’92, quelli che produssero il profondissimo debito pubblico italiano e che portarono proprio nel 1992 la Lira e l’Italia a un passo dal default. Facile l’equazione: Mario Monti è stato complice degli artefici del debito! Prova inoppugnabile: nella sua biografia non compare neanche una riga di quella antica consulenza.

Ho voluto guardarci più a fondo. Ho impiegato come strumento di ricerca l’Archivio Storico de La Stampa. Dovrebbe essere il punto di partenza per chiunque voglia scrivere sui blog. D’altronde, forse per deformazione professionale, non mi posso accontentare di accettare le affermazioni di Grillo o di chicchessia senza tentarne una verifica. E poco serve sapere che è stato proprio Cirino Pomicino a ricordarci questo fatto.

Iniziamo con il dire che Cirino Pomicino fu Ministro per la Programmazione Economica e il Bilancio nel governo Andreotti, ovvero dal 22 luglio 1989 al 28 giugno 1992. In realtà, Monti fu nominato, insieme ad altri economisti già durante il precedente governo De Mita, dall’allora Ministro del Tesoro Giuliano Amato. Strana coincidenza: oggi Amato viene chiamato come super consulente sui tagli della politica. Evidentemente fra i due vige una stima reciproca:

Stampasera, 04.05.1988

E’ curioso vedere che del comitato scientifico scelto da Amato facesse parte anche Francesco Giavazzi, economista, bocconiano, molto amico di Mario Monti e suo acceso critico dalle colonne del Corriere della Sera, fresco di nomina a consigliere per il riordino degli incentivi alle Imprese. Era il 1988, quindi. Nel frattempo Monti (22.10.1989) diventa per la prima volta rettore della Bocconi, il governo De Mita cade, viene varato un nuovo esecutivo a guida Andreotti, quello che conduce direttamente alle strage di Capaci. Cosa succede a Mario Monti? Davvero dicenta “complice” dello sfacelo economico di quel periodo?

Ho una vaga idea che non sia così. E ve lo dimostro con due indizi. Due indizi non fanno una prova, ma aiutano.

Primo indizio.

Nel 1989, a Marzo, il governo Amato ha un deficit di 17-18 mila miliardi di lire. Ad agosto, con il nuovo governo, il buco si incrementa di altri dieci mila miliardi di lire. Il ministro del Tesoro era Guido Carli e il nuovo buco fu reso manifesto in seguito alle critiche dell’economista Mario Monti giunte dalle colonne del Corriere della Sera sulla politica economica dell’esecutivo Andreotti. Non è chiaro se il comitato scientifico creato da Amato fosse allora ancora in essere, ma si presume che non lo fosse.

Secondo indizio.

Non c’è traccia della nomina di Monti a consigliere di Cirino Pomicino. C’è invece traccia di un vero e proprio scandalo che coinvolse l’attuale presidente del consiglio. Monti era infatti anche vicepresidente della Comit, la Banca Commerciale Italiana (oggi confluita in Intesa Sanpaolo). Era una delle tre banche di interesse nazionale (BIN) ed era controllata dall’Iri, quindi dal Tesoro. Nel 1990, nella più tradizionale consuetudine da Prima Repubblica, i vertici della banca vengono lottizzati. E Monti che fa? Semplicemente sbatte la porta.

Il presidente Enrico Braggiotti lascia il più importante degli Istituti dell’Iri, e gli succede Sergio Siglienti, attuale amministratore delegato, a sua volta sostituito dal direttore generale Luigi Fausti. Alla Comit non c’è stato il ribaltone che ha sconvolto il Credito Italiano. Tutte nomine interne, come nella tradizione della banca milanese. L’unica eccezione è il de Camillo Ferrari, designato alla vice presidenza. Un caso clamoroso, comunque, è scoppiato. Il rettore dell’Università Bocconi, Mario Monti, non accetta di restare alla vice presidenza della Comit. In una lettera inviata a Siglienti (e per conoscenza al presidente dell’Iri, Franco Nobili), Monti chiede di «non dare corso alla proposta della mia conferma a vice presidente». Scrive l’economista: «Il contesto nel quale la conferma avverrebbe, l’elevazione a tre del numero dei vice presidenti e il peculiare significato che nell’insieme delle banche d’interesse nazionale sembra ora essere stato attribuito alle vice presidenze, mi fanno ritenere che si tratterebbe di un incarico essenzialmente formale, non giustificato da esigenze funzionali, non in linea con la tradizionale sobrietà della struttura di vertice della nostra banca. Poiché non intendo contribuire a tale evoluzione, chiedo di essere sollevato dalla vice presidenza». Monti informa Siglienti di essere «disponibile a contribuire all’amministrazione della banca nella veste di semplice consigliere, se Tiri e lei lo vorranno». E’ chiaro che Monti non contesta Siglienti o i due amministratori delegati, Fausti e Mario Arcari, persone verso le quali ha la più totale fiducia. Semplicemente non vuole essere confuso con altri vice presidenti (Palladino e Ferrari) di nomina chiaramente politica e sottolinea di non condividere quel «peculiare significato», cioè l’elezione dei vice presidenti secondo criteri di appartenenza partitica e non di professionalità, che ha distinto questa tornata di nomine delle Bin. Monti non aveva cariche operative alla Comit, ma il suo rifiuto, in un momento in cui tutti fanno l’impossibile per ottenere poltrone più o meno importanti, è certamente un fatto molto significativo anche se, purtroppo, isolato (La Stampa, 26 Maggio 1990).

Questa è verità storica, documentata. Non altro. Gianfranco Rotondi potrà dire che Monti era collaboratore di Pomicino, ma peccato che ciò non sia scritto da nessuna parte. Difficile credere a Gianfranco Rotondi. Difficile credere a chi crede a Gianfranco Rotondi. Detto ciò, non significa che tutto quel che fa il governo Monti è giusto. Ma è sbagliato attaccarlo per il suo ruolo negli anni della prima Repubblica.

Quando Rosy Mauro trafficava in rifiuti: era il 1996, si poteva fermare ben prima

Rosy Mauro incastrata da un fax, La Stampa 1996

I critici di Roberto Maroni sostengono che ha dato sinora prova di scarsa, se non scarsissima, leadership. Eccolo infatti che attacca Rosy Mauro, che chiede “pulizia, pulizia, pulizia” alla maniera di una Toga Rossa, che fa la voce grossa e tende a spiegare il marciume leghista come limitato al temibile Cerchio Magico, quella specie di combriccola che raggira dei poveri malati anziani. In realtà nella Lega Nord tutti sapevano. Sapevano, e il massimo che sono riusciti ad organizzare come forma di protesta sono i timidi fischi di Pontida dello scorso autunno. Maroni si rifiutò poi di stringere la mano alla “Nera”, su quel palco, in Piazza Duomo. Il massimo della sua opposizione interna: togliere il saluto.

Sappiate però che i nostri Druidi del Rimborso Elettorale hanno un passato, un passato molto poco limpido. Un passato da arrampicatori sociali, da spregiudicati amministratori locali. Prendete Rosy Mauro, per esempio. Il Vicepresidente del Senato, prima di arrivare sin lì, ne ha fatta di gavetta. E non è vero che la Rosy vien fuori dalla mischia quando l’Umberto ha l’ictus. Rosy non è la badante di Bossi. E’ molto di più. E come una sorta di antitesi. L’antitesi del “buon amministratore padano”. Mi fa ridere sentir oggi dire che Rosy deve dimettersi. Dovevate pensarci anni prima, quando l’avete notata, cari leghisti, e le avete permesso di fare questa folgorante carriera. Rosy Mauro poteva essere fermata quindici anni fa. Se la Lega Nord avesse avuto maggiore trasparenza interna, maggiore democrazia, Rosy Mauro non sarebbe arrivata dove è arrivata. Ma ciò non è avvenuto.

Rosy Mauro, nel 1996, era già la pasionaria leghista. Non si sa bene perché. Può darsi perché era una delle fondatrici, una delle primissime militanti. Peccato che nel 1996 la Signora veniva pizzicata a raccomandare un suo socio in affari, tale Dalmerino Ovieni, anzi, Rosy Mauro pretese che l’Amsa, l’Azienda municipale servizi ambientali di Milano appaltasse la gestione dei rifiuti proprio ad una società di Ovieni, l’Astri. Sindaco di Milano era il leghista Formentini mentre Ovieni era anche sindaco Dc (Dc!) di un paese dell’hinterland milanese:

Peccato che Ovieni, allora sindaco de nell’hinterland, sia stato arrestato nel 1994 per tangenti. Peccato per Rosy e le sue pressioni in favore della «Astri». I fax risultano inviati dall’utenza della società «Ba.Co» e della «Cooperativa II Quartiere», quelle di Rosy, del sindacato leghista Sai e Dalmerino. In questo bel verminaio tanto basta, e da giovedì scorso Consiglio comunale e cronache non fanno altro che il loro dovere: discutere e raccontare. Forse, non ci fosse di mezzo Rosy, tutta questa vicenda sarebbe durata meno, e con minor spazio. Ma c’è di mezzo Rosy, mica una leghista qualsiasi. Rosy che passa le vacanze con Umberto Bossi, Rosy che si fa smanacciare in piscina e finisce in bella foto sulle copertine dei rotocalchi. Rosy che se Bossi è nel raggio di cento metri gli è subito a fianco. Rosy, già sindacalista della Uil, vulcanica corvina. Per farsi conoscere, nel ’90 debuttò con questa dichiarazione: «Non è vero che la Lega è razzista o discrimina le donne, io sono pugliese e dirigo il Sai». Si fece conoscere anche al congresso di Bologna, gennaio ’93, con le urla contro il sindaco Walter Vitali. Quella volta, a Bologna, era convinta d’aver inventato cosa gradita al Capo. Ma rischiò l’espulsione. E anche questa volta è malmessa. Sabato, a Mantova, Bossi era furibondo: «La Lega non deve farsi autogol. Per l’amor di Dio, tutti fuori dalle cooperative e dagli affari!». (Giovanni Cerruti, La Stampa, Archivio Storico, 13/02/1996).

Rosy Mauro era anche segretaria cittadina della Lega e si dimise per l’occasione. Bossi vedeva “in questa brutta storia l’occasione per «un attacco mafioso e fascista a Milano»”. Ripeteva che il piano rifiuti toccava interessi forti. E fece il nome della Compagnia delle Opere, citò gli interessi berlusconiani nelle discariche. “Da quando c’è la Lega le Mafie sono isolate”, tuonava il Senatùr, ancora in forze. E tutti noi gli credevamo, mentre avevamo dinanzi solo una banda di malfattori. L’hanno fatta franca sinora, sappiatelo.

Agguato a #Musy: ipotesi terrorismo?

Alberto Musy è il leader torinese del Terzo Polo. E’ stato candidato sindaco alle elezioni amministrative di Torino del 2011. E’ un avvocato, docente di diritto comparato all’Università del Piemonte orientale, lavora presso Exor, una delle principali società d’investimento europee, controllata dalla Famiglia Agnelli. Liberale e cattolico, per sua stessa ammissione.

Stamane, fra le otto e le otto e trenta è stato raggiunto da tre/quattro colpi di pistola, sparati nel portone della casa dove vive da un uomo dal capo coperto con un casco integrale e vestito con un impermeabile anonimo. L’attentatore era nascosto nell’androne della scala e, una volta sorpreso dallo stesso Musy mentre si nascondeva accovacciato in un angolo, gli ha scaricato addosso i colpi di una calibro 38. Musy era rientrato eccezionalmente a casa dopo aver accompagnato a scuola le figlie.

Secondo una ricostruzione de La Stampa, Musy avrebbe sceso delle scale e ricevuto il primo colpo pistola, poi ha tentato di scappare. Ci sono testimonianze di alcuni abitanti del palazzo che hanno udito sparare i colpi “in cortile”.

Così Mario Calabresi, direttore de La Stampa, su twitter: “un professore colpito sotto casa è il film peggiore del Paese e fa grande angoscia”. Qualcuno parla di terrorismo, qualcuno mette in relazione l’impiego alla Exor, quindi il legame professionale con la famiglia Agnelli, quindi – per la proprietà transitiva – colpire lui equivale a colpire dentro Fiat. Qualcun altro suggerisce una somiglianza fra l’attentato a Musy e quello a Marco Biagi, di cui ricorreva l’anniversario qualche giorno fa. Ma non esiste alcuna correlazione politica né ideologica fra i due personaggi.

L’attentato avviene in un clima politico arroventato dalla trattativa sulla riforma del mercato del lavoro, proprio ieri giunta al bivio e all’abbandono da parte del governo Monti della concertazione come modello di relazione con le parti sociali. E’ avventato suggerire delle connessioni fra questo avvenimento e la rottura CGIL/Governo. E’ altresì avventato parlare di ritorno del terrorismo. Musy è un avvocato fallimentare. Possibile che la mano che ha sparato abbia tutt’altra provenienza.

(in aggiornamento)

Iowa Caucus History

  1. Iowa, Romney avanti di pochi voti ma la sorpesa dell’Iowa e’ Santorum, il candidato con il nonnoitaliano che vuole ripristinare I valori Usa
  2. Iowa, a spoglio quasi finito Romney avanti di 25 voti
  3. Iowa, Des Moines, Romney “rimetteremo in moto l’America”
  4. Iowa, Romney avanti di 41 voti con il 99 per cento scrutinato
  5. Iowa, Santorum: “Grazie a mia moglie, a Dio e all’Iowa”
  6. Iowa, Johnston, i fan di Santorum cantano “God Bless America”
  7. Iowa, il Gop esclude la riconta dei voti. Sara’ annunciato il vincitore anche con una differenza minima di preferenze
  8. Iowa, Romney e Santorum stanno discutendo al telefono su chi parla prima o chi dopo. Tradizione vuole che il vincitore parla per ultimo
  9. Iowa, mai prima il debutto delle primarie aveva dato un esito cosi’ “too close to call”
  10. Iowa, per Fox con il 96 per cento scrutinato Santorum e’ avanti a Romney con 28929 voti contro 28861. Appena 68 voti
  11. Iowa, Johnston, Santorum e’ al secondo piano dell’hotel Stoney Creek Inn, riunito con i consiglieri. Hanno ordinato pollo e fagioli
  12. Iowa, Johnston, i fan di Santorum esultano “we did great!”
  13. Iowa, per Fox Romney e Santorum ancora pari al 25 per cento con il 93 per cento dei voti scrutinato
  14. Iowa, e’ stata la scelta dei gruppi conservatori ed evangelici di convergere su Santorum a rilanciarlo come candidato della base
  15. Iowa, Santorum a Johnston ha il quartier generale in un hotel di periferia perche’ non avevafondi per affittarne uno migliore.Ora tutto muta
  16. Iowa, Santorum domani vola in New Hampshire, dove Romney sembra imbattibile
  17. Iowa, per I portavoce di Santorum le primarie sono oramai “una sfida a due” con Romney. “Ci batteremo ovunque”