Petizione al Governo Italiano: Abbassate le imposte sui redditi da lavoro

Firma la Petizione. Mancano almeno 5000 firme. Aiuta i promotori a far pressione sul Governo Letta. Clicca qui.

A:
Segreteria del Consiglio dei Ministri
Roberto Speranza
Luigi Zanda
Stefano Fassina
Ministero dell’Economia e delle Finanze
Presidente del Consiglio Enrico Letta
Segreteria Generale del Governo Italiano
Governo Italiano – Rapporti con il Parlamento
Governo Italiano – Ufficio Stampa
Governo Italiano – Ufficio di Presidenza
Ministero del Tesoro – Ufficio Stampa
Ministero del Tesoro – Relazioni con il Pubblico
Vi chiediamo di adoperarvi per abbassare le imposte sui redditi da lavoro per guadagnare agli occhi dei contribuenti onesti – sui quali tutto il peso è gravato in questi anni – la credibilità necessaria a combattere l’evasione fiscale.
Se esistono le risorse per tagliare l’Imu sulla prima casa o per evitare l’aumento dell’Iva, allora esistono le risorse per tagliare le aliquote sull’imposta sui redditi. Riteniamo che la seconda soluzione sia di gran lunga preferibile alla prima.
Oltre al dramma della disoccupazione, oggi moltissimi italiani faticano ad arrivare a fine mese malgrado lavorino regolarmente, per via di contratti incerti, compensi insufficienti e un carico fiscale che pesa su di loro in modo eccessivo: per questi motivi, chiediamo di iniziare dalla riduzione dell’aliquota sul primo scaglione, quello che coinvolge i redditi fino a 15.000 euro lordi. Così facendo sosterremo il reddito di tutte le famiglie italiane, e non solo di quelle proprietarie, e riusciremo a diminuire il cuneo fiscale che grava sul costo del lavoro per le imprese.Per queste ragioni è necessario ridurre il carico fiscale sui redditi da lavoro, subito!

Cordiali saluti,
[Il tuo nome]

Direttiva Bolkestein, la protesta degli ambulanti contro le liberalizzazioni

[tratto dal Comunicato dell’associazione GOIA]

Nel pacchetto di liberalizzazioni annunciate dal Governo italiano c’è la temuta direttiva europea chiamata “Bolkestein”. Se dovesse passare così come è stata presentata, produrrebbe un danno enorme in termini di disoccupazione (sono quasi 2 milioni i posti di lavoro a rischio compreso l’indotto) alla categoria di lavoratori più antica della storia umana. Gli ambulanti oggi lavorano sulle piazze e le strade di tutta Italia grazie alle concessioni decennali rilasciate dai Comuni. Circa una metà di commercianti queste concessioni le ha acquisite oppure le ha ereditate da genitori che hanno sempre e puntualmente pagato le relative tasse che garantivano la legalità per svolgere il proprio lavoro. Chi ha acquistato queste concessioni, oltre al danno rischia la beffa perché si è dovuto accollare anche spese notarili, bolli e tutta la burocrazia di competenza, senza parlare delle visite capillari dell’Ufficio delle Entrate. Essendo attività commerciali a tutti gli effetti sono infatti sottoposte a studi di settore, quindi hanno l’obbligo di pagare tasse sulle transazioni delle concessioni in base al valore che stabilisce l’Ufficio delle Entrate e non al valore di mercato reale.

Con la direttiva Bolkestein, tutto il passato e la storia orgogliosa di ogni singolo ambulante rischia di essere archiviata per sempre. Essa prevede che i Comuni non rinnovino più le concessioni ai vecchi possessori cancellando quindi “i diritti acquisiti” fino ad ora.

La Bolkestein è una legge retroattiva e anticostituzionale; una volta approvata la direttiva i Comuni avranno la libertà di mettere all’asta le concessioni e la partecipazione alle aste verrà ristretta agli ambulanti e aperta alle grandi multinazionali, società e cooperative. In pratica chi offre di più lavora, mentre chi si è sacrificato per una intera vita alzandosi tutte le mattine alle 5, mettendo a repentaglio anche la propria salute, rimane a casa intraprendendo la nuova carriera da disoccupato.

Per fare un esempio, potrebbe succedere che in una qualsiasi manifestazione fieristica o mercato su aree pubbliche arrivi un grande gruppo che offra al Comune cifre esorbitanti per tutti i posteggi della fiera o mercato lasciando a casa circa 200 operatori (questo è mediamente il numero di operatori per mercati e fiere nelle grandi città) che da secoli tramandano di generazione in generazione tradizioni, costumi e servizi ai cittadini.

Se tutto questo dovesse accadere, le multinazionali acquisirebbero ulteriore potere commerciale, decidendo cosa dobbiamo e cosa non dobbiamo comprare. In altri casi si potrebbe verificare che società di servizi acquisterebbero interi pacchetti di concessioni per poi subaffittarle in un secondo momento agli stessi ambulanti che ne hanno subito l’esproprio. Naturalmente tutto questo andrebbe a danno dell’ambulante perché si potrebbe subaffittare a prezzi maggiorati. In pratica la direttiva Bolkestein aprirebbe la strada a personaggi che vivono lucrando sul lavoro altrui.

A Torino grazie alla tenacia di alcuni ambulanti e nato gruppo denominato G.O.I.A. (gruppo libero da ideologie politiche e non vincolato dalle caste commerciali) che in brevissimo tempo grazie ai nuovi mezzi di comunicazione di massa (social network) ha fondato un gruppo su Facebook che sta riscuotendo molto successo. Il gruppo si chiama “CARO BOLKESTEIN, SIAMO IL G.O.I.A, IL MERCATO NON SI TOCCA” e sta continuando a ricevere adesioni da ogni parte d’Italia.

Il GOIA scende in piazza in questi giorni: mercoledì 18 ci sarà una manifestazione a Cuneo, il 22 seguente a Roma.

Per conoscere gli effetti della Bolkestein, leggete questo post: Arriva l’onda liberalizzatrice della Direttiva Bolkestein.

Oppure seguite il Gruppo di GOIA su Facebook: http://www.facebook.com/groups/126578900757038/

Allarme sanitario: la Sindrome di Stoccolma ha contagiato il Mondo intero!

FONTE: Liberarchia

Secondo recenti studi dell’ OMS (Organizzazione Militanti Sovversivi) una strana epidemia si sta diffondendo a macchia d’ olio in tutto il pianeta, e credo ti convenga leggere attentamente questo testo, perchè molto probabilmente SEI GIA’ STATO CONTAGIATO PURE TU!

Per chi come me è del tutto ignorante in materia medica, la Sindrome di Stoccolma è una condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi (talvolta giungendo all’innamoramento) nei confronti del proprio sequestratore.
E per quanto possa sembrare incredibile questa patologia è stata riscontrata in intere masse di individui che collettivamente manifestano simili sintomi.
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La lettera di Berlusconi all’Europa fatta a pezzi

La lettera di Berlusconi all’Europa ridotta in 1000 tags. Guardate com’è piccola la parola giustizia. Soprattutto, fra le prime 100 parole di 1209 totali, non c’è la parola lavoro. Figuriamoci se c’è salario. A sorpresa anche la parola ‘pensioni’ non compare fra le prime cento.

Naturalmente vincono le parole ‘entro’ e ‘legge’ poiché quella era l’ossessione della vigilia: promettere di fare leggi urgenti entro una certa data. Poi spicca la parola riforma, la parola mercato, la parola concorrenza, ovvero tutto ciò che non è stato fatto in diciassette anni. Più in basso si scopre il disegno segreto di questa lettera: ‘riduzione’ e ‘servizi’. E la promessa che tutto ciò ‘verrà’ fatto. Domani, nel 2112.

Il testo originale qui.

Licenziamenti, il Senato peggiora il testo del governo

Così il Senato ha peggiorato l’art. 8 del Decreto Manovra-Bis, contenente norme che rendono possibile realizzare accordi Azienda-Lavoratori in deroga al contratto nazionale.

(fonte Corsera, 05/09/11, p.5)

Un ulteriore emendamento inserisce un nuovo comma che estende la possibilità della deroga anche per le disposizioni di leggeche disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”.

Questo il testo dell’art. 8 contenuto nel decreto con le modifiche apportate dal Senato:

Titolo III

MISURE A SOSTEGNO DELL’OCCUPAZIONE

Art. 8

Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità

  1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente piu’ rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda possono realizzare specifiche intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualita’ dei contratti di lavoro, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitivita’ e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attivita’.
  2. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative: a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarieta’ negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalita’ di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
  3. Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unita’ produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.

Art. 8 – emendato

Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità

  1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente piu’ rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualita’ dei contratti di lavoro, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitivita’ e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attivita’.
  2. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione incluse quelle relative: a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarieta’ negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalita’ di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.

2.bis Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche

intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro

  1. Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unita’ produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.

Così Pietro Ichino sul Messaggero di stamane:

[…]

[Il Messaggero,
5/9/11, p. 3]

Tutti in piedi! 110 anni di FIOM: rivedi la manifestazione in streaming

Vodpod videos no longer available.

oppure sul canale youtube: http://www.youtube.com/playlist?p=PL185A2BDDDF014B25

Bersani: chi spegnerà il fuoco della tensione sociale

Qualcuno non avrà apprezzato il discorso di oggi di Bersani a Torino, in occasione della chiusura della Festa PD. Ci sono, è vero, delle lacune, in special modo sul fronte delle alleanze. Bersani non si dilunga neanche un po’ sulla polemica dei Cespugli (Ferrero e Diliberto) dentro alla lista PD alle prossime elezioni politiche. Ha smentito e stop. Questo mentre Ferrero querela Gasparri, il quale a sua volta ha polemizzato con il segretario PD affermando che se si allea con Ferrero si allea con un ex Br, chiara allusione al collaboratore di quest’ultimo, ex brigatista (nemmeno troppo pentito secondo il CorSera, autore della spifferata), tale Francesco Piccioni, che ora lavora al Manifesto. Diliberto, poi, manda a dire che chi si fa inserire nelle liste del PD, sarà espulso dal partito: già, ma quale? I Comunisti Italiani, così come Rifondazione, sono in smobilitazione. Solo il Nuovo Vecchio Ulivo li potrà far risorgere – un po’ come fanno gli sciamani con i morti.

Bersani, però, oggi, nonostante tutto, nonostante il suo politichese fatto di frasi fatte e proverbi, ha detto qualcosa di sinistra. Sul Lavoro:

  • C’e’ molta tensione in giro. Se un governo accende i fuochi chi li spegnera’? Attenzione!
  • Riconquistare l’unita’ del lavoro e’ una esigenza nazionale. Un governo tradisce il Paese se lavora per la divisione
  • Caro Tremonti, la legge 626 sulla sicurezza non e’ un lusso, stiamo bene attenti a tenerci ferme certe leggi sul lavoro, in particolare le normative sulla sicurezza, cosi’ come ci ammonisce la tragedia di ieri a Capua
  • Solo un nuovo equilibrio tra legislazione e negoziazione puo’ permettersi di reggere gli effetti della globalizzazione sulle condizioni di lavoro, la contrattazione da sola non bastera’. E il governo per favore, caro Sacconi, non ci proponga la mistica del meno Stato piu’ Societa’: uno slogan che puo’ servire a tanti usi buoni e cattivi, compreso quello di oscurare i diritti, compreso quello di dividere e frantumare di piu’ un Paese gia’ diviso. No. Stato e Societa’ si devono dare la mano. Diritti, partecipazione e sussidiarieta’ si devono dare la mano. Solo cosi’ si tiene assieme un Paese

Riconquistare l’unità del Lavoro, significa da una parte ricomporre l’unità sindacale, dall’altra rimediare al dualismo del mercato del lavoro fra i lavoratori a tempo indeterminato e i precari, esclusi da ogni forma di tutela. Poi ha detto, fra le righe, che serve un nuovo patto fra Capitale e Lavoro, ma che il governo non può girarsi dall’altra parte, la contrattaziopne da sola non basterà. Stato e Società si devono dare la mano, ha detto. Dite che è poco? Può darsi, ma è un segnale. Che il PD, seppur in una veste che non manca di essere ambigua – PD, partito di governo momentaneamente all’opposizione – torna a fare gli interessi dei lavoratori.

Sempre fra le righe, Bersani ha detto qualcosa che merita di essere appuntato a caratteri cubitali su un notes, come promemoria per i prossimi anni, durante i quali il PD potrebbe tornare al governo: ebbene, il segretario si è lanciato in una promessa in fatto di legalità e giustizia:

Ci impegnamo a cancellare tutte le leggi che hanno favorito la corruzione e le cricche […] Leggi sulla Protezione civile, sull’ambiente, sulla cultura, sugli appalti pubblici. Ci impegnamo per una riforma della giustizia fatta per i cittadini e non per uno solo (Bersani, Torino, Piazza Castello, 12/09/2010).
Certo avrebbe fatto bene a ribadire che, nel quadro delle riforme da fare subito e ora, devono essere ricomprese Legge Elettorale e Legge sul conflitto d’interesse. Poche righe, solo scrivere che chi ha concessioni pubbliche è ineleggibile. Badare alla sostanza, segretario. Naturalmente, sulla legge elettorale manca di specificazione:
Ci impegnamo per una legge elettorale che dia lo scettro ai cittadini per scegliere i parlamentari e che sostenga un bipolarismo civile ed europeo non esposto a rischi plebiscitari che ci potrebbero portare in altri continenti (Bersani, cit.).
Che si traduce in? Proporzionale alla tedesca? Doppio turno alla francese? Mattarellum imbastardito con il Porcellum? Provincellum alla maniera di Casini? Quale il modello, segretario?
Qui vedo il nostro compito – spiega – aiutare l’Italia a riprendere il suo sogno. Far vivere un progetto nuovo che solleciti uno sforzo comune, in cui chi ha di più deve dare di più. Il progetto dunque. Propongo due pilastri di questo progetto: più lavoro e nuovo lavoro per tornare a crescere e vivere meglio. Il secondo: una riscossa civica per tornare a crescere e vivere meglio (Bersani, cit.).
Ecco, un progetto. Questo dovrebbe avere il PD. Un progetto il PD ce l’ha, dice il segretario. Ma alcune pagine di questo progetto restano purtroppo bianche.
Sitografia:

Sul Lavoro il vuoto della politica e dell’imprenditoria

Dire che le relazioni industriali in Italia devono essere riformate è cosa ovvia: il sistema attuale della contrattazione collettiva partorito dall’Accordo del 23 Luglio 1993 è farraginoso e non produce quei miglioramenti retributivi che i lavoratori si aspettano, mentre costa ore di lavoro di sciopero e la contrattazione sulle norme è arrivata anche a mettere in discussione principi basilari come l’indennità di malattia. Dall’altro lato, c’è il problema della rappresentanza, che è sempre meno rappresentativa degli effettivi voleri dei lavoratori e non procede quasi mai dalla discussione deliberativa delle assemblee di fabbrica che al contrario sono delle mere riunioni in cui si comunicano le decisioni prese da altri e altrove.

Sulla base di queste ragioni non si può affermare che Marchionne sia un innovatore: ha solo portato alla luce del dibattito il difetto del mondo del lavoro dipendente, vincolato a schemi inefficienti e inefficaci. Marchionne, semmai, ha invaso una terra di nessuno, un vuoto che è innanzitutto politico. Ciò gli è consentito dall’arretramento della Politica alla sfera del privato (lotta di egemonia fra personalismi e pertanto di interessi particolari, fatto testimoniato dalla personalizzazione dei partiti politici – partito di Berlusconi, partito di Di Pietro, di Fini, di Casini, e così via). Un vuoto che nemmeno il Sindacato è stato in grado di percepire e di prevenire, assorto com’è dalla comodità delle posizioni consolidata all’interno di organigrammi gerarchici in cui – anche lì – la discussione è messa alla porta.

Di tutto questo non si è parlato e non si parla. Marchionne punta a deregolamentare il lavoro: la sfida della globalizzazione non la si vuol combattere sul piano della Ricerca e Sviluppo, bensì passando per la riduzione della sfera del diritto del lavoro. Come ci ricorda Oscar Giannino, su Il Messaggero,

L’intera storia della globalizzazione, dalla prima rivoluzione industriale manchesteriana, è fatta di Paesi che si affermano e restano per lungo tempo leader anche nell’espansione dei mercati ad aree a più basso costo del lavoro. Purché naturalmente quei Paesi avanzati non dimentichino che devono preservare due condizioni. La prima è che devono avere una struttura produttiva flessibile, in grado di rispondere rapidamente alla mutata domanda internazionale. La seconda è che devono restare titolari di tecnologie di prodotto e processo, gestionali, commerciali e distributive, capaci di preservare m la leadership nella parte più elevata del valore aggiunto, quella che i Paesi emergenti metteranno più tempo a raggiungere (Oscar Giannino, Il Messaggero, 27/08/2010).

Bè, viene da chiedersi se l’Italia ha davvero conservato la titolarità delle “tecnologie di prodotto e di processo”.  Non è forse vero, piuttosto, che Fiat, come buona parte dell’imprenditoria italiana, è sopravvissuta grazie al sussidio statale (incentivi auto) e grazie all’abuso di contratti di lavoro a tempo determinato (interinali e altre tipologie atipiche)? La verità è che l’imprenditoria italiana non “fa”, non crea più nulla: anch’essa, come le relazioni industriali, è ferma al paradigma degli anni sessanta dell’imprenditore padre di famiglia, alla prima industrializzazione. Anziché convertire le produzioni (vedi caso Omsa), gli imprenditori preferiscono delocalizzare. Oppure pretendono che i lavoratori rinuncino ai loro diritti, accordandosi con quella spirale di compromessi verso il basso che la competizione globale impone: una tesi falsa, secondo Giannino, “abilmente insufflata da quel pezzo di sindacato e di sinistra che continua a guardare alla storia attraverso lo specchietto retrovisore”. Naturalmente Giannino punta il dito al solo sindacato, e ignora del tutto le colpe di una imprenditoria che ha guardato al mero guadagno di oggi, sacrificando la competitività del futuro. Giannino condanna Fiom e assolve Confindustria, ma è Confindustria ad aver spalleggiato per anni la politica del privato berlusconiano, scommettendo su una riduzione delle tasse che non vi è mai stata e mai vi sarà. Sono loro i primi colpevoli di questa stagnazione della cultura industriale.

Quando parla della necessità di abbandonare i vecchi schemi, compreso quello della contrapposizione fra capitale e lavoro nei termini di cento anni fa, l’amministratore delegato della Fiat segnala insomma un ritardo delle culture politiche a cui siamo tutti, destra e sinistra, abbarbicati, perché le nostre categorie sono interessanti per gli studiosi di storia ma non servono per fare politica oggi. Ma i cittadini, i lavoratori, vivono nell’oggi (Nicola Rossi, Europa, 27/08/2010).

I rimedi? Una legge sulla rappresentanza, che pure già esiste ma è parcheggiata in un angolo delle Commissioni Lavoro. E la novità è che Bersani ha aperto alla riforma:

«Un nuovo patto sociale lo vogliamo tutti» […] Il segretario del Pd indica anche una possibile via: «Un rafforzamento dei meccanismi di democrazia e partecipazione diretta dei lavoratori nelle aziende» […]  (P. Bersani, CorSera, 27/08/2010).

Qualcuno per favore però dica che ‘partecipazione’ deve andare di pari passo ad adeguata retribuzione.

Nichi Vendola? Politiche, non personalismi

Il moto di ribellione di Bersani, ieri ad Annozero, contro il fuoco di fila di Travaglio e Santoro, non può che far pensare alla prosecuzione della stagione della titubanza che tiene il PD in letargo da anni. Il dichiarazionismo di cui è malato il partito non può essere curato dallo scatto d’orgoglio del segretario. Non solo. Sebbene l’impeto mostrato possa lasciar presagire un diverso approccio, ci si muove ancora sulla vecchia prospettiva – malata – dei conteggi di percentuali e delle ampie alleanze. Lo dimostrano le strane manovre che si stanno compiendo a ‘sinistra’, laddove, dalle ceneri della costellazione post-comunista e neo-comunista, risorge la bandiera rossa, ma nella forma berlusconniana del personalismo.
Chi è costui? Nichi Vendola, obviously. Si parla apertamente di ‘Operazione Nichi’. Di un progetto politico di sinistra in ottica 2012 (e se si trattasse di elezioni anticipate?). Protagonisti insieme al governatore della Puglia, neo-eletto, Luigi De Magistris, in ovvia migrazione da IDV, Ignazio Marino e – udite, udite – Michele Santoro. Lo rivela La Stampa, stamane (Scatta l’operazione Nichi Vendola – LASTAMPA.it), ma forse è fantapolitica.
Certo, la ricostruzione della sinistra radicale, dopo l’ammucchiata dell’Unione e la conseguente ‘scossa veltroniana’, era al primo posto nel costruzione idealtipica delle alleanze PD secondo la mozione Bersani. Eppure non mancano le scaramucce: secondo Enrico Letta, numero due del partito, “il Pd deve essere più coraggioso e fare un salto di qualità nel rapporto col paese, perchè la sua centralità rischia di essere insidiata da soggetti esterni al bipolarismo, da movimenti estemporanei ma organizzati da nuovi (o presunti tali) astri nascenti della politica italiana”. Vanno bene gli astri nascenti, purché non minaccino la centralità del partito nel disegno bersaniano di nuovo ulivismo che concilii Vendola e UDC inserito in un patto repubblicano esteso a Fini.
Ignazio Marino si è invece già smarcato da tempo: “il Partito Democratico parli di temi e faccia proposte concrete. Questo vuol dire essere alternativa di governo, non si perda tempo ed energie commentando Silvio Berlusconi […] Io lavoro per un PD che sappia offrire una visione concreta all’Italia nei temi importanti per le persone: crisi economica, lavoro, innovazione e sviluppo, sanità e scuola pubblica, diritti civili”. L’Area Marino già da tempo premeva per aprire un dibattito serio sulle politiche del PD. Su questo blog abbiamo parlato dell’iniziativa di Civati, ‘Andare Oltre’. Bersani ne ha copiato la parte relativa alle cosiddette ‘best practices’ delle pubbliche amministrazioni governate dal PD:

  • In Buone Mani, questo il nome dell’iniziativa e del sito, servirà a raccogliere e diffondere “le buone pratiche di governo locale nelle amministrazioni del centrosinistra”. Una vera e propria banca dati aperta al contributo diretto degli utenti e dei cittadini
  • L’idea è quella di innestare pian piano un progetto di “formazione continua”, per cui le buone legge e le buone prassi vengano diffuse e alimentate, anche attraverso woorkshop e laboratori territoriali su specifici temi. Un’idea semplice ed efficace che negli scorsi fu sperimentata anche dal Psoe spagnolo, come spiegava anche il Post, con l’obiettivo di “condividere le informazioni all’interno del maggior partito di opposizione e rinnovare il suo progetto politico spesso impigrito”
  • creare anche una sorta di condivisione delle modalità e della cultura che muove il partito (Il Pd e le idee dai territori. In buone mani | Cambia l’Italia).

Politiche, quindi. Non personalismi. Il PD non ne ha bisogno. Poiché pullula di personalismi, che vagano per le stanze vuote del palazzo recitando ognuno la propria litania. L’alleanza prossima ventura, quella per le politche 2012, sia costruita sulla quarta gamba del tavolo, quella che ora manca, la sinistra, ma bisogna ripartire dalle fondamenta. Il primo pilastro deve essere il lavoro. Poiché se di similitudini dobbiamo parlare, allora l’Italia non somiglia solo alla Grecia in fatto di corruzione, di divisioni nel sistema politico, di clientelismo e di disfacimento del tessuto economico, ma anche – e soprendentemente – alla Spagna. La Spagna di Zapatero, l’icona della sinistra radicale, oggi al gancio, declassata da S&P e gravata da una disoccupazione a doppia cifra. La crisi, in Spagna, viene scaricata- indovinate? – sui precari, sui giovani precari. I contratti a termine sono stati il piedistallo su cui si è costruito il miracolo economico spagnolo, soprattutto nel settore edile. Hanno toccato cifre del 30% del totale della forza lavoro. Che ora sono espulsi dal mercato. Un vero dramma sociale. Giovani e meno giovani lavoratori scaricati dalle proprie aziende da un giorno all’altro. E così si scopre che anche in Spagna esiste il dualismo del mercato del lavoro. Che i sindacati difendono i diritti degli insiders, mentre gli outsiders non hanno alcuna tutela. Ma le similitudini con l’Italia finiscono qui: la classe politica italiana è distratta da sé medesima, è incapace di guardare al mondo là fuori. E i giornali ne fanno il controcanto. In Spagna no. In Spagna il problema dei precari è una emergenza nazionale:

  • Un gruppo di economisti spagnoli ha redatto un documento con alcune proposte per ristrutturare il mercato del lavoro senza ingessarlo […] aumentando le protezioni per le fasce attualmente «scoperte» (con un «contratto unico» simile a quello proposto in Italia dagli economisti Boeri e Garibaldi), ma allo stesso tempo rendendo le condizioni di licenziamento meno proibitive e le contrattazioni collettive più flessibili. Una proposta che ha raccolto oltre cento adesioni tra economisti di tutta la penisola iberica (viene infatti chiamato «la proposta dei cento») e che vede un forte sponsor nella Banca di Spagna e nel Fondo Monetario Internazionale (La Spagna sta meglio o peggio di noi? – LASTAMPA.it).

Qui da noi sono più importanti le diatribe interne al PdL, lo ‘strappo’ di Fini, la suocera di Fini, la testa di Bocchino o la moglie di Bocchino, l’emendamento D’Addario, l’emergenza intercettazioni e l’Operazione Nichi Vendola. E allora il sussulto sulla poltrona di Bersani di ieri sera è anche il nostro. Un sussulto dovuto allo sconcerto nel vedere una classe politica che, tra lazzi e sollazzi, balla l’ultimo valzer sul ponte del Titanic.

Alcoa, o l’energia o il lavoro. Governo messo al muro dalla multinazionale. I veleni dell’Alcoa.

Affidati a un comunicato, i dirigenti della Alcoa fanno sapere che o il governo rivede le tariffe per l’energia o l’Alcoa, la multinazionale dell’alluminio, smantella lo stabilimento di Portovesme. Naturalmente il governo cedera’ al ricatto di Alcoa. Non ha altre chance. La Sardegna e’ una regione depressa, gia’ sconta la crisi della Saras, la raffineria dei Moratti.
Notizia di stamane di una riunione dei lavoratori in assemblea assieme ai vertici aziendali, al direttore e al capo del personale, e ai sindaci della provincia di Carbonia-Iglesias. L’Alcoa assicura ai propri dipendenti la continuita’ dell’attivita’ dello stabilimento di Portovesme, pur con delle interruzioni. In sostanza, fanno capire i dirigenti, il futuro di Alcoa in Sardegna dipende da quanto il governo italiano sara’ magnanimo nei suoi confronti. Un esempio di capitalismo rampante. Multinazionali decotte che campano grazie alle sovvenzioni statali. Alcoa non e’ interessata alle sorti dei lavoratori, ne’ alla qualita’ del lavoro o dell’impatto della propria attivita’ produttiva nell’ambiente circostante.
Leggete il testo che segue, risalente allo scorso settembre:

Un tenore di fluoro che supera di sei volte il limite consentito. L’emergenza ambientale attorno allo stabilimento dell’Alcoa di Portovesme è stato certificato dall’Agenzia regionale per l’ambiente che ieri ha reso noti i risultati delle analisi sui campioni. La realtà è ancora peggiore dell’immaginazione: la concentrazione di fluoro nell’aria attorno allo stabilimento dell’alluminio dell’Alcoa di Portovesme è più di sei volte il massimo consentito dalla legge. A fugare i dubbi sui livelli di inquinamento registrati attorno alla fabbrica della multinazionale americana in seguito agli inconvenienti che hanno messo fuori uso una sessantina di celle elettrolitiche è stata l’Agenzia regionale per l’Ambiente. Un report pubblicato sul sito ufficiale rivela finalmente i risultati delle analisi effettuati sui dati raccolti dalle centraline di rilevamento.

Un altro conflitto fra lavoro e salute. I lavoratori della Alcoa e gli abitanti della Sardegna conoscono quello che fanno questi signori. Si sono respirati una bella dose di acido fluoridrico, disperso nell’aria in prossimita’ dello stabilimento Alcoa. Questo il prezzo da pagare per avere un lavoro. Ovviamente di tutto cio’, durante l’incontro di ieri fra l’AD di Alcoa Giuseppe Toia e il ministro per lo Sviluppo Economico Scajola, non si e’ parlato. Talvolta, lo sviluppo economico, e il conseguente salvataggio di alcune centinaia di migliaia di voti a favore, valgono la pena di qualche morte per tumore. E’ una scelta che il ministro si assume in pieno.

All’emissione risultano concentrazioni variabili di acido fluoridrico comprese tra 1,05 e 1,94 milligrammi per Normalmetrocubo, a fronte di un limite ammesso di 2 milligrammi per Normalmetrocubo; un ulteriore campione è stato prelevato presso il punto di emissione senza la filtrazione prevista dalla metodica ufficiale a soli fini di riscontro ed ha presentato un valore di acido fluoridrico di 5,5 milligrammi per Normalmetrocubo; ai confini dello stabilimento, in corrispondenza delle recinzioni, risultano concentrazioni variabili di fluoro tra 36 e 201 microgrammi per Normalmetrocubo, mentre presso il pontile del porto commerciale di Portovesme (in direzione del vento al momento del prelievo con pompa aspiratrice) sono stati rilevati meno di 19 microgrammi per Normalmetrocubo (limite di rilevabilità del metodo); in località Ecca de Chiccu Sedda (in direzione del vento al momento del prelievo) sono state invece rilevate concentrazioni i fluoro di 124 microgrammi per Normalmetrocubo (la normativa prevede che media nelle 24 ore debba essere inferiore a 20 microgrammi per Normalmetrocubo).

    • Al termine dell’incontro tenutosi al ministero dello Sviluppo economico, l’amministratore delegato di Alcoa Italia, Giuseppe Toia, ha ricordato che «come scritto nel comunicato della casa madre americana Alcoa Inc della scorsa notte, non c’è alcuna dichiarazione secondo cui Alcoa intende chiudere definitivamente i suoi impianti di produzione dell’alluminio (smelters) in Italia»

    • «Interruzioni temporanee degli impianti – ha aggiunto Toia – potrebbero determinarsi dopo un processo di consultazione che potrà durare fino alla seconda metà di dicembre.

    • Se Alcoa potrà ottenere un contratto di fornitura di energia elettrica a prezzi competitivi, questa interruzione sarà immediatamente sospesa.

    • Alcoa e il ministro Scajola stanno lavorando da alcuni giorni a questo processo, e Alcoa vuole ringraziare il ministro per la sua guida e il suo impegno

    • Alcoa: a Portovesme, in Sardegna, i lavoratori si sono chiusi nell’impianto e impediscono a chiunque di entrare e uscire, dirigenti compresi

    • non è un caso di "azienda in crisi": è l’ennesimo caso di multinazionale che viene qui ad attaccarsi alla mammella dello Stato. Già: perché era lo Stato, cioè noi, a pagare una parte degli enormi consumi elettrici di Alcoa

    • La terza industria di alluminio al mondo, una delle più grandi industrie sul pianeta Terra, che si fa pagare la bolletta elettrica da Pantalone, probabilmente col ricatto occupazionale.

    • Ora la UE ha detto basta a questo andazzo, e l’Alcoa, che non può più mantenere il proprio business coi soldi pubblici, chiude baracca e burattini.

    • I lavoratori sono stati già manganellati ieri a Roma, ed è probabile che l’esperienza si ripeta anche a casa. Il governo promette, ma cosa c’è da promettere? Di continuare a pagare le bollette, cosa che l’UE ha proibito? Di abbonare all’Alcoa la parzialissima restituzione del maltolto, come sentenziato dall’Europa, ovvero circa 300 milioni di euro?

    • Il sindacato tuona indignato contro il governo, probabilmente auspica che si cali ancora le braghe davanti a questi scrocconi

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Altre forme di lotta. La democrazia diretta degli operai Innse.

Ieri lo sconfortante articolo di Concita Di Gregorio in "Conversardo con Nadia Urbinati", che incitava alla ribellione come in Iran e come in Birmania, ma che fondamentalmente raffigurava questo paese ormai consegnato alla anomia catodica, alla dispersione atomizzata di individui incapaci di tematizzarsi parte di una collettività e intenti solo a consumare immagini distorte della realtà.
Oggi la rinata prospettiva di un ritorno dal basso della lotta come forma di condivisione, di unione, di discussione e deliberazione, insomma di democrazia, fornitaci dal gruppo di operai resistenti della Innse.
In fondo, non tutto è perduto. Laddove le persone ritrovano l’unità, nella modalità di auto rappresentarsi, impiegando anche forme estreme – ma mai violente – di protesta, allora ecco che si sconfigge l’indifferenza del bieco interesse affaristico economico politico.
Si può cambiare questo paese. Basterebbe smettere di accettare passivamente. Basterebbe decidere di partecipare.

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    • Il nucleo operaio dell’Innse, ai cancelli e sul carro ponte, non ha vinto solo per sé e manda un messaggio all’insieme del mondo del lavoro e a una parte di società sconfitta ma non pacificata: si può cambiare lo stato di cose presenti, e si può fare insieme. Persino nella latitanza – quando non ostilità – di gran parte della politica.
    • Hanno bucato il video senza però farsi fagocitare dalla prepotenza mediatica. Non hanno accettato l’accordo all’ora giusta per apparire sul Tg3, hanno preteso di discutere punto per punto la bozza portata dai sindacalisti, hanno fatto notte, hanno «imposto» ai loro rappresentanti di tornare alla trattativa con un mandato: migliorare due o tre punti contestati dell’accordo. Con le armi dell’unità, della lotta e della democrazia, hanno vinto.
    • un pezzo di territorio milanese aggredito da una speculazione edilizia che tutto rade al suolo al suo passaggio, storie, vite, culture, disegnando un futuro senz’anima e senza solidarietà.
    • la vittoria degli operai dell’Innse insegna
    • con gesti tradizionali e con gesti radicali, sempre con scelte generose, collettive, coinvolgenti
    • E’ giusto interrogarsi sulle forme di lotta, sulla spontaneità, sulla radicalità del conflitto, in una stagione in cui la violenza della crisi talvolta spunta la lancia dello sciopero
    • Più urgente sarebbe però interrogarsi sul lavoro e la sua rappresentanza e sulla scomparsa dell’uno e dell’altra dall’agenda dell’«opposizione» parlamentare.
    • Un’opposizione che oggi è capace solo di chiedere alla Cgil di rientrare nei ranghi, firmare accordi indecenti con padroni e governo, diventare finalmente un sindacato complice
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    • Sono stati costretti ad una forma di protesta dura e pericolosa ma alla fine hanno avuto ragione. Molti li hanno derisi e hanno avuto torto: Innse era un’azienda che aveva un futuro.
    • è stata una bella pagina di lotta operaia
    • Si temeva che in Italia accadesse quello che è accaduto in Francia, invece questa forma di lotta è assolutamente pacifica, semmai il rischio lo corrono solo i lavoratori.
    • Certo ci può essere la tentazione ad emulare e quando vedo lavoratori esposti ad un rischio non si può che essere in grande apprensione. Ma gli imprenditori devono avere un maggior senso di responsabilità, non bisogna costringere i lavoratori a queste forme estreme. Non bisogna fare speculazioni sulle aree, bisogna avere un senso alto del dovere dell’imprenditore e della sua responsabilità sociale".

    • Le atmosfere che emergono da questa vicenda ricordano un film di Ken Loach, dalla protesta esemplare, alla desertificazione industriale, al declino della classe operaia.
    • c’è il rischio che la crisi internazionale sia l’occasione per ristrutturazioni ingiustificate o azioni speculative da parte delle imprese.
    • La Lega non ha detto un parola per difendere l’occupazione a Milano: divide il paese e non è così che si difendono i più deboli e si danno risposte giuste ai più forti
    • Il governo ha fatto poco anche in questa crisi della Innse
    • Sull’Innse non esce bene la Regione, e sono stati assenti anche gli altri enti locali.
  • C’è però un punto da tenere presente. Un operaio della Innse, dialogando a Radio Popolare con i compagni della Cim, ha detto che "il vecchio tipo di lotta, lo sciopero, non funziona più. Bisogna utilizzare altre forme di lotta". Per quanto riguarda le grandi vertenze contrattuali, è probabile che al momento la sua previsione sia sbagliata. Ma per molte questioni che hanno a che fare con gli innumeri marchingegni usualmente messi in opera al fine ultimo di tagliare l’occupazione, dalla cessione di rami d’impresa alle fusioni e acquisizioni i quali hanno come risultato che due più due fa sempre tre, è possibile invece che abbia ragione. Nessuno vorrebbe rivedere operai che rischiano la vita restando per giorni interi su strutture alte trenta o quaranta metri. Però bisogna riconoscere che la loro protesta, in questi casi, non ha danneggiato nessun soggetto terzo, ha inciso in misura minima sul reddito dei lavoratori interessati, e neppure ha recato alcuna menomazione agli impianti. Ed ha avuto un rapido successo. In altre parole, è stata una protesta ben inventata quanto efficace. Poiché la crisi delle imprese piccole e medie sarà indubbiamente lunga e severa, e i mezzi per scaricarne i costi anzitutto sui lavoratori sono soprattutto nelle mani della proprietà e delle direzioni, v’è da prevedere, se non anzi da augurarsi nell’interesse generale, che altre forme di protesta parimenti ben concepite – di tipo non-sciopero, e meglio se meno rischiose – emergeranno nel prossimo autunno.

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    • Tutto avviene nel silenzio. C’è un’idea diffusa di impotenza, di rassegnazione. Alla politica si è sostituito il potere. La gestione delle cose, gli affari privati. Tutto è ormai una faccenda privata: di scambi, di soldi, di favori.
    • Tutto avviene nel silenzio. C’è un’idea diffusa di impotenza, di rassegnazione. Alla politica si è sostituito il potere. La gestione delle cose, gli affari privati. Tutto è ormai una faccenda privata: di scambi, di soldi, di favori. Dove sono i cittadini, in questo paese? Dove sono le donne?
    • In tutto il mondo le donne sono in piazza. Alla sbarra a Teheran, massacrate in Iran, prigioniere in Birmania. Volti femminili che diventano icone della protesta.
    • Qui, in questa nostra democrazia in declino, di donne si parla per dire delle escort
    • Nadia Urbinati, docente di Teoria politica alla Columbia university. «Avrei voluto far qualcosa, in questi mesi estivi che passo in Italia, ma mi si dice che si deve aspettare l’autunno. Non capisco come mai. Non vedo che altro ci sia da aspettare.
    • Le vittorie di Berlusconi appaiono ormai la conseguenza e non la causa dell’indebolimento della presenza attiva dei cittadini nella vita pubblica.
    • C’è, da parte delle persone attorno a noi, una specie di accettazione. Il senso dell’inutilità dell’agire collettivo. Non serve, si dice. Non produce effetti.
    • Ci hanno ingannati, in questi anni, illudendoci che si potesse partecipare stando a casa: davanti allo schermo di una tv, in un blog al computer. Soli davanti al video. È nato un pubblico che si cela al pubblico. Impotente, rassegnato. Si è fatta strada un’idea maggioritarista: quella che dice che chi vince ha ragione per definizione, in quanto vincitore.
    • È un’idea che non prevede il dissenso.
    • Il dissenso infastidisce, non se ne comprende il valore né l’utilità, non si tollera. La voce dell’opposizione è una voce che disturba.
    • L’opposizione d’altra parte non fa che riconoscere la forza dell’avversario
    • Manca un partito capace di parlare con voce forte e chiara. Negli ultimi tre mesi l’Unità e la Repubblica hanno avuto la capacità di far infuriare il tiranno, l’opposizione no.
    • Persa nella sua battaglia interna, persa nell’incapacità di parlare con le parole della politica.
    • Ho sentito Prodi dire: Berlusconi è il vuoto. Putroppo no, non è vuoto, è pieno di linguaggio e di azione. È l’opposizione a non avere linguaggio ed azione
    • Quel che fa questo governo non è ridicolo, non è schifoso come ho sentito dire dai leader negli ultimi giorni. È tragico.
    • Le gabbie salariali sono la rottura di un patto di solidarietà e giustizia tra i cittadini, un piede di porco capace di smembrare il paese. Le ronde sono un pericolo gravissimo, oltre ad essere un modo subdolo per distribuire finanziamenti pubblici.
    • Siamo orfani di politica. Il potere ha preso il suo posto: chi lo detiene lo usa attraverso mezzi privati, conti in banca, soldi, scambi di favori. Berlusconi durerà. Tutto questo non finirà con lui. Questo governo non è Berlusconi, è la visione organica della società che lui rappresenta.
    • Abbiamo imparato a giustificare sempre tutto. Ci sarebbe bisogno di avere una visione morale della politica, invece. Non c’è.
    • anche se non penalmente perseguibili certi atteggiamenti sono moralmente turpi. Bisogna dirlo, ripeterlo, cercare ascolto, pretendere risposta.
    • Dopo anni di partecipazione si è spenta nella mente del cittadini la dimensione pubblica. La democrazia si è fatta docile e apatica.
    • l’Italia non ha più nulla da dire, resta solo un esempio interessante da studiare sul declino della democrazia.
    • Le generazioni del femminismo si sono scollate. Le ragazze che vanno a palazzo Grazioli dal bagno del tiranno telefonano alla madre, contente. Le loro madri hanno la nostra età. Cosa è successo tra quelle madri e queste figlie, tra noi e loro?
    • Le grandi personalità si sono ritirate a scrivere le memorie degli anni d’oro, quasi a rivendicare un’autorità su e insieme un’estraneità da questo tempo. Io l’avevo detto, io l’avevo scritto.
    • non c’è più la capacità di mettere in comune le esperienze, tessere una trama, rinunciare a qualcosa di proprio per l’agire collettivo
    • Tutti che chiedono rivendicano protestano e si lagnano, tutti che pongono problemi e nessuno che offra soluzioni
    • Quello che dà fastidio, poi, è questo continuo lamento
    • Lamentarsi è facile e non costa nulla, invece proporre una soluzione significa assumere una responsabilità, pagare il prezzo di una decisione
    • Lamentarsi, risentirsi, portare rancore: anche queste sono forme private di agire. La dimensione pubblica – quella di chi si attrezza ad unire le forze e costruire gli strumenti per cambiare le cose, insieme – è svanita.
    • Tutto per loro è privato, totalmente privato. Bisogna ripartire da capo. Dalle cose essenziali. Lanciare un appello, per esempio, alcune donne si preparano a farlo: lanciare appelli non è un modo vecchio di agire. È nuovo, oggi. È di nuovo nuovo. Non essere docili, ripartiamo da qui

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