Riforma Senato | Mineo: “referendum Segni mai più possibile”

Oggi Corradino Mineo è intervenuto al Senato. Nel suo discorso, di critica alla riforma del Senato proposta dal governo con il DdL costituzionale Boschi, è presente un cenno alla questione del cosiddetto referendum manipolativo che un emendamento, approvato dalla 1a Commissione Affari Costituzionali al Senato, renderebbe non più ammissibile. Come scrivevo l’altro giorno, se da un lato già la Consulta ha da alcuni anni adottato l’orientamento di escludere quei quesiti che intervenissero in maniera manipolativa, su singole parole o porzioni di frasi, specie in quei casi in cui l’abrogazione rendesse la norma irrazionale o incompleta, dall’altro i referendum in materia elettorale non possono che essere parziali e manipolativi, dato che la legge elettorale è una legge costituzionalmente necessaria alla corretta formazione degli organi dello Stato.

Così Mineo, stamane, in aula al Senato:

spero si rifletta sulle norme che riguardano i referendum, che al di là delle intenzioni sicuramente buone – conosco e stimo la senatrice Finocchiaro – hanno un sapore amaro. Non sarebbe oggi possibile il referendum Segni da cui è nata – bello o brutta che sia – la Seconda Repubblica, perché quel referendum era manipolativo. L’innalzamento delle firme sembra voler punire un istituto di democrazia diretta, mentre si torna non alla democrazia delegata com’era in Costituzione, ma ad una democrazia delegata in cui i partiti hanno troppo potere (Resoconto stenografico Seduta n. 280 de 17/07/14).

Lo cito qui, anche perché è l’unico ad averne parlato. 

L’infelice #Italicum

Al di là degli psicodrammi sulla visita al Nazareno del Nemico Pubblico Numero Uno (con il quale il Pd ha – purtroppo – governato dalla fine del 2011), ciò che conta, dal mero punto di vista politico, sono due aspetti: uno prettamente legato al metodo, l’altro alla questione più tecnica del contenuto della proposta di legge elettorale.

Comincio dal secondo. Facendo riferimento all’analisi pubblicata oggi da Civati con il contributo di Andrea Pertici, il premio di maggioranza posto al raggiungimento del 35% dei suffragi è sproporzionato e irragionevole; il ballottaggio di coalizione si somma agli effetti distorsivi dello sbarramento, riducendo ulteriormente la rappresentatività; le liste sono nuovamente bloccate e la ripartizione nazionale dei seggi le unificherebbe in un unico listone nazionale, vanificando qualsiasi collegamento eletto-elettore. Inoltre, questo disegno di legge riguarda la sola Camera dei Deputati: nell’Italicum non è prevista alcuna norma per quanto concerne il Senato. Si è voluto collegare la nuova legge elettorale alla riforma costituzionale del Senato non elettivo. Un azzardo inutile. La “cancellazione” del Senato deve avvenire giocoforza sulla base del dettato costituzionale dell’articolo 138. I tempi non sono certi. Se la linea del consenso trovata è quella fra Pd e Forza Italia, non si capisce perché gli altri componenti della attuale maggioranza dovrebbero essere clementi nei confronti di questo complesso di riforme. Ergo, la riforma di Renzi è attesa al soglio di Montecitorio (e sappiamo di che palude si tratti). Tanto più che, recentemente, un precedente tentativo (non si sa quanto serio), spacciato per una riforma istituzionale ma incuneatosi in una torbida modifica al 138, è finito sul consueto binario morto (insieme a tutto l’armamentario di buone e buonissime intenzioni, finanche il cambiamento del Porcellum), con buona pace di tutti.

Appunto, il metodo. A parte lo scazzo (termine tecnico) con Cuperlo, la frase “Nessuna modifica o salta tutto” lascia ben intuire che verso abbia preso il #cambioverso. A che serve la Direzione? A che servono gli organi di un partito, se la discussione è messa in un angolo? Non si può modificare nulla? Allora perché se ne è parlato oggi? Per un patetico e formalistico voto? Quale può essere il contributo della minoranza se ciò che dice il Segretario è lettera scritta immodificabile?

Il ricorso alla speciosa argomentazione che un milione e settecentomila persone ti hanno dato un voto non giustifica l’azzeramento della dialettica interna. Questo valeva ai tempi di Bersani, e vale ora. Ancora di più, se possibile.

Romanzo Nazareno | #renziberlusconi

Il racconto dell’incontro Renzi-Berlusconi ha un qualcosa di drammatico e insieme grottesco che resterà a lungo come archetipo della narrazione mass mediatica, questa volta non circoscritta alla sola televisione ma che dalla televisione si è trasferita, in un gioco di rimandi e percezioni distorte, ai social-cosi, ai giornali web: qualcosa che domani rifletterà, come la pancia lucida di un cetaceo spiaggiato, sulla marcescibile carta stampata.

Ecco B. salire le scale del Nazareno. Lo scatto è sfocato, rubato, chissà. La foto del Che e di Fidel Castro che giocano a golf – i Rivoluzionari intenti in un gioco così borghese, mentre sotto di loro si consuma il Grande Peccato.

Prima ancora, l’auto del Prescelto solca due ali di folla. Parte il lancio di uova, ma la mano è la solita che recita lo stesso copione mandato a memoria per venti lunghi anni. Fanno l’accordo con il diavolo, che poi era al governo fino a qualche mese fa proprio con quel partito la cui sede è ora un santuario violato.

Renzi prende il treno dopo che in mattinata ha inaugurato un gruppo di case popolari. Il tempo di tagliare il nastro che il sindaco sale sul Treno ad Alta Velocità e giunge a Termini, dove in mezzo ad una ressa di giornalisti una donna cade rovinosamente a terra, e il buon Renzi si arrabbia tanto, titolano quelli di Repubblica. Per un buon quarto d’ora, sembra la notizia più importante della giornata.

Alle 19 Renzi convoca la conferenza stampa. Quasi un’ora dopo la conclusione dell’incontro. I giornalisti devono salire al secondo piano del Nazareno e l’ascensore porta solo quattro persone alla volta. Che iattura.

Angelino tuona tramite alcuni tweet non appena sente parlare della ‘profonda sintonia’ che ha unito il suo ex capo e il nuovo Leader. In fondo, che sarà mai un partitino, @angealfa.

In due ore e mezza, dice il responsabile comunicazione del Pd, Francesco Nicodemo. In due ore e mezza abbiamo chiuso il ventennio. Forse era già chiuso e lo avete riaperto. Forse era già chiuso e basta. Poi percula @angealfa:

In ogni caso, se l’accordo è sul modello spagnolo, dite a Renzi che vince Grillo: http://www.youtrend.it/2014/01/09/proposte-matteo-renzi-legge-elettorale/

Dopo il Porcellum la tentazione perversa del proporzionale puro

Le motivazione della sentenza della Corte Costituzionale hanno posto definitivamente la parola fine alla vita della legge elettorale Calderoli, nota al mondo come Porcellum. Ma se pensate che sia tutto risolto, vi sbagliate di grosso. La sentenza è giocoforza emendativa essendo la legge elettorale “costituzionalmente necessaria”, come ribadito in diverse sentenze e in ultimo nella suddetta n. 1/2014. Il Consultum, come è stato ribattezzato il rottame di legge elettorale rimasto, è un proporzionale corretto con soglia di sbarramento al 4% per le liste, al 10% per le coalizioni e voto di preferenza. Un ritorno al futuro della prima Repubblica e della preminenza della rappresentatività sulla governabilità con gli effetti che sappiamo in termini di potere dei partiti. Se le urne non sono in grado di esprimere un vincitore in grado di governare, allora il sistema parlamentare corregge il voto con la mediazione in aula. Saranno i capi partito a cercare un accordo politico fra forze diverse e finanche in opposizione fra di loro al fine di governare. Tutto ciò ha effetto altrettanto distorsivo di un premio di maggioranza, che sarà deprecabile, ma almeno favorisce la coalizione uscita maggioritaria dal voto popolare.

Con questo non si intende difendere i meccanismi premiali del Porcellum. Essi sono stati dichiarati incostituzionali dalla Consulta sulla base di due ordini di ragioni: 1) lo strumento del premio di maggioranza alla Camera era sproporzionato e comprimeva oltre il limite il principio costituzionale della eguaglianza del voto (art. 48 Cost., secondo comma) nonché della rappresentanza (art. 67 Cost.) il premio di maggioranza al Senato era ancorché irrazionale, ovvero contro la ratio stessa della norma poiché in grado di creare maggioranze differenti rispetto all’altra Camera e quindi di vanificare la governabilità dell’istituzione. Ma una legge elettorale che non fosse in grado, stante alla frammentazione del quadro partitico italiano, di operare una sintesi e quindi di favorire una chiara governabilità frutto della rappresentanza, non sarebbe certo migliore del Porcellum. Per tale ragione, chi in queste ore sta sostenendo la possibilità di andare alle urne con il Consultum, è da ritenersi al limite della follia. Poiché non ha in vista il bene del paese, a cui antepone evidentemente un mero calcolo di convenienza per sé o per il proprio gruppo.

Non è vero quindi che la Consulta, bocciando il premio di maggioranza del Porcellum, abbia altresì invalidato qualsiasi altro accorgimento correttivo nel senso della governabilità. Tuttavia, anche questi strumenti devono essere limitati per non comprimere altri principi costituzionali. Qualsiasi strumento di correzione e di sintesi non è in grado di produrre un sistema partitico diverso dall’attuale. In alcune ricostruzioni, per esempio in quella di Aldo Giannulli sul blog di Grillo, si fa passare l’idea che sia la legge elettorale a produrre il sistema partitico, per cui il maggioritario tenderebbe a favorire il bipartitismo mentre il proporzionale sarebbe più flessibile e “aperto alla società civile”. Nella realtà non è così: in Italia, la legge Mattarella – maggioritaria con correzione proporzionale alla Camera, maggioritaria al Senato – non è mai effettivamente stata in grado di semplificare il quadro partitico. Ha prodotto un indebolimento dei partiti a favore di personalità politiche, ma ha anche reso evidenti le relative responsabilità di governo e l’elettore ha avuto possibilità di capire chi fosse il parlamentare che lo ha rappresentato. Però i partiti sono sopravvissuti alla Mattarella. Si sono uniti in coalizioni politiche deboli che, alla prova del governo, hanno segnato il passo, specie dinanzi alla radicalità delle posizioni nel periodo duro del berlusconismo. D’altro canto, non è vero che il sistema proporzionale è più flessibile del maggioritario: la flessibilità del quadro partitico è determinata storicamente, non per via elettorale. Per i lunghi anni della prima Repubblica, il proporzionale non è mai stato in grado di bucare lo schema di governo della Democrazia Cristiana. La ragione è nota ed era legata anche a fattori esogeni (la contrapposizione fra i blocchi, la guerra fredda). Se un sistema politico è bloccato, la legge elettorale può fare ben poco. Le due grandi cesure elettorali, in Italia, sono avvenute con le politiche del 1992 e del… 2013. Nel ’92 si rompe lo schema del pentapartito; nel 2013 il bipolarismo debole orientato sull’asse berlusconismo – antiberlusconismo. In questi due cambiamenti, la legge elettorale ha operato in senso conservativo, limitando l’erosione di voti dai partiti prevalenti.

Certamente il maggioritario puro ha effetti distorsivi nei confronti della rappresentanza. Ma è possibile operare correzioni con il doppio turno di collegio. Il doppio turno consente l’accesso dei partiti di minoranza (non tutti, quelli più rilevanti e omogenei geograficamente) nell’istituzione. Esiste inoltre il cosiddetto ‘diritto di tribuna’ (nella proposta di Matteo Renzi è pari addirittura al 10%) per disporre comunque un certo numero di seggi alla necessità di rendere l’istituzione effettivamente rappresentativa del voto. In ogni caso, la nuova legge elettorale non dovrà sacrificare la governabilità per garantire una rappresentanza pura ma sterile. Né essere frutto del calcolo o dell’opportunismo di taluni, o piuttosto di volontà punitive nei confronti del partitismo. Dovrà – questo sì – garantire un giusto bilancio fra i diversi principi costituzionali.

#AssembleaPd | Prima la borsa

Alla prima in Assemblea Nazionale Pd da segretario, Matteo Renzi non ha sprecato tempo e, messa da parte per ora la rivalità con Enrico Letta, ha puntato tutta la sua ars retorica contro il nemico numero uno alias Beppe Grillo, il Comico. L’operazione in sé contiene una serie di aspetti che definire critici è dir poco. Lo saprete tutti: il sindaco-segretario ha proposto al Comico una sorta di ‘scambio di prigionieri’: Renzi riconsegna i denari dei rimborsi elettorali previsti sui conti del Pd per il 2014 mentre Grillo accetta la proposta di riforma della legge elettorale e istituzionale del Pd. Lanciata in pompa magna sui social con l’hashtag #Beppefirmaqui, facendo il verso a quelli usati dagli influencer a 5 Stelle, la strategia renziana diventa immediatamente l’apertura di tutti i giornali. D’altronde Renzi, dal palco, ha usato parole forti, parole che simulano il lessico del Comico. Se non accetti sei un buffone. Quel ‘buffone’ viene rimbalzato dalle agenzie, dalla comunicazione ufficiale del Pd (tramite gli account twitter di @youdem e @pdnetwork). Chi l’ha ideata avrebbe dovuto però accorgersi di due aspetti.

Il primo, quello più serio. Ancor oggi non è chiaro se la proposta congressuale di Renzi (per la parte in cui si scrive della legge elettorale del sindaco d’Italia e dell’eliminazione del bicameralismo perfetto) sia stata assunta a programma di governo da parte di Letta. Tanto più che, se le due riforme dovessero procedere di pari passo, ci ritroveremmo nell’alveo di una riforma costituzionale ai sensi dell’articolo 138 (che tuttora è vigente nel testo storico). Ma la riforma del bicameralismo ha implicazioni profonde su buona parte del dettato costituzionale in quanto impatta almeno sui Titoli I, II, III e VI della Parte II. Andrebbero riviste e modificate le procedure legislative, di elezione del Capo dello Stato, di controllo di legittimità costituzionale delle leggi, questo a seconda del ruolo che verrà attribuito al Senato. Se sarà, come detto, Senato delle Autonomie (quindi con una composizione fissa a seconda del potere costituitosi localmente nelle Regioni), molto probabilmente non avrà più la caratura democratica per poter eleggere i membri della Corte Costituzionale, per esempio, o piuttosto per poter eleggere il Capo dello Stato. Certamente, il mancato passaggio delle proposte di legge in Senato, renderebbe più facile l’approvazione di norme non congrue con i principi fondamentali: tutto il sistema di controllo e verifica (checks & balances, direbbe un costituzionalista) andrebbe perciò rivisto dando – per esempio – al Presidente della Repubblica maggior potere di filtro attraverso il potere di rinvio alle Camere; o facilitando il ricorso alla Consulta da parte delle Regioni, o quello al referendum da parte dei cittadini. Potete comprendere che quest’opera di revisione costituzionale non potrebbe esser completata in un anno, specie da questo Parlamento, praticamente bloccato al Senato. Spiegatemi la differenza fra quanto proposto da Renzi oggi e la strategia lettiana delle riforme futuribili contenute in quel temuto attacco al 138.

Inoltre non è ben chiara la figura del cosiddetto ‘sindaco d’Italia’: se si tratti cioè del Presidente del Consiglio o del Presidente della Repubblica. Una implicazione non da poco, poiché nel primo caso, si porrebbe in essere uno sbilancio grave fra la figura del Presidente del Consiglio (nel nostro ordinamento, un primus inter pares, un primo fra pari – non ha infatti potere di licenziare i ministri), così eletto dal popolo, e quella del Presidente della Repubblica, eletto indirettamente dalle Camere (o da una sola). Andrebbe così rafforzato il potere del Presidente del Consiglio, poiché sarebbe inammissibile che un eletto dal popolo fosse costretto a far nominare i propri ministri da un ‘eletto’ dalle Camere. La figura del Presidente della Repubblica sarebbe viceversa fortemente svilita: e si tratta proprio dell’istituzione che rappresenta l’Unità della Nazione.

Nel secondo caso, ovvero quello in cui si eleggesse direttamente il Presidente della Repubblica, si procederebbe, in maniera sproporzionata solo con una riforma della legge elettorale, a modificare la forma di governo, trasformando di fatto la nostra Repubblica da parlamentare in presidenziale. Sarebbe una riforma con profili di incostituzionalità non di poco conto che dovrebbero, sin da ora, suggerire maggiore riflessività. La nuova legge elettorale potrebbe esser approvata già domattina e dovrebbe consistere nel reviviscenza (con modifiche) della legge Mattarella, la via più breve per il ripristino della legalità costituzionale. Poiché se si dovesse anche solo ipotizzare di riformulare un progetto di legge, di dover riscrivere la mappa dei collegi, allora sono da mettere in conto almeno sei mesi di dibattito in Commissione Affari Costituzionali, con slittamento per l’approvazione finale in aula a Maggio-Giugno 2014, periodo di inizio del Semestre di Presidenza Europea per Enrico Letta. Ergo, le elezioni si potrebbero svolgere solo nella tarda primavera del 2015.

La seconda parte di questa critica è relativa ad aspetti comunicativi. I riflessi di carattere costituzionali della proposta di Renzi sono ben chiari a Beppe Grillo, il quale reagirà al gioco di ‘o la borsa o la vita’ intimando a Renzi ‘prima la borsa’. E la borsa consiste nella restituzione dei rimborsi elettorali percepiti sinora dal Partito Democratico in seguito alle elezioni di Febbraio, una somma intorno ai 25-30 milioni di euro. Al di là della restituzione, che mai avverrà perché a Grillo conviene così (e a Renzi conviene che Grillo non accetti la proposta), gli strateghi del sindaco-segretario avrebbero dovuto ponderare meglio. Mi chiedo che differenza c’è fra questo aut-aut e quello rivolto ad Aprile da Bersani circa la formazione del nuovo governo? Pensateci: Renzi oggi fa il medesimo errore di Bersani ieri. Perché, fra dire ‘o me o il caos’ (Bersani) e dire ‘o i rimborsi o niente legge elettorale’ (Renzi), la via è strettissima.

Lunga vita alle riforme costituzionali

Il cronoprogramma delle Riforma Costituzionali: https://docs.google.com/spreadsheet/pub?hl=it&hl=it&key=0Al33mVBOUDN7dGhHUlIwZWNWdkhmTTlaZkZfOXZGdUE&single=true&gid=0&output=html

Qui di seguito finalmente spiegato perché questo governo delle infinite Larghe Intese non ha interesse a cambiare la Costituzione, bensì ha interesse a simularne il cambiamento. Che arriverà, un domani, lontano chissà. Esattamente come la nuova Legge Elettorale, promessa entro la fine di Ottobre e, per ora, non pervenuta alle Cronache.

Un estratto dal blog di Giuseppe Civati (clicca qui per leggere tutto il post, ciwati.it):

Per prima cosa, i passaggi obbligati:

APPROVAZIONE D.D.L. COSTITUZIONALE PER COMITATO RIFORME (attuale A.S. 813-B) INTORNO AL 15-20 DICEMBRE 2013 (in prima lettura la Camera ha approvato il 10 settembre, da cui decorrono 3 mesi per la seconda approvazione)

PUBBLICAZIONE TESTO APPROVATO DALLE CAMERE INTORNO AL 28 DICEMBRE 2013

A questo punto le strade si dividono:

a) APPROVAZIONE A MAGGIORANZA DEI DUE TERZI (tempi più rapidi)

– Entro il 29 giugno 2015 si concludono i lavori.

– Scattano quindi 3 mesi per chiedere il referendum obbligatorio – 29 settembre 2015.

– Deve quindi essere svolto il giudizio di legittimità dell’Ufficio centrale della Cassazione entro 30 giorni dal deposito -20 ottobre 2015.

– Referendum: promulgazione e pubblicazione: siamo “ottimisti”, 10 febbraio 2016.

– Si potrebbero quindi sciogliere le Camere (la legge elettorale “abbinata” già dvrebbe esserci…), poniamo il 20 febbraio 2016? e votare tra il 45° e il 70° gg. successivo (art. 11 dPR 361/1957 e art. 61 Cost.), vale a dire intorno al 17 o al 24 aprile 2016.

B) APPROVAZIONE A MAGGIORANZA ASSOLUTA MA NON DEI DUE TERZI (AL SENATO) E RICHIESTA DI REFERENDUM

– Dal 29 dicembre 2013 – 3 mesi per chiedere il referendum ex art. 138 >> 29 marzo 2014

– Deve quindi essere svolto il giudizio di legittimità dell’Ufficio centrale della Cassazione entro 30 giorni dal deposito >> 20 aprile 2014

– Referendum, promulgazione e pubblicazione, poniamo al 5 luglio 2014.

– In caso di vittoria dei sì. Dal 6 luglio 2014 scattano i 18 mesi che portano al 6 gennaio 2016, come termine di conclusione lavori.

– Scattano quindi 3 mesi per chiedere il referendum obbligatorio ex art. 5 >> 6 aprile 2016.

– Deve quindi essere svolto il giudizio di legittimità dell’Ufficio centrale della Cassazione entro 30 giorni dal deposito >> 30 aprile 2016.

– Referendum: promulgazione e pubblicazione tra il 15 luglio 2016 e il 25 settembre 2016.

– Elezioni orientativamente tra il 13 novembre e il 4 dicembre 2016 (ma la sessione di bilancio non potrebbe consigliare elezioni a febbraio-marzo 2017?).

C) APPROVAZIONE A MAGGIORANZA ASSOLUTA MA NON DEI DUE TERZI (AL SENATO) e mancata richiesta di referendum

– Dal 29 dicembre 2013 – 3 mesi per chiedere il referendum ex art. 138 >> 29 marzo 2014.

– Non è stato chiesto il referendum, la legge viene promulgata e pubblicata poniamo il 10 aprile 2014

– Entro il 10 ottobre 2015 si concludono i lavori.

– 3 mesi per chiedere il referendum obbligatorio ex art. 5 >>10 gennaio 2016.

– Deve quindi essere svolto il giudizio di legittimità dell’Ufficio centrale della Cassazione entro 30 giorni dal deposito >> 2 febbraio 2016.

– Referendum, promulgazione e pubblicazione il 18-20 aprile 2016.

– Scioglimento delle Camere pochissimi giorni dopo e elezioni il 19 o 26 giugno 2016.

E in mezzo vi è persino il semestre di Presidenza Europea.

M5S, se Luigi Di Maio contraddice Grillo

A quanto pare, se Adele Gambaro critica in pubblico Beppe Grillo, viene immediatamente espulsa, con tanto di plebiscito online; se Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, afferma – contraddicendo il Capo – che il Porcellum deve essere cambiato prima di andare al voto, invece non succede nulla. Due pesi e due misure, nella casa della Democrazia Diretta?

Grillo si era espresso per il mantenimento della attuale legge elettorale, criticata in lungo e in largo ma che potrebbe andar bene in caso di una del tutto ipotetica vittoria elettorale del Movimento. Di Maio ha dato un colpo al cerchio, almeno per evitare spaccature in seno al gruppo parlamentare: “Noi siamo da sempre per l’abolizione del Porcellum, ma quello che giovedì ha detto Grillo è che se dobbiamo abolire il Porcellum per fare un “Super-Porcellum”, una legge elettorale contro il Movimento, allora è sbagliato”. Sia chiaro, il Super-Porcellum non è contro i 5 Stelle in sé e per sé: contiene però degli elementi fortemente distorsivi della rappresentatività pura. Inevitabilmente, qualsiasi legge elettorale applicata ad un quadro partitico così fratturato rischia di avere effetti distorsivi della rappresentatività e le minoranze rischiano di essere sottodimensionate, nel futuro Parlamento della ipotetica XVIII Legislatura. Non ci sono altre alternative per garantire la governabilità di un bicameralismo perfetto.

La sottile discrasia fra il vertice e gli eletti a 5 Stelle si fa rivedere in merito alla gestione di un eventuale mandato a governare: chi sarà il presidente del Consiglio a 5 Stelle? Una persona interna al Movimento, ha scritto sempre giovedì scorso Grillo. E non ci sarà alcun mandato dall’attuale Presidente della Repubblica. Re Giorgio si dimetta, ‘noi’ vinciamo con il Porcellum e mettiamo uno dei nostri al governo. Punto. Linea politica chiarissima ancorché discutibile. Ma Di Maio – e persino Vito Crimi – aveva recentemente prospettato uno scenario diverso: cade Letta, ci diano il mandato; faremo un governo con figure forti della società civile, prenderemo i voti in aula; chi ci vuol stare, ci stia. Ancor ieri, Di Maio è apparso nei teleschermi dichiarando che un Letta bis non lo voteranno mai, ma che un governo dopo il governissimo è pure possibile, almeno per rifare la legge elettorale.

Possono i 5 Stelle, alfieri della democrazia diretta, ripresentarsi alle urne con il demerito di aver rifiutato l’opportunità di cambiare una legge odiatissima, antidemocratica, che sottrae la libertà di scelta dei candidati all’elettore?

Grillum

La legge elettorale Calderoli è antidemocratica: impedisce all’elettore di scegliere i deputati ed i senatori ma soprattutto contiene un meccanismo fortemente distorsivo della rappresentatività, il premio di maggioranza, che è persino differentemente attribuito fra Camera e Senato. E’ alla base della situazione di ingovernabilità che si è creata sia nel 2006, sia nel 2013.

Per cambiare questa legge sono state raccolte migliaia di firme in giro per il paese da più comitati ed in tempi diversi. Ma i referendum che sono sinora stati proposti sono finiti nel nulla poiché puntavano alla reviviscenza della vecchia legge elettorale, il Mattarellum, aspetto che rendeva i quesiti non ammissibili poiché tale effetto – la reviviscenza, appunto – poteva sussistere solo in seguito ad una effettiva espressione della sovranità popolare in tal senso, naturalmente per il tramite di un voto parlamentare. E’ questo il punto focale, il Parlamento. Un Parlamento di nominati (salvo i casi delle candidature espresse per mezzo di consultazioni primarie) potrà mai votare contro la legge che ne ha permesso la selezione e l’elezione? La volontà politica di riformare il Porcellum non si è mai radicata pienamente e senza l’indicazione chiara da parte di uno dei due partiti della attuale maggioranza, nessuna riforma è possibile. Enrico Letta ha recentemente affermato che la riforma della legge elettorale è prioritaria ed in conseguenza di ciò, una delle due Camere (il Senato) ha decretato la procedura d’urgenza per una bozza di legge di cui nessuno parla (l’ennesima riedizione della bozza Violante) ma che crescerebbe sulla mala pianta del Porcellum con l’assegnazione del premio di maggioranza alla coalizione maggioritaria solo in seguito al voto del secondo turno.

E Grillo? Oggi ha dettato la linea politica dal suo blog: ai 5 Stelle deve piacere il Porcellum. La spiegazione di questo ravvedimento (che è tale solo in parte, a Grillo piace l’idea di possedere il 51% dei seggi con il 20% dei voti)? Forse Grillo pensa di salvaguardare il governissimo, fonte inesauribile di indignazione, mostrando i denti e facendo intendere che qualora cadesse il governo Letta, il Movimento continuerà a stare per proprio conto, sulla Montagna, ignorando qualsiasi appello alla responsabilità verso il paese.

Ora io vorrei parlare con Luigi Di Maio. Di Maio è un deputato dei 5 Stelle, vicepresidente della Camera. Il primo di Agosto ha pubblicato questa frase sul suo profilo Facebook (non saprei dire quanto di quel che vi era scritto fosse espresso a titolo personale e quanto a titolo di rappresentante dei pentastellati):

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Questa schizofrenia del Movimento tornerà ad allietare i nostri giorni man mano che la crisi di Letta e la decadenza di Berlusconi si faranno avanti. Qualche giorno fa, Andrea Scanzi, esperto in fenomenologia del grillismo, ha avanzato l’ipotesi per cui l’unica mossa strategica in mano ai ‘fautori del governissimo’ sarebbe un governo di scopo con i 5 Stelle. Il programma: una sola legge, la legge elettorale.

L’unica contromossa dei pasionari del governicchio Letta, quando ricevono critiche, è: “Se cade finisce tutto, non ci sono alternative”. La solita litania del meno peggio.
Invece un’alternativa c’è. Ed è anzi l’unica decente. A settembre il governicchio cade, con buona pace di Re Giorgio. Pd, Sel e Movimento 5 Stelle si mettono d’accordo per fare solo la legge elettorale, ipotesi già prospettata da Vendola e Di Battista ma credo gradita anche ai renziani. 
Fanno la legge elettorale, alla svelta e senza troppi duropurismi o tentennamenti. Magari un bel doppio turno, la prospettiva più odiata dal centrodestra. O comunque qualsiasi cosa migliore del Porcellum, cioè tutto.
La approvano in tempi brevi.
E poi si va al voto (profilo Fb di Andrea Scanzi).

Questa ipotesi, che Scanzi ricorda esser prospettata da Vendola ma non ricorda affatto che era la via d’uscita proposta da Civati nei terribili cinquanta giorni prima di Letta, come si può collocare nel quadro politico odierno, vista e considerata l’ennesima chiusura ventilata dal loro sponsorizzatissimo Capo Comico?

La nuova legge elettorale è una fregatura

Sono passati otto mesi dal pronunciamento della Consulta sul referendum anti Porcellum. All’inizio dell’anno vi raccontavo come fosse pronta una nuova legge porcata, una via di mezzo fra un proporzionale tedesco innestato di collegi uninominali e listini bloccati di due/tre candidati per lista, alla maniera spagnola. La nuova Porcata prese il nome di Provincellum poiché i collegi uninominali sarebbero stati ritagliati sulla misura delle province. Da qui non ci si è più mossi poiché la prospettiva di nuove elezioni era ben lontana negli orizzonti brevi – brevissimi – del mondo politico italiano, messo per così dire in naftalina dall’avvento dei tecnici.

In questi giorni si ritorna a parlare di scioglimento anticipato, di un piano di Napolitano di chiudere con la XVI Legislatura a metà novembre, un anno dopo Monti e la fine del berlusconismo, o di un piano bis che preveda lo scioglimento anticipato a Gennaio, castrando gli ultimi due mesi di governo dei tecnici.

Però manca la legge elettorale. Le riforme istituzionali che sono state raffazzonate per intasare l’iter di approvazione del Porcellum bis, saranno presto infilate sul più classico dei binari morti, magari in commissione riforme costituzionali alla Camera. Pare che già dal 29 Agosto, alla ripresa delle attività parlamentari, i deputati prenderanno la bozza Violante e piegheranno gli ultimi spigoli con l’obiettivo di varare la nuova fiammante legge entro la fine di Ottobre, appena in tempo per mettere in atto il piano A di Napolitano. Naturalmente i politici italiani non sono in grado di prevedere scenari politici che non siano quelli nazionali. A Settembre la Corte Federale tedesca deciderà sul Trattato MES e, se lo dichiarerà contrario alla legge costituzionale tedesca, in Europa si aprirà una nuova profondissima crisi dell’Euro, con una potenza deflagrante mai vista sinora. Cosa farà la politica italiana? Spingerà sull’acceleratore di una legge elettorale che va contro la volontà popolare espressa dal milione di firme che accompagnò in Cassazione i quesiti referendari poi cassati dalla Corte? Oppure manterrà in vita Monti affinché faccia da parafulmine contro la fine dell’Euro?

La probabile mancata approvazione del MES da parte della Germania potrebbe deviare significativamente le trattative sul Porcellum bis. Se ne sono accorti? E’ per questa ragione che Enrico Letta, che è ancora il vice di Bersani, oggi ha annunciato l’imminenza di un accordo con la controparte (PdL e UDC) ? Soprattutto ci si chiede da che parte stia il PD, quale sia la sua proposta in tema di legge elettorale se l’ultima dichiarazione di Bersani in merito faceva riferimento ancora alla formula del doppio turno sconfessata invece dalle colombe Violante e Letta?

In ogni caso, due punti rimarranno fermi: la maggior parte dei deputati e dei senatori sarà scelto dai partiti, inserito in liste bloccate, messo ai voti senza che questi vengano fatti coincidere con nomi di persona. Cioè si vuole evitare che gli eletti siano espressione di un elettorato, che è poi il fondamento democratico di una legge elettorale. I voti di ogni collegio verrebbero quindi gettati in un unico calderone, una mega circoscrizione che racchiuda molteplici collegi, al punto da comportare l’effetto perverso che un collegio non abbia candidati eletti e altri collegi ne abbiano due o più di due, secondo una logica che è tutto tranne che proporzionalistica. Anzi, il Porcellum bis contiene in sé elementi fortemente distorsivi del voto degli elettori.

Si prevede infatti un premio di maggioranza di circa il 15% dei seggi, da attribuire non alla colazione ma al partito che prende più voti. Il sistema è costruito in modo tale da non premiare coalizioni elettorali. Il premio in termini di seggi assegnato al partito di maggioranza relativa diventa di fatto un deterrente a costituire coalizioni prima del voto. Le coalizioni non verrebbero dichiarate in trasparenza ma sarebbero frutto di trattative post voto. Di fatto, il premio di maggioranza diventa il fattore che seleziona il partito leader della coalizione, ma non la coalizione stessa. Stando ai sondaggi, il PD è oggi partito di maggioranza relativa. Guadagnerebbe così il premio del 15% ma non avrebbe comunque abbastanza seggi per poter governare da solo. A questo punto, però, ci sarebbe la fila dei partiti fuori dal Nazareno pronti a vendersi al PD per avere qualche dicastero. E il PD potrà avere campo libero per fare le alleanze che più aggradano non agli elettori ma al suo gruppo dirigente, che come è noto vive su Marte. Non è diabolico?

Legge elettorale, dal Porcellum all’Ispanotedesco. Regia di Luciano Violante

Sì, passeremo dal Porcellum all’Ispanotedesco, un sistema elettorale che scopiazza in maniera indiscriminata leggi elettorali di sistemi elettorali diversi anni luce dal nostro con l’unica ratio di voler blindare La Casta.

Leggete tutta la cronistoria di questa tragicommedia all’italiana, la cronistoria di un accordo scritto da tempo come fosse un patto segreto che ha solcato nel più completo silenzio i tunnel segreti sotto la sabbia di Montecitorio.

Legge elettorale fra referendum e inciucio. Intervista al senatore Belisario.

Referendum Legge Elettorale, i dubbi sull’ammissibilità

La febbre del No al referendum elettorale agita i sogni dei politici

Referendum, inammissibili entrambi i quesiti

Legge elettorale, Violante: il milione del referendum? Sono firme, non cittadini

Legge elettorale, al via il Grande Papocchio per far fuori il M5S

Il Grande Papocchio non è un inciucio, è un accordo. Che però nessuno conosce

Nel più completo silenzio, legge elettorale verso l’ipermaggioritario alla spagnola

Nel più completo silenzio, legge elettorale verso l’ipermaggioritario alla spagnola

Stefano Passigli, professore ordinario di Scienze della Politica all’Università di Firenze, scrive al Corriere della Sera, il quale pubblica a pagina 50 (!) una lettera in cui espone i pericoli della riforma elettorale come emersa dall’accordo PD, PdL e Terzo Polo. E’ errato parlare di proporzionale alla tedesca. Anche se si tratta di riparto 50-50 fra collegi uninominali e liste, ad essere determinante ai fini della rappresentanza sarà la dimensione delle circoscrizioni abbinata alla soglia di sbarramento:

Questo sistema è l’ideale per far fuori i partiti piccoli ma per ‘salvaguardare’ quelli con forte legame territoriale, come potrebbe esserlo la Lega Nord. Infatti, il partito di Bossi ha tutto da guadagnare da questa legge: non avrebbe più bisogno dell’alleato conservatore, potrebbe mantenere una rappresentanza parlamentare ai livelli di quella attuale, superando la soglia di sbarramento nelle circoscrizioni del Nord Est, laddove è più forte (stando almeno ai dati delle ultime consultazioni elettorali).

In secondo luogo, vi è il perenne problema della selezione degli eletti. Secondo Passigli, sia le primarie che le preferenze comportano rischi di inquinamento (corruzione) e costi. Secondo Passigli sarebbe corretto assegnare all’elettore un limitato voto di preferenza, mantenendo in capo ai partiti la scelta del capolista e dei candidati delle liste. Sarebbe poi fondamentale l’inserimento dell’istituto della sfiducia costruttiva, onde evitare i fenomeni di debolezza di governo e di trasformismo nelle aule.

La mia opinione è che questo dibattito non è sufficientemente sviscerato a livello di opinione pubblica. L’opinione pubblica non è coinvolta nella decisione delle regole democratiche. La legge elettorale futura non può non cogliere l’istanza di partecipazione che viene dai cittadini. Il metodo impiegato per formulare la nuova proposta di modifica è invece quello delle riunioni private fra segretari di partiti altrettanto “privati”. No, questo è inaccettabile. In primis da parte del Partito Democratico, il quale si è messo nelle mani di un certo Luciano Violante. Non vi è stata alcuna discussione pubblica. Nessuna. Cosa ne pensa Bersani? Proviamo a chiederglielo.

Il Grande Papocchio non è un inciucio, è un accordo. Che però nessuno conosce


Insomma, l’incontro fra Violante, Zanda e Bressa da una parte e Quagliarello, (udite, udite) La Russa e tale Bruno Donato dall’altra, sembra aver avuto l’effetto sperato per il PD. Pazienza se non si è capito affatto in nome di chi e sulla base di quale proposta politica i tre delegati democratici stessero trattando, pazienza se la proposta politica del PD in fatto di legge elettorale si è modificata nel tempo, passando da un ritorno al Mattarellum sostenuto coi denti stetti durante il periodo referendario a una proposta di maggioritario a turno unico con correzione proporzionale di difficile comprensione. Alla fine, dicono le cronache, la sintesi con la proposta del PdL è compiuta: un coacervo di sistemi elettorali che qualcuno stamane – forse sul moribondo Manifesto – ha ribattezzato Italiesco, un format tedesco in salsa italiana, una porcata meno evidente della precedente, ma pur sempre porcata.
Quindi? Una vittoria per il PD? Violante avrebbe detto che il risultato dell’incontro è andato “oltre le più rosee aspettative”. Il che vuol dire: si aspettavano di raccogliere zero, hanno raccolto uno. Tutto questo incessante trattare con l’ex nemico è stato poi riassunto in un comunicato che dice più o meno nulla, ovvero “siamo d’accordo sul fatto di fare le riforme istituzionali” – bicameralismo, numero dei parlamentari, ridefinizione dei poteri del governo, riforma dei regolamenti parlamentari, roba grossa che questo Parlamento non farà mai in tempo a votare, visto che sono necessarie riforme di portata costituzionale e il clima del pacifismo pro-Monti non può durare troppo, causa campagna elettorale imminente. Ergo, è necessario stabilizzare la Casta con un ritocco alla fase di ingresso: una sforbiciata all’indecente premio di maggioranza, una alzatina alla soglia di sbarramento, per far tremare gli alleati riottosi – leggasi Di Pietro e Lega ed ex alleati come FLI – e per tener lontani vecchi e nuovi guastafeste come i reduci di Rifondazione e i nuovi del M5S (ma questo ce lo siamo già detti – la lista degli indesiderabili l’ha compilata lo stesso Berlusconi) in barba a qualsiasi criterio di rappresentanza.
E le preferenze? Troppo costose, sentenzia Violante. La soluzione un finto maggioritario a turno unico, il che vuol dire che ogni collegio, magari ridotto al solo territorio provinciale, potrà scegliere fra tre/quattro nomi, rigorosamente imposti dai partiti. Tutto risolto. Con buona pace dei referendari, quelli veri, quelli che avevano a cuore la democrazia italiana e il buon funzionamento del parlamento. Non un cenno sul limite di mandati elettorali, né sulla questione del parlamento pulito. Potremo scegliere fra il meno corrotto, questo è un successo. Alzate i calici.

Legge elettorale, al via il Grande Papocchio per far fuori il M5S

Nel silenzio ovattato della neve di questo inverno 2012 così retrò da far impazzire i meteorologi, i sindaci e pure la Protezione civile, si aggira un pupazzo, che non è di neve ma di putrescente carne e ossa di politico-ex imprenditore nostrano. Sì, lui. L’uomo defenestrato a Novembre torna con il calumet della pace e attira verso di sé quelli che a sinistra sono più inclini a giustificarne l’esistenza. Eccolo, Berlusconi, novello ex della politica tornare a dettarne i tempi con una proposta di legge elettorale – irricevibile soltanto perché è lui a proporla – volta a limitare gli effetti perversi del Porcellum. Lui chiama e – udite, udite – Violante risponde. Tutto ciò accade sulle colonne dei giornali di questa mattina.

Già domani, dice il Cavaliere, parte il primo incontro. Ma chi lo ha autorizzato? Bersani? L’Assemblea Nazionale? Chi? Vogliamo nomi e cognomi. Anche perché, dice Violante, il PD ha già fatto passi importanti verso l’accordo con la controparte.

Così apprendiamo da Il Mattino (06/06/2012, p. 7) che il PD avrebbe già messo da parte il doppio turno. Cosa che contrasta con la proposta depositata lo scorso Settembre e tuttora consultabile sul sito del PD a questo link. In sintesi la proposta PD era: per la Camera 70% seggi è attribuita agli eletti in collegi uninominali maggioritari a doppio turno; il 28% è attribuita con metodo proporzionale su base regionale o pluriprovinciale; una quota di seggi pari a 12 (diritto di tribuna) è attribuita con metodo proporzionale alle liste nazionali corrispondenti ai partiti che non siano riusciti ad eleggere candidati né nei collegi uninominali né nelle liste circoscrizionali collegate. Per il Senato, a) collegi uninominali, per una quota pari al 70% del totale dei seggi in palio (216 seggi); b) una quota proporzionale distribuita su base circoscrizionale (Camera) per una quota pari al 30% del totale (93 seggi).

La domanda è: Violante per chi lavora?

Lui vuol rendere ‘solido’ il sistema. Ed evitare cioè che in Parlamento entrino forze politiche scomode come potrebbe esserlo il Movimento 5 Stelle. La clausola di sbarramento al 4% a livello nazionale alla Camera potrebbe essere letale per il movimento di Grillo. Ma la proposta di Berlusconi, di cui Violante sembra il procuratore, è quella di uno sbarramento al 7%. Una soglia così alta avrebbe il medesimo effetto distorsivo del Premio di Maggioranza del Porcellum. Addio rappresentanza.

E poi dicono che l’iniziativa berlusconiana di disgelo con il PD sia in funzione anti Carroccio. In verità la formula che uscirà da queste consultazioni sarà solo una esasperazione della soglia di sbarramento. Massimo filtro all’ingresso e massima libertà nei gruppi parlamentari e nella gestione dei rimborsi elettorali. Ovvero, non cambierà assolutamente nulla, salvo il fatto di blindare la Casta.

Referendum Porcellum, la Corte Costituzionale spiega l’inammissibilità

E’ stata pubblicata stamane la sentenza n. 13/2012 con la quale la Consulta ha bocciato i due quesiti referendari contro il Porcellum, dichiarandoli inammissibili. Ho a lungo scritto su questo argomento e potete trovare un sunto in alto nella home di questo blog, alla voce Referendum Porcellum.

Mi preme però citare questa parte del testo della sentenza, particolarmente illuminante sulla tesi della reviviscenza, criterio che secondo i promotori dei referendum avrebbe potuto far rivivere, ovvero ri-espandere, la precedente legislazione in materia elettorale semplicemente abrogando le norme che l’hanno abrogata. Questa tesi è sbagliata. Così scrive la Consulta:

5.3. – Anche recentemente questa Corte ha affermato che «l’abrogazione, a séguito dell’eventuale accoglimento della proposta referendaria, di una disposizione abrogativa è […] inidonea a rendere nuovamente operanti norme che, in virtù di quest’ultima, sono state già espunte dall’ordinamento» (sentenza n. 28 del 2011), precisando che all’abrogazione referendaria «non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate» dalla legge oggetto di referendum, «reviviscenza […] costantemente esclusa in simili ipotesi» dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 24 del 2011, n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997). Inoltre, l’ipotesi della reviviscenza di norme a séguito di abrogazione referendaria è stata negata da questa Corte con specifico riguardo alla materia elettorale: quando essa ha stabilito che una richiesta di referendum avente per oggetto una legislazione elettorale nel suo complesso non può essere ammessa, perché l’esito favorevole del referendum produrrebbe l’assenza di una legge costituzionalmente necessaria, ha implicitamente escluso che, per effetto dell’abrogazione referendaria, possa «rivivere» la legislazione elettorale precedentemente in vigore (da ultimo, sentenze nn. 16 e 15 del 2008).

Il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate, dunque, non opera in via generale e automatica e può essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate, e comunque diverse da quella dell’abrogazione referendaria in esame. Ne è un esempio l’ipotesi di annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale, che viene individuata come caso a sé non solo nella giurisprudenza di questa Corte (peraltro, in alcune pronunce, in termini di «dubbia ammissibilità»: sentenze n. 294 del 2011, n. 74 del 1996 e n. 310 del 1993; ordinanza n. 306 del 2000) e in quella ordinaria e amministrativa, ma anche in altri ordinamenti (come quello austriaco e spagnolo). Tale annullamento, del resto, ha «effetti diversi» rispetto alla abrogazione – legislativa o referendaria – il cui «campo […] è più ristretto, in confronto di quello della illegittimità costituzionale» (sentenza n. 1 del 1956).

Né l’ipotesi di reviviscenza presupposta dalla richiesta referendaria in esame è riconducibile a quella del ripristino di norme a séguito di abrogazione disposta dal legislatore rappresentativo, il quale può assumere per relationem il contenuto normativo della legge precedentemente abrogata. Ciò può verificarsi nel caso di norme dirette a espungere disposizioni meramente abrogatrici, perché l’unica finalità di tali norme consisterebbe nel rimuovere il precedente effetto abrogativo: ipotesi differente da quella in esame, in quanto la legge n. 270 del 2005 non è di sola abrogazione della previgente legislazione elettorale, ma ha introdotto una nuova e diversa normativa in materia. Peraltro, sia la giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, sia la scienza giuridica ammettono il ripristino di norme abrogate per via legislativa solo come fatto eccezionale e quando ciò sia disposto in modo espresso. Per questo le «Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi» della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica stabiliscono che «se si intende far rivivere una disposizione abrogata o modificata occorre specificare espressamente tale intento» (punto 15, lettera d, delle circolari del Presidente della Camera dei deputati e del Presidente del Senato della Repubblica, entrambe del 20 aprile 2001; analoga disposizione è prevista dalla «Guida alla redazione dei testi normativi» della Presidenza del Consiglio dei ministri, circolare 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92). E anche in altri ordinamenti (quali ad esempio quello britannico, francese, spagnolo, statunitense e tedesco) il ripristino di norme a sèguito di abrogazione legislativa non è di regola ammesso, salvo che sia dettata una espressa previsione in tal senso: ciò in quanto l’abrogazione non si limita a sospendere gli effetti di una legge, ma toglie alla stessa efficacia sine die.

[…]

La volontà di far «rivivere» norme precedentemente abrogate, d’altra parte, non può essere attribuita, nemmeno in via presuntiva, al referendum, che ha carattere esclusivamente abrogativo, quale «atto libero e sovrano di legiferazione popolare negativa» (sentenza n. 29 del 1987), e non può «direttamente costruire» una (nuova o vecchia) normativa (sentenze nn. 34 e 33 del 2000). La finalità incorporata in una richiesta referendaria non può quindi andare oltre il limite dei possibili effetti dell’atto. Se così non fosse, le disposizioni precedentemente abrogate dalla legge oggetto di abrogazione referendaria rivivrebbero per effetto di una volontà manifestata presuntivamente dal corpo elettorale. In tal modo, però, il referendum, perdendo la propria natura abrogativa, diventerebbe approvativo di nuovi principi e «surrettiziamente propositivo» (sentenze n. 28 del 2011, n. 23 del 2000 e n. 13 del 1999): un’ipotesi non ammessa dalla Costituzione, perché il referendum non può «introdurre una nuova statuizione, non ricavabile ex se dall’ordinamento» (sentenza n. 36 del 1997).

(Corte Costituzionale, Sentenza 3/2012).

Tutto ciò era largamente noto in giurisprudenza. Quindi ribadisco questa richiesta: i promotori dei referendum spieghino perché hanno proposto tali quesiti. Spieghino perché li hanno proposti nel bel mezzo della riscossa civica dei referendari dello scorso Giugno, mentre cioè le organizzazioni e i movimenti non partitici si stavano adoperando per appoggiare il referendum Passigli. Senza una risposta a questa semplice domanda, è inutile e superfluo prendersela con la Corte Costituzionale. Essa ha fatto solo il suo dovere.

Legge elettorale, Violante: il milione del referendum? Sono firme, non cittadini

 

Legge elettorale. Si aprono prospettive positive, dice Luciano Violante dalle colonne del Corriere della Sera. La spiegazione di questa affermazione è molto semplice: il PdL si sta convincendo a cedere sulla questione del premio di maggioranza, uno degli aspetti più deleteri del Porcellum. Non c’è da stupirsi che proprio ora il PdL voglia fare a meno del bonus aggiuntivo di seggi: se venisse meno l’alleanza con Bossi, non sarebbe più in grado di vincere le elezioni e rischierebbe di essere confinato in una nicchia dell’opposizione, ridotto a comparsa in un parlamento prossimo venturo diviso sul duopolio PD-Udc. Anzi, sembra proprio che la tendenza sarà quella di una saldatura al centro fra due dei partiti sostenitori di Monti, con isolamento a destra di PdL e Lega divisi, in collera fra di loro e dentro di loro, e con isolamento a sinistra dei vendoliani e di Di Pietro. Eccolo il futuro. Si presenta con il volto mascherato di una nuova/vecchia Democrazia Cristiana.

La prospettiva deve proprio piacere a Violante, al punto da lanciarsi in una previsione: la Lega senza PdL non trarrà alcun beneficio dal Porcellum. Idem il PdL senza Lega non trarrà nessun beneficio dal Porcellum. Se ne deduce che, a meno di successive redenzioni del popolo leghista, essendo impraticabile il vecchio legame dei leghisti con i berlusconiani, i tempi per la revisione del Porcellum sono più che mai maturi. Strano, poiché solo una settimana fa tutto taceva, in attesa del giudizio della Consulta sui quesiti referendari.

E che dire, la formula proposta sarà quella del doppio turno di collegio, come afferma Violante? ” Se si volesse invece il sistema proporzionale”, dice Violante, “bisognerebbe correggerlo con due misure fondamentali” (Corsera, 16.01.12, p. 21). Quali? La soglia di sbarramento al 5% e una norma costituzionale sulla sfiducia costruttiva. Per quei partiti che si trovano sotto la soglia minima del 5% ma che superano il 3%, verrebbe assegnato loro un ‘diritto di tribuna’ pari a tre seggi ciascuno.

E il bipolarismo? E il maggioritario? E soprattutto quel milione e duecentomila firme? “Sono firme, non cittadini”. Firme. Non cittadini.

Superato lo sgomento dinanzi a una frase del genere, apprendiamo che Violante è pure contro al reintegro delle preferenze per adottare un sistema come quello ‘spagnolo’ (che funziona con restrizioni al numero di candidati per collegio – 2, 3 – e con collegi dalle dimensioni molto piccole) oppure con primarie per la scelta del candidato da proporre nel singolo collegio.

Il PdL non vorrebbe che venisse meno l’opportunità per gli elettori di scegliere il candidato premier. Cosa che di fatto non avviene nemmeno ora. Alfano ha le idee confuse dallo stereotipo berlusconiano della elezione diretta del premier. Il Porcellum non prevede esattamente questo. La vulgata dell’indicazione del premier nasce dall’incapacità della classe politica di riformare il sistema istituzionale. Questi politici non hanno mai avuto il coraggio di riformare davvero, e si sono accontentati di una parvenza di riforma come quella che si è prodotta con la modifica della legge elettorale del ’93.

E’ pur chiaro che senza una vera riforma dei regolamenti parlamentari, una qualsivoglia riforma elettorale avrebbe ben pochi effetti sui fenomeni del trasformismo e del micropartitismo. Nemmeno agevolerebbe la governabilità del paese e la stabilità dei governi. Dalle parole di Violante emerge che allo studio ci sarebbero delle modifiche dei regolamenti parlamentari. In particolare, l’ex magistrato del PD prevede:

  1. abolire alcune fasi inutili della fase legislativa, come la discussione generale;
  2. fissare l’obbligo delle Camere di discutere le leggi di iniziativa popolare entro 90 giorni;
  3. diritto del premier di chiedere il voto in una data fissa per taluni provvedimenti del governo;
  4. fissare un range dei senatori fra 200 e 250; dei deputati fra 400 e 450.

Sul Corsera danno per certo l’avvio di una riforma triplice: modifiche dei regolamenti parlamentari; riduzione del numero dei parlamentari; superamento del bicameralismo perfetto. Ancora non si sa come, ma – come sembra dire Gasparri (Corsera, 16.01.12, p. 21, “è un complesso di leggi che vanno fatte”) – queste riforme sono inderogabili. Viene chiaramente da ridere poiché tutto ciò sembrava impossibile fino alla scorsa settimana, e ora viene dato per imminente. Sarà la solita strategia usata più volte in passato affinché non cambi assolutamente nulla.