I titoli della Crisi 2 – Libero

I titoli della Crisi 2 - Libero

Annuntio vobis. Che significa: il 30 Agosto, il CdM sull’Imu sarà disertato dai ministri PdL. Si aprirà la crisi con verifica parlamentare già prima del 9 Settembre.

Caso Sallusti, un Betulla non vale un Dreyfus

Ha fatto lavorare un giornalista radiato, una spia, un agente del servizio segreto. Ha pubblicato un articolo in cui il famigerato Dreyfus, alias Renato Farina, scrive delle falsità, anzi, diffama gravemente un magistrato, tale Giuseppe Cocilovo. Quest’ultimo, quando la causa era ancora pendente presso la Procura della Repubblica, aveva banalmente chiesto una rettifica, quindi in seguito un risarcimento di ventimila euro. Sallusti ha rifiutato. Sallusti non ha mai nemmeno rivelato l’identità del giornalista occulto. Farina ha fatto outing stamane, alla Camera dei Deputati, svegliata in gran fretta per parlare del caso. La “confessione” ha naturalmente acceso il dibattito fra i giornalisti su Twitter:

Farina infame? E Sallusti? Il Direttore ha protetto il suo anonimato ad oltranza. E’ normale che un Direttore di giornale faccia lavorare un giornalista radiato? La domanda è retorica. Ci siamo indignati contro una macchina giuridica senza pietà, che schiaccia la libertà di opinione e mette in galera chi ha semplicemente espresso un’opinione. La realtà non è questa. E’ pur vero che le norme del Codice che regolano la libertà di stampa sono antiquate e che la galera applicata ai reati d’opinione è fortemente intimidatoria. Ma qui ci troviamo di fronte a un ex giornalista che, sotto uno pseudonimo, continua ad esercitare la professione che gli è stata negata in quanto uomo al soldo del servizio segreto (caso Pio Pompa).

Dice Farina di avere ubbidito. Si accordava con Pompa. Era “preparato” da Pompa. Era pagato da Pompa. Trentamila euro in due anni. Sempre in contanti, sempre dietro ricevuta. Qualche volta firmata “Betulla”, qualche volta “Renato Farina”. Denaro per le spese vive. Gli aerei, i soggiorni. Non che potesse aggravare il giornale, “Libero“, dei costi del suo lavoro doppio […] E’ Pompa che gli consegna quel dossier che dovrebbe inchiodare Romano Prodi agli accordi Europa-Stati Uniti che consentono i voli degli aerei “coperti” della Cia. E’ un falso. Farina lo pubblica (repubblica.it).

Farina diffamò Prodi su richiesta del servizio segreto (falso caso dell’appoggio di Prodi alle extraordinary renditions dell’era George W. Bush). Per questa ed altre falsità, Farina fu cacciato dall’ordine dei giornalisti. Vittorio Feltri – sì, lo stesso uomo che lo ha pubblicamente accusato di essere l’anonimo Dreyfus del caso Cocilovo – gli ha permesso di continuare a scrivere per il giornale Libero per ben due anni. Feltri si guadagnò così sei mesi di sospensione dall’ordine. Secondo Feltri, Farina doveva continuare a scrivere “in base alla Costituzione, che consente fino ad ora la libera espressione del pensiero” (Wikipedia). E’ libera espressione del pensiero quanto scritto da Farina sul caso Cocilovo? E Sallusti poteva permettere che un giornalista radiato e pagato per mentire continuasse a scrivere notizie false sulle colonne del giornale da lui diretto? Perché sia Feltri che Sallusti hanno tenuto Farina al proprio posto pur sapendolo corrotto?

L’art. 57 del codice penale, lo stesso codice penale applicato nel caso  Ruby (nota per Travaglio, n.d.r.), impone al direttore di controllare l’attività dei giornalisti per evitare che un reato si verifichi: nel giornale da lui diretto – si chiama per questo “responsabile” – chi scrive non può fare quello che gli pare, ma deve attenersi a determinate regole di correttezza, verità, continenza e il direttore ne è il garante. Se il direttore se ne infischia,   o chiude un occhio o abbozza un ghigno di fronte allo sciacallo che si appresta a macellare di fronte a centinaia di migliaia di lettori una persona perbene sia  un giudice onesto sia un signor nessuno, allora la responsabilità – per niente oggettiva – è, anche,  sua. Non come autore del reato ma per aver violato il suo obbligo di controllo, permettendo così lo scempio.  Doveva controllare, e non lo ha fatto, doveva evitare il danno e non lo ha fatto: una menzogna è stata diffusa e invece doveva restare chiusa nella balda mente del suo autore (youreporternews.it).

Un agente Betulla non può esser nemmeno lontanamente accostato al caso Dreyfus.

Dopo ITA-GER: Il Giornale e Libero, prime pagine (in)dimenticabili

Ecco come rendersi assolutamente detestabili dopo la partita di ieri sera (in senso estensivo, anche ai tavoli di trattativa in sede di Consiglio Europeo, come la vulgata giornalistica l’ha intesa in questi giorni):

E Libero non vuol essere da meno:

Perché il Giornale e Libero negano la Trattativa Stato-Mafia

Come spesso accade, anche sul tema della trattativa Stato-Mafia, Il Giornale e Libero hanno titoli simili e propongono interpretazioni altrettanto simili, se non gemelle. La Procura di Caltanissetta ha disposto arresti cautelari per quattro persone e su Libero ci vanno giù duro, facendovi intendere – falsamente? – la sproporzione fra la misura cautelare e il reato, che si è compiuto vent’anni or sono. Così Davide Giacalone non vi dice che tre di queste quattro persone arrestate sono già detenute: Salvatore Madonia, secondo la Procura il mandante della strage; Vittorio Tutino, autore del furto della 126 che fu tramutata in autobomba; il presunto basista Salvatore Vitali e Calogero Pulci, ex pentito. Per Il Giornale, Salvatore Madonia è un “presunto boss”. Il curriculum vitae di questo presunto boss lo potete ascoltare su Radio Radicale:

  1. in qualità di imputato: Processo per l’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi
  2. in qualità di testimone: Processo per l’omicidio del giudice Rocco Chinnici (Riina ed altri)
  3. in qualità di imputato: Maxiprocesso a “Cosa nostra”

Secondo Salvo Palazzolo (Repubblica.it) Salvatore o Salvino Madonia è un “capomafia pluriergastolano“, “accusato di aver partecipato nel dicembre 1991 alla riunione della Cupola in cui si decise l’avvio della strategia stragista”. Di presunto non c’è più nulla su un ergastolano, per giunta plurimo. Se vi pare poco.

Secondo Gian Mario Chiocci e Mariateresa Conti, autori del pezzo su Il Giornale, la Procura di Caltanissetta ha alle spalle venti anni di insuccessi e di “innocenti in galera”. Si riferiscono alle false dichiarazioni del pentito Scarantino, che hanno permesso all’epoca ai magistrati di chiudere in fretta e furia l’inchiesta su via D’Amelio. Scarantino viene impiegato dai due giornalisti come argomento contro l’attuale procura di Caltanissetta e non contro i magistrati del 1992, con i responsabili dell’ingiustizia, coloro che imbastirono le accuse false imbeccati da chissà quale fonte “oscura”. Il pentito Scarantino mentiva? Colpa dei magistrati di oggi che pure lo hanno scoperto.

Continua Giacalone: “partiamo dalla fine […] io non faccio indagini e non istituisco processi, ma resto convinto che Borsellino muore, dopo che era stato ammazzato Falcone, perché era un ostacolo all’insabbiamento e dell’archiviazione dell’inchiesta mafia e appalti, immediatamente distrutta dopo la sua morte”. Giacalone ha una teoria e della realtà se ne frega. Ha questa teoria e piega i fatti al servizio del suo intendimento. Tutte balle, il 41 bis non c’entra. Ora, sarà strano ma anche in questo caso l’informazione che vi ha dato il buon Giacalone è incompleta. E, manco a dirlo, è la solita vulgata che circola nei media di destra. Perché allora far saltare il magistrato con una autobomba? Se il movente erano gli appalti, non bastava una pallottola, come peraltro la mafia sapeva fare e ha fatto in tantissime altre circostanze? Ed è altrettanto lampante il disegno stragistico che dal Maggio del ’92 prosegue con le cosiddette ‘stragi sul continente’. Per Giacalone tutto questo è irrilevante. Irrilevante che il ministro dell’Interno del ’92, Vincenzo Scotti, un mese prima di Capaci, disse pubblicamente che era in atto una strategia destabilizzante. Poi, in una notte, fu misteriosamente deposto da Andreotti. Ma Giacalone spiega l’attentato in stile Beirut in via D’Amelio con il fatto isolato dell’inchiesta mafia e appalti. Poi c’è quell’intervista, l’ultima, quella in cui Borsellino parla per la prima volta dei ‘cavalli’ di Mangano e di un flusso di denari che passava dalla Sicilia in direzione Nord. Naturalmente nessuna traccia. Nessuna menzione su questo fatto. Invece Chiocci e Conti, su Il Giornale, abbozzano una teoria comportamentista su Borsellino: se Borsellino sapeva della Trattativa, allora perché non la denunciò, “perché non la tradusse in atti formali, come era suo costume?” Se dubitava del capo del Ros, Subranni – disse alla moglie che era punciutu – perché continuò a lavorare insieme a lui fianco a fianco sino all’ultimo giorno? Subranni era il comandante dei Ros ed era il diretto superiore del colonnello Mario Mori, l’ufficiale – poi diventato capo dei servizi segreti nel penultimo governo Berlusconi – che è a processo a Palermo (con il colonnello Mauro Obinu) per avere favorito Provenzano in una latitanza lunga quarantatré anni.

Secondo il testimone d’accusa, colonnello Michele Riccio, smentito e querelato dai denunciati, furono Mori e Obinu ad avergli impedito di catturare Provenzano in un casolare di Mezzojuso (PA), indicato dal mafioso suo confidente Luigi Ilardo, poi assassinato da “cosa nostra” subito dopo aver accettato di collaborare con la giustizia (cfr. Wikipedia alla voce Mario Mori).

Mentre su Il Giornale viene dato qualche credito alla vicenda dell’ammorbidimento del 41 bis, il regime di carcere duro, giustapposta per insinuare dubbi sulla condotta dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e sul ministro della Giustizia Giovanni Conso, certamenti non immuni da ombre – Conso ha dichiarato di aver “autonomamente” disposto nel 1993 la sospensione del 41 bis a circa quattrocento detenuti mafiosi – su Libero viene contestato apertamente al teorema del 41 bis un certo grado di illogicità. Poiché la trattativa sul carcere duro giustifica la strage di Via D’Amelio e non l’attentato di Capaci. Allora perché ammazzare Falcone e moglie con tutta la scorta, facendo esplodere una autostrada? Il carcere duro, spiega Giacalone, fu imposto dopo la morte di Falcone, e non prima. Perché intavolare una trattativa anzitempo? Giacalone difetta di inquadramento storico: siamo nel 1992, ok? E’ morto Lima, ammazzato per strada. E’ quello il casus belli fra mafia e politica. E’ la ‘goccia che fa traboccare il vaso’. Al nord si affacciava una nuova forza politica, la Lega Nord, federalista e secessionista, il peso dei partiti tradizionali stava diminuendo, Mani Pulite sarebbe iniziata da lì a poco. Al Sud era tutto un proliferare di strane Leghe meridionaliste, con dietro le quinte personaggi ambigui come Licio Gelli. L’omicidio Lima è stato un atto di guerra. La guerra Stato-Mafia presupponeva una trattativa di pace. Un trattato di non belligeranza. La sensazione che dietro quelle stragi e tentate stragi non ci fosse solo la mafia rimane sempre molto alta, al di là delle dichiarazioni dei pentiti. Ciò che sorprende è il silenzio e i “non ricordo” dei protagonisti della politica del biennio  ’92-’93. Il Giornale e Libero non si spingono più in là delle loro tesi e, a parte sospettare di Scalfaro e Ciampi, nulla dicono del sospetto che la Seconda Repubblica – la variante videocratica della Prima Repubblica – sia il frutto malato di quella trattativa – l’opera ingegneristica di un gruppo di pavidi signori scesi a compromessi con la controparte mafiosa.

Per approfondire:

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=1BW173

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=1BW154

Manovra, contestazione in aula alla Lega. E Paragone si defila

La giornata leghista, passata indenne per il momento dinanzi allo scoglio del diniego all’arresto di Milanese, è stata agitata da due episodi: una inedita contestazione in aula a Bossi e da due articoli di giornale aventi per protagonista Gianluigi Paragone, ex direttore de La Padania, giornalista e conduttore tv in quota ‘Carroccio’, candidato alla successione di Santoro nel giovedì sera di Raidue.

La contestazione a Bossi sarebbe stata ordita da ex onorevoli leghisti, scontenti per la guida pro PdL di Bossi e contrari ai tagli ai piccoli comuni e alle province contenuti nella manovra e nei progetti di leggi costituzionali. Gli ex deputati hanno esposto uno striscione con la scritta ‘basta’ e avrebbero intimato a Bossi di lasciare la guida del partito.

Invece Paragone ha espresso un dissenso inedito ed eretico, per un partito carismatico come quello della Lega. In un articolo su Libero, Paragone chiede al partito: “perché tappare la bocca a Tosi e Fontana”? Su Milanese la Lega farà fatica a spiegare ai suoi elettori le ragioni del voto contrario all’arresto. Difficile spiegare il fumus persecutionis‘.

Libero, 14/09/11, p. 1

Paragone ravvisa in questo aut-aut a Tosi – se manifesta contro il governo, è fuori dal partito – come un tradimento: “siamo sempre stati dalla parte dei sindaci”, scrive Paragone, poichè i sindaci sono i politici più vicini ai bisogni della gente. E’ legittimo contestare i tagli agli enti locali poiché essi significano meno servizi, quindi per i sindaci leghisti meno consenso. E dove lo va a trovare, la Lega, il consenso, se non sul famoso ‘territorio’ tanto ambito dal PD?

Libero, cit.

In una intervista a Il Secolo d’Italia, giornale ex An ora dei colonnelli del PdL, Paragone rivela di aver puntato tutto politciamente parlando “su Berlusconi e Bossi e di esserne rimasto deluso“. Finora, racconta, “ci ho sempre messo la faccia e li ho difesi pubblicamente”, “non voterei né PdL né Lega“, “per ora mi astengo”.  Di fatto un riposizionamento che in Rai è sempre cosa buona quando regna l’incertezza politica come in questo periodo. Si aggiunga un fatto, suggerito in un corsivo maligno alla fine dell’articolo: la Rai non ha promosso la trasmissione di Paragone in prima serata. Non l’hanno ritenuto idoneo. Che il ravvedimento cominci proprio da qui?

L’attacco alla Norvegia è di matrice interna. Non per Libero

Libero non ha dubbi: l’attacco alla Norvegia è opera di una cellula di al Qaeda. Avessero atteso dieci minuti in più prima di titolare in senso anti-islamico, avrebbero saputo che la polizia norvegese ha arrestato un giovane terrorista norvegese, forse parte della destra – oibò – norvegese.

Invece sulla pagina web di Libero News campeggia questo titolo:

E sulla copia di carta ha sparato quest’altro titolo:

Con l’Islam il buonismo non paga

Magari Belpietro avrebbe potuto tenere aperta la redazione fino a tardi, che dite. E pagare un po’ di straordinario ai suoi giornalisti.

E i titoli de Il Giornale non sono migliori: Fiamma Nierenstein si infiamma…


Non lo trovate surreale?

Il colloquio Di Pietro-Berlusconi porta dritto a Bisignani

Genere, fantasy. Titolo: Di Pietro inciucia con Berlusconi. Un romanzo di centinaia di pagine ancora da scrivere che potrebbe interessare il proseguio di questa stagione politica. Fioccano le ricostruzioni e i ricami giornalistici. Secondo Il Giornale, per esempio, Tonino avrebbe posto a Berlusconi le condizioni per un aiuto. Secondo La Repubblica Di Pietro avrebbe parlato con B. e subito dopo avrebbe attaccato un indifeso PD (chiara l’allusione al fatto che B. avrebbe imbeccato l’ex magistrato). Libero?

A quelli di Libero Tolkien fa un baffo…

Ora tentiamo una ricostruzione seria:

1. Ecco la curiosa scena che si presenta ai deputati di maggioranza e opposizione. Ore 17,10: seduta sospesa per venti minuti, Antonio Di Pietro è al telefono mentre Silvio Berlusconi sta per lasciare l’Aula.  Il premier – per quasi tutta la giornata presente nell’emiciclo per ascoltare gli interventi sulla verifica parlamentare – vede il leader dell’Idv e si avvicina alla prima fila, al tavolo dei 9. Visto che loro sentono le nostre telefonate, voglio sentire le loro…, dice il Cavaliere all’esponente del Pdl che lo accompagna. Così il presidente del Consiglio si siede al fianco dell’ex Pm, spiegandogli in modo scherzoso di voler ascoltare la sua telefonata. Poi i due continuano a parlare per alcuni minuti. «Io stavo nel mio banco in aula. Il Presidente del Consiglio quando ha terminato il suo discorso ha detto che voleva parlare ai leader dell’opposizione per spiegare che il suo Governo fa il bene del Paese. E quando si è avvicinato a me me lo ha ribadito. Ed io gli ho risposto che il sottoscritto leader dell’opposizione è convinto che farebbe il bene del Paese se il suo Governo se ne andasse». Antonio Di Pietro ha spiegato così, ospite al Tg 3, il breve colloquio in aula con Silvio Berlusconi, andato a sedersi vicino a lui alla Camera (

2. Mi soffermo su questa frase: visto che loro sentono le nostre telefonate. Evidente il riferimento all’inchiesta P4 di John Woodkock. Le nostre telefonate, ovvero quelle fra Bisignani, nostro faccendiere, e quelle fra Gianni Letta, nostro sottosegretario. Nostre sono le indicazioni date e fatte passare per l’ufficio del Bisi. Nostre le pressioni che il Bisi rivolgeva a giornalisti e direttori di giornali. Gli interessi che il Bisi difendeva spiando i magistrati per mezzo del sen. Papa sono i nostri interessi. Il Bisi è nostro amico, uno di noi: lo dice pure Franco Bechisi su Libero. Anche io, confessa Bechis, faccio parte della P4. Bechis? Bechis… Mi ricorda qualcosa. Sì! Certo, il caso Tulliani.

Correva l’estate 2010 e Dagospia cascò sul tarocco:

Fini-Tulliani, Dagospia scivola sul tarocco

Ebbenen, al centro di quel caso c’era un presunto tarocco di un blog che Dagospia prese per fatto certo. Su tale blog, a firma di Matilde di Canossa, veniva attribuita la proprietà della casa di Montecarlo alla coppia Fini-Tulliani, e tutto ciò in tempi non sospetti. Ma qualcuno smascherò l’inganno. Lo pseudonimo era stato attribuito proprio a Franco Bechis, editorialista di Libero.

Ora, tirando le somme: sono noti i rapporti fra il Bisi e Dagospia; noto il teorema secondo cui il caso Tulliani fu montato ad arte per colpire Fini; noto anche il ruolo di Walter Lavitola nel caso del ministro degli esteri dell’sioal caraibica dove avevano sede le società off-shore attribuite a Tulliani; Lavitola è finito anche lui nella rete di Woodcock; Bechis è in rapporti con tutte queste persone ed è sospettato di aver fornito il tarocco a Dagospia. Avete bisogno di altro aiuto? Questa è la nostra società, signori. Una società segreta.

Libero: uscire dall’Europa, istruzioni (deliranti) per l’uso

Esilarante prima pagina di Libero, questa mattina: il titolone a otto colonne, L’Europa vada all’Inferno, come una iettatura, una maledizione, un malocchio, un ‘vaffa’ non sanzionabile con le tre giornate di squalifica che invece si danno ai calciatori, regge un sottotitolo ancor più interessante, poiché segna il passaggio dalla pura imprecazione alla razionalizzazione di una scelta tecnica, la fuoriuscita dall’ordinamento europeo, tanto credibile e fattibile come è credibile e fattibile l’insieme degli atti che il governo dovrebbero compiere per dire addio agli ingrati di Bruxelles, fra cui il dimezzamento del debito pubblico. Il dimezzamento. Altro che manovre draconiane, altro che riduzione tasse. Sono pazzi questi berlusconiani?

Guerra alla Giustizia/1: anche Yara usata come bastone contro i magistrati

La vergogna dovrebbe assalire gli scriba di casa Mediaset, anche quelli fintamente indipendenti. Il caso Yara viene ora impiegato come una clava contro la magistratura: nella fattispecie l’attacco ha riguardato la pm di Bergamo, Letizia Ruggeri, rea di essersi presa due settimane di ferie durante il scomparsa della ragazza, come se il successo o il fallimento dell’intera inchiesta dipendesse solo e soltanto dalla sostituto procuratore quando invece una procura è composta da un procuratore della Repubblica, affiancato da sostituti procuratori della Repubblica ed eventualmente da uno o più procuratori aggiunti della Repubblica. Cosa volete che possa cambiare la presenza o meno di un sostituto? Eppure per Libero la vicenda ha i tratti dello scandalo. Sentite che prosa:

10 dicembre. Gli inquirenti rompono il silenzio e organizzano una conferenza stampa nell’ufficio del procuratore aggiunto Massimo Meroni. Arrivano giornalisti da tutta Italia, si fa fatica a trovare spazio, ma i taccuini non annotano una notizia che sia una. Il motivo è semplice: non c’è nulla da dire, al di là di un pronotisco che si rivelerà tragicamente sbagliato: «Yara è viva? Per noi sì, non ci sono indicazioni contrarie» afferma Meroni.

La Ruggeri già non c’è. Ha salutato tutti per andare in ferie, con la speranza di tornare più rilassata e pronta a risolvere il caso. Purtroppo, le indagini faranno registrare novità solo il 26 febbraio, col ritrovamento del cadavere in un campo di Chignolo d’Isola. A poche centinaia di metri dal comando della polizia locale che era stato trasformato in centro di coordinamento delle ricerche. Da lì, sono piovute critiche contro i molti volontari bergamaschi ritenuti incapaci di scovare il corpicino. Anche loro, effettivamente, si erano presi dei giorni di ferie dopo la drammatica scomparsa della giovane. Ma per cercarla, gratis (Libero-News.it).

Un giusto tocco di moralismo allo scopo di accendere gli animi casomai non si sia compreso che si va alla guerra contro i magistrati e i giudici di tutte le procure e di tutti i tribunali d’Italia. A rinforzare la truppa di scriba si è aggiunto da lunedì tal Maurizio Costanzo ex Show, ora soltanto più Talk, che dalle frequenze di Raidue inscena un teatrino populista con tanto di trama occulta: dargli ai giudici, chiunque essi siano, impiegando qualsiasi caso, anche i più spinosi. L’ordine perentorio: difendere il Capo. E allora può essere agevole una intervistina strappalacrime alla moglie di Busco, il presunto omicida di Via Poma. Tutto va bene. Basta menare duro contro i magistrati.

Meglio ha fatto Il Giornale pubblicando email private di magistrati:

Naturalmente nell’articolo non compaiono i nomi di nessuno di magistrati delle inchieste di Milano he vedono coinvolto Berlusconi. Trattasi di nomi semi sconosciuti o conosciuti per l’attività sindacale all’interno del corpo della magistratura medesima, come quello di Armando Spataro. In una parola, “fuffa”. Sarebbero parole scritte al vento se non fosse che le hanno stampate.

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Gli errori di Berlusconi secondo Feltri

Ecco l’esclusiva classifica degli errori di B. secondo Feltri:

  1. non aver ripristinato l’immunità parlamentare: con la maggioranza schiacciante che si ritrovava, era logico farlo; lui potrebbe ribattere che l’immunità parlamentare è impopolare, ma trincerarsi dietro i vari Lodi Schifani e Alfano non è stato in nessun modo utile allo scopo, ovvero sottrarsi al giudizio della magistratura, “una persecuzione”;
  2. aver preferito la carica di Presidente del Consiglio anziché fare il parlamentare europeo: Berlusconi si è sempre presentato capolista alle elezioni europee, e le ha sempre vinte; facendo il parlamentare europeo avrebbe goduto dell’immunità, e ciò gli avrebbe risparmiato mesi di scorni sui vari Lodi; avrebbe potuto affidare il governo a Letta, o ad Alfano, lui dedicarsi al PdL;
  3. la fondazione del PdL: Fini e B. già mal si sopportavano, il PdL è nato senza organizzazione né programma;
  4. non esser stato in grado di sfruttare i “successi economici” del governo: il contenimento del debito, l’aver sottratto il paese alla spirale speculativa, ecc. ecc.

Fuori classifica: le ‘Orgettine’ e il codazzo di servi pronti a tutto; le amicizie pericolose oltreconfine (Putin, Gheddafi); il perenne conflitto di interessi; la fondamentale ignoranza politica.

Attentato a Belpietro un falso: ora lo dice anche Il Giornale

Ma cosa succede fra Il Giornale e Belpietro? Fra Sallusti e Feltri? Se la scorsa estate il quotidiano di via Negri teneva il controcanto del metodo Boffo insieme ai compagni di merende di Libero, ora la linea editoriale di Sallusti, di recente mollato da Feltri, è meno chiara e pare tinta di veleno, quel veleno che di solito si riserva agli ex capi.

Agguato a Belpietro, dubbi dei pm Caposcorta verso l’incriminazione

Così titola oggi Il Giornale. Nell’articolo si afferma cioè che l’attentato a Belpietro, che qualche mese fa suscitò l’unanime indignazione del mondo politico e un coretto diinviti a moderare i toni, “da entrambe le parti”, sarebbe una bufala, una sordida messinscena organizzata dall’ex caposcorta di Belpietro. Troppe le incongruenze, la mancanza di prove e filmati delle decine di telecamere, in cui non si scorge nessun presunto attentatore.  I magistrati stanno orientando le indagini sul caposcorta medesimo.

Compiute tutte le verifiche, eseguiti tutti gli esperimenti, valutate tutte le testimonian­ze, gli inquirenti sarebbero in­­fatti arrivati a convincersi che in via Monte di Pietà, nel palaz­zo dove abita il direttore di Li­bero , quella sera non sia acca­duto in realtà assolutamente nulla. Ovvero: che nessuno ab­bia cercato di fare la pelle al giornalista. Che sulle scale del palazzo non ci fosse nessun al­­tro, se non il capo della squa­dra di poliziotti che vigila sulla sicurezza di Belpietro. E che tutto quanto accaduto- gli spa­ri, l’allarme, eccetera – sia sta­to frutto, nella migliore delle ipotesi, di un errore di valuta­zione da parte dell’agente (Agguato a Belpietro, dubbi dei pm Caposcorta verso l’incriminazione – Il Giornale.it).

Naturalmente si precisa che i magistrati siano ispirati da una certa prudenza nell’evitare che la questione diventi un boomerang mediatico contro Belpietro stesso. Però, la notizia, rivelata senza aggiungere nulla di nuovo rispetto a quanto alcuni giornalisti dissere all’epoca dei fatti, ricordando il precedente falso allame dello stesso caposcorta quando difendeva Gerardo D’Ambrosio, pur con il preavviso di indicare Belpietro come una vittima della messinscena e non come ispiratore, ha proprio l’effetto perverso di mettere la redazione di via Negri fra coloro che vedono in Belpietro un pericoloso falsario, alla luce di quanto rivelato ieri in quel fantasioso articolo del finto attentato a Gianfranco Fini. E’ almeno ravvisabile un mancato coordinamento delle linee editoriali fra i due giornali in quota berlusconiana nella ripresa a spron battuto del bastonamento di Fini e dei finiani. Forse anche fra gli scriba del biscione serpeggia del malumore e voglia, tanta, di rivalsa.

La nuova ipocrisia di FLI: appoggio esterno al governo. Ma fra i berluscones cresce l’angoscia

FLI, alias Futuro e Libertà, oggi presenta il simbolo ma si trincera dietro il solito catenaccio: non saremo noi a staccare la spina. Il che dovrebbe far pensare: il governo, se ne deduce, se è attaccato alla spina, allora è in rianimazione e – diciamo – vive solo per mezzo delle macchine. Se si stacca la spina, allora è eutanasia, e nessuno conosce il testamento biologico del governo. Il malato è irrecuperabile, tant’è persino a destra hanno parecchi dubbi sulla permanenza in vita del Berlusconi IV. Dubbi che circolano scomposti qualche giorno dopo lo scoppio del nuovo sex-scandal con annesso abuso di potere e menzogna.

Il titolo di Libero di stamane assomiglia più ad un avviso “ai naviganti”, una sorta di ‘si salvi chi può’. Berluscones di tutto il mondo, scappate, meetetevi al riparo, “qui viene giù tutto”. Solo i Capitani come Belpietro resteranno al timone della Nave (Editoriale) e affonderanno insieme al Nostromo. Infatti, i nostri non sporcano le loro penne stilografiche per esprimere loro stessi, in rpima persona, i dubbi destrosi sul caso Ruby, ma incaricano le seconde linee, ovvero Filippo Facci da un lato e Marcello Veneziani dall’altro.

Facci si lamenta di un (finto) premier che necessita sempre di spiegazioni, eppure le solite abusate spiegazioni sul suo soverchiante privato – la sinistra, il complotto, le toghe rosse – in questo caso paiono una inutile perdita di tempo: non è colpa mia, si scusa Facci. Non è colpa mia, scrive, se dietro a Berlusconi c’è soltanto lui o “quattro soldatini imbarazzanti” e non un partito. Non si possono perdere stagioni a parlare delle sue mutande. Ma intanto – divertiti e distratti – lo facciamo.

Su Il Giornale, gli fa eco Marcello Veneziani:

Sì, è proprio brutto, orripilante, direi, scoprire dall’oggi al domani che B. non degna di uno sguardo le statistiche sul debito e il PIL perché avvinto dal sedere di una diciassettenne. E’ desolante scoprirlo solo oggi. Sì, stiamo affodando, ma lo facciamo con stile. Evviva i party. Già, l’antica enfasi dei giornalisti di proprietà sembra stemperarsi dinanzi al precipizio verso cui il governo serva avviarsi senza freni. Chi li salverà se B. cadrà nella polvere?

Fini-Tulliani, Dagospia scivola sul tarocco

Conoscete la storia di Montecarlo e di Rue Princess Charlotte 14. Il famigerato appartamento monegasco di An, venduto alle società off-shore e poi tornato nelle disponibilità del cognato di Fini, tal galantuomo che risponde al nome di Giancarlo Tulliani. La vicenda è lo specchio del beccamortismo dei giornali italiani, nonché di attempati frequentatori del web, come può esserlo Dagospia. Ma anche dell’importanza del netizen journalism e della capacità del web di sottoporre l’informazione alla pronta verifica da parte di ognuno di noi. Il corotcircuito mediatico si innesca tanto facilmente quanto si disinnesca facilmente. Poi capita che telegiornali disattenti come quello di La7 (non me ne voglia Mentana) riciclino la panzana di Dagospia vendendola per verità assodata, quando invece è frutto del tarocco. E’ il sito di Giornalettismo.com a smascherare i lestofanti:

  • questo il teorema di Dagospia: 1- L’AFFAIRE FINI/TULLIANI POTEVA DEFLAGRARE IL 27 NOVEMBRE 2009 MA NESSUNO HA VOLUTO ACCENDERE LA MICCIA. ERA TUTTO SCRITTO SU UN BLOG, RAI E MONTECARLO E “COGNATINO” COMPRESI. COSA È SUCCESSO, ALLORA? FORSE PER “LIBERO” I TEMPI NON ERANO ANCORA BERLUSCONIAMENTE MATURI PER SFASCIARE L’EX FASCISTA FINI? – (TRA GLI ‘ADDETTI AI LIVORI’ SI SUSSURRA INFATTI CHE DIETRO IL BLOG ‘MATILDE DI CANOSSA’ SI CELI L’IDENTITÀ DELLLO ‘PISTAROLO’ FRANCO BECHIS, VICE DIRETTORE DI “LIBERO”) – 2- LA COATTISSIMA ROTTURA TRA L’EDITORE DI “LIBERO” GIAMPAOLO ANGELUCCI, CHE HA ALLE SUE DIPENDENZE IL FRATELLO DI FINI, E GIAN-MENEFREGO VA RACCONTATA PERCHé RACCHIUDE LA MEJO BATTUTA DELL’ANNO. FURIOSO, PER UN ARTICOLAZZO SU ELISABETTA, IL PRESIDENTE DEI LOS TULLIANIS TELEFONA AD ANGELUCCI. L’ARROGANTISSIMA SCENATACCIA DI FINI SI CHIUDE COSì: “IO, CON “LIBERO”, MI PULISCO IL CULO!”. “E IO DOMANI LO FARÒ DI CARTA VETRATA!”, È LA REPLICA FULMINANTE DELL’EDITORE DI “LIBERO” (Dagospia).
  • la controdeduzione di Alessandro D’amato (Gregorj) su Giornalettismo.com: è già piuttosto strano che le frasi presenti nell’articolo non si ritrovino su Google nemmeno con una ricerca mirata, ovvero tra virgolette […] viene voglia di andare a controllare la cache del motore di ricerca. Ovvero quella pagina che Google genera automaticamente ogni volta che passa a visitare una pagina per indicizzarla nel motore, e che rimane in memoria permettendo così di scoprire se nel tempo trascorso sono state effettuate delle modifiche […] la cache del blog Matilde di Canossa è stata generata il 27 luglio 2010, l’articolo del Giornale che parlava della casa a Montecarlo è del 27 (in accenno) e del 28 luglio. Ebbene, in quella data il post del blog di Matilde di Canossa si presentava molto più striminzito […] Tutta la seconda parte, che fornisce l’indirizzo di Rue Princesse Charlotte e informa che la casa era di Alleanza Nazionale, non è presente. In esso si dice solo che Tulliani ha preso la residenza fiscale a Montecarlo, senza fare accenno alla casa che era di AN […] è evidente che la modifica è stata effettuata in una fase successiva rispetto a quella in cui è passato per la penultima volta il crawler di Google (Dagospia tarocca un blog per attaccare Fini e la Tulliani).

Confrontate voi stessi:

Blog La Cattiva Strada – MatildeCanossa – attribuito a Franco Bechis, oggi:

Questo invece il post come compare nella cache di Google del 27 Luglio:

Pensate, cambia persino il titolo. E nel testo “originale” nessun riferimento a Rue Princess Charlotte 14. Certo, Dagospia e soci non hanno tenuto nella debita considerazione le sentinelle del web.

Sitografia:

  • Tutta la seconda parte, che fornisce l’indirizzo di Rue Princesse Charlotte e informa che la casa era di Alleanza Nazionale, non è presente. In esso si dice solo che Tulliani ha preso la residenza fiscale a Montecarlo, senza fare accenno alla casa che era di AN

Il Giornale vs. Fini: il metodo del ‘così fan tutti’

Poche parole per liquidare – definitivamente? – il caso della casa a Montencarlo di Fini-Tulliani. Ricordate Boffo? Lo scorso anno il finto scoop di Feltri servì a liquidare il direttore de L’Avvenire, non già perché reo di lesa maesta nei confronti di Berlusconi – troppo timide le critiche de L’Avvenire sullo scandalo sessuale di Papi-Noemi – bensì perché il suo “profilo” si prestava per essere sacrificato sulla pubblica piazza al grido di così fan tutti:

Il direttore de Il Giornale sottolinea poi che all’epoca, «un periodo di fuochi d’artificio sui presunti eccessi amorosi di Berlusconi», venne giudicato interessante il caso Boffo «per cercare di dimostrare che tutti noi faremmo meglio a non speculare sul privato degli altri, perché anche il nostro, se scandagliato, non risulta mai perfetto. Poteva finire qui» (Feltri ci ripensa: Boffo va ammirato – Corriere.it).

Chiaro e lineare. Si tratta di manipolare il dibattito pubblico al fine di salvaguardare Berlusconi dallo scandalo di turno. Ieri il sesso, oggi la corruzione che dilaga nel governo. C’è una tesi e una linea comune da perseguire, anche attraverso altri media o fonti di informazione. Solo in questi giorni si è parlato dello yacth di Vasco Rossi o di Massimo Boldi. Pensate che a Ferragosto le Fiamme Gialle siano doppiamente operative? La notizia fa parte del quadro che vi vogliono vendere: così fan tutti. Tutti evadono le tasse, tutti hanno truffato sull’acquisto delle case, tutti sono corrotti, più o meno come Berlusconi. Anche il nostro privato, se scandagliato, non è perfetto. Lui ha finanziato Provenzano? Pazienza, anche voi nel vostro piccolo avete favorito qualche prepotente di turno. Avete chiuso un occhio. Siete, persino voi, un po’ come B. Rassegnatevi.

Poi ci sono tutte le ragioni politiche: dividere i finiani in primis. Oggi Il Giornale ha avvisato che nel numero di domattina saranno pubblicate le fatture che dimostrano l’acquisto dei mobili da parte di Fini e Tulliani per la casa di Montecarlo. Peccato che oggi l’azienda dei mobili chiamata in causa abbia smentito:

La società Castellucci Maria Teresa, con esercizio in Roma via Aurelia Km 13,400, in relazione alle notizie di stampa apparse su alcuni quotidiani precisa di non aver mai effettuato trasporto o montaggio di mobili acquistati presso il proprio esercizio da Roma a Montecarlo, nell’interesse di Elisabetta Tulliani o suoi familiari o dell’onorevole Fini (L’Unione Sarda.it).

La prova provata non c’è? Scommettete che la prima pagina de Il Giornale di domani offrirà delle sorprese? Per esempio, un’improvviso cambio di rotta sul caso Montecarlo?

Libero: verso il ribaltone dei guidici. Capitano Ultimo: combattere la giustizia criminale

«Mi sembra che il patto tra mafia e pezzi dello Stato sia quello che stanno facendo adesso questi strani personaggi , portando avanti le tesi di Riina. I ragazzi devono invece sapere che lo Stato ha combattuto la mafia e ha vinto», ha detto Ultimo […] «bisogna riflettere su criminalità e giustizia e capire se c’è una giustizia criminale che aiuta Riina e che invece combatte quelli che hanno combattuto Riina» […] Una «giustizia criminale», alla quale Ultimo fa riferimento anche a proposito della recente sentenza che ha condannato a 14 anni di reclusione per droga il generale Giampaolo Ganzer, comandante dei carabinieri del Ros […] il problema è riflettere tra criminalità e giustizia, individuare la “giustizia criminale” e combatterla (Mafia: “Cap. Ultimo”, «Chi parla di stragi di Stato è un vile criminale» – Corriere della Sera).
I giudici di Caltanissetta, di Palermo, di Firenze sono allora ‘giustizia criminale’? Ostinarsi a non credere alle frettolose ricostruzioni fatte negli anni a seguire le stragi vuol dire forse aiutare Riina? E’ strano – e pericoloso –  che un ex carabiniere dei Ros, un uomo dello Stato, giunga a dire che vi è una giustizia criminale e che questa giustizia deve essere combattuta. Sono dichiarazioni ai limiti dell’eversione. E non è finita: le sconcertanti parole di De Caprio alias Ultimo trovano una spalla di appoggio nell’editoriale di oggi di Maurizio Belpietro su Libero.
Belpietro cerca una analogia forzata con il 1992: oggi come allora le toghe tentano il ribaltone. Ieri, fuori il pentapartito e i socialisti in primis per permettere l’alternativa che il PCI non si era mai potuto permettere; oggi abbattere il nemico Berlusconi. Con una differenza sostanziale, però:
L’attacco è ora rivolto agli uomini della sicurezza, a Nicolò Pollari, a Mario Mori, a Giampaolo Ganzer, a De Gennaro. La giustizia criminale attacca i tutori dell’ordine. La tesi è che così si prepara il ‘governo dei giudici’, nella maniera già studiata a suo tempo dal temibile eversivo pool di Mani Pulite, alla cui testa vi era l’oscuro Saverio Borrelli:
Certo, c’è qualche toga che potrebbe rimanere invischiata nell’operazione pulizia, ma si tratta solo di un “effetto collaterale”.
Colpisce, e non poco, la similarità delle due tesi. Entrambe estendono l’attacco alla giustizia anche ai casi che esulano dalle inchieste di Mafia – vedi caso De Gennaro, Ganzer e Pollari. Come se ci fosse un disegno politico da far passare a tutti i costi alla luce dell’opinione pubblica proprio nel giorno della ricorrenza della strage di via D’Amelio, in cui servitori dello Stato di tutt’altra fattura persero la vita. Un disegno che comprenda tutti i funzionari dei servizi e delle forze dell’ordine coinvolti in inchieste giudiziarie. Funzionari che hanno agito ai limiti della legge o fuori della legge, funzionari che hanno tradito, secondo i magistrati; funzionari fedelissimi all’esecutivo, evidentemente secondo Libero e Ultimo, che in qualche modo bisogna pur difendere.
Sitografia