Sicurezza dopo il naufragio del Giglio? Con le trivellazioni off-shore a cinque miglia dalla costa

Insomma, freschi di naufragio, con una emergenza ancora in corso, un’emergenza che è anche ambientale con un rischio severo di sversamento di gasolio pesante sulle coste della Toscana, troviamo nel decreto legge sulle liberalizzazioni una serie di articoli che hanno lo scopo di rilanciare le trivellazioni e la ‘coltura’ di idrocarburi liquidi e gassosi nei nostri mari.  La bozza di decreto contiene all’articolo 21 una modificazione molto serie nelle regole di ricerca dei siti e nello stabilimento delle piattaforme. Ecco le modifiche proposte alla normativa vigente in materia:

Art 21 – (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, in materia di promozione degli investimenti offshore)

2. All’articolo 6, comma 17, secondo e quarto periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, le parole “dodici miglia” sono sostituite con le parole “cinque miglia”.

3. All’articolo 6, comma 17, secondo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, le parole “linee di base” sono sostituite con le parole “linee di costa”.

Così il relatore spiega la necessità di questa norma:

Si vuole […] rendere possibili le attività di ricerca e prospezione di idrocarburi in una area più vicina alle coste senza compromettere l’ecosistema che è, in ogni caso, già protetto dalle stringenti normative nazionali di tutela ambientale. Il limite proposto delle 5 miglia appare adeguato a garantire la protezione ambientale rispetto alle attività di ricerca e prospezione salvaguardandone al contempo le ricadute economiche non solo per le imprese del settore ma anche per lo Stato e gli enti locali. Così come il riferimento alle linee di costa anziché alle linee di base rende omogeneo l’impianto della norma e ne garantisce un’applicazione parametrata a un dato fisico certo, le linee di costa, piuttosto che convenzionale e incerto, come le linee di base (bozza decreto liberalizzazioni.pdf).

Per comprendere, la linea di base “detta così in quanto base di partenza per la definizione delle acque interne e delle acque internazionali, si definisce una linea spezzata che unisce i punti notevoli della costa, mantenendosi generalmente in acque basse, ma laddove la costa sia particolarmente frastagliata o in casi in cui delle isole sono particolarmente vicine alla costa, la linea di base può tagliare e comprendere ampi tratti di mare” (Wikipedia, voce Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare). La linea di costa, invece, “è la linea di confine tra la terra e l’acqua di un bacino aperto come un oceano o un mare, o di un bacino chiuso come un lago o un fiume; questa linea può spostarsi in modo più o meno prevedibile e regolare a seconda del ritmo circadiano, mensile o stagionale del livello del mare” (Ulisse). Ora, se la matematica non è un’opinione, prima avevamo dodici miglia dalla linea di base, quindi non la costa, ma una linea ideale tracciata sulle carte marine e che può essere distante svariate centinaia di metri dalla costa medesima; ora avremo cinque miglia, meno della metà, misurate dalla costa, con avvicinamenti notevoli delle attività di ricerca e perforazione del fondale marino.

Forse Passera e soci hanno dimenticato la Bp e il disastro del Golfo del Messico. La questione, nella relazione allegata al decreto, è trattata da un punto di vista squisitamente economico:

I divieti imposti sfavoriscono il rimpiazzo della produzione nazionale di petrolio e gas naturale dei giacimenti maturi, che attualmente contribuisce a circa il 6% del fabbisogno nazionale di petrolio e gas. La produzione di idrocarburi in Italia assicura una strategica fonte di approvvigionamento di materie prime a fronte di una dipendenza estera del1’84%. Inoltre, la disposizione oggetto di modifica ha comportato i seguenti effetti:

  • riduzione degli investimenti in tecnologie e servizi forniti dalle imprese italiane con un crollo dei progetti in corso, stimabile in circa 3-4 miliardi di euro nei prossimi anni, con abbandono degli investimenti in corso sul territorio italiano da parte delle imprese italiane ed estere operanti nel settore (recente esempio la EXXON);
  • riduzione dei posti di lavoro nel settore stimabile in 65 mila addetti di cui 15 mila direttamente coinvolti nell’attività nazionale;
  • riduzione del 50% del gettito fiscale nell’arco di 3-4 anni, nel 2009 il solo settore E&P e per la sola attività in Italia (escludendo l’indotto), contribuisce alla fiscalità per oltre un miliardo e 200 milioni di euro l’anno comprensivo di royalties e canoni. Sono state stimate minori entrate fiscali a seguito della disposizione in oggetto per circa 600 milioni euro l’anno (bozza decreto liberalizzazioni, cit.).

Questa profonda discrasia fra il bene per l’economia e il bene dell’ambiente sembra già risolto, nelle parole del decreto. L’ambiente? Abbiamo già un sacco di aree protette. Ciò che resta possiamo devastarlo.