Legge elettorale, dal Porcellum all’Ispanotedesco. Regia di Luciano Violante

Sì, passeremo dal Porcellum all’Ispanotedesco, un sistema elettorale che scopiazza in maniera indiscriminata leggi elettorali di sistemi elettorali diversi anni luce dal nostro con l’unica ratio di voler blindare La Casta.

Leggete tutta la cronistoria di questa tragicommedia all’italiana, la cronistoria di un accordo scritto da tempo come fosse un patto segreto che ha solcato nel più completo silenzio i tunnel segreti sotto la sabbia di Montecitorio.

Legge elettorale fra referendum e inciucio. Intervista al senatore Belisario.

Referendum Legge Elettorale, i dubbi sull’ammissibilità

La febbre del No al referendum elettorale agita i sogni dei politici

Referendum, inammissibili entrambi i quesiti

Legge elettorale, Violante: il milione del referendum? Sono firme, non cittadini

Legge elettorale, al via il Grande Papocchio per far fuori il M5S

Il Grande Papocchio non è un inciucio, è un accordo. Che però nessuno conosce

Nel più completo silenzio, legge elettorale verso l’ipermaggioritario alla spagnola

Nel più completo silenzio, legge elettorale verso l’ipermaggioritario alla spagnola

Stefano Passigli, professore ordinario di Scienze della Politica all’Università di Firenze, scrive al Corriere della Sera, il quale pubblica a pagina 50 (!) una lettera in cui espone i pericoli della riforma elettorale come emersa dall’accordo PD, PdL e Terzo Polo. E’ errato parlare di proporzionale alla tedesca. Anche se si tratta di riparto 50-50 fra collegi uninominali e liste, ad essere determinante ai fini della rappresentanza sarà la dimensione delle circoscrizioni abbinata alla soglia di sbarramento:

Questo sistema è l’ideale per far fuori i partiti piccoli ma per ‘salvaguardare’ quelli con forte legame territoriale, come potrebbe esserlo la Lega Nord. Infatti, il partito di Bossi ha tutto da guadagnare da questa legge: non avrebbe più bisogno dell’alleato conservatore, potrebbe mantenere una rappresentanza parlamentare ai livelli di quella attuale, superando la soglia di sbarramento nelle circoscrizioni del Nord Est, laddove è più forte (stando almeno ai dati delle ultime consultazioni elettorali).

In secondo luogo, vi è il perenne problema della selezione degli eletti. Secondo Passigli, sia le primarie che le preferenze comportano rischi di inquinamento (corruzione) e costi. Secondo Passigli sarebbe corretto assegnare all’elettore un limitato voto di preferenza, mantenendo in capo ai partiti la scelta del capolista e dei candidati delle liste. Sarebbe poi fondamentale l’inserimento dell’istituto della sfiducia costruttiva, onde evitare i fenomeni di debolezza di governo e di trasformismo nelle aule.

La mia opinione è che questo dibattito non è sufficientemente sviscerato a livello di opinione pubblica. L’opinione pubblica non è coinvolta nella decisione delle regole democratiche. La legge elettorale futura non può non cogliere l’istanza di partecipazione che viene dai cittadini. Il metodo impiegato per formulare la nuova proposta di modifica è invece quello delle riunioni private fra segretari di partiti altrettanto “privati”. No, questo è inaccettabile. In primis da parte del Partito Democratico, il quale si è messo nelle mani di un certo Luciano Violante. Non vi è stata alcuna discussione pubblica. Nessuna. Cosa ne pensa Bersani? Proviamo a chiederglielo.

Il Grande Papocchio non è un inciucio, è un accordo. Che però nessuno conosce


Insomma, l’incontro fra Violante, Zanda e Bressa da una parte e Quagliarello, (udite, udite) La Russa e tale Bruno Donato dall’altra, sembra aver avuto l’effetto sperato per il PD. Pazienza se non si è capito affatto in nome di chi e sulla base di quale proposta politica i tre delegati democratici stessero trattando, pazienza se la proposta politica del PD in fatto di legge elettorale si è modificata nel tempo, passando da un ritorno al Mattarellum sostenuto coi denti stetti durante il periodo referendario a una proposta di maggioritario a turno unico con correzione proporzionale di difficile comprensione. Alla fine, dicono le cronache, la sintesi con la proposta del PdL è compiuta: un coacervo di sistemi elettorali che qualcuno stamane – forse sul moribondo Manifesto – ha ribattezzato Italiesco, un format tedesco in salsa italiana, una porcata meno evidente della precedente, ma pur sempre porcata.
Quindi? Una vittoria per il PD? Violante avrebbe detto che il risultato dell’incontro è andato “oltre le più rosee aspettative”. Il che vuol dire: si aspettavano di raccogliere zero, hanno raccolto uno. Tutto questo incessante trattare con l’ex nemico è stato poi riassunto in un comunicato che dice più o meno nulla, ovvero “siamo d’accordo sul fatto di fare le riforme istituzionali” – bicameralismo, numero dei parlamentari, ridefinizione dei poteri del governo, riforma dei regolamenti parlamentari, roba grossa che questo Parlamento non farà mai in tempo a votare, visto che sono necessarie riforme di portata costituzionale e il clima del pacifismo pro-Monti non può durare troppo, causa campagna elettorale imminente. Ergo, è necessario stabilizzare la Casta con un ritocco alla fase di ingresso: una sforbiciata all’indecente premio di maggioranza, una alzatina alla soglia di sbarramento, per far tremare gli alleati riottosi – leggasi Di Pietro e Lega ed ex alleati come FLI – e per tener lontani vecchi e nuovi guastafeste come i reduci di Rifondazione e i nuovi del M5S (ma questo ce lo siamo già detti – la lista degli indesiderabili l’ha compilata lo stesso Berlusconi) in barba a qualsiasi criterio di rappresentanza.
E le preferenze? Troppo costose, sentenzia Violante. La soluzione un finto maggioritario a turno unico, il che vuol dire che ogni collegio, magari ridotto al solo territorio provinciale, potrà scegliere fra tre/quattro nomi, rigorosamente imposti dai partiti. Tutto risolto. Con buona pace dei referendari, quelli veri, quelli che avevano a cuore la democrazia italiana e il buon funzionamento del parlamento. Non un cenno sul limite di mandati elettorali, né sulla questione del parlamento pulito. Potremo scegliere fra il meno corrotto, questo è un successo. Alzate i calici.

Legge elettorale, Violante: il milione del referendum? Sono firme, non cittadini

 

Legge elettorale. Si aprono prospettive positive, dice Luciano Violante dalle colonne del Corriere della Sera. La spiegazione di questa affermazione è molto semplice: il PdL si sta convincendo a cedere sulla questione del premio di maggioranza, uno degli aspetti più deleteri del Porcellum. Non c’è da stupirsi che proprio ora il PdL voglia fare a meno del bonus aggiuntivo di seggi: se venisse meno l’alleanza con Bossi, non sarebbe più in grado di vincere le elezioni e rischierebbe di essere confinato in una nicchia dell’opposizione, ridotto a comparsa in un parlamento prossimo venturo diviso sul duopolio PD-Udc. Anzi, sembra proprio che la tendenza sarà quella di una saldatura al centro fra due dei partiti sostenitori di Monti, con isolamento a destra di PdL e Lega divisi, in collera fra di loro e dentro di loro, e con isolamento a sinistra dei vendoliani e di Di Pietro. Eccolo il futuro. Si presenta con il volto mascherato di una nuova/vecchia Democrazia Cristiana.

La prospettiva deve proprio piacere a Violante, al punto da lanciarsi in una previsione: la Lega senza PdL non trarrà alcun beneficio dal Porcellum. Idem il PdL senza Lega non trarrà nessun beneficio dal Porcellum. Se ne deduce che, a meno di successive redenzioni del popolo leghista, essendo impraticabile il vecchio legame dei leghisti con i berlusconiani, i tempi per la revisione del Porcellum sono più che mai maturi. Strano, poiché solo una settimana fa tutto taceva, in attesa del giudizio della Consulta sui quesiti referendari.

E che dire, la formula proposta sarà quella del doppio turno di collegio, come afferma Violante? ” Se si volesse invece il sistema proporzionale”, dice Violante, “bisognerebbe correggerlo con due misure fondamentali” (Corsera, 16.01.12, p. 21). Quali? La soglia di sbarramento al 5% e una norma costituzionale sulla sfiducia costruttiva. Per quei partiti che si trovano sotto la soglia minima del 5% ma che superano il 3%, verrebbe assegnato loro un ‘diritto di tribuna’ pari a tre seggi ciascuno.

E il bipolarismo? E il maggioritario? E soprattutto quel milione e duecentomila firme? “Sono firme, non cittadini”. Firme. Non cittadini.

Superato lo sgomento dinanzi a una frase del genere, apprendiamo che Violante è pure contro al reintegro delle preferenze per adottare un sistema come quello ‘spagnolo’ (che funziona con restrizioni al numero di candidati per collegio – 2, 3 – e con collegi dalle dimensioni molto piccole) oppure con primarie per la scelta del candidato da proporre nel singolo collegio.

Il PdL non vorrebbe che venisse meno l’opportunità per gli elettori di scegliere il candidato premier. Cosa che di fatto non avviene nemmeno ora. Alfano ha le idee confuse dallo stereotipo berlusconiano della elezione diretta del premier. Il Porcellum non prevede esattamente questo. La vulgata dell’indicazione del premier nasce dall’incapacità della classe politica di riformare il sistema istituzionale. Questi politici non hanno mai avuto il coraggio di riformare davvero, e si sono accontentati di una parvenza di riforma come quella che si è prodotta con la modifica della legge elettorale del ’93.

E’ pur chiaro che senza una vera riforma dei regolamenti parlamentari, una qualsivoglia riforma elettorale avrebbe ben pochi effetti sui fenomeni del trasformismo e del micropartitismo. Nemmeno agevolerebbe la governabilità del paese e la stabilità dei governi. Dalle parole di Violante emerge che allo studio ci sarebbero delle modifiche dei regolamenti parlamentari. In particolare, l’ex magistrato del PD prevede:

  1. abolire alcune fasi inutili della fase legislativa, come la discussione generale;
  2. fissare l’obbligo delle Camere di discutere le leggi di iniziativa popolare entro 90 giorni;
  3. diritto del premier di chiedere il voto in una data fissa per taluni provvedimenti del governo;
  4. fissare un range dei senatori fra 200 e 250; dei deputati fra 400 e 450.

Sul Corsera danno per certo l’avvio di una riforma triplice: modifiche dei regolamenti parlamentari; riduzione del numero dei parlamentari; superamento del bicameralismo perfetto. Ancora non si sa come, ma – come sembra dire Gasparri (Corsera, 16.01.12, p. 21, “è un complesso di leggi che vanno fatte”) – queste riforme sono inderogabili. Viene chiaramente da ridere poiché tutto ciò sembrava impossibile fino alla scorsa settimana, e ora viene dato per imminente. Sarà la solita strategia usata più volte in passato affinché non cambi assolutamente nulla.

4 Dicembre: Spatuzza Day.

Uno spettro si aggira per Palazzo Chigi: l’ombra di una accusa infamante, che ridurrebbe quel che resta di Mr b a una controfigura dello statista che desiderava d’essere.
Gaspare Saptuzza sarà ascoltato al processo d’Appello a Dell’Ultri in corso a Palermo. Spatuzza riconfermerà presumibilmente le accuse a Autoreuno e a Autoredue, i mandanti occulti delle stragi del 1992-93. Le dichiarazioni di Spatuzza già contribuirono a scrivere pagine e pagine della richiesta di archiviazione dell’inchiesta sulla strage di Via dei Georgofili a Firenze. L’inchiesta fu archiviata per l’impossibilità di procedere oltre nelle indagini e chiarire effettivamente il ruolo e la responsabilità penale di Autoreuno e Autoredue. Il 4 Dicembre forse verrà rivelato al pubblico la verà identità dei due cospiratori. Verrà portata alla luce la vera genesi della Seconda Repubblica, fondata non già sul lavoro, ma sul patto fra Stato e Mafia. Qualcosa che sa di criminoso.
Intanto i giornali, soprattutto quelli di proprietà del Padrone, mettono le mani avanti e, ancor prima di sentire le dichiarazioni del pentito, parlano di complotto e di toghe rosse. Si fa a gara per soccorere il Capo. Il ddl del processo breve avrà una corsia preferenziale in Commissione Giustizia al Senato e, in men che non si dica, sarà legge. Eppure non sarà sufficiente. L’accusa di collusione con la mafia è un’accusa grave. Dell’Utri si è già beccato nove anni in primo grado. E il processo d’Appello si è rimpolpato con i documenti di Ciancimino e le dichiarazioni di Spatuzza. Oggi pure Il Riformista, il giornale in quota PD ma edito dagli Angelucci, prossimi al finto-premier ma anche a D’alema, si è cimentato in una ipotetica ricostruzione dei fatti successivi alla strage di Via D’amelio, e alle indagini di Ilda Bocassini quando era pm a Caltanissetta. Secondo l’autrice dell’articolo, sarà Ilda Bocassini a salvare Mr b. L’illuminante intuizione deriva dal fatto che – sempre secondo l’autrice – la Bocassini avrebbe messo in discussione l’attendibilità dei pentiti Spatuzza e Scarantino. Tutto ciò non corrisponde al vero, ed è la stessa autrice dell’articolo a dircelo: è Spatuzza a smentire Scarantino sulla ricostruzione della strage che uccise Borsellino. E la Bocassini non credeva proprio a Scarantino, l’impostore, il falso pentito mentitore che depistò le indagini o fu proprio imbeccato dagli stessi magistrati della procura di Caltanissetta, colleghi della Bocassini, che secondo quest’ultima "avevano fretta di trovare un colpevole".
E’ forse un caso di soccorso rosso? Proprio oggi Bersani ha dichiarato che il ddl sul processo breve deve essere ritirato. Ed ha riproposto il vecchio straccio di riforma della giustizia proposto qualche anno fa da Luciano Violante, che aveva fra i suoi punti cardine la separazione delle carriere fra magistratura giudicante e magistratura inquirente, e l’attribuzione dell’iniziativa d’indagine in via esclusiva alla polizia giudiziaria togliendola al pm, il quale potrebbe poi aprire fascicoli solo sui casi riportati dalla polizia, organo del Ministero dell’Interno, quindi sotto controllo governativo. Fortunatamente la proposta del segretario PD è caduta nel vuoto.

  • Spatuzza e Scarantino, quando era la Boccassini ad avere dubbi sui pentiti – di Marianna Bartoccelli

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    • Chi potrebbe salvare – o almeno fare chiarezza – il presidente Berlusconi e il fondatore del suo partito, che allora si chiamava Forza Italia, Marcello Dell’Utri dalle accuse del pentito o quasi Gaspare Spatuzza è, incredibilmente, Ilda Boccassini

    • La Boccassini arriva a Caltanissetta subito dopo la strage Borsellino, visto che aveva chiesto di essere applicata proprio lì per indagare sulla strage di Giovanni Falcone

    • E, quando venne ammazzato il pm Paolo Borsellino, la struttura investigativa capeggiata da Arnaldo La Barbera si chiamava gruppo Falcone-Borsellino

    • È stata proprio la Boccassini a dire che Scarantino non era per niente credibile. Al punto che scrisse una lunga lettera con la quale diceva di voler tornare alla procura di Torino perchè a lei la conduzione delle stragi non piaceva affatto.

    • Nell’ottobre 1994 la Boccassini, insieme all’altro pm di Caltanissetta, Roberto Saieva, lasciarono scritto ai colleghi che il pentito Scarantino era sostanzialmente inattendibile, e che bisognava svolgere ulteriori e urgenti accertamenti per metterlo alle strette e smascherare le sue eventuali manovre intorno alla strage di via D’Amelio

    • lo stesso Scarantino oggi contraddetto da Spatuzza

    • È la vicenda del furto della Fiat 126, successivamente imbottita di esplosivo, di cui oggi si autoaccusa proprio Spatuzza. Boccassini e Saieva consigliavano nuove verifiche su quel pentito traballante, e scrivevano: «Rinviare il compimento dei necessari atti d’investigazione potrebbe avere come effetto di lasciare allo Scarantino una via aperta verso nuove piroettanti rivisitazioni dei fatti»

    • Siamo ormai nella fase Spatuzza che mette anzi rimette in circuito i fratelli Graviano, giovani ma potenti di Brancaccio, che sono riusciti, mentre erano al 41bis, a mettere incinte le loro due donne; pare, cosi si scrisse, con l’inseminazione artificiale. Sono importanti i due Graviano perché sono accusati delle stragi del ’93, di cui si cercano i mandanti occulti.E soprattutto pare che dagli anni ’90 avessero rapporti con imprenditori del Nord. E ovviamente tocca a Caltanissetta metterci mano

    • l’ultima strage, quella a Milano del luglio ’93, avvenne quando era quasi certo che il Cavaliere scendeva in piazza con Forza Italia e Dell’Utri si sarebbe occupato di trovare l’ossatura dei candidati per il partito che apriva le sue nuove liste

    • Fu prima dell’annunzio delle liste che Graviano disse a Brusca che il nuovo potere era in mano loro e che quel potere avrebbe fatto quello che volevano

    • Graviano dava per certa la vittoria di Forza Italia, che Brusca voleva soprattutto che il nuovo partito diminuisse il 41bis, e che da pentito (anche dopo la riforma sui pentiti, conclusa dal ministro Fassino, il suo avvocato fu Luigi Li Gotti, un tempo sottosegretario alla Giustizia del governo Prodi; oggi senatore dell’Idv di Antonio Di Pietro) lancia accuse a Violante e alla sinistra ed è assistito da un legale vicino a Ligotti.

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    • Il ddl sul processo breve è ai blocchi di partenza al Senato, la maggioranza vuole approvarlo prima di Natale, l’opposizione protesta, Alfano litiga coi magistrati sul numero dei processi che salterebbero

    • è ben altra la preoccupazione che occupa le menti dei componenti la maggioranza, ai livelli bassi come a quelli alti. «Il processo breve che interessa tanto voi giornalisti rischia di essere superato dai fatti: a noi sta molto più a cuore la tegola che potrebbe arrivare sul premier», sintetizzano ai piani alti del Pdl

    • La “tegola” sarebbe la possibile concretizzazione delle vociferate novità in arrivo dalle procure di Firenze e Caltanissetta, quelle che indagano sulle stragi di mafia del ’93-’94

    • il “fattore Spatuzza”, con riferimento al pentito che punta il dito sul premier e che sarà sentito il 4 dicembre

    • Irridente il “Giornale”: «Scoppierà un nuovo presunto scandalo. Ve lo anticipiamo. Berlusconi è mafioso e responsabile delle stragi degli inizi degli anni Novanta»

    • Dietrologista “Libero”, che pur «senza prove» «scommette» sulla «già avvenuta» iscrizione tra gli indagati del premier e di Dell’Utri e si chiede: «Quando e perché verrà fatta trapelare l’indiscrezione?»

    • Definitivo per calembour il Foglio: «Come difendersi da uno Spatuzza che darà di mafioso a Berlusconi?»

    • «È chiaro», spiega una gola profonda, «che tutto lo sforzo di bloccare il processo Mills allo scopo di garantire a Berlusconi la presentabilità internazionale non servirebbe più a nulla». Perché «se è “impresentabile” un premier condannato in primo grado per corruzione, cosa potrebbe essere di un leader indagato per legami più o meno stretti con la mafia?»

    • questa evenienza sarebbe inaggirabile per via legislativa. Di qui l’idea di «parlare agli italiani». Allo scopo di fare per via politica ciò che non gli riesce per legge: ritrovare l’unanimità per andare avanti

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Violante, Martelli e le rimembranze. Le discordanze di Mancino. Storia di una trattativa che non si chiama trattativa.

Nicola Mancino, oggi vicepresidente del CSM, non sa, non ricorda. Ma quando Martelli, ex ministro della Giustizia dello stesso governo in cui Mancino era ministro dell’Interno, ha riferito dell’incontro fra De Donno e la collaboratrice di Falcone, Liliana Ferraro, Mancino non si è affrettato a smentire, a dire, quello che dice Martelli è destituito di ogni fondamento; no, questo non l’ha detto. Ha detto che quel che ha riferito De Donno alla Ferraro, e cioé che Ciancimino cercava coperture politiche per continuare a parlare con i Carabinieri, non si può definire "trattativa". Quindi, se parlate a Mancino di una trattativa fra Stato e Mafia, egli la negherà sdegnato. E certo, lui non la chiama trattativa. La chiama in un altro modo, che finora non ci ha voluto rivelare. Però De Donno dalla Ferraro ci è andato. Sennò avrebbe dovuto dire, non sapevo nulla di questo incontro. In sostanza, Mancino contraddice proprio De Donno, il quale afferma di non essere mai stato dalla Ferraro. E’ una menzogna, dice il carabiniere, e querelo chi mi diffama.
Bè, che cominci pure da Mancino.
Intanto, Luciano Violante, nel ’92 presidente della commissione antimafia, tornerà nella stessa per riferire di quanto detto nei mesi scorsi circa la presunta trattativa, della quale lui non sapeva nulla ma ha vaga memoria di una visita di Paolo Borsellino al ministero dell’Interno, fatto che Mancino non sa, non ricorda.

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    • L’altra sera l’ex ca­pitano dei carabinieri Giuseppe De Donno ha visto in tv Annoze­ro , come altri cinque milioni e ot­tocentomila italiani

    • ha ascolta­to il racconto dell’ex Guardasigil­li Claudio Martelli, che lo riguar­dava da vicino: nel giugno del 1992, dopo la strage di Capaci, l’ufficiale dell’Arma andò da Li­liana Ferraro, la collaboratrice di Giovanni Falcone che ne prese il posto alla direzione generale del ministero della Giustizia, per dir­le che l’ex sindaco mafioso di Pa­lermo Vito Ciancimino «aveva una volontà di collaborazione, che si sarebbe però esplicata se avesse avuto delle garanzie poli­tiche »

    • La Ferraro gli consigliò di parlarne con Paolo Borsellino e poi — ha rivelato Martelli al giornalista Sandro Ruotolo — lei stessa lo confidò al magistra­to nel trigesimo della morte di Falcone, cioè il 23 giugno ’92

    • La reazione dell’ex capitano De Donno, all’indomani della puntata di Annozero , è piuttosto decisa: «L’episodio descritto dal­l’onorevole Martelli è completa­mente falso e destituito di qual­siasi fondamento

    • quell’episo­dio non è mai avvenuto

    • Secondo un’ipotetica ricostruzione infat­ti, Borsellino potrebbe essere stato eliminato subito dopo Fal­cone perché aveva saputo dei contatti tra «pezzi» di Stato e Co­sa Nostra, e si sarebbe opposto; nell’immediato non fu un buon affare per i mafiosi, giacché la nuova strage fece immediata­mente diventare legge il «carce­re duro» e benefici pressoché il­limitati per i pentiti, ma non c’era alternativa

    • Martelli non ha fatto cenno a tutto questo, né ha usa­to la parola «trattativa» o tirato in ballo il governo

    • ha volu­to precisare che secondo lui i ca­rabinieri «non avevano alcun ti­tolo per intavolare un’azione di persuasione» con Ciancimino

    • Ma l’accenno alla «copertura po­litica » evoca quanto affermato di recente da Massimo Ciancimi­no, figlio di Vito, sulle garanzie politiche che suo padre preten­deva per continuare a parlare coi carabinieri: De Donno e l’al­lora colonnello Mori

    • Ciancimino jr, che sostie­ne di aver visto e di voler conse­gnare ai magistrati una copia del famoso «papello» con le ri­chieste di Riina, ha indicato co­me altro ipotetico «garante» ri­chiesto dal padre l’ex ministro dell’interno Mancino, oggi vi­ce- presidente del Csm

    • Il prossimo 20 ottobre deporrà in aula l’ex presidente della commissione parlamenta­re antimafia Luciano Violante che — a 17 anni di distanza dai fatti, come Martelli — ha raccon­tato di quando Mori gli chiese di incontrare «privatamente» Cian­cimino, su sollecitazione dell’ex sindaco

    • Pure su questa circo­stanza c’è totale contrapposizio­ne tra la versione di Violante e quella di Mori, che nega di aver mai proposto una simile iniziati­va all’ex deputato

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    • "Per quanto riguarda la mia responsabilità di ministro dell’Interno, confermo che nel ’92 nessuno mi parlò di possibili trattative". Nicola Mancino, oggi vicepresidente del Csm, replica così alle affermazioni fatte anche dal suo predecessore Claudio Martelli nella puntata di Annozero andata in onda ieri sera

    • Paolo Borsellino sarebbe stato informato di questa trattativa una ventina di giorni prima di essere ucciso. Quella trattativa c’è stata, ribadisce oggi Michele Santoro, ed è "continuata anche dopo la strage di via D’Amelio" aggiunge il conduttore commentando le parole di Mancino

    • Nel corso della puntata di ieri sera Sandro Ruotolo ha riferito quanto raccontato dall’ex ministro della Giustizia, Claudio Martelli, secondo cui anche il giudice Paolo Borsellino sarebbe stato a conoscenza del "dialogo" aperto dall’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, che agiva come canale di collegamento tra Cosa nostra e pezzi dello Stato. Una circostanza che aggiunge ulteriori misteri alla vicenda del magistrato ucciso nell’estate del 1992 in via D’Amelio.

    • Dopo le dichiarazioni fatte ieri sera, il cronista di Annozero Sandro Ruotolo e l’inviato di Repubblica Francesco Viviano sono stati interrogati questa mattina come testimoni in procura, a Palermo, proprio a proposito delle rivelazioni sulla trattativa fra Stato e Cosa Nostra. Ruotolo, ascoltato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dal sostituto Nino Di Matteo, ha raccontato come sono andate le cose nel corso della preparazione della puntata, confermando quanto gli è stato riferito personalmente dall’ex ministro della Giustizia, Claudio Martelli e cioè che Paolo Borsellino fu informato da Liliana Ferraro del fatto che i carabinieri cercavano una copertura ‘istituzionale’ per un’eventuale trattativa con Cosa nostra attraverso Ciancimino.

    • "Desidero far presente – dice l’allora ministro dell’Interno, Nicola Mancino – che intanto si può parlare di una trattativa intavolata con lo Stato in quanto ad autorizzarla abbia dato il suo consenso chi del governo all’epoca aveva la legittima rappresentanza: il Capo del governo, il ministro dell’Interno o il ministro della Difesa. Per quanto mi riguarda, confermo che nel’92 nessuno mi parlò di simili trattative"

    • "Il riferito incontro, come ricostruito ad Annozero dall’onorevole Claudio Martelli – prosegue Mancino – fra il capitano Giuseppe De Donno e la dottoressa Liliana Ferraro, all’epoca responsabile dell’ufficio del ministero della Giustizia già ricoperto dal giudice Falcone, incontro durante il quale il capitano De Donno rappresentava la disponibilità di Vito Ciancimino a collaborare a fronte di garanzie politiche, si concluse con l’invito rivolto dalla dottoressa Ferraro al capitano De Donno di parlarne al giudice Borsellino, incaricato delle indagini"

    • si chiede Mancino, "è questa una trattativa?"

    • Da ministro dell’Interno, ricorda Mancino, diedi "immediato e decisivo impulso" a provvedimenti legislativi "adeguati a rafforzare l’azione di contrasto alla mafia"

    • Le parole di Mancino provocano la replica di Michele Santoro: "La verità è tutta da accertare. Ma sicuramente bastano le deposizioni degli ufficiali che contattarono Vito Ciancimino, l’allora colonnello Mori e il capitano De Donno, per essere certi che la trattativa continuò anche dopo via D’Amelio. Questo, per amore della verità", ha detto il giornalista

    • "Data l’importanza dell’argomento – aggiunge Santoro – vorrei semplicemente sottolineare che l’intervento della dottoressa Ferraro precedette la strage di via D’Amelio. Come siano andate effettivamente le cose è tutto da verificare, anche se Massimo Ciancimino ritiene che proprio in quei giorni la trattativa sia entrata nel vivo"

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La trattativa era politica.

La trattativa era “politica”. C’era un’intenzione politica dietro le iniziative del Gen. Mori e degli agenti dei servizi segreti. Violante, allora Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, era all’opposizione. Se la trattativa era “politica”, quindi c’era l’avallo o l’impulso o l’ordine a trattare, e questo avallo o impulso o ordine non poteva che provenire da esponenti politici della maggioranza di Governo. Poteva essere che un Generale dei Carabinieri diciamo così “deviato”, per quanto deviato fosse, si presentasse da un capo dell’opposizione e rivelasse che vi era in corso una trattativa con la mafia e che questa trattativa aveva carattere politico, il tutto impunemente, senza creare alcun problema istituzionale sul controllo dei servizi di “intelligence”? Il Ministro dell’Interno cosa faceva nel frattempo? (Probabile – immaginiamo – che in questi istanti stia preparando le proprie dimissioni da vicepresidente del CSM, quale è tuttora).

“Il generale Mori mi disse che la trattativa era politica” – cronaca – Repubblica.it.

  • Per tre volte il generale Mario Mori cercò di far incontrare “privatamente” don Vito con Luciano Violante. E per tre volte il presidente della Commissione parlamentare antimafia, in quel lontano 1992, respinse l’invito.Luciano Violante
  • punto cruciale di quell’impasto di diciassette anni fa fra i Corleonesi e i servizi segreti: chi aveva “autorizzato” ufficiali dell’Arma dei carabinieri a venire a patti con Cosa Nostra? Chi aveva dato il nulla osta per avviare un negoziato con Totò Riina ancora latitante?
  • Quest’altro “pezzo” di verità l’ha rivelata Luciano Violante nella sua testimonianza – giovedì scorso
  • L’inizio della vicenda è nota. Massimo Ciancimino, il figlio prediletto di don Vito, ha raccontato ai magistrati che suo padre – già in contatto con l’allora colonnello dei Ros Mario Mori e il suo fidato capitano Giuseppe De Donno – “voleva che del “patto” fosse informato anche Luciano Violante”. Il resto l’ha messo nero su bianco l’ex presidente dell’Antimafia nel suo interrogatorio.
  • Il primo incontro. Mario Mori va a trovare Luciano Violante nel suo ufficio di presidente dell’Antimafia. “Vito Ciancimino intende incontrarla”, gli dice. Aggiunge l’ufficiale: “Ha cose importanti da dire, naturalmente chiede qualcosa”. Violante risponde: “Potremmo sentirlo formalmente”. Cioè con una chiamata in commissione parlamentare: un’audizione. Ribatte Mori: “No, lui chiede un colloquio personale”. Il presidente Violante congeda l’ufficiale con un rifiuto: “Io non faccio colloqui privati”.
  • Dopo un paio di settimane Mario Mori, al tempo vicecomandante dei Ros, torna alla carica […] insistette ancora e con garbo che io incontrassi Ciancimino.
  • Fu a quel punto che Violante chiese se la magistratura fosse informata di questa voglia di “parlare” dell’ex sindaco di Palermo. Fu a quel punto che l’ufficiale dei carabinieri pronunciò quelle parole: “Si tratta di cosa politica… di una questione politica”.
  • Lo scenario che affiora dalle nuove testimonianze – fra Palermo e Caltanissetta non c’è soltanto quella di Luciano Violante – e dalle nuove indagini scopre l’esistenza di un patto cercato da diversi protagonisti e a più livelli. Non c’è stato solo e soltanto Mario Mori dei Ros. C’è stato anche quel “Carlo” che frequentava don Vito da almeno quindici anni, un agente segreto che il “papello” di Totò Riina l’ha avuto materialmente nelle mani. E, a quanto pare, adesso, ci sono “mandanti” politici che quella trattativa volevano a tutti i costi. La vera svolta sui massacri siciliani del ’92 ci sarà pienamente solo quando i magistrati identificheranno quegli altri nomi, i nomi di chi aveva approvato o addirittura suggerito di mercanteggiare con i boss.