Il colloquio Di Pietro-Berlusconi porta dritto a Bisignani

Genere, fantasy. Titolo: Di Pietro inciucia con Berlusconi. Un romanzo di centinaia di pagine ancora da scrivere che potrebbe interessare il proseguio di questa stagione politica. Fioccano le ricostruzioni e i ricami giornalistici. Secondo Il Giornale, per esempio, Tonino avrebbe posto a Berlusconi le condizioni per un aiuto. Secondo La Repubblica Di Pietro avrebbe parlato con B. e subito dopo avrebbe attaccato un indifeso PD (chiara l’allusione al fatto che B. avrebbe imbeccato l’ex magistrato). Libero?

A quelli di Libero Tolkien fa un baffo…

Ora tentiamo una ricostruzione seria:

1. Ecco la curiosa scena che si presenta ai deputati di maggioranza e opposizione. Ore 17,10: seduta sospesa per venti minuti, Antonio Di Pietro è al telefono mentre Silvio Berlusconi sta per lasciare l’Aula.  Il premier – per quasi tutta la giornata presente nell’emiciclo per ascoltare gli interventi sulla verifica parlamentare – vede il leader dell’Idv e si avvicina alla prima fila, al tavolo dei 9. Visto che loro sentono le nostre telefonate, voglio sentire le loro…, dice il Cavaliere all’esponente del Pdl che lo accompagna. Così il presidente del Consiglio si siede al fianco dell’ex Pm, spiegandogli in modo scherzoso di voler ascoltare la sua telefonata. Poi i due continuano a parlare per alcuni minuti. «Io stavo nel mio banco in aula. Il Presidente del Consiglio quando ha terminato il suo discorso ha detto che voleva parlare ai leader dell’opposizione per spiegare che il suo Governo fa il bene del Paese. E quando si è avvicinato a me me lo ha ribadito. Ed io gli ho risposto che il sottoscritto leader dell’opposizione è convinto che farebbe il bene del Paese se il suo Governo se ne andasse». Antonio Di Pietro ha spiegato così, ospite al Tg 3, il breve colloquio in aula con Silvio Berlusconi, andato a sedersi vicino a lui alla Camera (

2. Mi soffermo su questa frase: visto che loro sentono le nostre telefonate. Evidente il riferimento all’inchiesta P4 di John Woodkock. Le nostre telefonate, ovvero quelle fra Bisignani, nostro faccendiere, e quelle fra Gianni Letta, nostro sottosegretario. Nostre sono le indicazioni date e fatte passare per l’ufficio del Bisi. Nostre le pressioni che il Bisi rivolgeva a giornalisti e direttori di giornali. Gli interessi che il Bisi difendeva spiando i magistrati per mezzo del sen. Papa sono i nostri interessi. Il Bisi è nostro amico, uno di noi: lo dice pure Franco Bechisi su Libero. Anche io, confessa Bechis, faccio parte della P4. Bechis? Bechis… Mi ricorda qualcosa. Sì! Certo, il caso Tulliani.

Correva l’estate 2010 e Dagospia cascò sul tarocco:

Fini-Tulliani, Dagospia scivola sul tarocco

Ebbenen, al centro di quel caso c’era un presunto tarocco di un blog che Dagospia prese per fatto certo. Su tale blog, a firma di Matilde di Canossa, veniva attribuita la proprietà della casa di Montecarlo alla coppia Fini-Tulliani, e tutto ciò in tempi non sospetti. Ma qualcuno smascherò l’inganno. Lo pseudonimo era stato attribuito proprio a Franco Bechis, editorialista di Libero.

Ora, tirando le somme: sono noti i rapporti fra il Bisi e Dagospia; noto il teorema secondo cui il caso Tulliani fu montato ad arte per colpire Fini; noto anche il ruolo di Walter Lavitola nel caso del ministro degli esteri dell’sioal caraibica dove avevano sede le società off-shore attribuite a Tulliani; Lavitola è finito anche lui nella rete di Woodcock; Bechis è in rapporti con tutte queste persone ed è sospettato di aver fornito il tarocco a Dagospia. Avete bisogno di altro aiuto? Questa è la nostra società, signori. Una società segreta.

Piduista a vita: vita e opere di Luigi Bisignani

Il Signor Nessuno, l’uomo con l’ufficio al piano mezzanino di Palazzo Chigi, è quel tratto di penna che unisce tutti i puntini dei giochi enigmistici. Dici Bisignani e in una parola colleghi tutti. Così gianni Barbacetto su Il Fatto Q. dello scorso 8 Marzo: Bisignani “non ama apparire. A differenza di tanti altri animali del circo berlusconiano, ritiene che l’esibizione sia, oltre che di cattivo gusto, anche nemica del potere vero”. Eppure è riduttivo definire Bisignani come animale del circo berlusconiano: Bisignani è un evergreen. Un sempreverde. Un piduista a vita.

Il suo curriculum è lunghissimo. Del suo nome se ne trova traccia già nelle inchieste sulla P2, nel 1981. Bisignani era collaboratore – a soli 28 anni – del ministro Stammati, anche lui piduista. Fu indagato e incriminato di spionaggio in seguito ad una tangente all’ENI:

“Si sa che l’ex ministro del Commercio Estero Gaetano Stammati è stato interrogato venerdì pomeriggio per quattro ore e mezzo dal sostituto procuratore Dell’Osso, che con Siclari, Viola e Fenizia si occupa di P2 e annessi. Forse Stammati è stato sentito sul giornalista Luigi Bisignani, già addetto al suo ufficio stampa quando era ministro e che da un elenco di Gelli risulterebbe avere percepito 13 milioni e poi ancora un altro mezzo milione?” (Archivio Storico La Stampa).

Dieci anni dopo il suo nome compare nell’inchiesta sulla maxi tangente Enimont, la madre di tutte le tangenti. Così scrive Barbacetto: “L’11 ottobre 1990, dunque, Bisignani apre, con 600 milioni in contanti, un conto riservatissimo presso lo Ior. È il numero 001-3-16764-G intestato alla Louis Augustus Jonas Foundation (Usa). Finalità: “Aiuto bimbi poveri”” (Il Fatto Q.). Su quel conto transitò una cifra pari a 2.7 mld di lire di ex titoli di Stato monetizzati allo Ior dal mons. De Bonis, ex segretario del corrotto Marcinkus. Una operazione di ricilaggio finalizzata al finanziamento della prima trance della maxi tangente al pentapartito fianlizzata allo scioglimento del polo della chimico-energetico italiano, Enimont.

Nel 1988 ENI e Montedison conferirono alla joint venture Enimont (40% ENI, 40% Montedison, 20% flottante) le proprie attività chimiche: si realizzava così quell’alleanza tra chimica pubblica e chimica privata che molti auspicavano da anni. La vita di Enimont fu breve e travagliata: nel 1989 la Montedison sembrò in un primo momento mirare alla maggioranza assoluta del capitale, ma già nel 1990 finì col cedere la totalità delle attività chimiche all’ENI, ricevendone in cambio 2.805 miliardi di lire[7], un prezzo valutato in seguito come esorbitante; in seguito intorno alla gestione ed alla trattativa per la cessione di Enimont emersero episodi di corruzione[8] (Wikipedia).

Sappiate che Enimont ha dato “da mangiare” a tutti. Montedison e Enichem erano il fiore all’occhiello della chimica italiana, la politica e la fame di soldi le hanno distrutte. Bisignaniera al centro di tutto questo scambio di denari e fece in fretta quando si trattò di cancellare le tracce: “nell’estate del 1993, quando annusa il disastro (i magistrati di Mani pulite stanno per arrivare alla maxi-tangente Enimont): così il 28 giugno di quell’anno corre allo Ior, ritira e distrugge i documenti che vi aveva lasciato all’apertura dei conti e chiude il Jonas Foundation. Ritira, in contanti, quel che resta: 1 miliardo e 687 milioni. Non avendo borse abbastanza capienti, deve fare due viaggi per portar via il malloppo” (G. Barbacetto, Il Fatto Q., cit.).

L’affare in questione è il collocamento presso lo lor (Istituto Opere di Religione), la banca del Vaticano, di 92 miliardi in Cct provenienti dalla «provvista» creata da Raul Gardini per pagare i partiti al momento dell’uscita da Enimont. La «maxitangente», insomma. Dopo la vicenda, Bisignani nel gruppo Ferruzzi fa carriera, diventando responsabile delle relazioni esterne. Ma allora «era un giornalista, credo dell’Ansa, che era in buoni rapporti con Gardini e Sergio Cusani». Così lo descrive Sama […] Fu individuata in Bisignani la persona che poteva fare da collegamento con questa parte della dc che faceva capo a Cirino Pomicino e quindi alla corrente di Andreotti». Inoltre «Bisignani – afferma Sama – aveva delle entrature nello lor, quindi attraverso lui si potevano negoziare i Cct ricevuti da Bonifaci». Bonifaci è l’immobiliarista romano che, attraverso una fittizia compravendita di terreni organizzata da Cusani, recupera la «provvista» di circa 150 miliardi, quasi tutti in titoli di Stato. Che finiscono per quasi due terzi nella banca del Vaticano e da qui nelle tasche di personaggi politici. «Naturalmente per questa sua attività parte del denaro sarebbe rimasto nella stessa disponibilità di Bisignani». Ma quanto? Sama non lo sa, mentre i magistrati accusano il giornalista di aver incassato 4 miliardi di Cct. (Archivio Storico La Stampa).

Di Pietro non riuscì ad arrestarlo a causa di uno strano errore del Gip che dimenticò di scrivere la durata della custodia cautelare:

La Stampa - 10 Settembre 1993

Barbacetto ricorda che il nome dello sconosciuto Bisignani comparve anche nell’inchiesta Why Not, opera dell’allora pm Luigi De Magistris. De Magistris piombò di persona presso gli uffici romani di Bsiginani ma stranamente l’uomo non si fece trovare. “Era a Londra”, ricorda il neo sindaco di Napoli. L’accusa del mandato di arresto di oggi è favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio e dossieraggio. bisignani, ai tempi di Why Not, sembrava essere in stretti rapporti con “Salvatore Cirafici, il dirigente di Wind responsabile della gestione delle richieste di intercettazioni e tabulati inviate all’azienda telefonica da tutte le procure italiane” (Barbacetto, cit.). Forse il pm Woodcock è arrivato laddove De Magistris fu fermato: ovvero al livello più alto di una organizzazione occulta che opera al fine di condizionare la vita politica ed economica del paese.