La Consulta fa a pezzi la Manovra d’Agosto 2011

Il decreto n. 138/2011 fu scritto dall’ex governo Berlusconi e dal suo ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel caotico Agosto 2011, il mese in cui lo spread fra Btp e Bund influì per la prima volta sulla politica italiana. In un mese il decreto diventò legge, con una deliberazione parlamentare lampo e una discussione pubblica azzerata. Le Regioni venivano colpite nella composizione numerica dei consigli regionali e degli assessori dall’articolo 14 di detto decreto. Il comma 1 prevedeva una riduzione di entrambe le figure, anche per le Regioni a statuto speciale, per le quali la mancata attuazione di predetta riduzione comportava il non rispetto degli obblighi di cui all’articolo 27 della legge 42/2009, il cosiddetto “Federalismo Fiscale” (nella fattispecie il rispetto del Patto di Stabilità interno):

L’art. 14, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 2011, in base al quale l’adeguamento ai parametri previsti dal comma 1 del medesimo articolo è «condizione per l’applicazione» dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009 ed «elemento di riferimento per l’applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa vigente» […]  La disciplina relativa agli organi delle Regioni a statuto speciale e ai loro componenti è contenuta nei rispettivi statuti. Questi, adottati con legge costituzionale, ne garantiscono le particolari condizioni di autonomia, secondo quanto disposto dall’art. 116 Cost. L’adeguamento da parte delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome ai parametri di cui all’art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011 richiede, quindi, la modifica di fonti di rango costituzionale. A tali fonti una legge ordinaria non può imporre limiti e condizioni. (Corte Costituzionale, sentenza 198/2012).

La norma è stata dichiarata illegittima poiché viola (ed è piuttosto palese) la gerarchia delle fonti del Diritto.

Invece, lo statuto delle Regioni non Autonome non ha rango di fonte costituzionale. La Regione Emilia-Romagna (seguita da Umbria, Campania, Veneto, Lombardia, Calabria) ha impugnato l’articolo 14 c. 1 ritenendolo lesivo degli artt. 3, 77, 97, 100, 103, 117, commi secondo, terzo e sesto, 119, 121 e 123 della Costituzione. Secondo le Regioni Ordinarie, il comma 1 viola:

  1. nel prevedere il numero massimo di consiglieri e assessori regionali, la riduzione degli emolumenti dei consiglieri, nonché l’istituzione di un Collegio dei revisori dei conti, l’art. 117, terzo comma, Cost., perché detterebbe una disciplina di dettaglio in materia di competenza concorrente;
  2. l’art. 119 Cost, in quanto stabilirebbe le modalità con cui le Regioni devono raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica fissati dal patto di stabilità;
  3. l’art 117, quarto comma, Cost., perché invaderebbe l’ambito riservato alla potestà legislativa regionale residuale;
  4. l’art. 123 Cost., in quanto lederebbe la potestà statutaria delle Regioni;
  5. l’art. 122 Cost., perché attribuirebbe al legislatore statale una competenza ulteriore rispetto alla determinazione della durata degli organi elettivi e dei principi fondamentali relativi al sistema di elezione e ai casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali.

Ebbene, per il comma 1 la questione è risultata infondata. Secondo la Consulta, la norma impugnata tende a far rispettare il principio del rapporto fra elettori/eletti:

La disposizione censurata, fissando un rapporto tra il numero degli abitanti e quello dei consiglieri, e quindi tra elettori ed eletti (nonché tra abitanti, consiglieri e assessori), mira a garantire proprio il principio in base al quale tutti i cittadini hanno il diritto di essere egualmente rappresentati. In assenza di criteri posti dal legislatore statale, che regolino la composizione degli organi regionali, può verificarsi – come avviene attualmente in alcune Regioni, sia nell’ambito dei Consigli che delle Giunte regionali – una marcata diseguaglianza nel rapporto elettori-eletti (e in quello elettori-assessori): i seggi (nel Consiglio e nella Giunta) sono ragguagliati in misura differente alla popolazione e, quindi, il valore del voto degli elettori (e quello di scelta degli assessori) risulta diversamente ponderato da Regione a Regione […] Questa Corte ha già chiarito che «il principio di eguaglianza, affermato dall’art. 48, si ricollega a quello più ampio affermato dall’art. 3», sicchè «quando nelle elezioni di secondo grado l’elettorato attivo è attribuito ad un cittadino eletto dal popolo in sua rappresentanza, non contrasta col principio di eguaglianza, ma anzi vi si conforma, la norma che faccia conto del numero di elettori che gli conferirono il proprio voto, e con esso la propria fiducia» (sentenza n. 96 del 1968). Principio analogo vale per gli assessori (Corte Cost., cit.).

Invece l’istituzione di un collegio di Revisori dei Conti è legittimo in quanto “mira a introdurre per le amministrazioni regionali un sistema di controllo analogo a quello già previsto, per le amministrazioni locali, dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2006), «ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica» (art. 1, comma 166)” (ibidem).

Insomma, le Regioni ordinarie dovranno ridurre i propri consiglieri e i propri assessori e dovranno istituire organi che tengano sotto controllo i bilanci regionali. Unica eccezione, le regioni a Statuto speciale non possono essere sottoposte al vincolo di cui al comma 2 dell’articolo 14 in quanto la medesima disposizione è incoerente rispetto la gerarchia delle fonti del Diritto e rispetto la normativa che intende condizionare (gli Statuti delle Regioni autonome hanno rango costituzionale).

Leggi il dispositivo della sentenza 198/2012

Vittoria! Vittoria! Balli e canti sul cadavere della manovra

Ha vinto Berlusconi. Viva la revolucion! Peccato che questa ridicola messa in scena del governo causerà un buco di venti miliardi di euro rispetto ai 45 del saldo iniziale previsto dal decreto di ferragosto (via Il Sole 24 ore). L’azzeramento della manovra correttiva di Tremonti è avvenuto ad Arcore, a pranzo, in assenza di Bossi, uscito da palazzo alla chetichella, infilandosi immediatamente nella sua auto blu, senza incontrare i giornalisti. Mancava anche Maroni: era dovuto andare all’incontro con i sindaci. Restava il solo Calderoli, e non si può dire che egli sia la miglior rappresentanza per la Lega, viste le divergenze di veduta fra lui, Bossi e Maroni medesimi. Calderoli ha quindi ceduto sulle pensioni, ma solo per quella minima parte di contribuenti che hanno riscattato gli anni di leva o di laurea, una percentuale residua dell’elettorato leghista, avrà pensato. Ai fini elettorali, nessun danno. Il danno è per coloro i quali hanno pagato somme di denaro all’INPS e ora si vedono quegli anni di contributo inutili al calcolo degli anni di anzianità (rimangono invece nel computo dell’assegno). Dicono che questo sia il primo passo verso l’abolizione delle pensioni di anzianità. Di fatto la norma proposta trasforma in appropriazione indebita quei contributi già versati (di massima, il riscatto della laurea o della leva si fa per lavorare qualche anno in meno). E poi: via le province, ma solo per legge costituzionale. Significa posticipare nel tempo e rendere del tutto incerta la loro riforma, quindi rendere incerti anche i risparmi di bilancio relativi.

Il patto dei rigatoni, così passerà alla storia la cancellazione delle promesse fatte in sede europea – ma la manovra d’agosto non era dettata dalla BCE tramite quella famosa lettera di Trichet? – è stato siglato nella sala del pianoforte: la stessa dove si svolge(va) il bunga-bunga.

Sappiate che tutto quanto è stato deciso in quella sala, dovrà passare per il vaglio delle Camere. Dovrà essere tradotto in emendamenti e depositato in Commissione referente entro le 20 di.. ieri. Ieri. Ne consegue che il parlamento dovrà giocoforza riaprire i termini per la presentazione degli emendamenti affinché il relatore di maggioranza presenti un maxi-emendamento governativo che comprenda tutte le modifiche annunciate in serata. L’ennesima forzatura delle regole parlamentari.

Cancellata la manovra d’agosto, tutto da rifare

Il vertice di Arcore di oggi è il capolinea della vergogna: tutte le chiacchiere ferragostane sul contributo di solidarietà, sulla cancellazione dei comuni sotto i mille abitanti, sulla riduzione mediante accorpamento delle province, acqua passata. Bossi e Berlusconi hanno cancellato ogni norma, tranne quelle sulle festività e sul diritto a licenziare. Ne consegue che la manovra non ha più alcun senso. Non sono state prospettate misure che sostituiscano le predette norme in fatto di tagli alla spesa, quindi sarà impossibile, stando a quanto sentito stasera, approvare il decreto di ferragosto negli stessi saldi. Tanto per dire: l’intervento sulle pensioni – l’abolizione della facoltà di riscatto degli anni di studio universitario o di leva militare obbligatoria – è ridicolo e i suoi effetti sulla spesa pubblica sono tutti da dimostrare (questo perché per riscattare gli anni della laurea bisogna pagare all’INPS una discreta somma che ora nessuno si sognerà più di dare).

Il taglio delle Province verrà inserito invece in una legge costituzionale: le province verranno declassate a organismi istituzionali di secondo livello. Non saranno più organi elettivi bensì nominativi (con responsabilità in capo alle Regioni). Risultato: dalle province ai poltronifici. Nessuno può dire oggi se questa riforma apporterà benefici al bilancio pubblico mentre è quasi certo che incrementerà la corruttela e il clientelismo.

I mancati tagli ai comuni non trovano alcun contrappeso: non verrà apportato alcun aumento all’IVA. Mentre il dimezzamento dei parlamentari verrà inserito anche esso in una legge di riforma costituzionale. Ergo: non ci sarà alcuna modifica ai privilegi di casta. Nulla. Niente di niente. E’ un decreto svuotato del suo contenuto. Dalla fretta di ferragosto si è passati alla più classica delle retromarce. Nessuno cita più la lettera di Trichet. Nessuno ricorda le minacce di Berlino e di Parigi. Il peggio sembra passato e invece il peggio è in questo governo che non è in grado di difendere le proprie – impopolari e ingiuste – scelte. Oggi il cuore non gronda più sangue: salvati i redditi alti (anche i calciatori tirano un sospiro di sollievo), non una parola contro l’evasione e l’elusione, salvo una promessa di un futuro intervento di “nuove misure fiscali finalizzate a eliminare l’abuso di intestazioni e interposizioni patrimoniali elusive” (via La Repubblica.it).

Il governo scherza con il fuoco. La BCE sta a guardare ma ben presto farà tremare le fondamenta di Palazzo Grazioli. Potete giurarci.

Per concludere, un’osservazione: declassamento delle province a organi di secondo grado di natura nominativa e dimezzamento dei parlamentari (ripeto, non del loro stipendio né dei loro privilegi) equivale a dire meno democrazia per tutti.